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Autore: Caroline94    16/08/2020    1 recensioni
Tre Regni.
Una guerra che non lascia tregue.
Due ragazzi i cui cammini sono destinati ad intrecciarsi.
La vita o la morte.
🍀🍀🍀🍀
Dal testo:
{Gli uomini intorno al falò si mossero in imbarazzo ma non diedero risposta alla sua domanda.
Solo Wyrda, capitano della terza squadra e veterano di guerra, si decise a prendere la parola: “È un racconto popolare del nostro Regno, una specie di leggenda sulla nascita di Zolfanello City” spiegò, quasi divertito “È una storia che si racconta ai bambini che non vogliono dormire”.
Raf non fece una piega, scavalcò il tronco sedendosi tra Wyrda e Luefra, aggiustandosi la lunga gonna del vestito “Mi piacerebbe ascoltarla” decretò, infine.
Wyrda la fissò intensamente per qualche istante, poi bevve un lungo sorso di idromele: “Molto bene” acconsentì “In quanto promessa Ministrante conoscerete senza dubbio Zar’roc, il demone esiliato sulla terra per i suoi tentativi di rivolta contro Mefisto il Dio delle Tenebre” cominciò. Raf annuì. […]
“Ebbene, si dice che Zar’roc, giunto sulla terra in forma umana, si accoppiò con una sacerdotessa mortale concependo dal suo grembo il primo essere conosciuto metà demone e metà umano: Anya, fondatrice e prima Imperatrice di Zolfanello City…”}
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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Il cinguettio spaventato di un passerotto rieccheggiò con forza nell'aria poco prima che egli prendesse il volo di scatto, lasciando che il rametto su cui era stato poggiato fino a quel momenti vibrasse lievemente. Raf guardava ad occhi sgranati la ragazza in piedi di fronte a sé, che la fissava con sguardo serio e deciso, non riuscendo a credere alle proprie orecchie: quindi era quello il fine ultimo, il pezzo mancante in quel contorto mosaico. D'un tratto le fu tutto più chiaro, tuttavia non riusciva a spiegarsi perché lei avesse accettato; proprio non lo capiva.
Sbatté le palpebre un paio di volte, non sapendo da dove iniziare a parlare, e poggiò il libro sulle proprie gambe. "Stai scherzando, vero?" chiese, dopo alcuni lunghissimi istanti di silenzio. Miki drizzò la schiena, dilatando le narici, e la guardò piuttosto offesa: "No" rispose, asciutta "Sarò la tua dama da compagnia e verrò con te a Zolfanello City" ripeté, scandendo bene ogni parola "A me sta benissimo, a mia madre sta benissimo, alla tua pure e scommetto che, sotto sotto, sta bene pure a te" decretò, convinta, come se volesse sfidarla a dire il contrario. E Raf non sapeva come ribattere a tale dichiarazione, detta con tanta vemeenza e così di punto in bianco.
Quando l'aveva vista risalire il prato a passo di marcia nella sua direzione non avrebbe mai creduto che dovesse dirle una cosa simile. E lei non poteva obbiettare perché Miki aveva scelto da sola: aveva capito cosa comportava divenire la sua dama da compagnia e lo aveva accettato, andando addirittura a dirglielo in faccia.
Raf non poteva semplicemente dirle di no, lei non glielo avrebbe permesso, anche se era decisamente restìa a portarsela dietro in quel viaggio. In quella vita. E tutto il suo disappunto era più che evidente sul suo volto, ma la ragazza lo ignorò deliberatamente.
"Riferiscilo a tua madre, quando sarà il momento, almeno le daremo una gioia una volta tanto" decretò infine, voltandosi per tornare indietro, prima che la ragazza potesse chiederle cosa intendesse dire con quelle parole. E Raf rimase seduta sotto l'albero, decisamente sconcertata, non sapendo più come gestire quelle novità tutte in una volta.
Sospirò, chiudendo definitivamente il libro e alzandosi in piedi, dicendo addio al proprio piccolo momento di pausa. Per quella mattina non erano previsti impegni di alcun genere e aveva pensato di concedersi un po' di riposo dedicandosi alla sua attività preferita, ovvero leggere all'aperto. Si era quindi ritirata in un angolo dei giardini del palazzo, nascosta sotto le fronde di un albero d'arancio e con un libro preso dalla biblioteca. Solo Adrë sapeva dov'era andata e Miki doveva aver reperito l'informazione da lui, ancora intento a strigliare il proprio cavallo fuori dalle scuderie reali, sempre a portata d'orecchio nel caso in cui Raf avesse chiamato.
Si spolverò la leggiadra gonna rosa e si incamminò verso il castello: fuori dalla supervisione di sua madre aveva reindossato i suoi abituali abiti, semplici e comodi. Non le importava particolarmente se qualcuno degli ospiti la vedeva con l'abituccio dimesso e sporco di erba o con i capelli al vento; l'intera capitale di Angie Town si era abituata a incontrarla in quelle vesti, pertanto lo avrebbero fatto anche loro. E poi voleva godersi i suoi ultimi giorni di libertà poiché non sapeva cosa sarebbe successo una volta giunta a Zolfanello City: avrebbe dovuto cambiare radicalmente le proprie abitudini e chissà quando avrebbe potuto vivere, di nuovo, un momento di pace come quello. Aveva già iniziato a scorgere Adrë in lontananza quando il suo sguardo fu attirato da una figura affacciata da uno dei balconi del palazzo, nei piani più alti; alzò gli occhi con discrezione solo per incontrare quelli di Sulfus, poggiato alla balaustra di marmo, una mano a reggere il mento e lo sguardo fisso sul grande prato... su di lei.
Beh, in fin dei conti era l'unica persona in mezzo a tutto quel verde, ci stava che attirasse un po' di attenzione, anche se le venne spontaneo chiedersi da quanto tempo fosse lì a fissarla. Cercò di non darvi peso e continuò la propria avanzata, anche se non poté evitare di sentirsi un po' a disagio sentendo i suoi occhi su di sé.
Non avevano avuto modo di parlare nuovamente dopo la breve chiacchierata della sera prima, troppo impegnati a presidiare al ballo ai due angoli opposti della sala; lui non le aveva chiesto di danzare, con suo immenso sollievo, e lei aveva rifiutato i pochi inviti che le erano stati avanzati, risparmiandosi una lunga e stancante tortura. Anche l'angoscia che l'aveva accompagnata per tutto il giorno precedente era scemata definitivamente una volta compreso che la situazione non era affatto così orribile come aveva creduto. Non aveva ancora un'idea chiara dell'insieme, certo, ma l'inizio era stato molto promettente.
Raggiunse Adrë, informandolo che sarebbe tornata dentro poiché doveva parlare con sua madre, ma, prima di raggiungere la porticina secondaria che dava sulle cucine (sua entrata e uscita fissa dal castello), alzò di nuovo lo sguardo al cielo ed ebbe un tuffo al cuore: il balcone era vuoto.
 
 
Arkan fissò a lungo la donna seduta comodamente davanti a sé, completamente a proprio agio e con un sorriso sereno sulle labbra; i suoi gomiti erano poggiati sul tavolo, unica cosa a separarli, e le dita, intrecciate tra loro sotto il viso, le reggevano il mento appuntito. Erano passati anni dall'ultima volta che si erano visti, eppure la donna sembrava non essere cambiata affatto da allora: erano solo due giovani rampolli, a quell'epoca, entrambi immersi nei propri doveri. Temptel era ancora principessa di Zolfanello City e Arkan era nel bel mezzo del suo viaggio di studio in cui, girovagando in lungo e in largo per il mondo, ampliava i propri orizzonti con informazioni e conoscenze sempre nuove, preparandosi così a divenire un eccellente Ministrante.
Si erano conosciuti per la prima volta nella capitale del regno di lei, praticamente per caso, mentre lui si dirigeva alla biblioteca pubblica e lei sgattaiolava via dal castello per darsi un po' alla pazza gioia all'insaputa dei genitori. Era nata subito una certa affinità tra i due che era sfociata in sempre più frequenti incontri fugaci sulle spiagge che lambivano la città, durati anche ore, passati a sostenere lunghe conversazioni riguardanti qualunque argomento passasse loro per la testa. Non era stato tutto e rose fiori, certo, poiché il carattere esuberante e malizioso della donna la portava, spesso e volentieri, a punzecchiarlo anche piuttosto fastidiosamente, e si ritrovavano sempre a discutere animatamente o litigare.
Anche in quel momento Temptel non aveva assolutamente perso quel sorriso canzonatorio e un po' indagatore che tanto la contraddistingueva, come se sapesse esattamente cosa stesse pensando chi le stava di fronte prima ancora che egli stesso lo pensasse. Un sorriso che Arkan aveva sempre trovato fastidioso ma, allo stesso tempo, estremamente affascinante. E quella sensazione era ben presto sfociata in qualcosa di troppo.
Ai ministranti non era concesso sposarsi, ma nulla poteva impedire loro di avere una qualche relazione segreta, all'insaputa di tutti, e Temptel era stata l'unica "macchia" nella sua onerosa e disciplinata vita. Un punto nero troppo grande sul foglio da poter semplicemente ignorare e che rendeva estremamente difficile il continuare a scrivere poiché, involontariamente, l'occhio continuava a tornare su di essa.
Il tempo era passato diversamente per entrambi eppure erano nuovamente l'uno di fronte all'altra, come se non fosse cambiato nulla in tutti quegli anni; sembrava quasi che si fossero incontrati solo il giorno prima sulla piccola costiera alle pendici del palazzo reale, riportando a galla sensazioni ormai quasi perdute.
"Non sei cambiato poi tanto" esalò Temptel d'un tratto, inclinando leggermente il capo di lato "Hai sempre quello sguardo crucciato sul viso" lo canzonò, accentuando il proprio sorriso. L'uomo non si scompose, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
"E tu hai sempre quell'aria strafottente" ribatté, serio, cercando di mantenere un certo contegno.
"A te non è mai dispiaciuta" gli ricordò lei, in un sussurro, poggiando la braccia sul tavolo e sporgendosi lievemente in avanti. Arkan sospirò, drizzando la schiena e aprendo il rotolo di pergamena davanti a sé.
"Lasciamo da parte i lieti ricordi..." disse, pronunciando quella parola con fin troppa ironia "...abbiamo del lavoro da svolgere. È per questo che sei quì."
Temptel alzò gli occhi al cielo, sospirando, e si tolse gli occhiali dal viso "Quello può aspettare" rispose allungando la mano per togliergli il manoscritto dalle dita, che si ripiegò su sé stesso spontaneamente "Io non posso."
Arkan si allontanò leggermente dal tavolo, ben sapendo dove la donna voleva arrivare a parare, e inspirò a fondo. "Credevo ci fossimo già detti tutto."
"Tu lo avrai fatto, forse, ma non mi sembra che ti sia importato sentire il mio parere a riguardo" commentò Temptel, piuttosto acidamente "Ero pronta a lasciare tutto, ma tu non lo eri..."
"C'erano cose a cui non potevo rinunciare" si giustificò prontamente lui, prima che i sensi di colpa lo assalissero nuovamente, come già molte volte era successo in quegli anni.
"...hai sempre messo il tuo dovere prima di ogni altra cosa" continuò lei, imperterrita "Ma anche ora, dopo tutto questo tempo, quando oramai sei giunto dove volevi, mi respingi? Perché? Davvero non ti importa più nulla di me?" domandò a bruciapelo e con vemeenza.
Un lampo attraversò gli occhi di Arkan, alterandolo: "Sai che non è così!" esclamò.
"E allora com'é?"
L'uomo si passò una mano sul mento, decisamente a disagio e in difficoltà: riprendere quel discorso, in quel momento, non era una scelta saggia. Era troppo tardivo, troppo impegnativo e troppo problematico... ma lei non avrebbe accettato una risposta priva di spiegazione e il punto cruciale era proprio lì: lui non era in grado di fornirne una soddisfacente.
"Dovevo fare una scelta e l'ho fatta. Questo è quanto" tagliò corto. Temptel assottigliò lo sguardo, poggiando la pergamena sul tavolo.
"Non mi interessa il passato" affermò "Ora siamo quì. Noi due. Da soli. Possiamo continuare a compilare inutili scartoffie tutto il giorno o puoi portarmi nella stanza lì dietro e dare una bella spolveratina alla parte migliore del nostro passato. A te la scelta" decretò, incrociando le braccia al petto, mettendo ben in chiaro la sua posizione a riguardo.
Sfacciata, irriverente, senza peli sulla lingua o vergogna. No, Temptel non era cambiata affatto. E, effettivamente, neanche lui lo era: non importava quante volte battibeccassero, quanto si impuntassero sulle proprie idee e posizioni tanto, alla fine, l'aveva sempre vinta lei in un modo o nell'altro.
Questo perché, semplicemente, Arkan non era mai riuscito a guardarla negli occhi e dirle di no, tanto che per lasciarla definitavamente aveva dovuto scriverle una lettera: sapeva che se avesse provato a parlarle di persona non avrebbe mai più lasciato Zolfanello City. Non avrebbe mai più lasciato lei.
Oh, ma a chi importava! La sua vita l'aveva vissuta, i suoi doveri li aveva compiuti, i suoi sacrifici li aveva fatti, non aveva nulla da rimpiangere o di cui lamentarsi. Per una volta, una singola volta, avrebbe fatto ciò che voleva e non ciò che il suo ruolo gli imponeva. Si alzò di colpo dalla sedia e si avvicinò a grandi passi alla donna, guardandola in cui limpidi occhi color dell'oro che tanto aveva amato in passato, e bastò quello per far sì che si capissero al volo. Le dita laccate di Temptel gli agguantarono il doppiopetto della tunica senza indugio e lo attirarono a sé con forza, unendo le loro labbra in un bacio che entrambi avevano atteso per più di vent'anni.
Non era davvero cambiato nulla, in loro, neanche quei sentimenti segreti e proibiti che avevano provato così a lungo l'uno per l'altra.
 
 
 
Raf si richiuse la porta alle spalle e attraversò velocemente il corridoio, con un senso di sollievo dentro di sé senza eguali: sua madre stava facendo il bagno e non aveva potuto riceverla, pertanto aveva lasciato che Lina le riferisse la decisione presa con Miki da parte sua. Non doverle parlare era stata una nota positiva e, se lo avesse saputo prima, non si sarebbe neanche cambiata. Si sfilò la retina dall'acconciatura mentre scendeva le scale, sciogliendo la morbida crocchia che si era fatta frettolosamente, lasciando che i capelli le ricadessero morbidamente sulla schiena; ora non le restava che tornare in camera a cambiarsi, di nuovo, e tornare a dedicarsi alla sua meritata mattinata di riposo.
Aveva appena svoltato l'angolo per raggiungere il piano inferiore quando si ritrovò faccia a faccia con Sulfus, quasi andando a sbattergli contro. Sobbalzò e fece due passi indietro per lo spavento e la sorpresa, sospirando per calmarsi. Non era normale incontrarlo così spesso e in posti così improbabili, ma di sicuro il ragazzo aveva preso alla lettera il "Fate come se foste a casa vostra" di sua madre dal momento che girovagava così tanto per il castello.
"Che fortuna, stavo cercando proprio voi" esclamò lui, facendole inarcare un sopracciglio.
"Perché?" domandò di getto, curiosa e un po' sospettosa.
Sulfus infilò una mano nella tasca dei pantaloni e vi estrasse un piccolo cofanetto di velluto blu, che le porse senza troppi complimenti: "Avrei dovuto darvelo ieri ma me ne sono dimenticato" ammise.
Lei osservò prima lui poi l'oggetto, infine lo prese, titubante. Esitò un secondo prima di aprirlo e sgranò gli occhi quando scorse, dentro di esso, un piccolo anello d'oro bianco ornato da un diamante azzurro "La tradizione vuole che lo indossiate quando giungerete in città" spiegò lui, tranquillo, mentre lei continuava a fissare quel gioiello come se fosse una bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro. "Avrei dovutio darvelo appena vi avrei incontrata, faceva parte della cerimonia della consegna dei doni e tutta quella roba lì... ma l'ho dimenticato, quindi dovremo arrangiarci" concluse.
Raf dovette farsi violenza per non lanciarlo via e cercò di nascondere il più possibile il proprio turbamento, provando a formulare una risposta di senso compiuto. Tutto ciò che le uscì, tuttavia, fu un arido "Ah" pronunciato in modo totalmente inespressivo. E il ragazzo sembrò trattenere a stento una risata.
"Sembrate sul punto di gettarlo dalla finestra" notò, evidentemente divertito da quella reazione. Raf sussultò, boccheggiando qualcosa con un lieve rossore sulle gote: "Sì, io... no, cioé..." balbettò, chiudendo di scatto il cofanetto per non dover più osservare l'anello "Lo terrò a mente, grazie" esalò infine, con tutta la dignità che era riuscita a racimolare, alzando lo sguardo per incrociare il suo.
Il fatto che le avesse appena dato un anello di fidanzamento ufficiale la faceva sentire tremendamente a disagio; che lo avesse fatto con tutta quella calma, poi, le causò anche un lieve senso di fastidio. Sembrava quasi che a lui non importasse nulla di tutta la faccenda o che la cosa non lo toccasse in modo particolare. Non riusciva a spiegarselo, ma il solo pensiero che lui non provasse neanche un minimo di frustrazione o repulsione verso quella storia la mandava in bestia.
"Ma non vi dà fastidio?" chiese d'un tratto, non riuscendo a trattenersi oltre. Sulfus sbatté le palpebre una sola volta, preso di sorpresa, non capendo a cosa si riferisse.
"Che cosa?" domandò, perplesso.
"Beh... tutto" rispose lei, alzando una mano ad indicare il soffitto del corridoio "Sembra che questa storia del matrimonio non vi riguardi affatto. Non vi dà fastidio che vi costringano a fare una cosa simile? Insomma, non avete la più pallida idea di chi io sia eppure fra pochi giorni dovrete sposarmi... non vi fa arrabbiare nemmeno un po' tutto questo?" esplose, esternando i propri pensieri senza alcun freno o timore. E quando ebbe finito si rese conto di sentirsi anche meglio.
Il ragazzo, dal canto suo, fu sinceramente stupito da quel discorso, non aspettandoselo minimimamente, e per un attimo sembrò davvero turbato. "Certo che mi dà fastidio" rispose, con una naturalezza disarmante "Esattamente come dà fastidio a voi... ma abbiamo qualche altra alternativa?" domandò, con un evidente tono retorico. Si grattò distrattamente dietro l'orecchio con l'indice e, per una volta, diede evidenti segni di  disagio. "Questa situazione non piace neanche a me, ma credo che viverla da perenni incazzati non migliorerà le cose" ammise.
"Quindi fingete che vada tutto bene?" chiese lei, incredula.
"No, cerco di farlo andare bene per davvero" la corresse lui, serio, lasciandola spiazzata "Il fatto che saremo sposati non dovrebbe influenzare negativamente il nostro rapporto. Alla fine è solo un pezzo di carta preceduto da una noiosa cerimonia, tolto quello nulla ci vieta di porci come ci pare l'uno nei confronti dell'altro" notò, con una certa ovvietà. Raf rimase senza parole, rendendosi conto che Sulfus la pensava esattamente come lei con una sorpresa senza eguali; non potevano amarsi ma potevano essere amici, ed erano entrambi d'accordo su questo.
"E credete davvero che funzionerà?" domandò lei, sinceramente preoccupata: sarebbe arrivato il momento in cui quel matrimonio sarebbe divenuto un ostacolo per entrambi. Era inevitabile che ciò accadesse e le cose non avrebbero potuto finire affatto bene.
"Questo non lo so" ammise il ragazzo, scrollando le spalle "Ma tanto vale provarci. Non abbiamo nulla da perdere in fin dei conti."
"Immagino di sì..." ammise Raf, anche se aveva ancora molti dubbi a riguardo. Dubbi che, evidentemente, solo il tempo avrebbe potuto toglierle.
"Ah, bene, siete ancora quì!"
I due ragazzi sobbalzarono e si voltarono verso il corridoio alle spalle di lei: Lina li stava raggiungendo velocemente, tenendosi la lunga gonna beige così alta da mostrare gli stivaletti neri che indossava. "Principessa, vostra madre desidera parlarvi" la informò, ansimante.
Raf non poté trattenere una smorfia seccata e annuì: "Sì, arrivo" esclamò, facendosi scivolare il cofanetto con l'anello nella tasca interna del vestito e iniziando a raccogliersi i capelli.
Sulfus le fece un breve cenno di saluto con il capo e, senza aspettare risposta, sparì giù per la grande scalinata, lasciandola un po' perplessa: era chiaro, ormai, che non voleva avere alcun colloquio con lei in presenza di altre persone. Il perché le sfuggiva e, benché fosse incuriosita, pensò che non fosse una scelta saggia chiedergli il motivo. Seguì quindi Lina nel percorso inverso, di nuovo verso le stanze di Angelie, aggiustandosi la chioma più in fretta e meglio che poteva.
Non le piacevano i colloqui con sua madre, erano quasi sempre lunghi e rigidi: Raf si sentiva constantemente sotto esame e aveva il timore di fare qualunque cosa per paura di sbagliare. Per questo cercava di evitarli il più possibile e con qualsiasi mezzo; una volta aveva anche finto di avere un attacco di nausea e aveva mandato la povera Urié come portavoce. Ma in quel momento non aveva alcuna valida scusa per non presentarsi e, qualunque cosa lei volesse dirle, sperò che lo facesse il più in fretta possibile.
Tanto, peggio di così non poteva andare.
 
 
 
"Come ti senti?" domandò Miki, a bassa voce, nascondendo la bocca dietro il vaporoso  ventaglio verde.
"Non mi va di parlarne. Sono ancora di pessimo umore" mormorò Raf, cercando di nascondere la propria frustrazione. Sorrise educatamente e chinò lievemente il capo al Conte di Viscrût, inchinatosi di fronte a lei mentre le passava accanto, per poi tornare seria.
"È proprio sfogandoti che ti passerà il pessimo umore" notò Miki, con tono saccente.
"Se mi sfogo ora mi metto a strillare" rispose lei, a denti stretti, facendo vagare lo sguardo per la sala: sua madre era seduta sul proprio seggio, con la testa rivolta di lato a parlare fitto fitto con Lina e fece una smorfia.  Era ancora arrabbiata per ciò che le aveva detto al colloquio di quella mattina ma non poteva mostrarsi così scura in volto alla festa, doveva per forza nascondere il risentimento anche se era troppo forte. Suo fratello era in un angolo della sala, circondato da alcune damigelle che gli facevano il filo e con cui lui stava giocando molto poco doverosamente, piuttosto compiaciuto; di suo padre neanche l'ombra, troppo impegnato a organizzare la partenza del giorno dopo insieme ad Arkan e alla guardia reale. Il suo sguardo venne attirato dal fondo del salone dove Ginevra, la sorella maggiore di Gabi, stava palesemente flirtando con Sulfus e le venne quasi da ridere, facendo leggermente scemare il suo malumore: forse le voci sui de Cupido non erano così sbagliate come credeva.
"Quella ragazza non ha un minimo di decenza" commentò Miki, seguendo lo sguardo di Raf "Ma con la madre che si ritrova non mi stupisce" aggiunse, spostandosi la frangetta blu scura di lato.
"Oh, suvvia, non è carino dire queste cose di una persona" la riprese Raf, voltandosi verso di lei. Miki sospirò quasi con compassione.
"Amica mia, a volte sei così ingenua" ammise "La contessa de Cupido è una grandissima ruffiana, soprattutto con le persone di potere. È ovvio che abbia istruito la figlia allo stesso modo: prima cerca di ingraziarsi te, poi fa la civetta con tuo fratello e ora con quello lì... è così che campa la famiglia, tramite il prestigio degli altri. Mia madre li disprezza con tutta sé stessa proprio per questo motivo; Ginevra ha tentato di arruffianare anche me quando prendeva lezioni di danza a casa mia ma le ho fatto intendere fin da subito che non c'era pane per i suoi denti. Non ti sei mai chiesta come mai non si avvicina a te quando ci sono io nei paraggi?" domandò, leggermente stupita. Raf strinse le labbra, inarcando le soppracciglia, facendo ben intendere la risposta: lei era sempre contenta quando i nobili non le ronzavano intorno, non si era mai soffermata a chiedersi il motivo o accorgersi dei dettagli, le bastava non doverli vedere.
"Non faccio molto caso a queste cose, lo sai."
"Sì, beh, dovresti cominciare, specialmente ora che andremo a Zolfanello City" la rimproverò.
Raf fece una smorfia e annuì: "Beh, presumo che non avrò vita facile laggiù" constatò. La preoccupava molto quel "trasloco", sapeva bene che i rapporti tra i due paesi erano molto tesi e immaginava già che non tutti l'avrebbero accolta a braccia aperte. Sospirò stancamente, alzando lo sguardo quando vide una figura venirle incontro, e la sua espressione si congelò per un'istante quando si trovò di fronte Gavrielle de Cupido.
La donna, infilata in un pomposo abito turchese dallo scollo piuttosto evidente, le fece una riverenza fin troppo profonda e cui Raf rispose con un cenno del capo, sorridendo lievemente.
"Desiderate qualcosa, contessa?" domandò, dandole ufficialmente il permesso di parlarle, congiungendo le mani sulla gonna.
"Oh, vostra altezza, lungi da me disturbarvi con un'argomento tanto delicato..." iniziò la donna, mellifluamente "...ma vorrei avere la presunzione, in vista della vostra imminente partenza e del ruolo che vi attende, di proporre mia figlia Ginevra come vostra futura dama da compagnia" esalò, con un sorriso deliziosamente fiero "Sono certa che la conoscerete già, vi ammira molto e so che è riuscita a distinguersi tra le altre damigelle di corte che vi fanno compagnia: parla sempre così bene di voi e delle chiacchierate che fate."
Certo che era riuscita a distinguersi, pensò Raf, per il suo fastidioso modo di ridere ad ogni frase che diceva; tuttavia non riusciva a capire cosa intendesse con "chiacchierate" dal momento che, il più delle volte, Ginevra parlava senza sosta di ogni sorta di pettegolezzi mentre Raf annuiva di tanto in tanto giusto per far intendere di star ascoltando, pensando invece a tutt'altro. Forse Miki non aveva tutti i torti riguardo quelle due...
Come se si fosse sentita presa in causa, la ragazza si voltò con naturalezza verso il pilastro al suo fianco mormorando un "Te lo avevo detto" con voce canzonatoria. E Raf non poté darle torto.
Dopo il breve attimo di stupore che ne seguì, cercò di riprendere un contegno adeguato e sorrise, quasi a mo' di scusa: "Apprezzo il vostro interessamento, contessa, e vi sono grata per la proposta..." iniziò "...ma temo di dover rifiutare poiché, in vista dell'occasione, ho già da tempo trovato la persona adatta a questo ruolo" spiegò, con educata cortesia.
Il sorriso sul viso di Gavrielle si congelò per qualche istante, evidentemente non aspettandosi quella risposta così cruda, ma si riprese in fretta: "Certo, capisco, era ovvio. È stato sciocco da parte mia credere che non ci aveste già pensato" esclamò, con una finta allegria che infastidì molto la ragazza. "Se non sono invadente posso chiedervi chi è la fortunata che avete scelto?"
Raf, che voleva solo togliersela di torno, annuì "Non è certo un segreto" rispose, voltandosi al proprio fianco e alzando una mano per indicare Miki "Sarà la duchessina Miki du Evangeline a partire domani con me. È stata mia madre in persona a propormela, in un mio momento di dubbio, e l'ho trovata subito una scelta eccellente" spiegò, con naturalezza, modificando un po' l'avvenuta degli eventi. Più che altro, nessun nobile lì a palazzo sapeva che Raf era stata informata del proprio matrimonio la sera prima di incontrare il suo futuro sposo e, forse, era meglio che le cose rimanessero tali.
Miki, dal canto suo, chiuse il ventaglio con uno scatto e sorrise ampiamente alla donna in modo volutamente provocatorio, come a sfidarla a contestare quella scelta. Gavrielle, tuttavia, non si scompose eccessivamente (sebbene i suoi occhi tradissero una punta di risentimento) e le sorrise di rimando.
"Ovviamente. Deve essere un grande onore per voi" commentò. La ragazza annuì vigorosamente.
"Certo che lo è, soprattutto dal momento che è stata la regina in persona a fare il mio nome" rispose, marcando bene quelle parole "Un onore senza eguali per chiunque" aggiunse.
Raf riuscì quasi a sentire la tensione salire a dismisura in quel piccolo angolo di salone e si augurò che non succedesse nulla che attirasse eccessivamente l'attenzione.
"Beh, su questo siamo tutti d'accordo" esalò una voce, accostandosi a loro: Raf sobbalzò e rimase stupita nel rutrovarsi Sulfus di fianco che le guardava con un guizzo allegro negli occhi. "Se non avete altro da aggiungere vorrei scambiare due parole con queste incantevoli fanciulle. Vi dispiace?" chiese, rivolto alla donna, facendole ben intendere che fosse solo una domanda di cortesia e che doveva togliersi di torno senza replicare.
Gavrielle restò un attimo spiazzata da quell'improvvisa apparizione e, dopo aver balbettato un breve saluto a Raf, sparì tra gli altri nobili. Le due ragazze si voltarono quindi verso il nuovo arrivato e rimasero entrambe senza parole quando lui sospirò seccato.
"Fatemi indovinare: è imparentata con la svampita di poco prima" esclamò, indicando con un cenno del capo alle proprie spalle, dove Ginevra stava tornando al cuore della festa scura in volto.
Miki inarcò un sopracciglio: "Che acume" rispose, ironica, squadrandolo con sospetto.
"È pesante, vero?" ammise Raf con tono compassionevole, abituata ad averla intorno.
"Pesante? Ha passato tre quarti d'ora a parlottare e ridere senza sosta" esclamò lui, allucinato "Quando ha detto che c'era la possibilità che divenisse la vostra dama da compagnia e partisse con noi mi è quasi venuto un colpo" ammise, passandosi una mano tra i capelli. Poi sgranò gli occhi e li alzò su di lei "Ditemi che questa possibilità non esiste, vi prego."
Raf fu sul punto di scoppiare a ridere vedendolo così turbato dall'idea di avere Ginevra intorno per i prossimi anni a venire e si limitò ad esibirsi in un sincero sorriso divertito. "Non preoccupatevi, non sono così folle" rispose, scrollando le spalle "No, sarà la quì presente Miki a ricoprire quel ruolo" spiegò, guardando l'amica che continuava a fissare il ragazzo in modo molto poco amichevole.
"Lieto di conoscervi" salutò lui.
"Non posso dire lo stesso" rispose lei, secca. Sulfus non fece una piega ma Raf capì subito che le cose tra quei due non sarebbero state facili; sperò solo che non accadesse nulla di irreperabile.
"Oh, ma guarda un po' cosa abbiamo quì!"
Tutti e tre alzarono lo sguardo solo per trovarsi sovrastati dalla snella figura di Temptel, che sorrise all'allegro quadretto. "Sbaglio o è la prima volta che vi vedo parlare?" notò, rivolgendosi al nipote: evidentemente non sapeva delle loro già precedenti chiacchierate e lei pensò bene di non proferire parola a riguardo. Se lui non gliel'aveva detto aveva i suoi motivi, d'altronde neanche lei ne aveva parlato con qualcuno. "Beh, la cosa mi fa piacere, era anche ora che iniziaste a conoscervi un po'. E sapete cos'altro sarebbe fantastico?" domandò, con un evidente tono retorico nella voce, ampliando il proprio sorriso. Raf vide Sulfus irrigidirsi notevolmente, come se già sapesse cosa stesse per dire e l'idea non gli piacesse per nulla. "Che siate così onorevoli da aprire le danze. È pur sempre un ballo, dopotutto, e chi meglio di voi due?" propose.
Di rimando anche Raf s'irrigidì, agghiacciata tanto quanto il ragazzo, e non sapeva assolutamente come risponderle: rifiutare sarebbe stato a dir poco scortese ma lei non aveva nessuna voglia di danzare. Miki, compresa la situazione, nascose una smorfia orripilata dietro il ventaglio e Sulfus si schiarì la gola, voltandosi un po' verso la zia: "Non mi sembra il caso" sibilò, decisamente infastidito, ma la donna non si scompose minimamente poggiandogli una mano sulla spalla "Suvvia, non essere sciocco" lo riprese, spingendolo leggermente verso la ragazza "È soltanto un po' timido" aggiunse, rivolta e lei, che sentì distintamente un seccato "Timido un corno" venire dal ragazzo.
Beh, poteva anche non conoscerlo quasi per nulla ma Raf era sicurissima che Sulfus fosse tutto tranne che timido.
Miki guardò la scenetta per un'istante, poi fece due leggeri passi indietro "Mi dileguo" canticchiò, a bassa voce, scivolando elegantemente via. Raf si voltò giusto in tempo per vederla sgattaiolare dietro un pilastro, sgranando gli occhi, e borbottò un "Bell'amica che sei" sentendosi abbandonata a sé stessa.
Era in una pessima situazione e dubitava che qualcuno sarebbe venuto a tirarla fuori, non le restava che confidare in Sulfus e sperare che trovasse una motivazione valida per non invitarla a ballare. Ma il ragazzo non sembrava in una posizione migliore e, sotto lo sguardo gelido della zia, dovette soffocare ogni possibile protesta.
Sospirò quindi, rassegnato, porgendole la mano e Raf non poté rifiutare il suo invito senza una seria motivazione, andava irrimediabilmente contro ogni etichetta. Fu così costretta a prenderla e Temptel sorrise, soddisfatta, si voltò e fece un cenno all'orchestra, posta dall'altra parte della sala, per informarli che potevano cominciare a suonare.
Quando i due ragazzi s'incamminarono al centro della stanza, Raf vide Esmeralda farsi il segno della croce e la ringraziò (ironicamente, s'intende) per la fiducia. Anche se non poteva darle torto: quel ballo sarebbe stato una tragedia, come tutti quelli a cui aveva avuto la malsana idea di prendere parte. Per questo lei non ballava mai a meno che non fosse assolutamente costretta, come in quel caso.
Il direttore brandì la bacchetta, violini e flauti iniziarono a suonare e, in preda al panico più totale, Raf iniziò a muovere i primi passi di quello che riconobbe come l'allemanda, uno dei balli più complicati di corte.
"Come ve la cavate con questo?" sussurrò Sulfus, prendendola per mano e iniziando a guidarla nella danza.
"Conosco la teoria. Non garantisco sulla pratica" informò lei, ed era vero: conosceva perfettamente gli schemi dei vari balli che le aveva insegnato Esmeralda, ma al momento di metterli in atto la sua poca confidenza con quel genere di movimenti le impediva di riprodurli perfettamente. E questa era cosa risaputa tra i nobili, tanto che ella non era l'unica ad essere in ansia per quel piccolo spettacolino: Nevea, Miki e Urié la osservavano con dell'evidente nervosismo nello sguardo e persino sua madre aveva alzato gli occhi al cielo, in una silenziosa preghiera.
Beh, anche se avesse fatto una figuraccia davanti a tutta la corte la cosa non le importava particolarmente, tanto il giorno dopo sarebbe sparita per sempre dal quel regno! La cosa che più le creava disagio era capitombolare davanti agli ospiti – soprattutto sotto lo sguardo attento e gelido di Temptel, che sembrava quasi esaminarla ogni volta che le posava gli occhi addosso – e, sebbene avesse già informato il suo sventurato cavaliere della propria quasi nulla capacità di danzare, sarebbe stato lo stesso molto imbarazzante finire col sedere per terra al suo cospetto.
Cercò quindi di concentrarsi il più possibile, nonostante il suo stato d'animo le rendesse i movimenti più rigidi del solito, e rischiò di perdere l'equilibrio due volte solo mentre girava su sé stessa; sarebbe caduta da un pezzo se lui non l'avesse tenuta saldamente per la vita, approfittando del movimento presente in quel passo della danza.
Fortuna sfacciata, nient'altro che un mero e ironico colpo di sfacciata fortuna, non poteva esserci altra spiegazione.
Ciò che fregava maggiormente la ragazza erano i tacchi alti degli stivaletti che indossava, decisamente troppo scomodi da usare per fare tutte quelle giravolte, e l'ampia gonna che indossava non rendeva facile muoversi sinuosamente. Non che con un abito e delle scarpe diverse i risultati sarebbero stati chissà quanto migliori, ma l'avrebbero agevolata almeno un pochino.
Mantenendo tutta la compostezza che poteva prese le mani del ragazzo, eseguendo alcuni movimenti al di sopra della testa, afferrando lievemente un angolo della gonna ed esibendosi in un mezzo giro con conseguente inciampamento all'indietro; sgranò gli occhi e si fermò di colpo a pochi centrimetri dal pavimento quando Sulfus le afferrò la mano. Giurò di vedere un sorriso nascere sul suo volto prima che la tirasse su, guidandola in una leggiada giravolta, per poi riprenderla tra le proprie braccia.
Un salvataggio a dir poco perfetto, anche se non era passato inosservato agli occhi degli astanti. Esmeralda si era coperta istintivamente il volto con le mani quando l'aveva vista cadere, non avendo il coraggio di guardare la terribile disfatta, e ora stava timorosamente aprendo le dita per sapere come mai la musica non si era fermata; rimase molto stupita quando vide i due ragazzi continuare la performance tranquillamente, come se non fosse accaduto nulla, e si piegò verso Nevea per capire cosa fosse successo. La donna, dal canto suo, era ancora troppo incredula per ciò a cui aveva appena assistito e non sapeva da dove iniziare a spiegare.
Raf non era da meno, confusa e stupita da ciò che era successo continuava con un po' di timore a danzare, constatando che il ragazzo le avesse effettivamente impedito per ben tre volte di baciare il pavimento come se fosse tutto calcolato, come se nel momento stesso in cui avevano mosso il primo passo egli sapesse esattamente di dover rimediare ai suoi errori. A dirla tutta, non sapeva se ciò la facesse sentire molto grata o leggermente offesa; forse entrambe le cose.
Quando finalmente la musica cessò la ragazza fu estremamente sollevata e gli applausi degli astanti quasi non le giunsero alle orecchie, mentre si ritirava in un angolo della sala. Le danze erano ufficialmente aperte, partì una nuova melodia e i nobili iniziarono a formare le coppie sulle note di un minuetto.
"Non è andata poi così male" notò Sulfus, affiancandola nell'allontanarsi dalla pista.
"Certo, tralasciando che ho rischiato di finire con il regale didietro sul pavimento più di una volta" borbottò la ragazza. Sospirò stancamente e si fermò accanto ad un pilastro, alzando gli occhi su di lui "A proposito di ciò, vi ringrazio per avermi aiutata."
Il ragazzo sorrise, decisamente divertito: "Non potevo certo permettere che il vostro regale didietro finisse sul pavimento" la canzonò, prendendola velatamente in giro.
"Oh, bene, ne sono lusingata" rispose lei, con evidente ironia nella voce, lasciandosi scappare un sorriso incredulo rivolto al resto della sala.
Ammetteva, però, di aver molto apprezzato quel che aveva fatto per lei e si sentì estremamente fortunata nell'aver beccato come futuro sposo l'unico principe a comportarsi come una persona normale. Forse le cose, da lì in poi, sarebbero andate bene per davvero.
 
 
 
 
Ruàn chiuse con un gesto delicato la rete di perle che raccoglieva i suoi capelli alla base del collo, passando leggermente una mano sulla frangetta dorata per sistemarla. Raf fissava tutto l'operato dal grande specchio posto di fronte a sé – il suo specchio – con sguardo assente e un po' malinconico, seduta compostamente sullo sgabello – il suo sgabello – con le mani congiunte sull'ampia gonna. Le tende della stanza – la sua stanza – erano spalancate, lasciando entrare la fievole luce dell'alba.
I rumori, le voci e il nitrire dei cavalli che provenivano da fuori lasciavano ben intendere che i preparativi fossero ormai giunti al termine. Erano pronti per partire. Era pronta per lasciare il castello – il suo castello.
La donna si passò una mano sui capelli accuratamente raccolti e la guardò tramite la lucida superficie: "Siete pronta. Possiamo andare" decretò.
Raf distolse lo sguardo dalla propria immagine riflessa e annuì piano. La sua stanza era quasi spoglia: il suo armadio era stato svuotato, i cofanetti con i suoi gioielli chiusi dentro i bauli, i suoi libri personali ripiegati con cura e i doni caricati sulle carrozze. Rimanevano poche cose ad ornare la camera, tra cui la grande arpa dorata nell'angolo della stanza che, per ovvie ragioni, non poteva portare con sé.
Si alzò dallo sgabello e seguì Ruàn fuori, gettando un'ultima triste occhiata alla propria camera prima di chiudersi la porta alle spalle. Scese le scale con la donna al seguito, vestita con i migliori abiti che una domestica potesse ricevere, e trovò i suoi genitori ad aspettarla nell'ingresso principale.
Suo padre la guardò per un istante poi le diede un leggero buffetto sul capo, sua massima espressione di affetto per quel che valeva. Raf chinò lievemente il capo in segno di saluto e si voltò verso sua madre che si piegò su di lei e, come poche volte aveva fatto nella vita, l'abbracciò sussurrandole un "Sii forte" talmente piano che la ragazza credette di esserselo immaginato.
Si sciolsero dopo pochi istanti e Raf poté notare i suoi occhi molto lucidi, prima di uscire dal grande portone d'ingresso.
Ventiquattro carrozze erano disposte in fila lungo il sentiero che portava fino ai cancelli principali e, sulla più grande e maestosa, Adrë fece salire lei, Ruàn e Miki (ferma ad attenderla accanto ad essa); sua madre aveva deciso che solo due persone l'avrebbero seguita e sarebbero rimaste con lei a Zolfanello City: Miki, in qualità di dama da compagnia, e Ruàn come sua nuova cameriera personale. Non aveva compreso perché avesse voluto spodestare Urié in quel modo e le sue domande a riguardo non avevano ricevuto risposte soddisfacenti; aveva dovuto semplicemente accettarlo e dire addio alla sua migliore amica di sempre. Aveva saputo sin dall'inizio che non avrebbe potuto portarla con sé, ma le aveva fatto storcere la bocca quando sua madre le aveva detto di dover portare anche Ruàn: a quel punto perché non Urié?
Si sedette compostamente sul sedile foderato di velluto rosso mentre le due ragazze presero posto di fronte a sé, e guardò un ultima volta Adrë intento a chiudere la porta della carrozza: nessuno dei loro commilitoni l'avrebbe seguita, si sarebbero affidati totalmente alle guardie di Zolfanello City per scortare le tre donne, e ciò implicava che lui non sarebbe stato al suo fianco neanche durante il viaggio. Questo la fece sentire terribilmente sola e insicura.
Adrë s'inchinò attraverso il finestrino e Raf rispose con un cenno della mano, già sentendo le lacrime pungerle gli occhi. Poi si udì un fischio, i cavalli nitrirono e iniziò l'avanzata. La carrozza partì lentamente in quelli che sarebbero stati i cinque giorni più lunghi della sua vita.
   
 
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