Simili
a formiche
andiamo dentro a ogni fuoco. Ogni acqua. Ogni fiume di sangue. Solo per
non
dover vedere. Che cosa? Noi.
Christa Wolf, Cassandra
Ovviamente non erano
dèi.
Erano stati i primi
coloni a ribattezzarli così, dopo averli visti per la prima
volta: gli unici esseri a vivere in quella remota galassia. Corpi che
potevano
mutare da uno stato all’altro, assumendo le sembianze che
preferivano ed
estraendo energia direttamente dalle stelle con processi di sintesi che
la
neo-scienza non era mai riuscita a spiegare perché non si
trattava né di
sintesi né di scienza.
Per loro era qualcosa
di naturale: il simbolo della loro origine
sovrannaturale, il legame con il cuore delle stelle e
dell’universo stesso.
Magia, pura e
semplice.
Questo spiegava
perché i primi coloni, invece di iniziare le solite guerre
di
conquista, avessero gettato le armi a terra e si fossero arresi,
sottomettendosi alla Dominazione Olimpica e diventando parte del loro
esercito.
Un’armata invincibile di cui anche Cassandra avrebbe fatto
parte alla fine del
suo addestramento.
Continuava a vedere
quei serpenti di luce, forse un effetto collaterale di
quello che aveva fatto all’arena.
Sapeva che avrebbe
dovuto parlarne con qualcuno, prima o dopo: non si aspettava
però di essere convocata appena rientrata dagli esami.
“Che
vorrà da te il Comandante?” Fece in tempo a
sibilarle Eleno all’orecchio,
prima che un Capitano la scortasse via.
Forse dopotutto si
erano accorti di quel che aveva fatto. Finalmente.
Non la portarono nei
quartieri degli ufficiali: il Capitano si fermò davanti
alle stanze personali del Comandante e bussò alla porta.
Quando Cassandra
entrò, vide un uomo che non conosceva e che non portava la
divisa dell’esercito.
“E’
lei,” disse l’uomo con tono calmo e distaccato,
innaturale. Fu dalla voce
che comprese di fronte a chi si trovava: le gambe le tremavano, ma si
mantenne
dritta con la schiena mentre portava entrambe le mani al petto nel
saluto riservato
ai capi della Dominazione Olimpica.
“Possa la
luce splendere in eterno.”
Il viso di Apollo era
senza espressione. “Ti ho visto combattere.” Le sue
labbra non si mossero mentre si avvicinava a lei, eppure ogni parola
risuonava
nella sua mente. “E ti ho visto vincere.”
Lei rimase in silenzio.
“Sai quello
che hai fatto?” Le chiese Apollo.
“Ho
sconfitto il mio avversario,” replicò lei.
Espirò lentamente: “Con un aiuto,”
aggiunse.
“Hai usato
la magia del nexus.” Poteva sentire la presenza
dell’alieno farsi
strada ai margini della propria consapevolezza come un’onda
di emozioni che la
sua forma umana non riusciva a riprodurre: curiosità,
turbamento e aspettativa.
“Non molti della tua specie ne sono capaci.”
Cassandra si
domandò se lui l’avrebbe punita oppure se
l’avrebbe legata a un
tavolo dei Laboratori per aprirla e cercare di capire che cosa in lei
le aveva
permesso di fare quel che aveva fatto.
Immaginò le
mani del dio sfiorarla con la lama sottile del bisturi,
dall’incavo
del collo e sempre più in basso, senza poter fare nulla per
fermarlo.
Si chiese se avrebbe
urlato.
“Hai
paura.”
“Ho motivo
di non averne?”
“Forse.”
Le porse una mano, immacolata e perfetta. “Dipende da quello
che
sceglierai.”
Il contatto tra
Dominazione Olimpica e uomini era raro: avveniva solo in
determinate circostanze e con persone in grado di sopportare la natura
aliena
abbastanza da non rimanerne succubi. Era uno dei grandi divieti della
società
coloniale: Cassandra esitò, consapevole che Apollo stava
assistendo allo
scontro tra quello che le era stato insegnato e quello che le veniva
ordinato.
Alzò gli
occhi e incrociò lo sguardo del dio: lentamente
allungò le proprie
dita per toccare le sue.
Fu come essere
catapultati nello spazio profondo: attorno a lei tutto divenne
oscuro, un brusio assordante le riempì la testa eliminando
ogni altro pensiero.
A tratti, lampi di immagini sfocate le passavano davanti, troppo
distanti perché
lei potesse capirne il senso, e andavano a unirsi ai serpenti di luce
che
strisciavano nei suoi occhi chiusi.
L’unica
certezza erano le dita di Apollo, il calore intenso che sprigionavano
contro la sua pelle: si aggrappò a quella sensazione mentre
il resto di lei
precipitava nel vuoto.
Questo è quel
che si prova usando la
magia?
Il contatto si
interruppe.
Cassandra si
ritrovò sul pavimento, tremante e con lo stomaco contratto.
Riuscì
a voltare la testa prima di vomitare.
Sentiva ancora la
presenza di Apollo nella sua mente ma molto più fioca, come
se anche il dio avesse compiuto uno sforzo notevole. Quando ebbe il
coraggio di
guardarlo di nuovo vide che lui la fissava senza emozioni come sempre.
Qualcosa
però era cambiato nel modo in cui lui la stava percependo:
soddisfazione.
“Che
cos’era?” Riuscì a chiedergli, con voce
roca dalla bile. “Che cosa mi hai
fatto?”
“Ti ho
mostrato delle strade.” Questa volta lui le rispose con la
sua voce
umana e distaccata. “Le possibilità che esse si
realizzino. E tu sei stata
capace di vederle.”
“Ma non di
capirle.”
“Questo
verrà con il tempo.” La domanda implicita era
chiara, le conseguenze
della sua risposta lo erano altrettanto.
Apollo
parlò ancora. “Il potere che acquisterai
sarà immenso: sarai la mia allieva
e un giorno comanderai eserciti in mio nome. Con le tue visioni potremo
cambiare il corso dell’universo.”
Ansimando, Cassandra
si rialzò: “Insegnami.”
Erano nel cuore della
tempesta: la navetta si lasciò alle spalle il muro di
sabbia e vento per entrare in un’area circolare dove anche il
tempo sembrava
immobile.
L’aria era
calda, stantia senza i filtri dell’elmetto. La luce non
riusciva a
penetrare del tutto la massa di nuvole: la semi oscurità era
la stessa di
quando, una vita prima, si era immersa nell’oceano del suo
pianeta natale e
aveva osservato il sole da sott’acqua, domandandosi come
fosse possibile la
vita nelle grandi profondità.
Il lato positivo era
che non avrebbe avuto bisogno di raggi schermanti: i dati
indicavano che quel muro di nubi sembrava funzionare come uno scudo
anti-radiazioni.
Un’altra
magia, un altro atto di fede.
“La Prova
inizierà non appena entrerai nel cerchio del
Proskénion.” La voce di
Apollo risuonava in lei forte e sicura. “Io sarò
assieme agli altri della mia
specie provenienti da ogni angolo di questa galassia. Non mi
è permesso di aiutarti
in alcun modo.”
Lo sapeva
già. Avevano passato notti a studiare i possibili contenuti
della
Prova: durante il suo apprendistato Cassandra aveva imparato a
risolvere enigmi
e a distruggere ostacoli lasciando che la luce le scorresse nelle vene
per combattere
e vedere più in là di ogni nemico. Questa volta
però Apollo non sarebbe stato
con lei: la sua presenza non l’avrebbe salvata se avesse
fatto un passo falso e
la sua mente avesse ceduto.
Era il rischio da
affrontare per ricevere il pieno controllo sul suo nexus.
Apollo
svanì – non c’erano altri modi per
descrivere il modo in cui gli dèi si
spostavano piegando lo spazio – e lei rimase sola.
Inspirò
profondamente.
L’oscurità
della tempesta era indispensabile per far emergere il pieno potere
della magia che le ribolliva nel sangue. Se la sua mente fosse stata
giudicata
adatta gli dèi l’avrebbero resa in grado di
raccogliere enormi quantità di
energia solare e trasformarle in un sentiero che le avrebbe permesso di
vedere
dipanate ai suoi piedi tutte le strade del futuro, ascendendo
più in alto delle
stelle.
Sarebbe stata in grado
di portare un esercito alla vittoria semplicemente
chiudendo gli occhi.
Ma in cambio avrebbe
dovuto cedere ad Apollo la sua volontà.
Coloro che portavano
il marchio del nexus dovevano essere vincolati a una delle
divinità per sopravvivere a quel potere.
Posò una
mano sul pannello di controllo della navetta: la porta si
aprì
sibilando sul paesaggio immobile nel ventre della tempesta. A poca
distanza,
una serie di colonne metalliche dall’aria antica indicavano
la posizione del
Proskénion.
Un passo dopo
l’altro, Cassandra si avviò in quella direzione.
Erano passate solo
poche settimane ma già desiderava che Apollo prendesse se
stesso e tutta la sua luminosità e andasse a gettarsi in una
catena solare.
Possibilmente
lasciando un messaggio di scuse.
Sentì la
presenza dell’alieno – del dio –
stringersi attorno alla propria
coscienza, in parte severo, in parte quasi divertito da quei pensieri.
“La luce
è magia, è potere.” Eppure, mentre
continuava a parlarle, la sua
espressione restava immota, come quella di una maschera. “A
un livello
elementare il portatore di nexus la può incanalare e usare
come farebbe un
qualsiasi strumento meccanico.” Che cosa si provava a non
poterla mai togliere?
“A un livello più alto dona la
possibilità di vedere quello che potrebbe essere.”
“Chiaroveggenza.”
“Una parola
del vostro linguaggio che è simile ma non uguale a quello
che noi
intendiamo. La luce rende il portatore in grado di vedere tutte le
infinite
possibilità e di scegliere tra di esse quelle più
adatte.”
Cassandra
rallentò il passo. Si trovavano negli appartamenti privati
riservati
ai membri della Dominazione Olimpica in visita ufficiale: gli scudi
solari
erano ridotti, le finestre più ampie e cortili fiancheggiati
da giardini di
rocce collegavano una stanza all’altra. La ragazza indossava
la propria tuta
schermante tutto il giorno come una seconda pelle tanto che la sera,
quando
tornava nella nuova stanza che le avevano assegnato – non
più camerate rumorose
per lei, a volte dimenticava di toglierla e crollava sul letto esausta.
“Se le
possibilità sono infinite come è possibile
scegliere?” Domandò fissando
una roccia che le tempeste di Lykaios avevano cesellato fino a formare
un arco
irregolare. Le ricordava un pesce.
“La luce ti
guiderà, se glielo permetterai.”
“Significa
che chi controlla il nexus può influenzare il
futuro?”
“Solo nei
limiti di quel che permette la luce: ci sono futuri tra cui
è
possibile scegliere e altri che sono punti fissi nel tempo. Un animale
feroce e
affamato attaccherà in qualunque scenario.”
“Però…
potrei decidere che un animale è pericoloso e sparare per
costringerlo
ad attaccare, provando che è pericoloso.” Si
fermò, confusa per non essere
riuscita a spiegarsi meglio.
Questa volta la
presenza di Apollo in lei rideva. “Un esempio rozzo ma
appropriato” concordò. Accanto a lei,
l’alieno - il
dio - dal
viso di pietra sembrava parte del giardino. “Serve una
dimostrazione.” Raccolse una roccia appuntita da terra.
“Sto per colpirti?” La
domanda era priva di inflessione. “Sto per ucciderti o la
lascerò cadere a terra? La getterò
contro la finestra?”
Il suo sguardo era
limpido e imperscrutabile.
Cassandra
rabbrividì: “Come posso deciderlo?”
“Non sta a
te farlo. Chiudi gli occhi e guarda.”
La ragazza
alzò la testa verso l’alto: il sole splendeva allo
zenit, poteva
sentire il calore dei suoi raggi sopra la tuta. Lentamente, ma con meno
fatica
rispetto alle prime volte, ne assorbì la luce fino a quando
non le sembrò che
tutto il proprio corpo ne fosse intriso.
Serrò le
palpebre e incanalò l’energia in un punto preciso
della fronte.
Di nuovo quei serpenti
luminosi che strisciavano a velocità folle. Li
seguì
fino a quando rallentarono per dividersi in figure su figure, immagini
dell’Accademia e del cortile, di una tempesta che si
abbatteva sulla parte
esterna dell’edificio, di Apollo che scagliava la pietra
contro di lei
uccidendola, di lei che si opponeva al lancio con la forza della luce
che aveva
assorbito.
Come poteva scegliere?
Che cosa rendeva un futuro più plausibile di un altro?
Avvertì la
frustrazione crescere: Apollo era con lei – era sempre con
lei quando
usava la Vista – ma non interveniva.
I serpenti si
intrecciarono di nuovo, immaginando altre possibilità. Uno
di
loro però le strisciò accanto, ai piedi della sua
coscienza: sembrava indicarle
un’altra immagine, una conseguenza che avrebbe richiesto una
determinata azione
che ora le sembrava chiarissima.
“Che cosa si
prova a essere condannati a esprimere solo la
verità?” Chiese con
voce calma mentre riapriva gli occhi. “Che cosa significa
vedere esseri come me
capaci di mentire quando voi non ne siete in grado?”
Sentì il
dio in lei, pur consapevole di quel che stava per succedere,
irrigidire le proprie emozioni. La roccia, che prima puntava contro la
testa di
Cassandra, finì contro la finestra alle sue spalle,
frantumando il cristallo in
una cascata di schegge taglienti.
Lei si era spostata
prima che questo accadesse.
Apollo la
scrutò a lungo. “Hai imparato
velocemente.”
“Sono la
migliore allieva di questa Accademia.”
“Avresti
potuto scegliere il futuro in cui ti spostavi. O quello in cui io
lasciavo cadere la pietra. Ma la luce ti ha consigliato di
provocarmi.”
“Era la
scelta sbagliata?” Ora Cassandra era preoccupata, ma Apollo
scosse la
testa. “Non esattamente… Ma a volte mi chiedo se
non sia meglio temere la luce…”
Si interruppe. La sua presenza in Cassandra si affievolì e
scomparve. “Per oggi
abbiamo finito con la teoria: torna ai tuoi allenamenti.”
Erano tutti
lì: gli dèi, i capi della Dominazione Olimpica,
la stavano
aspettando nel semicerchio di roccia spezzata nel cuore della tempesta.
Cassandra riconobbe il
profilo aquilino di Zeus, gli occhi penetranti di
Athena: accanto a loro il viso di Apollo sembrava più
immutabile del solito.
Espirò
lentamente.
Alzando la testa
parlò con voce chiara: “Io, Cassandra, figlia di
carne umana,
membro della Flotta Imperiale, discepola di Apollo, chiedo di tentare
la Prova
per essere accettata come figlia di Lykaios.”
Fu Athena a
risponderle: “Figlia della carne, sei consapevole di quello
che
comporta la tua richiesta? Sei disposta a cambiare il sangue in fuoco e
la
carne in luce?”
“Ne sono
consapevole.”
“Sai anche
che, se sarai giudicata non adatta, il prezzo sarà la tua
vita?”
“Sono pronta
a rischiare.”
Athena
annuì, fissandola con occhi che le leggevano fino nel fondo
dell’anima.
Tutti gli dèi alzarono le braccia verso il cielo coperto:
Cassandra guardò
verso Apollo, ma il dio non ricambiò lo sguardo.
“Che inizi
la Prova.”