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Autore: Soul Mancini    14/08/2020    4 recensioni
Estate 1981.
Ives ha tredici anni ed è un ragazzino pieno di vita. Si trova nel periodo magico e doloroso in cui l'infanzia comincia a svanire, per lasciare il posto alla vita vera e senza filtri; la fase in cui si comincia a esplorare il mondo e scoprirlo in tutta la sua crudeltà e durezza, in cui ci si ritrova a prendere le proprie decisioni, cadere, sbagliare e imparare da soli.
In uno dei peggiori quartieri di Los Angeles, dove il mondo crolla ogni giorno e lascia i giovani senza certezze a cui aggrapparsi, Ives e i suoi amici si vogliono soltanto divertire e godersi assieme i mesi più caldi dell'anno; tra prime volte, scelte giuste o sbagliate, risate, musica e delusioni, si prenderanno per mano e impareranno per la prima volta a vivere.
[Una sorta di minilong di cinque capitoli sospesa tra comicità, fluff e dramma.
Nonostante faccia parte di una serie, cercherò di colmare nelle NdA tutte le eventuali lacune per renderla accessibile a tutti ^^]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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III
 
 
 
 
But our answer today
Is to let all our worries
Like the breeze through our fingers slip away
[Stevie Wonder – Master Blaster (Jammin’)]
 
 
 
 
“Sei sicuro che riesci a guidare quest’affare?” domandai dubbioso, stringendo forte la cintura fino a farmi sbiancare le nocche.
Ethan premette sull’acceleratore e scalò la marcia con disinvoltura, come se fosse nato al volante di un’auto. Era incredibile quante cose sapesse fare il mio amico.
“Certo che sono sicuro, mi ha insegnato Davi un sacco di tempo fa.”
“Appunto, un sacco di tempo fa: ora sarai fuori allenamento” mi allarmai.
“Se dico di saper fare una cosa, è perché la so fare davvero.”
“Come quella volta che hai provato ad aggiustare l’amplificatore e stavi per fulminarci entrambi e far esplodere la casa di Sammy?” gli rinfacciai.
“Va bene, di elettricità non ci capisco un cazzo, ma guidare è tutta un’altra cosa. Se non ti fidi, puoi sempre scendere.” Fece per accostare, ma io scossi il capo.
“E se ci ferma la polizia e ti becca senza patente?” mi preoccupai allora.
“I poliziotti si faranno da parte e si tapperanno la bocca non appena vedranno che la macchina è intestata a Davi AraÚjo. Nessuno osa mettersi contro mio fratello, nemmeno le autorità.”
Gettai un’occhiata alla strada che si srotolava quasi deserta davanti a noi, al mare che si estendeva alla nostra destra e rifletteva i raggi dorati del tramonto, e annuii. “Va bene, ma promettimi che non moriremo.”
“Te l’hanno mai detto che sei una rottura di cazzo, Ives?” Ethan si sistemò gli occhiali da sole sul naso.
Sorrisi. “Sì, me lo dici tu tutti i giorni.”
“Bene.” Poggiò entrambe le mani sul volante e cominciò a prendere velocità. “Allora giù i finestrini e su il volume!”
Girai di botto la manopola del volume dell’autoradio, la quale stava trasmettendo Message In A Bottle dei Police, e lanciai un grido sentendo il vento caldo sferzarmi il viso e scompigliarmi i capelli. Cantando a squarciagola il testo della canzone – io e Ethan avevamo letteralmente consumato insieme la nostra cassetta di Reggatta De Blanc, conoscevamo a memoria ogni singolo istante dell’intero album – e gettando il braccio fuori dal finestrino, ebbi l’impressione di poter spiccare il volo da un momento all’altro.
Il profumo del mare mi riempiva le narici, la musica mi riempiva le orecchie, mio fratello era accanto a me e sorrideva, le ruote dell’auto divoravano l’asfalto di una strada fatta di sogni, che sembrava volerci condurre ovunque.
E in quel momento pensai che fosse quello il paradiso, che potevo avere il mondo intero ai miei piedi.
Nulla poteva andare storto.
Io e Ethan non dicemmo niente, ma le nostre anime vibravano insieme, a ritmo della musica che faceva tremare l’intero abitacolo.
Quando il brano dei Police giunse al termine io, preso dall’entusiasmo, cominciai a ruotare la rotella per navigare tra le stazioni radio e cercare qualche altra canzone interessante. Avevo il cuore a mille e l’adrenalina che mi inondava le vene, volevo solo gridare contro il tramonto e lasciare che il vento estivo portasse la mia voce fino al cielo.
Last Train To London!” strillai entusiasta non appena riconobbi le note della famosa canzone degli Electric Light Orchestra.
Ethan si esibì in una smorfia disgustata. “Ma vuoi togliere questa merda?”
“È bellissima questa canzone!” obiettai indignato.
“Almeno fai un giro nelle altre radio per vedere se c’è qualcosa di meglio.”
“Ma io voglio ascoltare questa!”
“E che cazzo!” sbottò Ethan, per poi allungare una mano verso l’autoradio e girare bruscamente la manopola.
Lanciai un grido frustrato. “Che stronzo, mi hai fatto perdere il segnale! E tieni le mani sul volante, che non si sa mai!” Presi a cercare nuovamente la frequenza di mio interesse, ma in mezzo ai vari borbottii provenienti dalle casse riconobbi una linea di basso inconfondibile: Another One Bites The Dust.
“Fermo! Lasciala!” esclamò Ethan entusiasta.
“Certo!” esultai a mia volta, sollevando ancora di più il volume e prendendo a muovere la testa a ritmo di batteria.
Io e Ethan andavamo fuori di testa per i Queen, John Deacon e Brian May per noi erano delle specie di divinità.
Cantai anche quella canzone senza perdermene nemmeno una parola, la conoscevo a memoria; Ethan, accanto a me, mi ascoltava in silenzio mentre premeva sull’acceleratore.
 
How do you think I'm gonna get along
Without you when you're gone?
You took me for everything that I had
And kicked me out on my own

Are you happy, are you satisfied?
How long can you stand the heat?
Out of the doorway the bullets rip
To the sound of the beat

Look out!

Another one bites the dust
Another one bites the dust
And another one gone, and another one gone
Another one bites the dust
Hey, I'm gonna get you, too
Another one bites the dust
 
“Non male” commentò Ethan, la voce appena udibile sotto la musica sparata al massimo del volume.
Mi strinsi nelle spalle. “Certo, sono i Queen!”
“No, io parlavo di te.”
Sgranai gli occhi e mi voltai a guardarlo. “Eh?!”
“Sei intonato. Perché non diventi tu il cantante della nostra band?”
Avvampai, totalmente preso alla sprovvista. “Ma che cazzo dici? Io, cantare? No no, mi vergogno!”
“Non dovresti.”
“Io sul palco voglio solo suonare il basso e concentrarmi su quello. Il canto lasciamolo ai cantanti” tentai di porre fine a quel discorso che non sarebbe nemmeno dovuto nascere.
“Fai come ti pare…”
“Perché invece non canti tu?” me ne uscii allora.
Potevo già intuire quale sarebbe stata la reazione del mio amico: Ethan forse non aveva mai cantato in vita sua, nemmeno per sbaglio; non l’avevo mai sentito canticchiare a mezza voce.
“Ma vaffanculo!” brontolò infatti, e immaginai i suoi occhi riempirsi di imbarazzo sotto le lenti scure degli occhiali.
Scoppiai a ridere di gusto. “E dai, perché non provi almeno una volta nella vita?”
“Perché no, e poi sono stonato. Piuttosto… la canzone dei Queen è finita, cerca qualcos’altro” cambiò subito discorso.
In effetti nell’abitacolo rimbombava la voce di uno speaker che pubblicizzava una marca di detersivo per la lavatrice.
Ripresi a scorrere le stazioni e, dopo aver saltato diverse canzoni country, discutibili tormentoni degli ABBA e dei Bee Gees e svariati notiziari, sbuffai e lancia un’occhiata a Ethan. “Non è che tuo fratello ha qualche cassetta qui in macchina?”
“Ce n’è un pacco sul sedile posteriore.”
Mi voltai per afferrare il gruzzolo di audiocassette e cominciai a esaminarle fino a trovare qualcosa di mio gradimento: Back In Black degli AC/DC.
“Con questa voliamo via!” esclamai mentre inserivo la cassetta nell’apposito vano.
E forse, in un certo senso, era come se stessimo volando davvero.
 
 
Il sole non era ancora tramontato del tutto quando arrivammo davanti all’Alibi. C’erano già tutti i nostri amici, alcuni dei quali si trovavano sul marciapiede con una sigaretta tra le labbra.
Affilai lo sguardo e avvistai subito l’oggetto del mio interesse: Bess se ne stava appoggiata alla parete accanto alla porta d’ingresso e chiacchierava con una sua amica.
Mi voltai per lanciare un’occhiata a Ethan e lui annuì impercettibilmente, segno che aveva capito le mie intenzioni. Come sempre, del resto.
Attraversammo la strada, salutammo qualche persona e io mi fermai davanti all’ingresso proprio accanto a Bess, prendendo a frugarmi in tasca per portare fuori il mio pacchetto di sigarette. I miei polpastrelli sfiorarono anche l’accendino, ma il piano richiedeva che io fingessi di non averlo.
“Bess, hai cambiato look?” attaccò bottone Ethan, accennando ai capelli della ragazza; il suo biondo cenere naturale era stato rimpiazzato da uno strampalato viola melanzana.
“Ehi” ci salutò lei, per poi prendere una boccata di fumo dalla sua sigaretta. “Sì, ma non mi convince. Sto cercando il mio colore.”
“Stavi benissimo anche bionda” ammiccai con un sorriso.
Lei si strinse nelle spalle. “È noioso, mi ha stancato. Dopo il viola voglio provare il verde.”
Ridacchiai. “Senti, hai da accendere? Devo aver perso l’accendino.”
Lei sorrise ironica. “Ah, davvero? E l’ha dimenticato anche Ethan?”
Con la coda dell’occhio notai il mio amico voltarsi dall’altra parte per nascondere una risata. Grazie mille per la solidarietà.
“E dai, era la scusa per fare un po’ di conversazione” ammisi con un’alzata di spalle.
Bess sorrise beffarda, passandomi il suo accendino. “L’avevo capito, volevo solo prenderti per il culo.”
“Io entro e mi prendo una bottiglia di Jack intanto, così occupo pure un tavolino” intervenne Ethan, capendo che volevo stare da solo con la ragazza.
“Entro anch’io” affermò anche l’amica brunetta di Bess, che fino a quel momento aveva assistito alla conversazione in silenzio. Doveva essere molto timida.
I due scomparvero dentro il locale, così mi appoggiai alla parete accanto a Bess con fare disinvolto e accesi una sigaretta. Non mi trovavo particolarmente in imbarazzo, del resto non facevo alcuna fatica a stringere amicizia.
Stavo per aprir bocca e dire qualcosa, ma lei mi precedette: “Come va la puntura d’ape?”.
Ridacchiai. “Sono passati giorni, ormai non ho nemmeno più il segno. Senti Bess, non è che per caso tu sai cantare o hai qualche amica che sarebbe interessata a entrare nella nostra band come cantante?” buttai lì. Del resto era vero, stavamo cercando qualcuno da piazzare alla voce, tanto valeva portarsi avanti col lavoro.
Il suo viso dolce si contrasse in un’espressione pensosa. “Mmh… una cantante, eh? Io lo farei volentieri, ma non becco nemmeno una nota, farei scappare tutto il pubblico. E così su due piedi non mi viene in mente nessuno, ma chiederò in giro. Non avete pensato di appendere un annuncio qui, sulla porta dell’Alibi?”
Scossi il capo. “Però è una buona idea.”
“E dovreste anche farvi conoscere, magari suonando un po’ in giro.”
“E chi ci vuole senza un cantante? La musica strumentale annoia.”
“Beh, in realtà dipende. Un giorno vi vorrei sentire, dove avete la sala prove?” si incuriosì.
Risi. “Sala prove… è il garage del nostro batterista, mica abbiamo i soldi per permetterci una saletta vera.”
Bess schioccò le dita e il suo sguardo si illuminò. “Sai cosa dovreste fare? Suonare in strada. Portare tutto fuori e spaccare il culo a tutto il vicinato. Così vi noteranno per forza!”
Sorrisi, già immaginando batteria e amplificatori sull’asfalto e i passanti che si fermavano, curiosi ed entusiasti per la nostra musica. “Ma sai che è una proposta niente male? Non sarai una brava cantante, ma potremmo assumerti come manager!”
“Ma scusate, allora siete voi a essere un po’ rincoglioniti: come avete fatto a non pensarci prima?” se ne uscì lei con una risata – senza peli sulla lingua, come sempre. Poi mosse qualche passo avanti e si sedette sul gradino del marciapiede, invitandomi a fare lo stesso. “Comunque se mi volete assumere a me va bene, magari è la volta buona che guadagno un po’ di soldi e smetto di vivere nella merda.”
Mi sistemai accanto a lei e continuai a fumare la mia sigaretta ormai a metà. Le lanciai un’occhiata in tralice. “Tutti noi viviamo nella merda, Bess.”
Lei si strinse nelle spalle, gettò a terra il mozzicone e prese a parlare mentre si legava i capelli lisci e lunghi in una disordinata crocchia. “Tutti i ragazzi che frequentano l’Alibi hanno qualcosa che non va e vengono qui a sfogarsi o a dimenticarsi della loro vita patetica, lo so. Forse siamo tutti degli illusi e faremo una fine di merda, chissà.”
Distolsi lo sguardo da lei e mi guardai attorno: il marciapiede ormai si era quasi svuotato, tutti erano entrati nel pub o si erano trasferiti sulla piccola terrazza sul retro, nessuno faceva più caso a noi.
Tornai a concentrarmi su Bess: era strano sentir parlare a quel modo una ragazzina di dodici anni, doveva aver vissuto qualcosa di veramente orribile per esprimersi già con quella freddezza e con quella disillusione. Non sembrava nemmeno capace di sognare.
“Facciamo così: io ti racconto il mio demone e tu mi racconti il tuo, così ci sfoghiamo” le proposi di getto. Era la cosa più idiota che potessi dire e ormai ero ben lontano dal conquistarla, ma forse il caldo mi stava dando alla testa. Come potevo farmi gli affari di una persona che conoscevo poco e niente?
Ma lei non parve affatto turbata e assentì senza fare una piega. “D’accordo, ma comincia tu, dato che hai proposto questo gioco.”
Abbassai lo sguardo e lo fissai sulle scarpe in tela consumate e sudicie che indossavo. “Mia madre è stata stuprata ed è rimasta incinta del suo aggressore. Ha deciso comunque di tenermi con sé, ma quando sono nato non sopportava di vedermi ogni giorno perché le ricordavo lo stupro e una settimana dopo si è suicidata. Io sono cresciuto insieme a zia Maura, che è sua sorella, a mia cugina e al marito di mia zia. Fine.”
Decisi di omettere il fatto che Stan, il compagno di zia Maura, mi picchiava e maltrattava quand’ero piccolo, e che mia cugina Maggie mi odiava e mi ripeteva in continuazione che ero in più nella famiglia. Non che non mi fidassi di Bess, ma erano fatti troppo dolorosi per ammetterli ad alta voce.
“Porca troia” commentò lei con gli occhi sgranati. “Beh, almeno hai trovato una famiglia alla fine.”
“Già” risposi evasivo, con una scrollata di spalle. “Tu invece?”
Lei si esibì in un gesto con la mano, come a sminuire ciò che stava per dire. “Una trama molto classica in realtà, quasi banale. La madre che muore, il padre che entra in depressione e beve come un disperato, le figlie abbandonate al loro destino. Mia sorella Yelena, che ha diciott’anni, fa il possibile per portare avanti i resti della famiglia, anche se questo significa andare a battere.”
Mi morsi il labbro inferiore, davvero scioccato da quella storia. Non erano state tanto le vicende della famiglia di Bess a lasciarmi senza parole, ma il tono distaccato, quasi annoiato, con cui ne parlava. Probabilmente soffriva tantissimo per ciò che stava vivendo, ma non voleva darlo a vedere.
“Ma è una cosa tremenda. Quando… è successo?” azzardai, avvampando subito dopo. Certe volte invidiavo Ethan per essere sempre così controllato.
“Mia madre è morta più o meno un anno fa. Mi manca in ogni singolo momento della mia vita, porca puttana. E sono incazzata a morte con mio padre perché non ha capito che dopotutto è ancora nostro padre e che io e mia sorella così abbiamo perso due genitori, non uno.”
“Mi dispiace tantissimo” riuscii soltanto a dire.
“Anche a me” ribatté Bess con un sorriso mesto. “Chissà come mai ti ho confidato tutte queste cose, nemmeno ti conosco.”
Sfoggiai un sorriso luminoso, deciso a cogliere l’occasione per cambiare discorso e lasciarci alle spalle quella triste parentesi. “Perché sono una persona molto affascinante e che ispira fiducia!”
Bess ridacchiò e mi arruffò i capelli con un gesto fulmineo. “Sei tenerissimo. Ma in quanto a fascino, scusa se te lo dico, Ethan ti batte a occhi chiusi.”
Inarcai un sopracciglio. “Ti piace Ethan?”
“Credo che sarebbe una bella scopata.”
Ecco, dovevo aspettarmelo. Tutte le volte che cercavo di avvicinarmi a una ragazza, questa mostrava interesse per qualcun altro.
Mi strinsi nelle spalle: potevo farmene una ragione. In realtà non è che avessi un obiettivo ben preciso o aspirassi all’amore eterno con Bess, ero soltanto stanco di essere un verginello sfigato. Ma ci sarebbero state altre ragazze, altre occasioni.
Mi alzai e tentai di sistemare i capelli che Bess mi aveva scompigliato. “Beh, buona fortuna con lui.”
Lei mi imitò e mi strizzò l’occhio con un sorrisetto complice. “Non ne ho bisogno, ho già capito come farlo cedere. Vuoi vedere come lo conquisto?”
Scoppiai a ridere. “Sono troppo curioso di vederti all’azione” mi entusiasmai, battendole una leggera pacca sul braccio.
“Ah, comunque ora che ci penso…” disse mentre entravamo nel locale. “C’è una mia amica, Emily, che potrebbe essere interessata al ruolo di cantante. Se c’è oggi, te la presento subito.”
Annuii e le sorrisi. “Grazie, manager!”
 
 
Emily spostava in continuazione lo sguardo da noi al foglio col testo della canzone – al momento l’unico della nostra band, l’aveva scritto Ethan qualche anno prima.
Era stupenda: capelli biondi e lunghi, viso d’angelo, enormi occhi verdi, fisico da urlo. E da quando era entrata nella nostra saletta prove non aveva fatto che scrutarmi.
“Avete già pensato a come potrebbe essere la linea vocale?” domandò, sventolando appena le pagine che stringeva tra le mani.
Io, Ethan e Sammy ci scambiammo occhiate spaesate.
“Queste cose in genere non le fanno i cantanti?” sibilai, temendo di fare qualche gaffe. Io suonavo il basso e basta, non avevo idea di quale fosse il processo creativo per la parte canora.
“Ah, non guardate me, io di note non me ne intendo!” se ne tirò fuori Sammy, alzando le mani in segno di resa.
“Suppongo che la linea vocale te la debba inventare tu” chiarì infine Ethan rivolto a Emily.
Lei si imbronciò. “E come faccio? Io non sono brava in queste cose, canto solo canzoni già pronte.”
“Possiamo fare così: ti facciamo sentire lo strumentale di alcune canzoni che abbiamo composto su cui potrebbe star bene questo testo, tu ne scegli una e poi provi a metterci sopra le parole” proposi, accostandomi appena a lei.
Lei mi rivolse un sorriso smagliante. “Possiamo provare, certo!”
Ci mettemmo ai nostri posti e imbracciammo gli strumenti, pronti a dare il meglio di noi. Sammy batté il tempo con le bacchette e cominciammo a eseguire il brano che al momento chiamavamo June 1980, perché l’avevamo composta appunto a giugno dell’anno precedente. Era difficile dare un titolo alle nostre creazioni dato che non avevano un testo, così li definivamo con la data di creazione o col nome del compositore.
Dopo l’energica e rapida June 1980, infatti, seguì Ethan&Ives5, brano dalle sonorità più aspre e pesanti che io e il chitarrista avevamo composto e perfezionato insieme qualche mese prima.
Emily ascoltò in silenzio la manciata di basi che avevamo da proporle e nel frattempo non faceva che mangiarmi con gli occhi, seguendo con attenzione il movimento delle mie dita che danzavano sulle corde del basso e le ciocche scure che mi scivolavano di tanto in tanto sul viso. Se da una parte mi sentivo leggermente a disagio ad avere uno sguardo fisso su di me, non potevo negare che tutte quelle attenzioni mi stessero onorando parecchio: in genere non venivo mai notato da nessuna ragazza, forse perché dimostravo meno dei miei tredici anni e tutte mi vedevano ancora come un bambino, invece Emily non aveva occhi che per me. Poteva essere lei quella giusta, l’occasione che stavo aspettando, la ragazza che mi avrebbe portato fuori dall’infanzia per sempre.
Poi Emily aveva da poco compiuto quindici anni, era più grande e sicuramente più esperta di me, se avessi commesso qualche errore non ci sarebbe rimasta male.
“Mi piace la terza” affermò non appena io, Ethan e Sammy concludemmo le quattro canzoni che avevamo deciso di proporle.
“Che era… Hamburger Ice Cream, giusto?” chiese conferma Ethan, voltandosi verso di noi.
Emily scoppiò a ridere. “Ma che titolo è?”
Le sorrisi. “Tranquilla, è provvisorio. E comunque è colpa mia, praticamente è ciò che stavo mangiando mentre componevamo la canzone.”
“Hamburger e gelato?” chiese conferma, la curiosità dipinta sul volto.
“Hamburger e gelato contemporaneamente” rivelai con una risatina.
Sammy si batté una mano sulla fronte. “Mio dio, che schifo, non me lo ricordare!”
“Okay.” Emily riprese i fogli in mano e lesse per l’ennesima volta i versi che Ethan vi aveva scarabocchiato. “Da if today I scream a I’ll be there è il ritornello, giusto? Magari proviamo prima questo…”
Non sembrava affatto sicura di sé e in cuor mio cominciavo a dubitare che potesse diventare la nostra cantante; inoltre, come mi aveva fatto notare Ethan quando Bess ce l’aveva presentata, aveva una voce dolce e delicata e un aspetto per niente rock, sembrava più adatta a cantare in un musical che in una band come la nostra. Tuttavia avevamo deciso di darle una possibilità.
Le fornimmo un microfono – uno dei tanti articoli superstiti della scuola di musica del padre di Sammy – e suonammo il ritornello di Hamburger Ice Cream un paio di volte in modo che lei potesse memorizzarlo e farsi venire qualche idea. La terza volta Emily si arrischiò a cantare qualche parola, cercando un’intonazione e una metrica che potessero starci bene, ma fu subito chiaro che la sua voce non aveva il giusto mordente e quasi scompariva sotto la potenza dei nostri strumenti.
Ci serviva qualcuno più… incazzato.
Dopo un’altra mezz’oretta di prove, in cui Emily riuscì quantomeno a trovare una linea vocale interessante, la ragazza lanciò un’occhiata al suo orologio da polso e sgranò appena gli occhi. “Non mi ero accorta che fosse così tardi! Scusatemi ma devo scappare, altrimenti i miei genitori mi uccideranno.”
Quella era un’occasione imperdibile, dovevo assolutamente approfittarne; poggiai il basso da una parte senza nemmeno preoccuparmi di staccarlo dall’amplificatore e le sorrisi, passandomi una mano tra i capelli. “Devi prendere il bus, giusto?”
Lei annuì.
“Se vuoi ti posso accompagnare fino alla fermata. Sai com’è, questa non è proprio una zona tranquilla ed è meglio che tu non rimanga da sola.”
Una scintilla si accese nelle sue iridi verdi. “D’accordo, grazie!”
Senza pensarci due volte, corsi subito fuori dal garage insieme a lei; non mi pareva vero che stesse accadendo, ero al settimo cielo.
Chiacchierammo tantissimo mentre ci dirigevamo verso la fermata: le raccontai il modo in cui avevo cominciato a suonare il basso e come ero entrato nella band, lei mi raccontò della sua passione per le pietre e il loro significato, mostrandomi il ciondolo di giada che aveva appeso al collo – perfettamente abbinato al colore dei suoi occhi.
“È stato mio nonno a spiegarmi queste cose: ogni persona ha un colore e una pietra affine al suo carattere” mi raccontò.
“E io che pietra sono secondo te?” le domandai, sinceramente affascinato.
Lei ci rifletté su per qualche istante, scrutandomi con attenzione. “Sicuramente qualcosa di azzurro. Tu sei una persona acquamarina.”
Risi. “Lo dici solo perché ho gli occhi azzurri!”
“No, tu hai proprio l’anima azzurra.”
Quando infine il suo autobus comparve arrancando all’inizio della via, Emily si voltò per l’ultima volta verso di me. “Ci rivedremo all’Alibi nei prossimi giorni, vero?”
“Io praticamente vivo all’Alibi” commentai con una risata.
“Bene, ti aspetto. Ciao Ives, a presto!” Detto questo, mi sorrise maliziosa e mi lasciò un veloce bacio a fior di labbra prima di correre verso le porte del bus, che si stavano aprendo proprio in quel momento.
Rimasi per qualche istante imbambolato e la fissai mentre scompariva all’interno del mezzo pubblico.
Era successo davvero. Emily era mia!
 
 
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Terzo capitolo e continua la disperata ricerca di un cantante per la band di Ives, Ethan e Sammy!
Il nostro duo di amici preferito stavolta è sfociato nella più totale illegalità, prendendo in prestito l’auto di Davi senza avere la patente XD
Stavolta non ho tanto da spiegare, vi lascio soltanto i link delle canzoni che i due hanno ascoltato in macchina!
Message In A Bottle dei Police (come accennato da Ives, fa parte dell’album Reggatta De Blanc, uno dei preferiti di loro due):
https://www.youtube.com/watch?v=MbXWrmQW-OE
Last Train To London degli Electric Light Orchestra:
https://www.youtube.com/watch?v=Up4WjdabA2c
Another One Bites The Dust dei Queen:
https://www.youtube.com/watch?v=rY0WxgSXdEE
Ovviamente ho controllato e tutti questi brani (incluso anche l’album degli AC/DC che ho menzionato) sono usciti prima dell’estate 1981 – ci tengo troppo alla coerenza ^^
Per quanto riguarda la parte in cui Emily legge i pezzetti di testo scritto da Ethan… eheheh, ho grandi cose in serbo per voi XD sto davvero scrivendo il testo della canzone, mi rendo conto di essere totalmente fulminata AHAHAHAH! Un giorno ve lo farò leggere tutto in qualche storia, ma per il momento ci sto ancora lavorando :P
Grazie a tutti coloro che sono giunti fin qui e preparatevi: il prossimo capitolo sarà piuttosto pieno ;)
Alla prossima!!! ♥
 
 
   
 
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