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Autore: Marti Lestrange    21/08/2020    7 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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13.

CAPITOLO TREDICI

 

 

Teddy era in piedi fuori dall’aula numero undici, giovedì ventisei gennaio. Roger era in piedi accanto a lui ed erano da poco arrivate le cinque. 

Si era preparato a dovere per affrontare quel momento, aveva evitato la Sala Grande per tutto il giorno, ché non voleva incrociare James e Rose (soprattutto James) e aveva riflettuto su cosa dire e cosa fare, più che altro perché non aveva mai lavorato ad un caso nel quale fosse coinvolto un membro della sua famiglia, ché anche se non era del suo sangue, non era mai importato nulla. O no? Aveva messo in dubbio un sacco di cose, in quelle ultime, concitate ore, cose che non avrebbe mai pensato di mettere in dubbio, e i dubbi si erano poi tramutati in paure, e le paure, infine, lo avevano acceso, come succedeva sempre, e Teddy si era alzato dal letto quella mattina con la consapevolezza di dover andare fino in fondo - di voler andare fino in fondo. 

Intravide James Sirius e Rose al fondo del corridoio, due sagome quasi della stessa altezza che procedevano con passo spedito, entrambi con addosso la tenuta da Quidditch. Quando li ebbero raggiunti, Teddy rivolse loro un cenno della testa, le labbra strette. 

«James», iniziò a mo’ di saluto, «Rose», aggiunse guardando la ragazza, i cui occhioni castani erano spalancati e tesi, quasi come se fosse sull’orlo di un precipizio e stesse per cadere nelle sue nere profondità da un momento all’altro, «prima le signore», e le indicò la porta aperta dell’aula. 

Rose sbarrò ancora di più gli occhi, ma James fece un passo avanti, quasi a farle da scudo. «Rose non viene da nessuna parte. Nessuno di noi due viene da nessuna parte.»

Teddy aggrottò le sopracciglia, stupito. «Come, prego?»

«Hai sentito bene, Auror Lupin», continuò James. Non lo aveva mai chiamato così, e Teddy irrigidì le spalle. In fondo, non avrebbe dovuto stupirsi… La serietà e la formalità erano tutto ciò che anche lui voleva. O no?

Altre domande, altri dubbi, altre paure.

«Finora abbiamo parlato con te in via del tutto confidenziale», continuò James, impedendogli di aggiungere alcunché. Roger accanto a lui ascoltava, il corpo teso. «Abbiamo accettato che le nostre parole e le nostre dichiarazioni venissero raccolte e messe a verbale, e che quei verbali fossero utilizzati come prova nel tuo fantomatico caso, ma ora basta. Ora pretendiamo la presenza di un Magi-Avvocato, prima di rilasciare ulteriori dichiarazioni, come prevede il decreto numero—»

«Okay, okay, sappiamo benissimo quale sia il decreto, Potter», intervenne Roger interrompendolo. 

James lo guardò, serio e accusatorio ma risoluto, Teddy poteva percepirlo dalla sua espressione ferma. 

«Hai imparato la lezione, eh?» commentò quindi buttando le mani nelle tasche dei pantaloni. «Molto bene, allora.»

«Molto bene?» esclamò Roger, stupito e leggermente contrariato, guardandolo con le sopracciglia aggrottate. «Vuoi dire che li lasci andare?»

Teddy aprì le braccia. «Hanno ragione: possono avvalersi della presenza di un Magi-Avvocato. E io non ho nulla con cui trattenerli, no? Non ho nessuna prova, almeno nessuna tangibile. Finora.» E tornò a guardare James, e James lo guardava a sua volta, e si guardarono ancora per un po’, finché Roger non si schiarì la gola. 

«Allora direi che potete andare», disse. «Forza, sgombrate il campo.»

«Non è finita qui, James», aggiunse Teddy e James, che si era già voltato per dirigersi al campo da Quidditch, come se nulla fosse, si girò a guardarlo. Rose, accanto a lui, si fermò a sua volta. «Lo sai, vero? Mi hai detto un sacco di cazzate…»

James alzò il mento, e sembrava quasi che volesse sfidarlo. Assomigliava in modo tremendo a sua madre. 

«Non tutte le cazzate sono pericolose», rispose quindi. «Molte vengono dette a fin di bene. Teddy», aggiunse alla fine, voltandosi e dirigendosi con Rose verso il portone di quercia, oltre il quale sparirono senza dire un’altra parola. 

Teddy rimase a guardare per un momento il punto in cui erano scomparsi e poi rientrò nell’aula, seguito a stretto giro da Roger, che richiuse la porta.

«Li abbiamo davvero lasciati andare via così, Teddy?»

«Che cazzo avrei potuto fare, Roger? Eh? Dimmelo tu, visto che sei tanto intelligente!» sbottò Teddy, prendendo a pugni il banco che fungeva da scrivania e facendosi un male tremendo. La mano ora gli sanguinava e nel legno aveva prodotto una bella ammaccatura dalla quale spuntavano alcune schegge. «Cazzo!» imprecò quindi, agitando la mano e stringendo gli occhi.

Roger era rimasto in silenzio, molto probabilmente per farlo sbollire, e lo guardava camminare qua e là per l’aula come una gallina spennacchiata. Gli stava bene. Gli stava solo bene. Così imparava. Se solo ci fosse stata Victoire a curarlo… Scacciò via quel pensiero perché gli faceva male da quanto le mancava, e tornò a guardare Roger.

«Scusa», gli disse solo.

Il suo amico scrollò le spalle. «È normale essere nervosi.»

«Il fatto è che non pensavo che James avrebbe tirato fuori la storia del Magi-Avvocato, ecco tutto. Contavo di spremere Rose e di farla crollare, so che ci sarei riuscito, hai visto quant’era spaventata? E poi avrei detto a James che Rose aveva confessato e quindi anche lui avrebbe confessato, e sarebbe finito tutto.»

«Ma sarebbe davvero finito tutto, Teddy?» Roger lo guardava e la sua espressione di compatimento non gli piaceva. «Sai che forse ci sono di mezzo altre persone, e sai che molto probabilmente né Rose, né tantomeno James, le avrebbero trascinate dentro con loro. Avresti dovuto continuare ad indagare, almeno finché qualcuno non si fosse deciso a cantare.»

«Forse hai ragione, ma certo non possiamo saperlo, ora.»

«No, certo che no.»

«Ci mancava tanto così…» e accompagnò le sue parole avvicinando pollice e indice della mano sinistra (la destra gli faceva ancora un male cane), fin quasi a toccarsi. «Tanto così, Roger… E poi saremmo potuti tornare a casa e finirla con quest’angoscia.»

«Teddy, so che questa situazione con la tua famiglia ti provoca stress, se preferisci lasciare il caso a qualcun altro posso scrivere a Hestia, mi manderà un sostituto…»

Teddy scosse la testa vigorosamente. «Non potrei mai, Roger. Non potrei nei confronti della mia famiglia e nemmeno nei miei, per gli scrupoli che mi faccio con me stesso. Devo concludere questo caso, e basta.»

Roger annuì. «Come intendi procedere, allora?»

«Con le perquisizioni, a questo punto. Domattina porto i mandati alla McGranitt in modo da poter iniziare nel pomeriggio.»

«Bene, speriamo di trovare qualcosa che disincastri questo intrigo.»

«Ora torniamocene a casa, ho voglia di farmi una doccia e andare a letto.»

«Prima passa in infermeria da Hannah Paciock», aggiunse Roger. «Hai decisamente bisogno che ti sistemi quella mano.»

 

 

Roxanne superò il passaggio del ritratto ed entrò in Sala Comune. Il calduccio della stanza l’accolse piacevolmente, dopo aver trascorso quasi due ore fuori, al freddo, a studiare i Billywig1 di Hagrid, che l’insegnante aveva catturato e raccolto e chiuso in una teca di vetro, da dove non avrebbero costituito per loro un pericolo. Aveva fatto numerosi schizzi sul suo quaderno, ma nessuno di quelli aveva retto il confronto con quelli di Scorpius, in piedi accanto a lei, e Hagrid, come al solito, si era complimentato con il Serpeverde per la sua bravura nel disegno. Scorpius si era schernito, come sempre quando riceveva un elogio, e lei gli aveva fatto una smorfia. 

Ora superò suo cugino Louis e Lynn Collins, avvinghiati su una poltrona davanti al fuoco, mentre la cugina Lucy, seduta poco distante, si era costruita una barriera fatta di libri pur di non vederli. Roxanne fece capolino da dietro il muro di carta per salutarla.

«Hei, Lucy, tutto bene?»

La cugina alzò il viso, le sopracciglia che quasi le sfioravano l’attaccatura dei capelli. In quel momento, era tale e quale ad Albus. 

«Sto cercando di studiare e tutto ciò che sento è rumore di lingue, secondo te come sto?» Aveva i capelli arruffati e spettinati e il viso stravolto, come di qualcuno che non dormiva da secoli. Il settimo anno distruggeva parecchie vite.

Roxanne alzò le mani. «Allora ti lascio ai tuoi tomi. Se hai bisogno di una mano posso lanciare qualche Caccabomba sotto la loro poltrona», aggiunse sussurrando e indicando Louis e Lynn (quest’ultima ora gli stava baciando una mascella, mentre Louis guardava verso di loro). 

Lucy le rivolse un sorriso. Stranamente. «Grazie, mi basterebbe dire loro che non possono pastrusciarsi nella Sala Comune, davanti a tutti», rispose indicando il distintivo da Caposcuola che portava appuntato sul petto, «ma non voglio dare loro la soddisfazione di pensare che mi diano fastidio. Capisci cosa intendo?»

«Contorto, forse, ma lo capisco», annuì Rox. 

«Ora lasciami studiare», concluse l’altra agitando una mano come a volerla scacciare e immergendo di nuovo la testa nei libri.

Roxanne scrollò le spalle e si diresse al suo dormitorio, dove trovò Rose e Caitlin comodamente distese sui loro letti, in totale relax. 

«Hei!» esclamò entrando. «Voi che ci fate qui?»

«Rox!» esclamò Rose. «Noi abbiamo avuto due ore buche. Il professor Bones si è beccato l’influenza, è in infermeria.»

«Brava, brave, voi qui a far niente mentre io, invece, ero fuori al freddo a studiare i Billywig.»

«I Billyche?» commentò Cait mettendosi a sedere.

«Billywig, Cait, Billywig.»

«Be’, avevi solo da mollare Creature Magiche anche tu…»

«Non avrei potuto dare questo dolore ad Hagrid, a differenza vostra gli voglio davvero bene», rispose mollando a terra la borsa dei libri e lasciandosi cadere sul suo letto. 

«Lecchina», commentò Rose a bassa voce.

«Guarda che ti ho sentita, Rosie», replicò Roxanne ad alta voce. 

«Ragazze», cominciò Caitlin. Il suo tono di voce era mutato, come se un’ombra le fosse passata davanti all’improvviso. 

Roxanne si sporse per guardarla in viso, ma ne vedeva solo il profilo. 

«Cait?» la interrogò Rose, seduta a gambe incrociate.

«Voi ci pensate mai?»

Roxanne capì immediatamente a cosa si riferisse la sua amica. Distolse lo sguardo da lei per puntarlo sul soffitto della stanza circolare. Avrebbe tanto preferito non rispondere, forse.

«A quella sera», aggiunse Cait a mo’ di spiegazione. Si alzò e si avvicinò alla finestra, le braccia incrociate sul petto. Roxanne si tirò su a sedere. «A ciò che è successo a…», non concluse la frase, però, lasciandola in sospeso, come se quel nome non potesse essere pronunciato a voce alta, e nemmeno espresso a mezza voce, e forse nemmeno pensato. Era tabù. 

«Cait, certo che ci pensiamo», rispose Rose a voce bassa, alzandosi e lanciando un Muffliato sulla porta. «Devi cercare di stare bene, però, d’accordo?» La raggiunse e le carezzò dolcemente la schiena, mentre Caitlin sospirava. 

«Sapete quali voci girano?» 

Le due amiche si voltarono a guardarla, interrogative. Aveva sganciato la bomba, ed era pronta ad affrontarne le conseguenze. La fissavano, in attesa di una risposta. 

Roxanne incrociò le gambe e prese a torturarsi le dita, improvvisamente nervosa. «Sapete le convocazioni che Teddy ha mandato a te e James?»

Rose annuì, cauta. 

«Oggi ho fatto due più due», continuò. «Elena mi ha raccontato che qualcuno ha sentito Polly parlare con Fredericks, l’altro giorno a colazione. Sussurravano su qualcosa che Polly aveva fatto… E Yann le ha tipo detto di aver esagerato, perché sarebbe stata tirata in mezzo alla faccenda come testimone oculare… E lei gli ha detto che lo ha fatto per… » esitò, guardando le sue amiche. 

«Lo ha fatto per chi, Rox?» chiese Rose, dura, il volto in ombra.

«Lo ha fatto per James», snocciolò tutto d’un fiato. 

Vide Cait irrigidirsi. «Cosa vuol dire, per James

«A quanto sembra, a Polly piace James. Lo ha fatto per aiutarlo, secondo la sua contorta logica, ma io mi sono fatta un’idea diversa. Secondo me lo ha fatto per vendicarsi. Ora James sta con te», aggiunse rivolgendosi a Caitlin, «e lei dev’essere stata incazzata nera, sappiamo come fa quando non ottiene ciò che vuole. Ovviamente, questo è un pensiero mio, ne sto parlando con voi, ora, per la prima volta.» Non poteva dire loro che Elena sapeva tutto, e che era stata proprio lei a suggerirle che Polly poteva averlo fatto per vendetta. 

«Quindi tu pensi che Polly abbia visto me e James sgattaiolare via, quella sera?» chiese Rose, ragionando ad alta voce. 

Roxanne annuì. «E che sia andata a spifferare tutto a Teddy. E che Teddy vi abbia convocati alla luce della sua dichiarazione.» Questo era stato il passo successivo all’intuizione di Elena, ma era tutta farina del suo sacco. 

Tra loro cadde il silenzio, mentre Cait quasi si scioglieva in lacrime e Rose camminava in tondo per la stanza, meditando. 

«C’è un testimone ucolare, adesso che si fa?» frignò Cait pestando i piedi per il nervosismo.

«Oculare, Cait, testimone oculare», la corresse Rose, spazientita. «E non faremo niente, okay? James e io non diremo nulla a Teddy senza la presenza di un legale, se vuole deve portarci al Ministero, ma noi non cederemo. Nessuno di noi cederà, intesi?» E guardò Cait, la raggiunse e le strinse le spalle, fortemente. Roxanne sperò che la loro amica non facesse nulla di stupido, ma poi pensò a James, e al fatto che lei non avrebbe fatto nulla per nuocergli. 

«Siamo un fronte unito e compatto», continuò Rose. «Qui nessuno viene lasciato indietro, nessuno viene dimenticato e nessuno vene lasciato solo. Nessuno. James e io siamo quelli nell’occhio del ciclone, ormai, ma voi avete l’occasione per vigilare, e per mantenere un profilo basso. Ce la caveremo, ne sono sicura.»

Roxanne pensò a quanto Rose le ricordasse la zia Hermione, avevano la stessa luce negli occhi, quando parlavano di ciò che stava loro a cuore. E quando era il momento di proteggere le persone a cui tenevano. Rose sembrava essersi lasciata alle spalle le esitazioni e le paure dei giorni scorsi, per tirare fuori il vero fuoco che lei - che tutti - sapevano che la contraddistingueva da sempre. 

Roxanne si alzò e porse a Cait un fazzoletto e l’amica lo prese, riconoscente. Poi scambiò un’occhiata con Rose che valeva più di tante parole e che voleva dire “teniamola d’occhio”. 

«Scusate, amiche», disse Cait riponendo il fazzoletto nella tasca della gonna. «Devo sembrarvi una cretina e una piagnona.» 

«Cait, non devi preoccuparti di ciò che pensiamo noi, okay? Siamo tue amiche», rispose Roxanne sorridendole. 

La ragazza annuì, e in quel momento si sentì bussare. Le tre amiche sussultarono. Si guardarono. Poi si sentì bussare di nuovo. 

Rose annuì e andò ad aprire la porta.

 

 

Scorpius rientrò in dormitorio e chiuse la porta. Poggiò a terra la borsa, ordinatamente sistemata accanto al suo baule, e si sfregò le mani, che durante la lezione di Cura delle Creature Magiche aveva pensato seriamente di perdere per via del freddo. Aveva indossato i guanti, sì, ma quelli leggeri, quelli che usava quando doveva disegnare, e il risultato era che sentiva le dita tutte intirizzite, ora che era rientrato al castello, cosa che non gli succedeva mai quando disegnava. Per un momento ripensò a sua madre, che gli soffiava sulle mani e gliele scaldava davanti al grande camino di Villa Malfoy, quando rientrava dopo una battaglia a palle di neve con Rosalie e i fratelli Nott nel parco del maniero. E ripensò inevitabilmente si suoi schizzi e ai suoi quadri: suo padre aveva riposto i primi in un baule e i secondi li aveva quasi tutti rimossi e messi in soffitta, coperti da lenzuoli bianchi, memento troppo doloroso per essere quotidianamente affrontato, per lui, ma anche per suo figlio; aveva conservato solo il suo autoritratto, appeso sopra il camino.

Scacciò via il pensiero di sua madre, gli faceva troppo male, e posò lo sguardo sulle tende del letto di Albus, completamente tirate a nasconderne l’interno. 

«Albus?» azzardò, non sapendo se il suo amico fosse lì. Lo faceva spesso, sdraiarsi a letto durante le ore libere, tirare tutte le tende e far finta di non esistere. «Albus?» ritentò. A questo giro gli giunse alle orecchie un grugnito e così si avvicinò al letto, scostando le tende per curiosare. 

Il suo amico era steso a letto, un braccio melodrammaticamente poggiato sugli occhi e l’altro ripiegato sul petto, all’altezza del cuore, il palmo aperto come a voler saggiare il suo stato di salute fisica. Scorpius alzò gli occhi al cielo. «Che c’è? Stai morendo?»

Albus grugnì di nuovo ma non disse nulla, così Scorpius sedette sul bordo del letto. 

«Tu e Cassandra avete fatto—» iniziò. 

«NO!» esclamò Albus.

«Okay, okay, scusa», si difese Scorpius. Gli palpeggiò amichevolmente la gamba destra distesa. «È che il tuo precario stato di salute psico-fisica mi dava da pensare…»

Albus si tolse il braccio dal viso e lo guardò malissimo. «Credi che sia quel genere di uomo che finge di essere a pezzi per fare pena alla sua ragazza e approfittarsene?»

«Be’, forse qualcuno avrebbe da sindacare sull’utilizzo del termine “uomo”, ma io farei che soprassedere», commentò Scorpius. «Piuttosto mi concentrerei sulla quella faccia da derelitto che ti ritrovi…»

Albus alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Farò finta di non aver sentito il tuo commento, e comunque non sono un derelitto, sono assolutamente in me.»

«Be’, anche su questo farei che soprassedere, direi anzi di venire al dunque, che ne dici?»

«Tu da dove arrivi?» gli chiese quindi Albus tirandosi su e puntellandosi sui gomiti. 

Scorpius si mise comodo e incrociò le gambe sul materasso dell’amico, appoggiando le braccia sulle ginocchia. «Arrivo da Creature Magiche.»

«Ah, già, giusto, segui ancora quel circo.»

«Non è un circo», protestò Scorpius spintonandolo. Albus si scansò. «E poi mi serve per la mia futura preparazione…»

«… al San Mungo, sì, sì, lo sanno anche i muri, ormai», concluse Albus lasciandosi ricadere sui cuscini con un tonfo che fece tremare tutto il letto. 

«Ti sei alzato così simpatico, oggi, o la simpatia è subentrata durante?»

«Io ci sono nato, simpatico. E tu secchione, invece?»

Scorpius scoppiò a ridere, come succedeva sempre quando lui e Albus battibeccavano così. Era il suo migliore amico, e gli voleva un bene dell’anima, ma sapeva essere così… così… così insopportabile, quando ci si metteva. 

«Invece tu cosa ci fai, qui, Amleto?»

«Amcosa?» chiese aggrottando le sopracciglia.

«Lascia perdere.»

«C’era ora buca di Bones. A quanto pare è ammalato ed è in infermeria…»

«…e quindi hai pensato bene di trascorrere un’oretta a letto, a riflettere sulle tue personali tragedie?»

«Be’, sempre meglio che seguire le lezioni di Hagrid.»

«Ancora non mi capacito di come tu faccia ad essere figlio di tuo padre.»

«Forse ci avranno scambiati nelle culle, tu e io, ci hai mai pensato?»

«Effettivamente, se io non avessi i capelli che ho, e tu quegli occhi, allora potrei pensarlo, sì.»

Loro due erano nati a un giorno di distanza l’uno dall’altro (Albus il quindici e lui il sedici agosto) e le loro madri si erano ritrovate al reparto maternità del San Mungo esattamente nello stesso periodo - e anche i loro padri, a quanto pare avevano condiviso le panche del corridoio fuori dalle sale parto, visto che il travaglio di Ginny Potter era durato qualcosa come dodici ore (Albus aveva sempre saputo come farsi desiderare, fin da piccolissimo).

«Comunque non sto facendo Amleto», aggiunse Albus sbuffando, qualche minuto di silenzio dopo, riemergendo di nuovo da sotto il braccio.

«Ah-ah, allora avevi capito benissimo!»

«Sì, un giorno mi spiegherai chi è, d’accordo? So che muori dalla voglia.»

Scorpius scrollò le spalle. «Forse. E quindi?» aggiunse. «Perché ti sei rintanato qui e non sei in compagnia della tua adorabile ragazza?»

«Avevo mal di testa e ho preferito evitare di stare in compagnia, sai che divento intrattabile.»

«Be’, non più del solito…»

«Stavo riflettendo su alcune cose…» continuò ignorando il suo commento. «Sai, sulle cose successe in questi giorni.»

«Sei preoccupato per James e Rose?»

Albus annuì. «Un pochino, sì. Non riesco a fare a meno di pensare che abbiano fatto - che abbiamo fatto - la cosa giusta, negando a Teddy un altro interrogatorio e tirando in ballo la questione del Magi-Avvocato, ma mi chiedo se non sia il caso di procurarcene davvero uno. Sai, per precauzione. Nel caso Teddy tenti di portarli al Ministero con la forza…»

«Allora, intanto non credo che Teddy li porterebbe fin là con la forza, conosce la vostra famiglia, non lo farebbe mai, soprattutto per rispetto verso tuo padre. Piuttosto, potrebbe convocarli, e questa volta al Ministero, presso l’Ufficio Auror, per un interrogatorio formale in sede. E questo mi preoccupa. Per quanto riguarda la questione del Magi-Avvocato, posso sempre sentire zio Theodore…»

Theodore Nott2 aveva intrapreso gli studi di Magisprudenza, al termine della guerra, ma non prima di aver terminato il suo settimo anno ad Hogwarts e aver preso il M.A.G.O. Per Scorpius era un po’ come se fosse uno zio, Theodore: lui e i suoi figli condividevano forse una minuscola percentuale di sangue, visto che i Nott discendevano da un ramo dei Rosier, e un Rosier aveva sposato una Greengrass, qualcosa come tre, o quattro generazioni prima, per cui la loro parentela era talmente lontana e talmente diluita da non essere neanche considerata una reale parentela. Scorpius era cresciuto con i gemelli, Caleb e Lizzie, e con Emma3, la più piccola, e avevano scorrazzato e giocato nel parco di Malfoy Manor e di villa Nott, sulle coste della Cornovaglia occidentale. Scorpius ripensava sempre con tremendo imbarazzo all’enorme cotta per la cugina (si erano sempre considerati cugini, loro) Lizzie, ma questo prima di vedere per la prima volta Rose Granger-Weasley al Binario 9 e 3/4, il 1° settembre del loro primo anno. 

«Meglio di no, non vorrei attirare l’attenzione di Theodore, e del Ministero, su di noi, ci renderebbe solo colpevoli.»

«Sai che Theodore non è il Ministero», protestò Scorpius.

«Sì, ma le voci girano, lo sai. Il nostro è un mondo piccolo.»

Scorpius annuì. Effettivamente, Albus aveva ragione: non era prudente chiedere aiuto a Theodore, questo avrebbe potuto mettergli la pulce nell’orecchio e spingerlo a parlarne con Draco, e l’ultima cosa che Scorpius voleva era che suo padre piombasse ad Hogwarts a strigliarlo e/o a fare scenate. Rabbrividì al solo pensiero.

«Quindi cosa intendi fare?»

Albus scosse la testa, passandosi una mano sugli occhi. «Aspettiamo. Aspettiamo e vediamo quale sarà la prossima mossa di Teddy, so che sta per farne una, lo sento tramare in qualche angolo…»

Scorpius non potè fare a meno di sorridere. «Ti ricordo che è pur sempre un Auror, rappresenta l’autorità.»

«Senti, ma perché invece di fare il MediMago non vai a studiare Magisprudenza, tu? Sembri l’avvocato del diavolo, oggi.»

Ora Scorpius scoppiò davvero a ridere. 

«Non mi ci vedo proprio», commentò storcendo il naso.

«Ah, no? Invece ti ci vedi vestito di verde acido? Sembrerai un pallino acido.»

Scorpius alzò gli occhi al cielo. «Almeno io ho deciso cosa voglio fare nella vita», protestò incrociando le braccia al petto. «Cosa che non si può dire di qualcun altro…»

«Senti, non si mette pressione al genio.»

«Sì, certo, come no. Sono ancora qui che aspetto che mi racconti la palla che hai rifilato alla Simson quando avete parlato durante l’orientamento…»

Albus ghignò. «Non uscirà da questo corpo, l’ho giurato.»

«Allora è di sicuro qualcosa di imbarazzante…»

L’altro scrollò le spalle. «Affari miei. Tu non li hai, i tuoi segreti? Fammi tenere i miei.»

«Dove hai nascosto la bacchetta di Jenkins?» 

Scorpius aveva buttato lì quella domanda, quasi senza pensarci, ché forse sperava che Albus si tradisse, vacillasse, anche per un solo secondo, e gli desse finalmente la risposta che tanto anelava. Ma Albus rimase muto, e solo il suo volto tradì la sua inquietudine: si adombrò e la vena di divertimento che lo aveva attraversato fino a qualche minuto prima sparì del tutto. 

«Sai che non devi chiedermelo. Soprattutto non qui», rispose a bassa voce, indicando il dormitorio intorno a loro, deserto.

«Non c’è nessuno, Albus. E poi, a prescindere da dove te lo chieda, la tua risposta non cambierebbe, giusto?»

«Giusto», annuì. «Non ho intenzione di dirtelo e di renderti ancora più complice di quanto tu non sia già.»

«Albus, ci siamo dentro insieme», protestò Scorpius sistemandosi meglio a sedere sul letto. «Pensi che la mia situazione possa cambiare, se sapessi qualcosa di più?»

«Forse no, ma è una mia decisione.»

«Potrebbe essere una mia decisione, andare da Teddy e dire che è stata tutta colpa mia, allora.»

Il viso di Albus sbiancò. Era una delle poche volte in cui l’amico gli apparve davvero spaventato.

«Non ti azzardare, Scorpius Hyperion Malfoy», iniziò. «O giuro sulla nostra amicizia che è la volta buona che ti Affatturo.»

«Che solennità», si schernì Scorpius, che non immaginava di provocare una tale reazione in Albus. «Però forse avresti dovuto giurare sulla tua pellaccia, sarebbe stato più efficace, come giuramento.»

«Vaffanculo, Malfoy», replicò l’altro alzandosi dal letto improvvisamente. «Neanche quando sono serio, mi prendi sul serio.»

Scorpius scoppiò a ridere. «Okay, okay, facciamo i seri, vuoi?»

Albus si girò a guardarlo, tenendo in mano le scarpe che prima si era malamente sfilato buttandosi a letto. «Voglio.»

Scorpius annuì, sedendosi in modo da guardarlo in viso. «Non dicevo sul serio, quando parlavo di andare a confessare», iniziò quindi, poggiando le braccia sulle gambe ripiegate e poggiate sul bordo del letto. «Anche se farei volentieri a cambio con te, se solo servisse a toglierti questo peso, Albus, dico davvero.»

«Lo so che dici davvero, è per questo esatto motivo che mi fai incazzare.» Albus lanciò le scarpe sotto la finestra accanto al suo letto. «È tutta colpa mia, Scorpius. È solo colpa mia, ed è questa la cosa peggiore, è questa la cosa che mi fa impazzire, e che mi logora dentro, lentamente, come un tarlo», e con un dito si picchiettò il petto, proprio all’altezza del cuore. «Vi ho trascinati in questo casino, e devo pensare a qualcosa per tirarvene fuori, a qualsiasi costo.»

«Albus, non c’è niente che tu possa fare per tirarcene fuori, noi eravamo lì con te, ricordi? E non abbiamo fatto nulla, niente di niente, neanche quando è arrivato James e ha Trasfigurato il corpo e lo ha gettato nel Lago. Lo ha gettato nel Lago, Albus, e noi non abbiamo fatto niente. Ti basta?»

Albus scosse la testa. «Ovviamente no, non mi basterà mai nulla per convincermi che le cose sarebbero potute andare diversamente. Avrei dovuto rispedirvi al castello con la forza,  almeno le ragazze, così non sarebbero state complici di quello schifo. Se penso che Rose ci è finita in mezzo per colpa mia… Rose, capisci? È come se fosse mia sorella.»

Scorpius non lo aveva mai sentito parlare di Rose in quei termini, lui che non perdeva occasione per fare lo scontroso e prendersela con tutti, soprattutto con Rose, ma nonostante questo, da qualche parte, Scorpius sapeva quanto l’amico fosse legato alla cugina. Erano cresciuti insieme, loro due. Li dividevano solo tre mesi: Rose lo aveva anticipato, nascendo in un giorno soleggiato e caldo di metà maggio.

«Per non parlare di James», continuò Albus passandosi una mano nei capelli, in un gesto così alla-James che in quel momento a Scorpius fece male al cuore. «James, mio fratello. Non ho saputo far altro che comportarmi da bambino piagnucoloso che chiama il suo fratellone perché sistemi tutto, proprio il mio perfetto fratello maggiore, orgoglio di mio padre, luce degli occhi di mia madre… Che cazzo ho fatto, eh? Dimmelo, Scorp.»

Ora il suo amico lo guardava e gli occhi erano sbarrati e lucidi e Scorpius non potè far altro che alzarsi di volata e andare ad abbracciarlo, e fu uno dei pochi abbracci, tra loro, nella storia della loro amicizia, ma volle stringerlo fortemente, solo per fargli capire che era con lui, e lo sarebbe stato sempre.

«Eri spaventato, Albus, lo eravamo tutti, e James ti ha aiutato nonostante tutto», gli disse. «E non ti ha mai rinfacciato niente, lo sai, nemmeno una volta, e sono sicuro che lo rifarebbe, un altro milione di volte.»

«È proprio per questo che mi odio, e odio la mia debolezza», protestò Albus sciogliendo l’abbraccio. 

«Tutti abbiamo delle debolezze, Albus. Siamo umani.»

I due si guardarono in viso un altro po’, mentre Albus forse cercava di metabolizzare le sue parole. Avevano cominciato scherzando ed erano finiti così… Com’era successo? Scorpius però pensò che quella era una conversazione che avevano rimandato troppo a lungo, e alla quale avevano girato intorno, circumnavigandola con destrezza, ma il momento era arrivato, alla fine. E Albus si era scoperto come poche altre volte, da che lo conosceva. Gli aveva aperto il cuore e gli aveva lasciato guardare dentro la sua anima, laddove si trovava il suo nervo scoperto, ciò che lo tormentava e non lo faceva dormire. 

«Devi sapere che la tua famiglia non ti abbandonerà mai, Albus. Li conosco, uno per uno. Nessuno viene lasciato solo, o abbandonato. Nessuno. Capito?»

«Anche tu sei—» Le parole di Albus vennero bruscamente interrotte da un bussare poderoso alla porta, come se due Hagrid stessero battendo sul legno all’unisono. 

I due ragazzi sobbalzarono e si guardarono, ammutoliti. Chi poteva essere? E, soprattutto, quanto aveva sentito della loro conversazione?

Bussarono nuovamente e Albus gli si avvicinò rapido. «Quanto avranno sentito?» sussurrò dando voce ai suoi stessi pensieri.

Scorpius scosse la testa e non potè fare a meno che dirigersi alla porta del dormitorio. Guardò un’ultima volta Albus, che annuì - si era rimesso la maschera. Spalancò la porta e, fianco a fianco dall’altra parte, in piedi, le mani sollevate a mezz’aria nell’atto di colpire ancora una volta lo spesso legno, c’erano Teddy Lupin e Roger Davies. 

«Buonasera, Scorpius», iniziò il primo facendo un passo avanti, «Albus», aggiunse. Tirò fuori dalla tasca del montone un foglio di pergamena ripiegato e lo porse a Scorpius, che fissava i due Auror a bocca aperta, senza riuscire a capire cosa ci facessero lì, nel dormitorio di Serpeverde.

«Lì c’è il permesso controfirmato da Hestia Jones, capo del Dipartimento Investigativo», continuò Teddy. «Siamo qui per una perquisizione.»


 


 

Note:

1. Billywig: sono piccoli insetti originari dell’Australia, di colore blu zaffiro. Volano molto velocemente, risultando difficili da acchiappare o anche solo individuare per maghi e Babbani. Sono dotati di un pungiglione, le cui punture provocano vertigini e levitazione, e che viene impiegato essiccato nella preparazione di pozioni e dolciumi [fonte: wikipedia].
2. Theodore Nott: tutto ciò che riguarda Theodore e la sua famiglia è mia personale invenzione e non tiene conto degli eventi riportati in TCC.
3. Emma Nott: sorella minore dei gemelli, Elizabeth e Caleb; personaggio di mia invenzione.

 

Bene bene bene, se nello scorso capitolo mi avete “insultata” accusandomi di essere una screanzata, non oso immaginare cosa farete dopo questo! Vi ricordo che siamo alla fine di questa storia, quindi i colpi di scena e le rivelazioni non mancheranno 👀 (scusate, lo so che sto decisamente abusando di questa emoticon, sopportatemi XD) Allora, in questo capitolo succedono un po’ di cosette. Intanto, la presa di posizione di Rose e James, che si rifiutano di parlare ulteriormente con Teddy, una scelta piuttosto coraggiosa e ardita, la loro, sono curiosa di sapere cosa ne pensate… Le altre due scene sono quasi “a specchio”: assistiamo a due momenti di vita quotidiana, due conversazioni tra gruppi di amici, situazioni che avrebbero potuto essere rilassanti e scherzose, se solo non fosse subentrata l’ansia provocata dal caso Jenkins. Rose tira fuori le unghie e decide di lottare, Roxanne è colei che svela quelle che sono le reali intenzioni di Polly riguardo la sua testimonianza tardiva (visto che qualcuno me ne chiedeva spiegazione in una recensione allo scorso capitolo, ciao Blue ♥︎), mentre Cait crolla piano piano. Dall’altra parte abbiamo Scorpius, uno Scorpius che indugia per un momento nei suoi ricordi di bambino e che ha sempre da fare, perennemente, quando si tratta di Albus, che qui si scopre, emergono le sue paure e i suoi timori e le sue fragilità, insomma, è un Albus come non l’avete mai visto. Alla fine, colpo di scena dei colpi di scena (?): l’arrivo di Teddy e Roger. 

 

Nel prossimo capitolo aspettatevi chiarimenti e qualche risposta e un finale che secondo me vi lascerà a bocca aperta, e non dico altro 👀

Grazie come sempre per il vostro entusiasmo e l’interesse che dimostrate per questa storia e i suoi protagonisti ♥︎

 

Alla prossima settimana (con il terzultimo capitolo), Marti.

 

PS vi consiglio di non scordarvi del nome Emma Nott 👀

 
   
 
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