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Autore: H_A_Stratford    27/08/2020    5 recensioni
«Io…» mormorò Spencer ancora con la mano sulla maniglia della porta. Che fare ora?
Aveva pensato a tutta la notte alle parole della ragazza e in quel momento nessuno dei discorsi pre impostati sembravano funzionare.
«Ho realizzato che niente è normale tra di noi. Tu sei tu, io sono io e insieme… il caos cosmico» ammise la ragazza mordicchiandosi leggermente il labbro. Reid stava per ribattere sul caos cosmico ma si rese conto che non era il momento. Camminavano già abbastanza sui cocci per poter aggiungere carne al fuoco. Però allo stesso tempo non riuscì a trattenere un sorriso.
«E non voglio perdere quello che abbiamo, qualunque cosa sia» continuò guardandolo. «Prometto che ti lascerò tutto lo spazio che ti servirà, tu credi di poter creare un posto nella tua vita per me?»
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Spoiler ottava stagione. Non segue linearmente la serie.
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15
 
La notte è la prova che il giorno non è sufficiente.
-Elizabeth Quin
 
Athena si stava per addormentare sul libro posato davanti a lei. Stava studiando insieme ad Helen e Theodore ma dopo pochi minuti dall’inizio del discorso di Helen la testa della bionda si era fatta sempre più pensate, fino ad arrivare alla necessità di poggiarla sulle pagine del libro. Era attenta, ovviamente, ma il suo corpo stava iniziando a cedere. Non aveva mai avuto problemi a studiare fino a notte tarda, ma quell’ultimo periodo era stato così intenso da lasciarle poco, pochissimo, tempo per respirare.
«Il caffè ha smesso di funzionare» mormorò Athena notando che l’amica avesse smesso di parlare e sentendo gli occhi puntati addosso. «Ma non sto dormendo» quasi si difese alzando le mani. Helen a stento trattenne una risata, anche lei era esausta.
«Ed è per questo che ho preparato il gin tonic» rispose semplicemente Theo avvicinando la caraffa alla ragazza. I libri sparsi per tutto il tavolo vennero messi da parte, non avevano bisogno di appunti inzuppati d’alcol. Ora che erano quasi tutti ben impilati da una parte i tre ragazzi trasalirono. Erano decisamente troppi.
Athena inarcò un sopracciglio e guardò l’amico. «Credo rimarrò fedele al caffè» mormorò tornando a concentrarsi sulla conversazione per poi allungandosi per recuperare la sua tazza. Quasi ebbe un crollo emotivo quando vide che era vuota. Erano le dieci di sera passate e non erano neanche lontanamente vicini alla fine. Si erano ritrovati la mattina per studiare per gli esami di fine corso a casa di Athena. Inutile dire che nel giro di poche ore l’intera cucina della ragazza era stata investita in pieno di appunti, libri e disperazione.
Helen e Athena facevano i doppi turni con i corsi extracurricolari, dando il tempo a Theodore di pensare al cibo, caffè e alcol.
Impossibile capire come il ragazzo potesse funzionare perfettamente anche con litri di caffeina in corpo con contorno di Gin Tonic. I livelli erano ancora entro una certa normalità ma Athena aveva il sospetto che se non avessero iniziato a bere anche dell’acqua le cose non sarebbero finite bene.
«Ma se tornassimo ad ordinare da mangiare?» propose Theodore ed improvvisamente gli occhi delle due ragazze si illuminarono.
«Ma forse non dovremmo» ribatté Helen ripensando a tutto il cibo spazzatura ingerito da quando aveva iniziato l’università.
«Shh, da qualche parte nel mondo è ora di cena» sentenziò Athena già immaginando cosa potesse ordinare. «Abbiamo bisogno di energia, non possiamo continuare a buttare giù solo caffè» cercò di essere il più ragionevole e persuasiva possibile, cosa che le era sempre venuta bene.
«E alcol!» aggiunse Theo facendo scoppiare a ridere tutti quanti.
Helen aveva appena messo su la macchina del caffè per l’ennesima volta quel giorno quando il telefono di Athena iniziò a suonare.
«Un minuto» disse prima di alzarsi dalla sedia e avviarsi in camera. Theo era già al telefono per ordinare una quantità industriale di cibo d’asporto, quindi non fece molta attenzione a lei.
«Ehi» mormorò Athena rispondendo al telefono. «Serata lunga anche per te?» continuò guardando il suo orologio al polso che segnava quasi le 10:30. Si era spostata nella camera per avere un po’ di privacy e l’improvviso silenzio quasi la colpì in pieno: finalmente la pace dopo quella giornata frenetica. Quando non sentì nessuna risposta dall’altra parte corrugò appena la fronte. «Spencer?»
«Mh» fu l’unica cosa che riuscì a dire mentre si passava una mano sul viso. Il caso a cui stavano lavorando era così lungo e logorante che anche lui si era ammutolito davanti a tanta sofferenza. Per sua fortuna non gli capitavano spesso casi del genere, ma quelle poche volte rimanevano impresse come inchiostro sulla pelle.
«Beh – iniziò a dire Athena colmando il silenzio che si era creato – ho ancora Theo ed Helen da me» si sedette a bordo del letto e lasciò cadere la testa all’indietro. Era la prima volta in tutta la giornata in cui si prendeva una pausa. Ne aveva davvero bisogno. «Orra siamo in pausa cibo, Theo sta ordinando in questo momento e cavolo, dovresti sentire quanto è lunga la lista. Questo perché stiamo ancora provando a finire il programma di criminologia generale, sembra non finire» continuò a parlare e sentì Spencer accennare una risatina. «Oh, non ti ho autorizzato a ridere, non tutti hanno la tua memoria» lo ammonì facendo roteare gli occhi.
«Lo sai che non hai bisogno della mia memoria» disse Reid avvicinandosi alla finestra della stazione di polizia. Dietro di lui JJ fissava i fascicoli a vuoto, come se aspettasse che all’improvviso prendessero vita e le dessero la soluzione. Era esausta ma non poteva arrendersi, non in quel momento. Quando si riprese dal suo stato di trance alzò lo sguardo verso l’amico e sorrise appena vedendolo al telefono. Dare la buonanotte ai suoi piccoli Henry e Micheal non era stato facile quella sera, ma mai come quella sera era stata grata di saperli a casa al sicuro con Will.
Il suo sguardo cadde nuovamente sulla fotografia dell’ultima vittima, Rose di tre anni e chiuse per un momento gli occhi. Poteva farcela, potevano farcela. Dovevano.
Spencer girò lo sguardo e vedendo JJ sospirò appena. «No, questo non te lo insegnano nei libri dell’accademia» ammise. La ragazza era la sua valvola di sfogo, con il tempo aveva imparato a confidarsi con lei e a lasciare che lo aiutasse. Ma in quell’occasione neanche lui sapeva da dove incominciare. Era grato di averla al suo fianco, anche se a chilometri e chilometri di distanza.
Athena dal canto suo sentì nuovamente l’odore di caffè invadere il suo appartamento e quasi come per magia riacquisì un po’ delle sue energie. Sapeva che non c’era la cosa giusta da dire, le parole erano vane in quel momento. Così tornò a parlare di quanto gli esami di fine corso stessero mandando fuori di testa i tre ragazzi e di come avrebbe avuto bisogno di una seria disintossicazione da caffeina a lavoro finito. Magari anche di una dieta più equilibrata, ma era meglio non esagerare.
Spencer quasi rise alla fine del racconto di lei per la grande drammaticità usata, gli era mancato il suo senso di ironia.
«Grazie» fu l’unica cosa che riuscì a dire prima di salutarla per tornare a lavorare al caso.
 
 
Erano le dieci del mattino quando il telefono di Athena iniziò a suonare senza sosta, obbligandola ad alzarsi dal letto. Era quasi l’alba quando era andata a dormire e dato che quello era il suo giorno libero, aveva deciso di dormire il più possibile.
«Justin?» borbottò la bionda con ancora la voce impastata dal sonno.
«Ah, allora ti ricordi di me! Da quando sei rimasta a Washinton per il giorno del ringraziamento-» iniziò a parlare il fratello ma Athena lo zittì subito.
«Mi hai chiamata per questo?» disse passandosi una mano sul viso, cercando di svegliarsi completamente.
«Da quanto non vedi Spencer?» ribatté Justin inarcando un sopracciglio, ma subito si ricordò che era sempre meglio non far arrabbiare la sorella appena sveglia. «No, ho chiamato perché mamma vuole sapere se torni a casa per Natale».
Athena corrugò la fronte. «Perché non dovrei tornare a casa per Natale?» chiese poi retorica mettendosi seduta sul letto. «E poi perché non mi chiama lei?»
«Lo sai com’è. Ha paura che tu vada a Washinton per Natale come hai fatto per il giorno del Ringraziamento» sospirò Justin lasciandosi andare sulla sedia. L’ufficio era silenzioso quel giorno, così aveva deciso di chiamare la sorella in un momento di pausa. «Quest’anno è il turno dei genitori di Kate e Mike sembra sia via, quindi…»
«Quindi rimango solo io» mormorò Athena con un filo di voce. Erano abituati a vedere Justin ad anni alterni, da quando le cose si erano fatte serie con Kate avevano iniziato a passare il Natale insieme, dividendosi tra le due famiglie. Athena non aveva mai perso una festività in famiglia, quello era stato il primo anno che non era a casa per il giorno di Ringraziamento. Non lo aveva neanche programmato, era stato un evento casuale. Era con Spencer quando Garcia lo aveva chiamato per organizzare la cena con tutta la squadra e famiglia, così senza neanche rendersene conto aveva acconsentito a presentarsi alla cena del Ringraziamento.
«Certo che torno a casa per Natale» aggiunse dopo aver notato il silenzio da parte del fratello.
«In due?» aggiunse lui con un piccolo sorriso malizioso sulle labbra. Non aveva ancora avuto occasione di conoscere bene il fidanzato della sorella e non vedeva l’ora di metterlo sotto torchio.
«Non ne abbiamo ancora parlato» ammise Athena stringendosi nelle spalle. Finalmente decise di alzarsi dal letto e iniziare a prepararsi per la giornata.
«Lo sapete che è dicembre, vero?» chiese Justin ironico, posando la sua attenzione sul calendario sulla scrivania.
«Oh, te l’ho detto che con lui è complicato» ribatté la bionda quasi spazientita. Il ragazzo non le aveva neanche ancora parlato dei genitori, invitarlo a passare il Natale da lei aveva bisogno di una preparazione ben articolata.
«Ehi Bambi, riponi le armi, ti stavo solo stuzzicando» rise il fratello divertito. Adorava mettere alla prova i limiti della sorella e scherzare, era sempre stato il suo passatempo preferito. Da quando si erano separati era diventato più difficile ma non perdeva mai occasione.
«Non chiamarmi Bambi!» ribatté Athena alzando gli occhi al cielo.
«Non è colpa mia se da quando sei nata hai gli occhi grandi come una cerbiatta, Bambi» sentenziò Justin, sempre più divertito. Le mancava la sorella, ma anche il fratello nonostante lo vedesse spesso. A volte era un po’ nostalgico verso le giornate passate a casa con i genitori a bisticciare con gli altri due. Avrebbe sempre sostenuto la sorella, senza se e senza ma, però a volte si ritrovava a chiedersi come sarebbe se lei fosse rimasta o tornata a Boston.
   
 
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