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Autore: Emmastory    21/08/2020    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo XIII 
 
L’innamorato prodigo 
 
In silenzio e al freddo, febbraio continuava. Lucy e Lune erano a scuola, le avevo accompagnate esaudendo un desiderio della madre Isla, e seduta in salotto, sorseggiavo una tisana. Frutta e cannella, la mia preferita oltre che l’unica in grado di rilassarmi e scaldarmi quando l’aria della stagione trovava il modo di entrare in casa e gelare ogni stanza. Aiutato da un perenne cappotto di pelliccia, Cosmo invece non soffriva affatto certi rigori, e con lui i nostri bambini, placidamente addormentati nelle loro lanterne dopo che Sky aveva di nuovo fatto loro da babysitter. Almeno stavolta l’avevo ringraziata, e limitandosi a sorridermi quasi senza guardarmi, lei si era sistemata una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio, e afferrata una spazzola, pettinata al meglio delle sue possibilità. Tranquilla, non avevo indagato né chiesto nulla, e attimi dopo, lei era di nuovo sparita nella stanza degli ospiti, portando con sé alcuni biscotti avvolti in un fagotto ottenuto da un tovagliolo. “Non sono per te, cagnolone.” Aveva detto più volte a Cosmo, che non dandosi per vinto aveva provato e riprovato a seguirla lungo il corridoio. Ridendo divertita, l’avevo richiamato a me, per poi stringere forte il suo collare e guardare mia sorella sfuggire dalle sue pelose grinfie. “Tranquillo, bello, hai il tuo piatto preferito lì, non vedi?” avevo azzardato poco dopo, indicando i suoi croccantini e sperando di riuscire a rassicurarlo. Fidandosi, lui non se l’era fatto ripetere, e ora, in casa non si respirava nulla di diverso dalla calma. “Chris, tesoro?” chiamai, stranita dal suo silenzio. Conoscendolo, sapevo che aveva la tendenza a isolarsi se adocchiava anche un solo sudoku, e tutto al solo scopo di risolverlo, ma ormai non lo sentivo da troppo tempo, e preoccupata, aspettavo. “Sì, Kia?” Per fortuna, rispose, e tirando un sospiro di sollievo non appena fece capolino oltre la porta della cucina, sorrisi, a lui come a me stessa. “Che stavi confabulando?” chiesi poco dopo immischiandomi, sinceramente divertita. “Confabulare? Io? Niente, stavo solo provando a risolvere una cosa.” Ammise, fingendosi colpito da quella sorta di accusa. “Un altro sudoku?” azzardai, sicura di conoscere le sue abitudini perfino meglio delle mie. “No, quelli li ho finiti!” replicò, trattenendo a stento una risata. Pur provandoci, finì per fallire, e contagiata, risi a mia volta. Nel breve silenzio che ne seguì, poi, un miagolio. A quanto sembrava, qualcun altro doveva essersi unito al divertimento, o forse aveva semplicemente fame, ma qualunque fosse la verità, volevo vederci chiaro. Per fortuna non si trattava di nulla di così importante, e colta alla sprovvista da me stessa, per poco non scoppiai a ridere di nuovo. “Chris! Che hai fatto? Chiesto aiuto alla gatta?” scherzai, sentendomi come se quella battuta mi fosse stata servita su un piatto d’argento. Non sentendo altro da lui o da Willow, però, scossi la testa, e afferrata saldamente la tazza di ceramica vuota, la portai in cucina, decisa a lavarla. “Allora, mio custode? A cosa lavoravi?” ritentai, più curiosa di prima. “A questi, mia protetta.” Rivelò lui in quel momento, dolce come sempre. Nel farlo, si scostò dal davanzale della finestra, e fu allora che le rividi. Ancora sane, ancora vive e sgargianti, le viole di Lucy. Ricordavo bene di averle ricevute proprio da lei appena ci eravamo conosciute, in un giorno di primavera, se la memoria non m’ingannava, mentre giocavamo insieme, tutti e tre su un prato di fiori e steli d’erba. Allora era più piccoli, ma giocare con lei era stato divertente, specie quando il suo corpicino di pixie non aveva saputo contenere le sue emozioni, e per tutta risposta un’aura dorata aveva finito per incorniciarglielo, rendendola più dolce, tenera e adorabile di quanto già non fosse. Allietata da quel solo ricordo, sorrisi, e regalando alla piantina una ragione per imitarmi e splendere in questo così duro inverno, chiusi gli occhi. Da allora in poi, non vidi che il buio, e poco oltre, il centro della mia magia. Secondo il libro appartenuto a Christopher e alla sua famiglia, qualcosa di molto simile a un’anima, ma allo stesso tempo lontana da quest’ultima, presente in ogni fata sotto la metaforica forma di un seme, che se coltivato con cura, attenzione e cura da parte della fata stessa, affiancata dal suo protettore, poteva crescere e conferirle ogni volta poteri diversi, ma mai, era impossibile, lontani dal suo elemento. Così, ricordandomi improvvisamente del mio, sollevai leggermente una manica della mia veste, e fu allora che lo vidi. Sempre uguale, mai differente da come lo ricordavo, il mio segno. Come inciso sotto pelle, simile al tatuaggio che il mio Chris aveva sulla sua, ma con un grande, grandissimo significato. Non che il suo, chiara effigie di una spada unita e incrociata a una rosa non ne avesse uno, anzi, ma nonostante tutto, quando a volte mi guardavo le mani anche solo per ammirare l’anello che ci univa, non riuscivo a smettere di pensarci, riflettere e ricordare ogni volta quanto fossi fortunata. Stavo bene, ero felice e continuavo a crescere come fata anche da adulta, ed era solo grazie a lui. Felici, permisi a un ennesimo sorriso di spuntarmi in volto, e tornando alla realtà, posai la mano sul davanzale. Colta alla sprovvista, lo scoprii freddo, e sorpresa, la ritirai all’istante. Notandomi, Christopher me lo impedì, e messe da parte la pianta e i ricordi che era capace di evocare, me la strinse. “Che stai facendo?” sussurrò, dolcissimo. “Avevo freddo.” Biascicai, il tono sospeso a metà fra vergogna e imbarazzo. Senza dire altro, lui strinse ancora di più la presa, e sollevandola con delicatezza, se la portò alle labbra, baciandone lievemente le dita ad una ad una. “Adesso?” chiese, con voce bassa, calma e suadente. “N-No.” Riuscii a malapena a dirgli, emozionata. In quel momento, il cuore prese a martellarmi nel petto, e posando la mano libera proprio sul cuore, come a volerne controllare i battiti, sperai ardentemente che si calmasse. Testardo, non volle saperne, e a pochi passi da me, Christopher sembrò avere la stessa opinione. Lento, mi attirò a sé per un abbraccio, e del tutto rapita, non mi sottrassi. Di lì a poco, i miei battiti accelerarono ancora, tanto da poter essere uditi nel silenzio della stanza, e solo per qualche istante, il resto del mondo cessò di esistere. Non pensavo più a Lucy e alle sue viole, a Sky e alle parole che da poco mi aveva rivolto, a Midnight e al pacco che pareva trasportare quasi fosse stato un piccione viaggiatore anziché un merlo, ma a lui. A Christopher, all’uomo che più amavo. Dispettoso e volubile, il sole si era improvvisamente nascosto fra le nuvole, facendo calare nella cucina di casa un’oscurità inaspettata, ma che nello spazio di qualche momento, ebbe su di me uno stranissimo effetto calmante. Ad essere sincera, non sapevo se ad averlo fosse il buio o la presenza del mio amato, probabilmente entrambe, ma in quel pomeriggio così emozionante non avevo voglia di pensare ai segreti. C’erano, ci avrebbero seguiti come ombre, Chris ed io li avremmo affrontati insieme, certo, ma non ora. Non ora, o almeno non subito. Completamente rilassata, scoprii fra le sue braccia il mio porto sicuro, e ad occhi chiusi, sentii anche il mio cuore calmarsi, decelerando fino ad entrare in perfetta sintonia con il suo. Come dotati di vita propria, il mio ciondolo e il mio segno presero a brillare, e non appena si acquietarono, rieccola. Inaspettata e più brillante di quella che osservavo al mattino, tale da accecarci, la luce. Colta alla sprovvista, fui costretta a coprirmi gli occhi oltre che a chiuderli, e spaventata, Willow si rifugiò sul divano, unico luogo, o almeno così sembrava, in cui quel bagliore non era in grado di raggiungerla. Poco dopo, totalmente a mio agio, risi di cuore della sua codardia, mentre anche Cosmo, abituato a me e ai miei poteri, appariva del tutto tranquillo, e anzi, perfino meravigliato. Quasi a bocca aperta, rimase lì seduto a guardarci, e quando finalmente tutto tornò alla normalità e guardai fuori, notai che la mia magia, o una sorta di scoppio emotivo, se proprio dovevo dargli un nome, aveva funzionato. Le viole erano vive e vegete, il sole splendeva di nuovo oltre le nuvole e il loro candore, e in alto nel cielo, di nuovo intento a solcare l’azzurro, proprio Midnight. Incuriosito, Cosmo piantò le zampe sul davanzale della finestra rischiando di far del male a quei fiori, ma veloce, glielo impedii. “Attento!” gli intimai, più preoccupata che nervosa. Voltandosi a guardarmi, il mio amico Arylu si scusò con un uggiolio, e poco dopo, mugolando anche senza guardarmi, parve scoprire qualcosa. Appena oltre la finestra, il solito spettacolo di erba e selciato insieme, o in altre parole la piazza principale di Eltaria, e lì, in mezzo alla calca di fate, folletti e umani del mercato pomeridiano, qualcuno. Incerta e troppo lontana per esserne sicura, aguzzai la vista, ma invano. Spinto dalla curiosità, Christopher provò a fare lo stesso, ma quando anche lui non riuscì a vedere nulla, lasciammo la cucina per tentare la fortuna in salotto. Fatti pochi passi, il soggiorno e il calore del caminetto acceso ci accolsero, e veloci, ci affrettammo per raggiungere la finestra. Per nostra sfortuna, ancora niente, e tutt’altro che in vena di perdere tempo, desistetti. Girando di nuovo sui tacchi, mi ricordai dei bambini, e diretta verso la camera da letto, esitai, ripercorrendo i miei passi così da sincerarmi di avere tutto sotto controllo. Ancora troppo piccoli per piangere e lamentarsi, Darius e Delia non mi stavano chiamando, ma ormai era pomeriggio, per loro ora di merenda, e decisa, mi preparai a raggiungerli. Così, alcuni attimi scomparvero dalla mia vita, e riempiti i loro biberon di latte caldo, attraversai il corridoio. Poco prima che potessi farlo, un rumore alle mie spalle mi distrasse. Nessuno in casa se lo aspettava, ma a quanto sembrava, quel misterioso figuro ci aveva raggiunti, e ora non sentivamo che strani tonfi contro la porta di casa. Per nostra fortuna, il legno sembrava attutirli, ma non era abbastanza. Paralizzata, mi bloccai sul posto, e solo allora, una voce risuonò dalla camera degli ospiti. “Vado io, Kia!” grazie al cielo si trattava di Sky, e tirando un sospiro di sollievo, tornai ai miei doveri di madre. Abbozzando un sorriso, Christopher non esitò a seguirmi, e solo pochi istanti dopo, la porta si aprì. Confusa, mi voltai per controllare chi o cosa ci fosse appena oltre la soglia, e fu allora che lo vidi. “N-Noah?” biascicò mia sorella, incredula. In silenzio e a labbra serrata, anch’io stentavo a crederci, ma ero lì con lei, non stavo sognando, e ne ero sicura, la vista non mi ingannava.  A quanto sembrava, e finalmente, c’era da dirlo, quel giovane ragazzo aveva ascoltato il proprio cuore fino a prendere una vera decisione, e ora, letteralmente in ginocchio da lei, con l’aria stanca e uno zaino sulle spalle, la guardava. Chiuso in un silenzio di tomba, quasi non riusciva a parlare, e nello sguardo color nocciola non scorsi altro che dolore e pentimento. “Che... che ci fai qui? Tu hai...” balbettò a quel punto Sky, confusa come e forse più di prima. Interdetta, non seppi cosa dirle, e sorprendendoci entrambe, Noah si rialzò in piedi con uno sforzo, e respirando a fondo, riprese la parola. “Eden, lo so, ma è questo il punto. Sky, sono tornato da te, davvero.” Confessò, sincero e realmente innamorato. Colpita, mia sorella non fece che guardarlo, il volto contratto in una smorfia di sorpresa mista a stupore. “Che... che cosa? Vuoi dire che...” rispose in un sussurro, ancora sconvolta e quasi incapace di esprimersi. “Esatto. L’ho lasciata, e per sempre.” Si limitò a dirle lui, deciso come e forse più di prima. “Dici sul serio?” azzardò allora lei, con la voce spezzata e le lacrime agli occhi. Emozionato, Noah si richiuse nel silenzio, e sfiorandola appena, posò la fronte contro la sua, prendendole il viso fra le mani in un gesto dolcissimo. “Certo, tesoro, certo. Quell’elfa per me non esiste più. Ci siamo lasciati, non abbiamo avuto modo di spiegarci, i nostri amici hanno provato e fallito, ma ora è tutto diverso.” Riprese a dirle, stringendola a sé per quel contatto al tempo stesso romantico e solenne. “Noah, ti prego, non capisco!” si lamentò lei, con la voce ora rotta dall’emozione mentre rischiava di scoppiare a piangere. “Sky, amore, c‘è poco da capire. È esattamente come ho detto! Insomma, abbiamo sbagliato. Siamo stati gelosi entrambi, tu di Eden e io di...” Continuò lui, zittendosi di colpo. “Di?” lo incalzò lei, nervosa e preoccupata. Colto alla sprovvista, Noah deglutì a vuoto, e tremando leggermente, le strinse ancora le mani, deciso a vuotare il sacco e dirle in un sol colpo tutta la verità. “Di Major, ecco.” In tre parole, la nuda e cruda verità, il germe dell’invidia e dell’insicurezza che si era insinuato in lui divorandolo dall’interno come uno schifoso parassita. Ora tutto aveva senso, solo ora si capiva, e priva di fiato e parole, Sky rimase lì, fredda, ad osservarlo mentre piccole e calde lacrime le scivolarono sul volto. Svelto, lui fu lì per consolarla, e pur lasciandolo fare e stringendosi a lui alla disperata ricerca di conforto e protezione, non riuscì a calmarsi Da allora in poi, il silenzio aleggiò nella stanza, pesante come una cappa di umida nebbia, e arrabbiata come non mai, lei reagì all’istante. “Accidenti a te, Noah!” sbottò, nelle sue parole un misto d’ira, dolore e tensione. “Era ovvio! Era ovvio, non lo capisci?” aggiunse poco dopo, sforzandosi per parlare a dovere e quasi ferendosi da sola, la gola già in fiamme a causa di quel singolo tentativo. “Tu sei umano, forse non ne hai idea, ma è così per ogni fata abbiamo tutte un protettore, maledizione! Ero felice di rivedere Major quella sera, felice e basta! Non l’ho mai amato, non potrei, perché...” una dopo l’altra, le frasi di quel discorso abbandonarono le sue labbra, e scioccati, tutti noi ascoltavamo. Primo fra tutti lo stesso Noah, che ora l’aveva lasciata per darle il suo spazio, e aveva tenuto per un attimo le mani in alto in segno di resa, lasciando che si sfogasse e buttasse fuori tutto quell’astio nei suoi confronti. Sentire quel nome e poi quell’accusa doveva averla ferita, ma la conoscevo, e in genere la rabbia era spesso la sua unica valvola di sfogo in momenti di forte carica emotiva come questi. In breve, il vento attorno a lei aumentò d’intensità, fino a scuotere gli alberi e far tremare le finestre, ma del tutto rilassato di fronte a lei, Noah affrontava quella tempesta, aspettando silenziosamente che passasse. “Non fa niente, Sky. Non succede niente, sei qui con me, d’accordo? Sei qui con me.” Le sussurrò, calmo e tranquillo, respirando piano per farle capire come fare. A quelle parole, lei riaprì gli occhi tenuti chiusi per un breve momento, e tornando ad essere sé stessa, ricominciò a piangere. “Sì, ma tu sei uno stupido idiota.” Gli fece notare, con la voce ancora rovinata dal pianto e gli occhi velati dalle lacrime. Non sapendo come reagire, Noah rimase fermo a guardarla, e azzardando qualche passo verso di lei, si ritrovò di nuovo fra le sue braccia. Così com’era arrivato, il vento cessò e tacque, e nel silenzio, la voce di mia sorella si udì lieve ma chiara e limpida, come rugiada che faceva splendere le foglie al mattino. “Il mio, stupido idiota. In quel momento, una vera e propria confessione, che Christopher ed io ascoltammo senza parlare né interrompere, neanche quando per la sorpresa i due biberon dei miei piccoli rischiarono di cadermi di mano. Orgoglioso e ancora innamorato di lei, Noah le sorrise, e rendendo ancor più puro e solido quell’abbraccio, venne sorpreso dall’irruenza di mia sorella, irruenza che li portò a un bacio colmo d’affetto e d’amore sincero l’uno per l’altra, che armandosi di coraggio e pazienza lui era riuscito a dimostrarle mettendo da parte vergogna e paura, rivelandosi, grazie a quei gesti e alla sua bontà d’animo, proprio come avevo letto in un libro sacro agli umani, in un racconto da loro conosciuto come parabola, una sorta di fedele innamorato prodigo. 




Buon pomeriggio a tutti i miei lettori. Stando alla mia tabella di marcia, questo capitolo avrebbe dovuto essere online ieri, e in effetti era quasi pronto, ma un impegno dell'ultimo minuto mi ha impedito di pubblicare. Rimedio, diciamo, ora che posso, ma sappiate che per un pò di tempo questo sarà l'ultimo che pubblicherò. Arrivata a questo punto della storia mi serve tempo per pianificare il prossimo, ma intanto ringrazio ognuno di voi per l'importante supporto. Ci risentiremo nel prossimo capitolo, che spero di scrivere presto,


Emmastory :)
   
 
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