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Autore: Marti Lestrange    07/08/2020    8 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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11.

CAPITOLO UNDICI

 

 

«Se c’è una cosa che non sopporto del mio lavoro», cominciò Teddy uscendo da uno dei camini situati nell’Atrium del Ministero della Magia e togliendosi di dosso la fuliggine in eccesso, «è ricevere una convocazione ufficiale la domenica.»

Roger, accanto a lui, annuì dopo aver sventolato la mano all’indirizzo di un paio di maghi appena usciti dal camino di fianco. «Buona giornata anche a te», esclamò, poi si girò verso Teddy e alzò gli occhi al cielo. «Io Macmillan non lo reggo, sia messo agli atti», aggiunse. 

Teddy allungò il collo per osservare la schiena dei due maghi che si allontanavano a passo svelto. Il lunedì era sempre critico per tutti. 

«Quale dei due è Macmillan?»

«Quello più alto, quasi stempiato.»

«Be’, almeno tu hai ancora tutti i capelli.»

«Grazie, tu sì che sai risollevarmi le giornate, Teddy.»

Teddy gli diede una pacca sulla spalla e insieme si diressero al piccolo chiosco interno, che da un paio d’anni era stato aperto in una piccola sala adiacente l’Atrium, poco prima della Fontana dei Cinquanta Caduti. Il bancone era affollato di Ministeriali e tre baristi correvano come matti e agitavano le bacchette, preparavano caffè, cappuccini, tè caldi, mentre croissant e muffin levitavano in sacchetti di carta che poi planavano con grazia di fronte all’avventore in attesa. 

Teddy e Roger spintonarono un pochino di qua e un pochino di là e si guadagnarono uno piccolo spazio proprio in prima fila. Teddy urtò per sbaglio il gomito della persona accanto a lui e, quando si girò per chiedere scusa, si ritrovò di fronte Molly - la cugina Molly.  

«Teddy?» esclamò lei, sorpresa.

«Molly, hei», la salutò lui sorridendole. 

«Che ci fai qui? Non dovresti essere a Hogwarts?» gli chiese. «Sì, grazie, il croissant è quello al miele», aggiunse all’indirizzo del barista. Poi tornò a guardare Teddy.

«Sì, dovremmo», rispose quindi lui indicando Roger accanto a sé. Molly sventolò una mano per salutarlo e Roger replicò con un «ciao, Mol.»

«L’avvoltoio ci ha mandato a chiamare», sussurrò Teddy per non farsi sentire dalla gente intorno. L’avvoltoio era il soprannome con cui tutti gli Auror più giovani chiamavano Eva Chapman. 

«Oh, cazzo», commentò la ragazza facendo una smorfia. 

«Due caffè americani per noi, grazie», esclamò intanto Teddy quando una barista gli chiese cosa volesse ordinare. 

«Il caso come va?»

«Non va», rispose Teddy. «Cioè, da un lato potremmo avere qualcosa in mano, dall’altro non abbiamo abbastanza prove per confermare i nostri sospetti.»

Molly annuì, sorseggiando un po’ dal suo bicchiere, in attesa del croissant. «Spero che chi-sappiamo-noi non vi strapazzi troppo… Ma vi ha convocati ieri?»

«Seh», rispose Teddy, e gli venne subito in mente sua nonna Andromeda, che lo sgridava sempre quando rispondeva così ad una domanda (« è una soluzione così pratica, Edward, dovresti pensare di usarla più spesso, sai?». Non lo chiamava quasi mai ‘Ted’, ma piuttosto ‘Teddy’ o ‘Edward’, ‘Ted’ le ricordava troppo il suo amato marito, il nonno che Teddy non aveva mai conosciuto, un altro affetto che la guerra gli aveva portato via). 

«Come suo solito», commentò ancora Molly. Poi arrivò il suo croissant al miele e lei afferrò il sacchetto prima che si posasse sul bancone. «Ti saluto, Teddy, non so se ci vedremo, dopo, esco in pattuglia con JJ1

«Ah, salutamelo», esclamò Teddy. «E tu sta’ attenta, Molly.»

La ragazza gli sorrise. «Sì, papà», e ridendo si allontanò. Teddy sorrise tra sé e sé scuotendo la testa e si appoggiò al bancone, in attesa. Roger intanto si era messo a chiacchierare con un Ministeriale in attesa di fianco a lui, che salutò non appena arrivarono i loro americani. Uscirono da quel caos e si incamminarono verso i cancelli dorati. 

Attesero l’arrivo di un altro ascensore, visto che quello presente era pieno da far schifo, e intanto sorseggiavano i loro caffè, mentre Roger batteva nervosamente un piede per terra. Avevano ancora un quarto d’ora d’aria prima di dover parlare con l’avvoltoio. 

Un ascensore arrivò sferragliando e le grate dorate si aprirono per lasciar entrare la solita folla. Teddy e Roger furono tra i primi, e con loro entrò anche Megan Hall della Sorveglianza. Stringeva al petto una serie di cartelline colorate e affiancò subito Teddy non appena lo vide. Roger gli assestò una gomitata nelle costole e Teddy quasi si soffocò con il caffè. 

«Ciao, Teddy!»

«Ciao, Megan», tossì, mentre una strega vestita di viola davanti a lui si girava a guardarlo malissimo, «niente Sorveglianza, stamattina?» Lanciò un’occhiataccia a Roger ma quello stava ridendo sotto i baffi, appollaiato sull’orlo del suo bicchiere. Stronzo.

Intanto l’ascensore aveva preso a salire lentamente ma con fragore, le catene che sbatacchiavano come dei vecchi fantasmi. Anni di evoluzione e ancora nessuno ci aveva messo mano per migliorarne la funzionalità. 

«Questa settimana rimpiazzo Roland2, si è messo in malattia.»

«Ah, quindi lavori gomito a gomito con la Ministra, Megan», intervenne Roger. 

Teddy lo guardò male. Sapeva che lo aveva detto solo per prenderla in giro.

«Sì, Roger, non è fantastico? È una grande opportunità, per me», rispose, però guardando Teddy. Gli sorrise.

Lui piegò le labbra in quello che forse era apparso più come un ghigno. Si nascose nel caffè, mentre sentiva Roger accanto a lui trattenersi a stento dallo scoppiare a ridere. 

Giunti al Terzo Livello (“Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici, comprendente la Squadra Cancellazione della Magia Accidentale, il Quartier Generale degli Obliviatori e il Comitato Scuse ai Babbani”), un gruppo di Ministeriali uscì, e nello stesso momento uno stormo di Promemoria Interuffici planò all’interno. 

«Il prossimo è il nostro, Roger», annunciò Teddy facendogli cenno di avanzare. 

«Allora ci vediamo, Teddy, io salgo ancora», esclamò Megan, rimarcando quel ‘io salgo ancora’ a voce eccessivamente alta, così che tutti i restanti all’interno dell’ascensore potessero udirla. «È stato un piacere rivederti.»

Teddy alzò una mano a mo’ di saluto. «Buon lavoro, Megan, salutami Hermione.»

«Sì, Megan, salutaci Hermione», ripetè Roger scoppiando a ridere. Intanto erano arrivati al Secondo Livello e così Teddy si affrettò a spingerlo fuori. L’ascensore ripartì, con solo più Megan all’interno, che li guardava con gli occhi ridotti a due fessure. 

«Sei uno stronzo», esclamò Teddy. 

Roger non la smetteva di ridere. «Quella continua a provarci con te, Teddy, come faccio a non ridere, eh?»

Teddy buttò il bicchiere vuoto in un cestino e alzò gli occhi al cielo. «Cosa ci posso fare? È così dai tempi della scuola…»

«Credo che dovresti presentarle la tua fidanzata, secondo me ne vedremmo delle belle.»

«Già la conosce, Victoire, e poi scusa, ma perché invece di prendere in giro me non pensi a cosa fai tu

Roger sussultò e smise subito di ridere. Ora lo guardava con sospetto.

«Mi vuoi dire cos’è successo con Prudence? Siete tutto uno zucchero, ultimamente. E ti brillano gli occhi manco avessi quindici anni.»

Roger si passò una mano dietro la nuca. «Be’… insomma… noi… Ecco, forse stiamo… insieme… Sì, si può benissimo dire che stiamo insieme. Ecco

Teddy ridacchiò. «Era ora, vecchia volpe!» E gli diede una pacca talmente forte sulla spalla che Roger imprecò. 

«Dài, andiamo, prima di finire nei guai», commentò solo  quello avviandosi, ma sorrideva sotto i baffi. 

L’ufficio di Eva Chapman si trovava al fondo dell’open space occupato dal personale dell’Ufficio Auror. Teddy e Roger salutarono alcuni colleghi ma non si fermarono: mancavano esattamente cinque minuti. Giunti davanti alla porta di vetro temperato a due battenti, con sopra scritto “EVA CHAPMAN - CAPO UFFICIO AUROR”, Roger lanciò un’ultima occhiata a Teddy e poi bussò. 

Venne loro ad aprire il segretario e assistente della Chapman, Logan, che li fece accomodare nell’anticamera, un piccolo ambiente contenente la sua scrivania, alcuni schedari, un paio di quadri e una fila di scomode poltroncine per i visitatori in attesa. 

«Annuncio ad Eva che siete qui.»

Teddy gli fece una smorfia dietro la schiena e Roger lo guardò con disapprovazione. 

Logan bussò ad un’altra porta a vetri, coperta da veneziane grigie, e, atteso il permesso di entrare, infilò solo la testa all’interno. 

«Falli entrare, Logan, grazie», si sentì. 

Logan si girò e fece loro cenno di avvicinarsi. Aprì la porta e si fece da parte per farli passare. La sentirono richiudersi alle sue spalle. 

«Hestia?» esclamò Roger, sorpreso. 

Il loro diretto superiore, Hestia Jones, era poggiata ad un comò cesellato addossato al muro, le braccia conserte sul petto. Fece loro un cenno della testa ma non disse niente. Aveva uno sguardo torvo, come se lei ed Eva fossero appena uscite da una discussione accesa. 

Teddy però guardava la donna dietro la scrivania. Eva Chapman si alzò in piedi per salutarli, un elegante tailleur grigio e i capelli biondi perfettamente acconciati. Rughe sottili le contornavano le labbra fini, che ora aveva disteso in un sorriso forzato. 

«Lupin, Davies», li salutò, asciutta. «Prego, sedetevi.»

Teddy e Roger presero posto nelle due poltroncine (scomode come quelle dell’anticamera e altrettanto brutte) sistemate davanti alla scrivania, in silenzio. 

«Bando alle ciance», iniziò la donna risedendosi e incrociando le dita sotto il mento. «Penso abbiate immaginato il motivo della vostra convocazione qui.»

A Teddy sembrò di udire Hestia grugnire piano, ma forse lo aveva solo immaginato. «Be’, presumo che sia per via del caso Jenkins», rispose. 

Eva annuì gravemente. «Ho dovuto. Ho dovuto per via delle pressioni che i genitori di quel caro ragazzo stanno facendo al mio indirizzo, e quindi al vostro, facendo tutti voi capo a me

«Non crederà mica a quello che scrivono sul Profeta, no?» intervenne Roger.

Eva strinse le labbra. «So bene a cosa credere, Davies, non si deve preoccupare. Ma so anche bene cosa vedo, e cosa non vedo. E non vedo risultati utili, signori. Neanche uno.»

Teddy e Roger avevano inviato alcuni rapporti a Hestia per informarla dell’andamento delle indagini, ma non erano ancora scesi nello specifico, cioè non avevano menzionato i loro sospetti sui Potter-Weasley, preferendo rimanere sul vago, adducendo come scusa il fatto di non avere ancora un’idea precisa sui singoli sospettati. Teddy non sapeva se Hestia avesse creduto a tutto ciò che in quei rapporti avevano scritto o se avesse chiuso un occhio di proposito, e ora non si osava lanciarle un’occhiata per sondarne l’espressione, visto che Eva Chapman non staccava i suoi occhi da loro. 

«Comprendiamo benissimo la situazione, capo Chapman», iniziò Teddy facendo un bel respiro. Sapeva sfoderare le parole giuste, lo aveva già fatto in passato, e intendeva utilizzare tutte le armi in suo possesso al fine di uscire quanto prima da quell’ufficio e dall’aria rarefatta che vi si respirava - nonostante il profumo di fiori che aleggiava nell’ambiente. La donna seduta davanti a lui aveva inclinato le labbra in un sorriso quando lui l’aveva chiamata “capo”. «È morto un ragazzo, e in circostanze che… be’… le definirei inaspettate, forse, considerata l’attuale situazione del nostro paese, nel quale il suo ufficio è riuscito a mantenere un alto standard di sicurezza che tanti altri stati ci invidiano.»

Eva Chapman si sistemò meglio sulla sedia. Si stava godendo - e bevendo - ogni singola parola. 

«Comprendiamo bene anche l’immediata necessità di assicurare che quegli alti standard vengano mantenuti, la popolazione chiede risposte, i coniugi Jenkins chiedono risposte, pretendono di sapere, e a ragione, cos’è successo al loro unico figlio», Teddy fece una pausa, «pretendono di sapere chi abbia posto fine alla vita di Karl. E vogliono che, chiunque sia stato, venga esemplarmente punito.»

Nell’ufficio scese il silenzio. Teddy se lo gustò tutto.

«Non le nascondo che sia io, sia il mio partner non dormiamo la notte per cercare di venire a capo di questo enigma, che all’apparenza potrebbe sembrare semplice. In fondo, è morto un ragazzo, e forse è stato solo un banale incidente. I ritorni di fiamma di bacchetta sono ormai rari, ma non impossibili. Se solo il corpo di Karl non fosse stato Trasfigurato e occultato, se solo la sua bacchetta non fosse sparita dalla circolazione, se solo alcune circostanze venissero chiarite…»

«Tutto ciò che posso, e che voglio, assicurarle, è che continueremo a fare il nostro lavoro per venire a capo di questo caso, come facciamo sempre, perché è ciò che ci è stato insegnato. Perché siamo Auror, ed è ciò che sappiamo fare.»

Si appoggiò allo schienale della sedia e sospirò, continuando a guardare Eva Chapman negli occhi. Lei annuì, lentamente, guardandolo a sua volta. E poi sorrise. Forse gli rivolse il primo, vero sorriso da che la conosceva. 

Si alzò in piedi. «Bene, direi che Lupin ha fatto il punto.»

Roger si mosse sulla sua sedia, a disagio. Molto probabilmente non capiva come fossero giunti a quel prossimo, ma sbrigativo, congedo. Teddy imitò il capo e si alzò in piedi a sua volta. Roger si affrettò a seguirlo. 

«Questa conversazione è archiviata, ma non consideratela conclusa», continuò la donna stringendo la labbra. «Mi aspetto dei risultati a breve, non costringetemi a mandare rinforzi o, peggio, a sostituirvi. E sapete bene che la mia pazienza non è infinita.»

«Lo sappiamo bene, capo Chapman», concordò Teddy annuendo. «Non la deluderemo.»

«Oh, ne sono sicura. Sei una continua fonte di sorprese, Edward Lupin, e un’ottima risorsa per quest’ufficio. Potete andare, ora», aggiunse, accompagnando le sue parole con un cenno della mano che significava “sgombrate”, e tornando quindi a sedersi. 

Hestia si staccò dal comò e, senza dire una parola, uscì prima di loro dall’ufficio. Si diresse fuori a passo di marcia, segno che voleva che loro la seguissero. Sembrava un soldato quando faceva così. 

Logan li salutò prima di correre dal suo capo, che lo stava chiamando a gran voce per farsi preparare un tè. Teddy e Roger uscirono e seguirono Hestia fino al suo ufficio. Una volta dentro, a porta chiusa, la donna si girò verso di lui. Non verso di loro, verso di lui.

«Che cazzo è appena successo, là dentro?»

Teddy si strinse nelle spalle, dondolando leggermente sul posto. «Quello che hai sentito.»

«Sì, ho sentito un sacco di cazzate.»

«Brava. Ed è esattamente ciò che la Chapman voleva che le rifilassi. Cazzate.»

Hestia sbuffò. Roger accanto a lui rise. 

«Sei un attore fenomenale, amico.»

«Possiamo prendere questa cosa sul serio, per favore, Davies?» esclamò Hestia rivolgendosi a Roger. Gli occhi le fiammeggiavano. «Il capo ufficio vi ha convocati per sapere da voi che cazzo state facendo a Hogwarts, oltre che vacanza e weekend all’acqua di rose con le vostre fidanzatine

Teddy e Roger si guardarono. 

«Come…?» iniziò Roger.

«Come l’ha saputo? Non sono io a dovervi dire che ha i suoi uccellini. Ovunque. E sua figlia studia a Hogwarts», aggiunse camminando su e giù per l’ufficio, inquieta. 

La sua assistente Emily fece capolino e chiese a mezza voce se gradissero un tè o un caffè, e proprio quando Roger stava aprendo bocca per rispondere “sì, grazie” (ormai Teddy gli leggeva nel pensiero), Hestia si girò e sbotto: «Non è il momento dei rinfreschi, Emily, va’ a classificare qualche schedario. Sciò.»

Solitamente Hestia non era così spietata e a Teddy dispiacque per la povera Emily, che annuì, tutta rossa in viso, e si ritirò, visibilmente mortificata. Hestia si passò una mano tra i capelli. 

«Abbiamo discusso, prima che arrivaste», iniziò tornando a guardarli. «Mi sono esposta, per voi, in prima persona. Ha insinuato che stiate nascondendo delle prove, magari per proteggere qualcuno… Ha insinuato che stiate tergiversando per provare a far archiviare il caso, sempre con un secondo fine… Ha insinuato che io vi abbia dato pergamena bianca su qualsiasi cosa, e che io, a mia volta, vi stia coprendo. Mi sono presa un sacco di merda, per pararvi il culo e assicurarle che no, non state coprendo nessuno, non state proteggendo nessuno. Giusto? Giusto?» rimarcò, guardandoli uno ad uno, le mani appuntate sui fianchi.

«Hestia, ci conosci da anni», intervenne Roger. «Secondo te saremmo capaci di fare tutte queste cose? Andrebbe contro i nostri valori.»

Teddy deglutì. Stavano camminando su un terreno pericoloso, dannatamente pericoloso. Rischiavano di farsi male, tutti e due, e Teddy non poteva permettere che il suo amico rischiasse tutto per lui e per la sua famiglia, non poteva proprio permetterlo. 

«Ci servono due mandati di perquisizione», disse. 

Sia Roger, sia Hestia si girarono a guardarlo. Lui annuì, guardando prima uno e poi l’altra. 

«Due mandati? Di perquisizione?» ripetè Hestia. «Ne sei sicuro?»

«Sicurissimo. Ci ho pensato e non so ancora quando li userò, ma li userò. Credo che sia arrivato il momento di scavare.»

Hestia annuì e prese posto alla scrivania. Agguantò due pergamene intonse e una piuma e tornò a guardare Teddy, in attesa di istruzioni. 

«Uno è per la perquisizione del dormitorio di Serpeverde, l’altro per la perquisizione di quello di Grifondoro. Scriviamone due, così la McGranitt può presentarli ai direttori delle case perché ne siano informati.»

Hestia lo guardò per un momento, e poi si mise a scrivere. Solitamente per quelle cose faceva fare ad Emily, ma Teddy immaginò non volesse richiamarla dopo averla cacciata via così in malo modo.

Sentiva addosso lo sguardo di Roger, ma non si voltò. Hestia finì di scrivere e riappoggiò la piuma. Attesero che l’inchiostro asciugasse e poi la donna ripose i fogli in due buste separate e gliele porse. 

«So che sai quello che fai, Teddy.»

Lui annuì. «Spero di saperlo anche io.»

 

 

James se ne stava disteso a letto, le braccia piegate dietro la testa, gli occhi sbarrati che fissavano le ombre che giocavano a rincorrersi sul baldacchino rosso. La luce della luna filtrava dallo spiraglio nelle tende che aveva lasciato aperte di proposito e creava intricati arabeschi ai piedi del letto. 

Pensava, James, come da tanti giorni a quella parte si ritrovava a fare tante, troppe volte, prima di dormire, e i pensieri non gli davano pace, gli premevano ai margini della testa e spingevano, spingevano, ché volevano solo uscire e trovare la loro strada nella realtà, fuori dalla loro irrealtà, ma James glielo impediva, e con tutte le sue forze. Non poteva permettere che i suoi pensieri complicassero le cose, che erano già fortemente complicate. 

Si passò una mano sul viso e sospirò. Di quel passo si sarebbe addormentato in un futuro piuttosto remoto, senza contare che l’adrenalina del recente allenamento di Quidditch gli scorreva ancora addosso e lo teneva sveglio. Sveglissimo. 

Sentì la porta del dormitorio aprirsi, cigolando leggermente sui vecchi cardini. 

«Lou?» chiese. Aveva lasciato suo cugino al termine dell’allenamento, quando Louis gli aveva fatto l’occhiolino e gli aveva detto che aveva da fare, ed era scomparso chissà dove. 

Nessuno rispose, però, e si sentì la porta richiudersi. James allungò una mano verso il comodino per afferrare gli occhiali quando vide le tende scostarsi e apparve Caitlin. 

«Cait?» sussurrò lui, sorpreso.

La ragazza indossava il pigiama e portava i capelli legati in una treccia che le ricadeva su una spalla. 

«Posso?» gli chiese solo indicando il letto.

James deglutì e si limitò ad annuire, scostandosi per farle spazio. Cait richiuse le tende dietro di lei e si infilò sotto le coperte che James teneva sollevate. Si distese e poggiò la testa sul cuscino, senza smettere di guardarlo. 

«Che ci fai qui? Non riesci a dormire?» le chiese puntellandosi su un gomito.

Caitlin scosse la testa. «Non riesco a smettere di pensare. È frustrante.»

«Anche io non riesco a smettere di pensare. È così da un po’…» Non specificò che era così da quella sera del due gennaio, perché sapeva che lei avrebbe capito, e immaginava che per lei fosse lo stesso.

«E allora non pensiamo, Jamie. Non pensiamo e basta, no?»

Gli occhi azzurri di Cait lampeggiavano e James sentiva il suo corpo caldo accanto a sé e il suo buon profumo di pulito. Le sue labbra erano caldi e invitanti richiami. 

Le scostò un ciuffo di capelli sfuggito alla treccia e le carezzò una guancia. «Sai che molto probabilmente, anzi sicuramente, i nostri pensieri saranno di nuovo lì, al loro posto, domani mattina?»

Cait annuì. «Devi solo baciarmi, James Potter. E abbracciarmi. E stringermi. Non chiedo altro.»

Allora lui si chinò, attirato da lei come da un richiamo immortale, e la baciò sulle labbra, dischiuse solo per lui, calde e morbide e dolci come pesche. Cait rispose al suo bacio senza indugio, sospirando e stringendosi a lui, rannicchiandoglisi contro, una mano a stringere la sua maglietta, come a non voler rischiare di vederlo scivolare via come un sogno. 

«Credi di poter riuscire a dormire con me?» gli chiese lei succhiandogli il labbro inferiore, mentre James sentiva l’eccitazione montare dentro di lui a ondate fragorose. Prima di risponderle, chiese a se stesso se ce l’avrebbe fatta, con lei così vicina, invitante come una torta alla melassa (e forse un po’ di più), il suo profumo che gli accecava la ragione, e decise che sì, ce l’avrebbe fatta, ce l’avrebbe fatta per lei. Avrebbe fatto di tutto, per lei. 

Annuì e le sorrise, con uno di quei sorrisi sghembi alla James che sapeva le piacevano tanto. «E tu, invece?»

Cait alzò gli occhi al cielo. «Dài, mettiti giù.»

E così si distesero l’uno accanto all’altra, la schiena di Caitlin incastrata contro il suo petto, le sue braccia che la stringevano e la tenevano al sicuro, il viso tra i suoi capelli. James scoprì che combaciavano alla perfezione, due incastri perfetti e uniti. 

«Pensavi fossi Louis?»

«Ah-ah.»

«Credo che non tornerà per un bel po’…»

«Lo hai visto?»

«Ah-ah. Era con Lynn.»

Fottuto bastardo, pensò James.

«Fatti suoi», rispose quindi.

Cait non disse altro e lui chiuse gli occhi, provando ad addormentarsi.

«’notte, Jamie.»

«’notte, Cait.»

 

 

«Quell’ultima azione è stata veramente epica, non c’è che dire.»

«Io sono quasi caduto dagli spalti.»

Teddy e Neville Paciock risero, mentre finivano di mangiare la loro crostata di frutta e commentavano il Quidditch.

Dopo numerosi inviti, Teddy aveva accettato di mangiare al tavolo degli insegnanti, ospite della McGranitt, e sedeva tra lei e il vicepreside Paciock, che aveva monopolizzato quasi tutta la conversazione, con il disappunto mezzo infastidito e mezzo divertito della preside. 

Teddy aveva trascorso la giornata a riorganizzare i verbali, a fare schemi alla lavagna e a riflettere. Il giorno prima, lui e Roger erano rientrati dal Ministero stanchi morti e parecchio provati psicologicamente per via delle pressioni che avevano dovuto affrontare, prima con la Chapman e poi con Hestia. Roger gli aveva poi chiesto, in separata sede, delucidazioni sui mandati di perquisizione, ma Teddy non gli aveva detto nulla di più di ciò che aveva già detto ad Hestia: sapeva come usarli, ma non sapeva ancora quando, forse al momento che si sarebbe rivelato più opportuno. 

«Non sei stanco di parlare di pluffe e boccini, Neville?» esclamò la McGranitt sporgendosi verso di loro.

«Potrei andare avanti ancora per delle ore, immagino», rispose Paciock accarezzandosi lo stomaco tondo che si intravedeva da sotto il gilet di lana bordeaux. 

«Be’, immagino di non avere delle ore a disposizione, ahimè», commentò Teddy sorridendo. «Anzi, penso proprio che toglierò il disturbo e me ne andrò a letto a fare una bella dormita, dopo tutto quello che ho mangiato…»

La preside sorrise e Neville scoppiò a ridere di gusto, dandogli poi un’affettuosa e calorosa pacca sulla spalla destra. 

«Grazie per la cena e per la compagnia», continuò Teddy. «E per l’invito. È stato strano ma bello, mangiare dall’altro lato della barricata», aggiunse ridendo.

«Il piacere è stato tutto nostro, Lupin», rispose la McGranitt. «Buonanotte, allora.»

«Buonanotte, buonanotte, e grazie.» Così dicendo, Teddy si alzò e, dopo aver salutato brevemente anche gli altri docenti, si spazzolò i pantaloni, afferrò il montone e si apprestò ad uscire. Come al solito, sentì addosso numerose paia di occhi provenienti dai quattro tavoli delle case, ma non se ne curò. Era sempre stato quello “osservato”, che destava curiosità, figlio di due eroi di guerra coraggiosamente periti per salvare il mondo. Il figlio del lupo mannaro. Il Metamorfomagus. 

Quella sera si era fatto i capelli verdi apposta per l’occasione e salutò con la mano il clan Potter-Weasley seduto al tavolo di Grifondoro, ma non si fermò. Aveva deciso di ridurre al minimo i contatti, soprattutto davanti all’intera scuola, anche se a malincuore; voleva rimanere professionale più che poteva e cercare di farsi un’idea migliore di ciò che gli frullava per la testa riguardo i suoi cugini, e vederli avrebbe potuto influenzarlo, in un senso o in un altro. 

Appena uscito dalla Sala Grande, però, si sentì chiamare, e si fermò nel Salone d’Ingresso illuminato dalle torce. Si girò e si ritrovò faccia a faccia con James. Non si erano ovviamente più parlati, dal giorno dell’interrogatorio, e James aveva abilmente evitato di incrociare il suo sguardo, quelle poche volte che si erano intravisti nei corridoi. 

«Teddy», lo chiamò di nuovo. «Non ti tratterrò a lungo…»

«James», rispose lui annuendo. «Che c’è?»

James lo guardò e sospirò. «Ti volevo chiedere scusa, Teddy. Per quello che ti ho detto quel giorno… subito dopo l’interrogatorio di Caitlin», specificò. 

«Ah, James, non ce n’è bisogno…»

«Sì, invece, sono stato uno stronzo, e non ho avuto modo di scusarmi con te l’ultima volta che ci siamo visti, ma ci tengo a chiarire le cose, non voglio rovinare tutto…»

«James», intervenne quindi Teddy allungando una mano a stringergli una spalla. Lo guardò dritto negli occhi. «Ho capito molto bene perché hai reagito così e per me era già tutto dimenticato. Dico davvero.»

«Amici come prima?» gli chiese quindi l’altro sollevando le sopracciglia e sorridendogli in quel modo alla James che avrebbe convinto anche il più reticente.

«Amici come prima, certo.»

«Ti lascio andare, allora…»

«Buonanotte, James.»

«’notte, Teddy.» Gi sorrise ancora una volta e rientrò svelto in Sala Grande. 

Teddy socchiuse leggermente gli occhi, osservando ancora per un istante il punto in cui un secondo prima era in piedi suo cugino. “Amici come prima”, aveva detto, e si vergognava di  averlo detto, ché come avrebbe potuto considerarlo ancora suo amico, James Sirius Potter, quando avrebbe fatto ciò che aveva intenzione di fare? Si passò una mano dietro la nuca e riprese a camminare, intenzionato ad allontanare quei pensieri e rimandarli al giorno dopo. Non aveva la forza per affrontarli, in quel momento. 

«Teddy Lupin.» Fatti appena quattro passi fuori, nel freddo della sera di fine gennaio, si sentì chiamare per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Non riconobbe la voce e, alzando gli occhi al cielo, si voltò. Polly Chapman, stringendosi nel suo maglione della scuola, la sciarpa di Grifondoro avvolta alla bell’e meglio e in tutta fretta intorno al collo, era in piedi, poco oltre il portone di quercia. Il viso era una maschera e Teddy vi lesse angoscia e smarrimento.

«Signorina Chapman?» esclamò, stupito. 

Lei scese i gradini di pietra e gli si avvicinò. 

«Mia madre ha detto che avrei potuto parlare con lei, che mi sarei potuta confidare…» iniziò la ragazza. Dal tono di voce, sembrava ancora più sconvolta di quanto non gli fosse apparsa ad una prima occhiata. Teddy cominciò vagamente a preoccuparsi. «Le ho scritto un gufo, e lei mi ha risposto subito, ieri sera, e tutto oggi ho cercato di racimolare il coraggio per parlare con lei di ciò che ho visto… E stasera l’ho trovato… Credo che sia giusto, credo di non poterlo più tenere per me, a questo punto…»

Teddy allungò le mani a cingere, non troppo strettamente, le spalle di Polly, e si chinò perché i loro visi fossero uno di fronte all’altro. «Polly, che succede? Cos’hai visto?»

Lei si morse un labbro e saltellò leggermente sul posto, come se si fosse scottata. Teddy la lasciò andare, mentre la guardava girare gli occhi tutt’intorno, nella sera buia e silenziosa, mentre dall’interno del castello arrivavano ancora i rumori della cena che stava per finire. Respirava e dalla bocca le usciva il fumo. Infine, si decise a guardarlo negli occhi.

«Li ho visti», iniziò. «La sera del due gennaio. La sera in cui Karl è… » si interruppe. Deglutì. Se quella era una recita, allora era davvero una brava attrice. «La sera in cui Karl è morto, ho visto James Potter e Rose Weasley sgattaiolare fuori dalla Sala Comune di Grifondoro.»

Teddy la fissò, paralizzato. Che cazzo aveva appena detto? Scosse la testa come per voler fare chiarezza in ciò che aveva sentito. «Hai detto che cosa

«Li ho visti e li ho sentiti», proseguì Polly, ora più sicura di sé dopo aver sganciato la bomba. «Stavo scendendo in Sala Comune perché avevo sentito dei rumori e mi sono fermata sulle scale quando ho riconosciuto le voci di James e Rose. Lei gli ha detto che doveva assolutamente seguirla fuori, e subito. Non poteva spiegargli ma era urgente. James ha fatto domande ma Rose era categorica, allora lui le ha detto che sarebbe salito a prendere il mantello e di aspettarlo lì, ma a quel punto sono tornata correndo nel mio dormitorio, non potevo rischiare che mi beccasse sulle scale a origliare, capisce?»

Teddy pensava di aver capito perfettamente, solo non sapeva bene cosa dirle. Non sapeva nemmeno bene cosa pensare.

«Ne sei sicura, Polly? Ne sei assolutamente certa e sicura? È importante che tu lo sia.»

Lei annuì con decisione. Sembrava aver riacquistato la sua solita sicurezza, come se la paura fosse scivolata via insieme a quei nomi sputati fuori nella notte.

«Li ho visti con i miei occhi, così come ora vedo lei. E li ho sentiti perfettamente. James Sirius Potter e Rose Granger-Weasley. Sono stati loro, Lupin?» aggiunse, e ora la voce le tremava di nuovo. «Sono stati loro, vero? Sono stati loro ad uccidere Karl?»

 

 

Note:

1. JJ: come Jasper Jordan, figlio di Lee Jordan; personaggio di mia invenzione. 
2. Roland: chissà se vi ricordate di Roland Zabini, fratello maggiore di Cassandra? È assistente e segretario della Ministra Hermione Granger - ovviamente è tutto di mia invenzione. 

 

Eccoci qui con un nuovo capitolo, e anche con un bel colpo di scena finale, direi! Torniamo per un momento al Ministero e spero vi sia piaciuta la scena, a me è piaciuto da morire scriverla; James e Caitlin inframezzano il capitolo con una scena “al miele”, in cui finalmente Cait prende l’iniziativa, altrimenti, se fosse stato per James (buon sangue Potter non mente XD) saremmo stati ancora lì a Natale prossimo LOL; infine, come vi dicevo, un bel colpo di scena “by Polly Chapman”, con una rivelazione scottante sulla sera del due gennaio e i nostri James e Rose. Cosa ne dite? 

 

Nel prossimo capitolo, Teddy cercherà di affrontare le conseguenze derivanti dalle parole di Polly e James e Rose riceveranno due preoccupanti lettere. Non perdetevi i prossimi aggiornamenti perché la storia è entrata ormai nella fase decisiva e ad ogni capitolo ci si avvicina sempre più alla risoluzione del caso - nel bene e nel male. Vi anticipo che ho già finito di plottare la storia, che si concluderà con un capitolo 16 + un epilogo. Un benvenuto ai nuovi lettori e un grazie immenso a tutti coloro che seguono e recensiscono, siete tantissimi e sinceramente non me lo sarei mai aspettata ♥︎ Per chi voglia approfondire l'universo (con mio personalissimo HC) di "Death in the Night", vi lascio la serie GENERATION WHY, basta cliccare sul nome e vi porterà subito al link collegato!

 

Come sempre, per qualsiasi cosa, mi potete trovare qui ♥︎

 

Alla prossima settimana, Marti.

   
 
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