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Autore: lainil    03/09/2020    0 recensioni
[Raccolta di One Shot]
1° [Reiju Vinsmoke] "L’aveva salvata, l’aveva portata via una sera di maggio nel sonno e lei non poteva che esserle più grata."
2° [Trafalgar Law - Eustass Kidd] "Non sa più niente Law, chiude gli occhi, lasciandosi cadere sul pavimento freddo di quella casa dove l’unico intruso è lui."
3° [Ace - Marco] "Sperando che, ovunque sia, lui sia felice e continui a festeggiare e a brindare alla famiglia che ha lasciato indietro."
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Eustass Kidd, Portuguese D. Ace, Reiju Vinsmoke, Trafalgar Law
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Buonasera a tutti.
Nonostante la data di iscrizione tradisca un po' le parole che sto per dire, io non sono nuova in questo sito, lo conosco e l'ho frequentato fin dal lontano 2013 con un altro profilo. Ho deciso di ricominciare da capo perché sono maturata e sono pronta per questo nuovo tentativo.
Parlando della storia: ogni One Shot è a sé e verrà introdotta con un piccolo elenco sulla parte destra della pagina che conterrà personaggi, generi, eventuali avvertimenti ecc. In fondo verrà inserito il prompt da cui è nata l'idea.
Vi ringrazio dell'attenzione e vi auguro buona lettura, sperando possa piacervi.
A presto.

 
Titolo: Requiem;
Genere: triste, malinconico;
Rating: giallo;
Personaggi: Vinsmoke Reiju;
Parole: 1663.

 
 
Le sue braccia abbandonano la loro rigidità, rilassandosi dal petto ai fianchi, mentre il vento l’attraversa, senza muoverle i vestiti, senza farle ondeggiare i capelli, senza farle sentire il freddo che la circonda. Avanza senza emozioni in quel grande prato verde del quale ricordava distrattamente i colori, gli odori e la meravigliosa vista che presenta.
È così bella, la natura.
Ed è così bello appartenerle dopo tanti anni di dolori e sofferenze.
Non esiste nulla di più libero della morte, che sia voluta o meno, che sia causata da un suicidio volontario o da un efferato omicidio o, ancora, da un incidente che ti ha coinvolto senza premesse o una malattia che ti ha portato via senza darti scampo.
La morte è tanto misteriosa quanto affascinante.
E lei l’ha provata in tutte le sue sfumature.
È morta tante volte prima di lasciare che anche il corpo accettasse quella fine.
È morta con la mente una, due, cinque, venti volte in così pochi anni di vita.
Ha odiato a morte – ironia della sorte – essere nata con i sentimenti, essere il primo esperimento, che aveva come fine conferirle una grande forza fisica, ma senza privarla di altro.
Ha invidiato, alcune volte, i suoi fratelli, nati quasi tutti come essere perfetti, senza emozioni che li demolissero, ma neanche che permettessero loro di amare la vita.
O di amare qualunque cosa fosse loro permessa.
Una donna, un profumo, una canzone, un paesaggio.
Nulla.
Macchina da guerra, senza pietà, senza freni, senza l’idea del dolore e del limite. Privi della capacità di capire cosa dire e quando farlo, incapaci di provare empatia e di comprendere quando tacere.
Di pazienza, lei, ne ha avuta tanta, troppe volte.
Ha cercato di far maturare e sviluppare in loro una minima emozione, di rivedere nei loro occhi gli occhi della madre tanto amata, eliminando quegli occhi freddi e desiderosi di potere del padre.
Insegnava loro le buone maniere, come approcciarsi a qualcuno, cosa evitare e quando farlo.
Nulla era servito, il tempo era stato sprecato, loro non capivano e lei soffriva anche per loro.
Nessuno di loro voleva imparare e lei sembrava pessima a insegnare loro la vita.
E moriva ogni volta.
Moriva quando Ichiji le urlava di tacere, che era debole, che era donna e le donne, si sa – diceva lui – sono il sesso debole, da lasciare indietro, e che gli anni di differenza non sono nulla, che lui era più grande di lei e l’erede al trono e che lei non valeva nulla con i suoi stupidi insegnamenti, fallita esattamente come il loro fratello.
Moriva quando Niji prendeva il piatto e lo lanciava con forza contro la loro cuoca, insultandola, mettendo i piedi sul tavolo, rovesciando l’acqua, sputando a terra il cibo, umiliandola e coprendola di parole pesanti e indesiderate, contro una persona che non le meritava, che piangeva in cucina, incapace di venire apprezzata per i suoi sforzi.
Moriva quando Yonji, l’unico che un po’ sembrava di apprendere da quei suoi insegnamenti, la guardava negli occhi, allungava le labbra in un ghigno e la prendeva in giro, ridicolizzando quel bene che lei provava per loro, sminuendo la sua forza, criticando la sua incapacità di andare oltre le macchine che erano. La distruggeva il fatto che lo facesse solo quando anche gli altri due c’erano.
Non voleva essere un secondo fallito, non voleva seguire le orme di Sanji.
Allora le missioni le faceva con lei, ascoltandola parlare delle emozioni, ma tornato a castello tornava come i suoi gemelli, era un cambiamento di carattere e modo di fare che la demoliva, più di quanto facessero gli altri due, perché si illudeva che con Yonji qualcosa poteva risolvere, un minimo di umanità la pensava di saperla trarre.
Invece non era servito a nulla.
Non era riuscita a risolvere niente.
Aveva sprecato vent’anni della sua vita a provarci, con la sofferenza di vederli crescere e divenire sempre più privi di emozioni, sempre più vicini al padre, lontano dalla madre.
Le ultime sere ci pensava sempre più spesso all’amata madre, sognava di poterla stringere ancora tra le sue braccia, che lei le raccontasse ancora dei pranzi che tentava di prepararle Sanji e che non smettesse mai di sorriderle.
Si chiedeva se, ovunque lei fosse, li avesse visti crescere i suoi amati figli che aveva cercato di salvare, se avesse sofferto a vederli diventare quelle bambole in mano a quell’uomo che aveva amato, sapendo troppo tardi di non essere ricambiata.
Percepiva, nell’aria serale, il profumo di sua mamma come non l’aveva mai sentito e si domandava come avesse fatto a dimenticarsi negli anni quella sensazione scordata negli anni.
Allargava la braccia, come potesse volare, sul terrazzo della loro casa, immaginando di poter avere un paio di ali vere, di volare senza l’aiuto della scienza, di ricongiungersi con la madre, abbracciarla, baciarla, parlarle con gli occhi gonfi e il cuore leggero; dirle che il suo sacrificio non era stato vano, che Sanji aveva ereditato la sua gentilezza, diventando la persone più gentile che esistesse, che la sua volontà continuava a vivere anche se lei non faceva più parte di quel mondo.
Percepiva la voce calda della madre chiamarla nei sogni, farle segno di riposarsi sulle sue gambe e che tutto si sarebbe risolto nei migliori di modi, perché dopo tanto dolore che aveva patito da sola, in una famiglia di uomini, meritava tanto riposo, parole gentile e dolci di una madre, che le erano state negate negli anni più difficili dell’adolescenza, che per lei si erano ampliati, investendo l’infanzia e l’età adulta.
L’aveva salvata, l’aveva portata via una sera di maggio nel sonno e lei non poteva che esserle più grata.
Il caldo l’aveva sempre odiato e morire mentre era cosciente e sveglia non voleva che succedesse.
Sua madre lo sapeva, era pur sempre la sua amata mamma e lei la sua amata bambina abbandonata troppo presto.
Non aveva preteso nulla.
Non sognava un gran funerale, vista la semplicità della tomba della madre, le cui visite erano negate dal padre, per evitare ai suoi figli possibile malinconia o tristezza nell’età più infantile.
Così era stato con lei.
Un funerale che non c’era stato.
Un funerale al quale aveva partecipato solo lei, nel suo silenzio e nel suo essere un fantasma.
Uomini vestiti di nero, non mandati da suo padre, nessuno del suo esercito.
Sconosciuti.
Scavavano nella terra con fretta e in modo casuale, senza calcolare né dare un’effettiva forma.
Con la stessa violenza e menefreghismo, avevano fatto ricadere la bara al suo interno.
Lei aveva aspettato, si era seduta lì, a metri di distanza, sperando che qualcuno arrivasse, alla sua tomba, a salutarla, a soffrire per lei.
Nessuno era venuto.
Non che lei volesse qualcuno.
Non sapeva neanche come suo padre avesse dato la notizia ai fratelli, probabilmente l’aveva sminuita, la sua morte. Immaginava, al contrario, la reazione dei fratelli: Ichiji avrebbe riso, l’avrebbe presa in giro, definita debole, che si erano levati un peso, e gli altri due, sicuramente, gli sarebbero andati dietro a ruota, ridendo per minuti interi. Confidava e sperava che Yonji sì, avrebbe riso, ma dentro qualcosa si sarebbe rotto. Non voleva che soffrisse, ma che capisse che l’unico appiglio ad una vita degna di essere tale, si era staccato, distrutto, era sparito dalle sue mani e ora doveva semplicemente continuare ad essere una macchina, funzionare come desiderava il padre, non come voleva lui.
Sanji, il suo amato fratello, che aveva salvato anni prima, era in un’altra parte del mare e, forse, quella notizia neanche gli sarebbe arrivata, non gli sarebbe giunta in tempo in ogni caso. Lui sognava la libertà, l’All Blue, il Cuore dei Mari e lei sperava che lui mai avrebbe saputo della sua morte, non voleva rovinargli i sogni anche quando questi si sarebbero realizzati. Doveva ignorarla, la sua morte, non meritava di soffrire ancora, aveva già sofferto per la madre, aveva già avuto tempo e modo di piangere su una tomba, un’altra non doveva vederla.
Sorride Reiju al pensiero che almeno lui sia in un posto sicuro e che non abbia avuto bisogno di fuggire al mondo per sentirsi bene. Sorride a immaginarlo felice con quella famiglia che ha trovato per i mari, che non ha mai spento i suoi sogni, che non ha mai sminuito il suo essere così gentile. Sorride al non vedere nessuno al suo funerale, non meritando nulla, assassina com’è stata in vita, non meritando alcun amore né alcuna lacrima. Sentendosi sollevata a non vedere il padre, artefice di una vita rovinata e distrutta fin da piccola, senza vie d’uscita che non fosse la morte.
Non si dispiace di quel silenzio, lo ascolta e se ne bea, stringendosi nelle spalle e avvicinandosi alla tomba, con un movimento sconnesso, quasi fosse una danza, con una musica da lei inventata, su passi che non esistono, con note non ancora inventate.
Chiude gli occhi, alzando il viso verso il cielo e cercando di percepire quel vento che la morte le ha negato di poter sentire.
Non ha più bisogno di ali per volare o di sognare posti incantati e lontani da quel mondo che non ha mai richiesto.
Ora è libera, felice, senza poteri, senza scienza, senza fratelli che non la vogliono, che non possono capire il suo dolore.
Non è più da sola e non lo sarà più.
Lo sa, ne è consapevole quando sente una presenza dietro di lei, sapendo che sì, qualcuno al suo funerale è venuto.
Si gira e la vede, bella come mai, non provata dalla malattia, da stupide medicine, ma con un sorriso sornione e le braccia allargate verso di lei, che la invitano a tornare nel posto dove è sempre stata bene, per quanto poco ci sia potuta rimanere.
E gli occhi di Reiju si riempiono di lacrime di gioia, mentre un sorriso sincero, per la prima volta in tanti anni si allarga sulle labbra:
“Mamma!”
Grida, lasciandosi cadere tra quelle braccia che sanno di casa, di sicurezza e di amore, che le è stato negato per molto tempo.


Prompt: You’re a ghost haunting your own funeral. You see that nobody showed up
(Sei il fantasma che infesta il tuo funerale. Vedi che nessuno si è presentato)
 
   
 
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