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Autore: lainil    15/09/2020    0 recensioni
[Raccolta di One Shot]
1° [Reiju Vinsmoke] "L’aveva salvata, l’aveva portata via una sera di maggio nel sonno e lei non poteva che esserle più grata."
2° [Trafalgar Law - Eustass Kidd] "Non sa più niente Law, chiude gli occhi, lasciandosi cadere sul pavimento freddo di quella casa dove l’unico intruso è lui."
3° [Ace - Marco] "Sperando che, ovunque sia, lui sia felice e continui a festeggiare e a brindare alla famiglia che ha lasciato indietro."
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Eustass Kidd, Portuguese D. Ace, Reiju Vinsmoke, Trafalgar Law
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Titolo: Fernweh;
Genere: angst, malinconico, triste;
Rating: giallo;
Personaggi: Eustass Kid, Jewelry Bonney,
Trafalgar Law;
Avvertimenti: AU, possibile OOC
Parole: 1723.

 


Fernweh: si tratta di una parola tedesca che indica una nostalgia di fondo per il viaggio.
O più nello specifico una malinconia per posti in cui non si è mai stati.
 

“Aspetta!”

Aveva messo le mani davanti al corpo, tentando di bloccare l’entrata di Kid in casa loro, cercando di fargli capire con lo sguardo che desiderava, anzi, pretendevia spiegazioni per quel comportamento improvviso e per quella terza figura.

Una donna in casa loro? Ma quando mai era successo? Mai!

Di amici ne avevano, anche in comune, sia bizzarri che non, sia studiosi che lavoratori, ma quella donna, quella donna alta, con degli improponibili capelli rosa, quello strano piercing sotto l’occhio e quell’imbarazzante accozzaglia di vestiti strani, non rientrava nelle amicizie di nessuno di loro due, ma neanche per sogno, era ben lontana dai loro gusti. Quando aveva iniziato a parlare, poi, era arrivato il colpo di grazia: una voce fastidiosa, un accento non comune al loro, parolacce come virgole e mani che gesticolavano fin troppo dal nervoso, mentre accompagnavano lunghi discorsi che Kid neanche seguiva, impegnato com’era a portare da fuori a dentro infiniti scatoloni ben chiusi con lo scotch. Si fosse conclusa lì la situazione, non sarebbe neanche stata così tanto assurda. Di scuse, Kid, poteva trovarne a bizzeffe per spiegare quel tornado che era quella ragazza. Sicuramente – diamine Law era convinto – quella donna aveva una ragione importante per essere lì e anche ben chiara. Ma oltre a non averne, almeno in quel momento, Kid non faceva che ignorarlo. Gli passava vicino, lo sfiorava, quasi lo investiva a causa della poca grazia che aveva, ma non gli parlava, non gli dava spiegazioni. Aiutava la donna e parlava con lei, ma con lui neanche mezza parola, nessun saluto e nemmeno nessun insulto che lo invitasse a levarsi di torno:

“Kid ascoltami per una buona volta nella tua vita!”

Gli aveva urlato contro, consapevole di star perdendo, poco a poco, la pazienza di non venire ascoltato. Non che fosse una cosa mai successa, anzi, al contrario, ma l’ignoramento aveva sempre una ragione di base, che fosse un’arrabbiatura, una gelosia, una distrazione causata da altro. Lì, ora, in quel momento, di ragioni non ne esistevano.

E, se già questo non fosse considerabile un problema, quella sconosciuta faceva avanti e indietro da giorni, con queste maledette scatole che riempivano il soggiorno, il bagno, la camera da letto che condividevano. Potevano essere utilizzate come tavolo talmente si trovavano ovunque ti girassi.

E, più i giorni passavano, meno Law ci capiva qualcosa.

Si sedeva sul letto, osservava i due aprire le scatole, per poi richiuderle, annotarsi cose sul foglio, cancellarne altre, stracciare pagine e buttarle a terra, calciate da una parte all’altra:

“Kid, ma che vuole questa? Almeno puoi rispondere a questa mia domanda? Kid, diamine, guardami!”

Niente, ancora nessuna risposta, nessuno sguardo. Non faceva che trapassarlo quando lo fissava. Era come se lui non esistesse. I pensieri gli riempivano la mente, gli gonfiavano il cervello, gli facevano male alla testa.

Perché questa donna rimane come se fosse casa sua? Perché consiglia cambiamenti al bagno e Kid non dice nulla, ma ascolta? Perché gli ha permesso di gettare via le decorazioni preferite di Law da sopra il caminetto?

Ed è proprio quest’ultimo dettaglio a fargli notare una cosa. Le decorazioni sul caminetto (ma anche sui comodini, sui mobili in soggiorno, sul frigo in cucina) appartengono solo a Kid, non c’è nulla di Law, è tutto rosso, punk, meccanico. Non c’è nulla di serio, nero, elegante e raffinato. È la casa di un adolescente, senza un dottore al suo interno.

La rabbia cresce nelle mani di Law, mentre inizia a sbraitare in faccia a Kid, domandandogli dove diavolo siano finiti i suoi oggetti, perché li abbia gettati via senza il suo consenso, cosa ci trovasse di sbagliato visto che li ha sempre accettati di buon grado? E vuole risposte, le pretende. Vorrebbe afferrare il colletto di Kid, ma questo si sposta per l’ennesima volta, gli sfugge dalle mani, per dedicarsi ad una nuova stanza, ad un nuovo dettaglio consigliato dalla donna, che ora ha iniziato a mangiare anche da loro, ordinando pizza e quantità industriali di altro cibo, con i piatti che riempiono il lavandino, ma che nessuno ha voglia di lavare.

Law vorrebbe farlo, sul serio, ha sempre apprezzato l’ordine, la pulizia, il profumo, ma non riesce, non vuole, deve trovare risposte e non andrà a mettere le mani in oggetti che non sente più essere suoi.

È infastidito, arrabbiato dal fatto che quella donna non voglia, che sta prendendo sempre più potere, che molti oggetti di Kid sono finiti nella spazzatura per metterne dei suoi.

Non capisce davvero, Law, perché il suo ragazzo la lasci fare, lamentandosi solo inizialmente, per poi scrollare le spalle e lasciarla divertire a ordinare le cose.

E poi una mattina succede.

L’impensabile e l’inimmaginabile.

La mattina in cui Law pensava tutto fosse finito, con la donna, Bonney a quanto ha capito, che lascia la casa, senza proferire parola sul luogo in cui si recherà, e con Law che confida non torni più, sperando che tutto riprenda il suo corso, che Kid possa guardarlo ancora negli occhi e amarlo come sempre ha fatto, scoprendo che tutto fosse frutto di uno scherzo di pessimo gusto, fatto in occasione di qualche data che si è dimenticato.

E invece no.

È il contrario e l’inizio della fine.

Bonney torna, ma non è da sola. Ha una mano attorno ad un bicchiere, riempito fino a quasi l’orlo di frappè alla fragola, mentre anche l’altra mano è occupata, ma non stringe un altro oggetto, come un paio di chiavi o l’ennesima decorazione, no, stringe una mano, una piccola mano di una bambina.

Law si alza in piedi, ha gli occhi sbarrati e la bocca aperta e si avvicina, piano piano, alla porta, allungando una mano verso la piccola bambina. La bambina assomiglia incredibilmente a Kid. Ha i suoi capelli, i suoi occhi e quel suo sorriso maledetto, oltre che un viso che assume le espressioni infastidite di Kid quando si guarda attorno, studiando la casa:

“Doruya!”

La voce di Kid gli trapassa le orecchie e un senso di vuoto gli perfora il cuore.

Il suo respiro si fa pesante e la sua vista si annebbia, nel momento in cui la bimba sorride a trentadue denti, lasciando la mano di Bonney:

“Dove sei?”

Grida lei, guardandosi intorno e avanzando un po’ nella casa, intimorita da quelle scatole e da quei mobili che non ha mai visto. I passi di Kid si fanno pesanti alle spalle di Law, che non ha il coraggio di girare lo sguardo, di scoprire la realtà, di mettere insieme i pezzi. A farlo ci pensa però la bambina che, non smettendo di sorridere, allarga le braccia, iniziando a correre verso il ragazzo, che si trova dietro a Law, distanziandolo di alcuni passi:

“Vieni qua!”

La richiama felice lui, accovacciandosi a terra con un ginocchio, pronto ad afferrarla:

“Papà, mi sei mancato tanto!”

E non sono solo queste parole a trafiggere il cuore di Law, ma è anche la realtà a farlo, realtà che si mostra in tutta la sua violenza quando la bambina non gli gira attorno, ma gli passa attraverso, e nessuno dei due sente nulla, perché la bambina continua la sua corsa, venendo afferrata dalle braccia possenti del padre, e Law crolla a terra con le ginocchia, con lo sguardo perso nel vuoto che non realizza.

Stringe le mani a pugno, cercando di chiuderle sul tappeto, ma la stoffa non la percepisce, non la sente, gli passa attraverso, è solo aria per lui.

Law non capisce, non vuole capire, non vuole elaborare o comprendere, vuole che tutto sia un brutto sogno, vuole risvegliarsi la mattina dopo e trovarsi a fianco Kid che ancora dorme, attaccato a lui, invadendo il suo spazio personale nel letto.

Vuole vederlo girare per casa mezzo nudo, fregandosene di tutto e facendolo sorridere, felice di far parte della sua quotidianità.

Vuole sentirlo arrabbiato con il suo capo, mentre si sfoga con Killer seduto a capotavola, che cerca in Law un supporto.

Desidera che Bonney riprenda quella maledetta creatura che osa chiamare Kid “papà”, e se ne tornino da dove sono arrivate, senza farsi vedere mai più dal ragazzo.

Eppure Law realizza, piano piano, che non è Bonney l’intrusa, non è la bambina quella fuori luogo e Kid non sta inscenando nessuna scenetta divertente come sorta di vendetta per qualcosa che lui gli ha fatto.

Non esiste nulla di divertente o su cui scherzare in quel momento, perché nulla è finto e tutto è così spaventosamente reale.

Le sente, Law, le lacrime rigargli il viso e cadere sul suo pugno, realizzando cosa davvero stia succedendo.

È lui l’intruso in quella casa, è lui a non essere capito e a non avere senso di esistere.

Quella casa non è sua, è di Kid e ora della sua piccola famiglia, creata e cresciuta con amore e pazienza.

La famiglia che anche lui desiderava, con Kid, anni prima. Quella famiglia, quella casa, quei mobili e quei colori. È tutto così simile ai loro sogni, che Law è stato convinto che appartenesse davvero a loro e non fosse solo una speranza chiusa in un cassetto in attesa dei soldi necessari.

Soldi che ora Kid finalmente ha, anche se ciò che gli manca, pensa Law, è proprio lui.

Ma nella risata di Kid non c’è tristezza, né malinconia, c’è la fierezza e la felicità di essere padre e di venire chiamato “papà” da quella piccola creatura che ama.

Law si sente morire una seconda volta, come tanti anni prima, come quando quei progetti sono sfumati dalle mani di due giovani innamorati nel momento in cui un incidente lo ha rapito negli anni più belli. Un incidente avvenuto non per causa sua, ma per altri, ma la vita l’ha rimessa lui, non i colpevoli. La vita gli è stata strappata di dosso, così come la felicità da Kid.

Non sa spiegare cosa sia successo al rosso, non sa se lo shock sia stato tale da causargli una sorta di amnesia, neanche sa se sia possibile un cosa del genere. Non è neanche sicuro di averle vissute, certe emozioni, convincendosi sempre di più che Kid e la loro storia, siano solo frutto di una mente creativa che, in quel periodo di morte eterno, abbia potuto vagare e illuderlo di essere stato tanto amato quando era in vita.

Non sa più niente Law, chiude gli occhi, lasciandosi cadere sul pavimento freddo di quella casa dove l’unico intruso è lui.


Prompt: What are these strangers doing in your house?
You're confused and angry, it's been a week and it seems like they're not leaving, they're not even paying attention to you.
You're the ghost haunting your house without knowing it.

(Cosa stanno facendo questi sconosciuti a casa tua?
Sei confuso e arrabbiato, è passata una settimana e sembra che non se ne vogliano andare, non ti prestano nemmeno attenzione.
Sei il fantasma che infesta la tua casa senza saperlo
)
   
 
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