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Autore: Juliet8198    26/08/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
________________________
-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voleva scappare. Lo desiderava così ardentemente da sentire male al petto. Ma sapeva che non poteva. Non con la prospettiva della persona che lo aspettava. Nonostante ciò, serrò gli occhi in un morsa e strinse i denti più forte che poteva. La tentazione era grande. Abbandonare quel viaggio, rinunciare alla speranza di uscire di lì e accontentarsi di nutrirsi della sua immaginazione sarebbe stato così facile. Così conveniente. E così maledettamente meno doloroso. 

 

La sua mente sembrava incastrata in un disperato loop di frenetici pensieri. 

 

"Perché devo essere solo?"

 

"Voglio Jein." 

 

"Voglio Tae." 

 

"Voglio mio padre." 

 

Un soffio di vento freddo gli sfiorò la pelle, facendo scattare i suoi nervi come fuochi d'artificio. Il fantasma di Jein gli aveva dato un bacio sotto all'orecchio. Una serie violenta di brividi prese a camminargli sul corpo, giocando a far tremare le sue dita. 

 

"Smettila!"

 

"Allontanati da lei!" 

 

Il fantasma continuò con estrema lentezza a tracciare un percorso con le labbra dalla sua mandibola alla sua clavicola. Jimin tremava sempre più violentemente, ma le sue mani non si mossero né i suoi piedi si allontanarono. 

 

"Io... non ce la faccio." 

 

Silenziosamente, una lacrima prese a farsi strada sul suo viso. Jimin la lasciò fare, perché sapeva che non avrebbe avuto modo di fermarla. Né lei, né le sue sorelle che poco dopo la seguirono. 

 

 

-TaeeeeeeeeTaeeeeeeee!- 

 

Al suono della propria voce, le ciglia di Jimin sfarfallarono sulla sua pelle. Aprì leggermente gli occhi umidi ed inglobò velocemente la nuova scena che aveva preso piede. 

 

-Brutto sssssssscemo che non sei altro... vieni quaaaaa!- 

 

Una copia di sé fece il suo ingresso in un parco avvolto nel buio della notte, silenzioso come le stelle. La copia barcollò leggermente verso una panchina solitaria, abbandonandosi sul freddo metallo e catapultando la testa all'indietro. Pochi istanti dopo, Taehyung lo seguì con il telefono in mano puntato sul volto del ragazzo ubriaco e il viso contratto in una risata spasmodica. 

 

-Taaaaaaaeeeeee... zioooooo, dobbiamo parlare...- 

 

La copia di Jimin divorava le parole con il suo forte accento di Busan e la lingua incollata alla bocca dall'alcol. Il ragazzo che osservava la scena per un momento dimenticò tutto. Il fantasma alle sue spalle, la sua solitudine, le sue insicurezze. 

 

Sbatté le palpebre un paio di volte, sciogliendo l'appiccicume delle lacrime residue, e osservò il volto del suo migliore amico sparire, divorato da una risata profonda e talmente forte da impedirgli di respirare. 

 

-Taeeeeee, smettila di ridere, cretinoooo! Dobbiamo parlare di cossssse sssserie!- 

 

Taehyung sembrava sordo ai richiami dell'amico, mantenendo il telefono davanti al suo volto mentre si afferrava la pancia dolorante a causa delle risate. 

 

-Ascolta, zio... tuuuu... non ti puoi comportare così! Noi ssssssiamo una famiglia!- aveva esclamato lamentosamente la copia di Jimin. 

 

Lentamente, il ragazzo ubriaco sembrò perdere le energie che lo avevano animato all'inizio della scena e abbandonò il capo sulla spalla del giovane accanto a lui. Taehyung, per contro, si era zittito improvvisamente abbassando lo sguardo a terra. Jimin poteva vedere il rimorso riaffiorare nei suoi grandi occhi scuri e formare delle piccole chiazze di tristezza. 

 

-Ssssiamo una famiglia... quindi dobbiamo comportarci come tale...- continuò la copia, trascinando ogni parola sulla lingua. 

 

Il suo amico sembrò trarre un respiro tremolante, incerto. Teneva gli occhi lontani dal ragazzo appoggiato alla sua spalla e aveva abbassato il telefono, passandolo nervosamente da una mano all'altra. 

 

-Non posssssiamo essere egoisti. Dobbiamo fare le cose insieme e dobbiamo ri... rispettarci a vicenda...- 

 

Il tono della copia si era abbassato di qualche ottava, facendo assumere alla sua voce normalmente acuta e limpida un certo rauco raspare che gli dava un tono più serio, più malinconico. 

 

-Ti voglio bene come un fratello, sssssscemo. Ci tengo a te e ci tengo a tutti gli altri, perciò voglio che le cose tra di noi funzionino.- 

 

Taehyung deglutì rumorosamente con il mento leggermente tremante. Sembrava un bambino. Era una cosa che succedeva spesso e Jimin la trovava inesorabilmente adorabile. Il modo in cui si mordeva le labbra quando veniva rimproverato, il modo in cui tirava le maniche delle maglie per coprirsi le mani quando era nervoso e lo sguardo corrucciato che mostrava quando era contrariato. Era uno dei motivi per cui non riusciva mai a restare arrabbiato con lui per troppo tempo quando litigavano. 

 

-Scusami.- mormorò il suo amico facendo vibrare la sua voce profonda nel petto. 

 

La copia di Jimin diede al ragazzo una pesante pacca  sullo stomaco, facendo strozzare il malcapitato compagno con la propria saliva a causa del colpo. 

 

-Non devi chiedere scusa a meeeeeee... e la prossima volta... non litighiamo più per una stupida scatola di ravioli al vapore, ok?- 

 

Taehyung, una volta ripresosi dal colpo, prese ad annuire scuotendo la testa su e giù con energia e facendo volare la sua folta frangetta di capelli. 

 

Jimin abbracciò la scena con lo sguardo senza accorgersi del sorriso che aveva timidamente  invaso la sua bocca. Lo stupido incidente dei ravioli. Lo stupido Taehyung che all'età di vent'anni si comportava ancora come un bambino viziato. Gli mancava. 

 

Con una sensazione di malinconia che cresceva come alta marea dentro al suo corpo, disse addio al parco notturno e alla panchina solitaria che portava in grembo le due figure. Chiuse nuovamente gli occhi. Questa volta, avrebbe combattuto per impedire alle lacrime di scendere. 

 

"Mi stai aspettando anche tu... non è vero?" 

 

 

Nel giro di pochi istanti, il cielo buio e costellato di stelle era diventato un soffitto famigliare. L'erba del parco si era appiattita in un pavimento e il piccolo spazio era diventato più claustrofobico a causa dei tre letti a castello a ridosso l'uno dell'altro e del settimo letto singolo che lasciava un minimo spazio vitale per il transito. Il primo dormitorio che aveva diviso con il suo gruppo. 

 

Jimin ingurgitò l'ambiente con gli occhi, cercando di allontanare la sua attenzione dalle mani del fantasma che gli accarezzavano il ventre con movimenti lenti e così disperatamente affettuosi. Indugiò sul letto in basso dell'ultima struttura, quella più vicina alla finestra. Il suo letto. Non gli mancava l'invivibile strettezza della stanza o le notti passate a calpestare mutande, magliette o sneakers disseminate sul pavimento nel tentativo di raggiungere il bagno e finendo inesorabilmente per sbattere contro uno dei letti o il piede di qualche malcapitato. Doveva però ammettere che gli mancava addormentarsi al suono dei sei respiri che popolavano la stanza e, nel caso di Namjoon, del lieve russare di cui tutti si lamentavano. Gli mancava anche schiantarsi sul materasso con i muscoli urlanti di dolore e il viso sconvolto dalla stanchezza e vedere lo stesso sguardo imbambolato dal sonno negli occhi dei suoi compagni. Gli mancava anche sentire i rimproveri di Jin ogni qualvolta i più giovani andavano a dormire tardi perché erano rimasti troppo tempo davanti ai videogiochi o le ramanzine piccate di Hoseok sul disordine che dominava la stanza. 

 

Jimin osservò attentamente quell'ambiente in cui erano stati stretti, compatti come sardine, con i corpi sprizzanti di energie e le menti cariche di sogni inespressi. Forse era stato quel periodo di estrema intimità a trasformarli in un gruppo così unito. La vicinanza fisica si era, col tempo, evoluta in vicinanza emotiva. 

 

-Tae non ce la faccio...- 

 

Jimin aveva provato ad ignorare per più tempo possibile i singhiozzi sommessi del ragazzino coi capelli a scodella e la pelle scurita dall'abbronzatura che era abbandonato sul grembo del suo migliore amico. Quello, a sua volta, aveva gli occhi leggermente umidi e le labbra contratte in una smorfia di tristezza. Quegli occhi così grandi, che erano ancora più evidenti quando aveva solo diciassette anni e che lo facevano assomigliare ad un cucciolo di beagle. 

 

-Lo so Jiminie, lo so...- aveva mormorato accarezzando la testa dell'amico. 

 

Lo spettatore, stranamente, non sentì nessun grumo incastrarsi in gola né sentì gli occhi bruciare davanti al ricordo. Per qualche motivo era solo nostalgico. 

 

-Tae... continuiamo a lavorare, a provare fino a perdere la voce e ballare fino a che le gambe non cedono... ma non serve a niente!- 

 

I singhiozzi risucchiavano il respiro e le parole della copia di Jimin, che stringeva gli occhi nel tentativo di fermare le lacrime. Il suo amico era sul punto di crollare a sua volta, perciò tenne la bocca serrata e lo sguardo davanti a sé. 

 

-Non debutteremo mai! Non abbiamo speranze!- 

 

La voce rabbiosa del ragazzino risuonò nella piccola stanza, affondando nella stoffa della maglia di Taehyung e ringhiando dalla disperazione. 

 

Jimin, sospeso in una sorta di trance, si avvicinò silenziosamente alle due figure abbarbicate l'una all'altra. Quello che stava facendo non aveva senso e non avrebbe cambiato le cose. Ma, forse, lo avrebbe aiutato a sentirsi un po' meglio. 

Zigzagando fra i letti, raggiunse i due ragazzini e si inginocchiò davanti a loro. Quelli, in risposta, sembrarono non notare minimamente la sua presenza. 

 

-Ti sbagli.- 

 

Gli occhi del ragazzo osservarono le labbra tremanti della sua copia e le sue mani arpionate al tessuto slavato della t-shirt di Taehyung, sordo alle sue parole. 

 

-Debutterete tutti insieme. E sarà dura. Dovrai sudare ancora di più e soffrire ancora di più. Ma raggiungerai vette che mai avresti pensato di poter anche solo sfiorare.- continuò imperterrito il giovane, cullando con lo sguardo quei due marmocchi insicuri. 

 

-E quando le raggiungerai ti renderai conto di quanto sia difficile respirare lassù. E quando te ne renderai conto ringrazierai il cielo perché anche se ti troverai nel posto più freddo e isolato del mondo, sarai lì insieme ad altre sei persone che si sentono esattamente come te.- concluse sospirando sommessamente. 

 

Non seppe come o perché, ma i due ragazzini alzarono lo sguardo. I loro occhi avidi di successo e pieni di disperata fame di dimostrare il loro valore lo fissarono intensamente con una punta di scioccata speranza. Lo avevano sentito? Avevano capito quello che aveva detto? Prima di scoprire la verità, il mondo riprese a mescolarsi e a confondersi, sciogliendo lo sguardo della sua copia, che lo fissava con un'intensità disarmante. 

 

 

Jimin emise un altro sospiro. 

 

"Quanto ci vorrà perché questo viaggio finisca?" 

 

I suoi occhi atterrarono brevemente sull'unica figura che sembrava non venire divorata dal vortice di colori confusi attorno a loro, che continuava a rimanere al suo fianco nonostante il mondo cambiasse. 

 

Il fantasma lo guardò, piegando lievemente il capo con una smorfia giocosa sulle labbra. 

 

-Perché mi fissi?- mormorò la sua voce maliziosa. 

 

"Non è lei." 

 

Il ragazzo scosse seccamente il capo ma non fu capace di distogliere lo sguardo. Lei si avvicinò di qualche passo, alzando un sopracciglio con un velo di divertimento negli occhi. 

 

"Non è lei." 

 

Si avvicinò alla sua figura ancora accovacciata davanti ad un letto che non c'era più e protese la mano verso di lui. Gli accarezzò la guancia senza lasciare alcuna traccia sensoriale del suo tocco e passò lentamente il pollice sul suo zigomo. Si accovacciò a sua volta, inginocchiandosi davanti a lui con gli occhi carichi di qualcosa che Jimin non riusciva a leggere. Era la norma per lui non riuscire a capire cosa passasse per la testa della ragazza, ma questa volta era diverso. Sembravano acque ben più insondabili e assai più pericolose di quelle a cui era abituato. 

 

Quando lei fu al suo livello, afferrò la sua mano e la condusse  vicino alla sua bocca con la gentilezza di un ballerino che guida la sua dama. Socchiudendo le palpebre, il fantasma di Jein baciò le nocche della mano appena più grande della sua, una alla volta. Con estenuante lentezza e con strabordante dolcezza. 

 

"Non è lei."

 

Jimin, con uno sforzo estremo, strappò i suoi occhi dalla ragazza per concentrarsi sul nuovo ambiente circostante. Si trovava di nuovo dentro al loro primo dormitorio, ma questa volta la sua copia era spaparanzata sul pavimento del piccolo salotto in cui il gruppo di solito condivideva i pasti. Si udì un cigolio lamentoso e lo schianto della porta di ingresso, i cui cardini non erano mai stati aggiustati nonostante lavorassero decisamente male. Quando il rumore perturbò la stanza, si udì in lontananza un sommesso "Ops". 

 

La copia di Jimin si sollevò a sedere, incrociando le gambe e guardandosi attorno. Dal corridoio dell'ingresso, allora, emerse un ragazzino allampanato, con indosso dei ridicoli pantaloncini rossi e un berretto dei New York Yankees con la visiera maldestramente rivolta all'indietro. Non appena il nuovo arrivato vide il sedicenne Jimin sul pavimento, spalancò gli occhi e iniziò a boccheggiare con crescente imbarazzo. 

 

-Ah... ciao! Scusa per la porta, io... sono Taehyung, quello nuovo. Piacere!-

 

 

VMIN OVERLOAD, I'M INTO THAT, I'M GOOD TO GO

Sorry, Dynamite mi si è incastrata nella testa e non se ne vuole andare. Che ci devo fare? 

Comunque, questo capitolo è davvero VMIN overload. È venuto propio spontaneo. Quando ho saputo del dumpling incident DOVEVO metterlo. Era un imperativo morale. E quindi... niente. 

Come avrete ho fatto una piccola modifica alla struttura del testo. Per rendere la lettura più scorrevole ho separato i caporiga con uno spazio. È una cosa che mi alleggerisce come lettrice perciò ho pensato di applicarla come scrittrice.

   
 
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