Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: kenjina    05/09/2020    2 recensioni
ATTENZIONE: spoiler Hogwarts Mystery anno 6, capitolo 18/19
Alla luce di ciò che accade durante il sesto anno, Gwendolyn e la sua combriccola di amici devono trovare il modo di andare avanti anche per chi non può più farlo. Sarà un processo difficile, lungo e doloroso. Ma lo affronteranno insieme.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Castle of Glass

Capitolo 5

 

 

Da quella fatidica notte nella foresta, il tempo aveva iniziato ad assumere connotati a dir poco bizzarri: a volte si ritrovava a chiamare il nome di Rowan ogni volta che aveva una domanda sulla lingua, o si aspettava di vederla girare oltre l’angolo di un corridoio, come se non fossero già trascorse un paio di settimane dalla sua scomparsa; a volte quelle due settimane sembravano due anni, perché le mancava talmente tanto che ormai neppure le lettere che le scriveva giornalmente la stavano aiutando a colmare il silenzio che riceveva in risposta.

Anche lo studio, su cui trovava sempre il conforto che cercava, sembrava dilatare il tempo come un elastico tirato fino al punto di rottura. L’unico momento della giornata in cui il tempo volava era quando si trovava su una scopa, appunto. Orion le aveva persino permesso di coprire il ruolo di battitore negli allenamenti fuori orario, in ricordo dei bei tempi in cui si era allenata con la Rath a colpire bolidi dopo bolidi: non le era mai piaciuto ferire gli avversari durante le partite, ma in quei giorni era uno sfogo più che benvenuto—almeno contro i manichini.

Anche quel giorno il tempo sembrava muoversi come una molla. La lezione di Aritmanzia era un ricordo sfuocato, pur avendola terminata solo un’ora prima; d’altra parte quella che stava affrontando ora sembrava dilatarsi come una pupilla al buio.

Si asciugò la fronte sudata e osservò con fare critico il cibo che aveva raccolto per quella lezione di Cura delle Creature Magiche: il professor Kettelburn aveva deciso che si sarebbero presi cura di alcuni purvincoli che Hagrid aveva trovato moribondi sulle sponde del lago e che erano ora sulla via della guarigione. Era una lezione abbastanza semplice, un ripasso utile per i prossimi esami e di certo un lavoro che avrebbe dovuto rilassarla. Amava le creature magiche.

Invece una risata la distrasse per l’ennesima volta e non riuscì a fermarsi dall’osservare i due Serpeverde, come aveva tentato di fare per il lunghissimo ed estenuante quarto d’ora precedente. Kettelburn aveva creato dei gruppi di lavoro, giacché i purvincoli non erano in numero sufficiente per tutti gli studenti, e quando era arrivata a lezione in ritardo di dieci minuti, l’unico rimasto senza partner era Charlie. Non che avrebbe scelto una persona diversa, anzi: era sollevata dal fatto che Liz e Barnaby fossero insieme e si stessero divertendo un mondo. Almeno c’era ancora qualcuno che non gironzolava avvilito come lei.

«Chi sa dirmi quali sono le proprietà magiche delle appendici sulla schiena dei purvincoli?»

Gwendolyn sapeva di sapere la risposta. Ne era certa. Solo che quando aprì la bocca, si ritrovò a richiuderla come un’ebete.

«Prego, signorina Tuttle, risponda pure.»

«Se messe in salamoia e mangiate, hanno il potere di accrescere la resistenza verso incantesimi e maledizioni. Un eccesso, invece, può provocare la crescita di ciuffi viola dalle orecchie.»

Gwen riabbassò lo sguardo quando Barnaby sorrise all’amica con fare orgoglioso, affatto dispiaciuto che Liz avesse alzato la mano prima di lui.

«Dimmi quello che vuoi», le sussurrò Andre con fare cospiratore, che poco prima stava chiacchierando di quidditch con Charlie, «ma io un paio di ciuffi viola nelle orecchie li farei crescere volentieri in occasione di una partita dei Pride of Portree. Sarebbero in tinta con la mia sciarpa!»

«Eww—»

Andre le diede un’amichevole spallata, ridendo della disgustosa immagine mentale che aveva appena provocato. «Starebbero bene anche a te, sai? E poi potresti chiedere a Penny di intrecciarli! Sarai bellissima al prossimo appuntamento con Lee!»

Charlie grugnì una risata, cercando di non farsi scoprire al professore, ma il sorriso che stava facendosi strada sulle labbra della Corvonero sparì immediatamente. Riportò l’attenzione sui due Serpeverde, fianco a fianco come una vecchia coppia di magizoologi affiatati, e sospirò.

«Non ci saranno più appuntamenti con Lee», borbottò.

Andre aggrottò la fronte, forse perché non l’aveva udita bene, forse perché non capiva il motivo di quella frase; ma Gwen non gli diede il tempo di chiedere spiegazioni. Sollevò il sacco di cibo e si diresse verso il suo purvincolo, una cosetta rinsecchita e più brutta del normale. Faceva una pena terribile. Peccato che non lo vide proprio davanti ai suoi piedi e si accorse troppo tardi di avergli calpestato la coda. Non fece in tempo a chiedergli scusa (anche se non sarebbe servito a niente, visto che non parlava la sua lingua), quando il morso che ricevette al piede fu talmente lancinante che lasciò cadere il sacco, rischiando di schiacciare la creatura del tutto.

Una parte remota del suo cervello le ricordò che non fosse pericoloso per i maghi, a differenza dei babbani, ma era doloroso come se le avesse staccato due falangi e, tra il dolore e la frustrazione degli ultimi giorni, si ritrovò gli occhi umidi di lacrime—ormai piangere era diventato il suo passatempo preferito. Era patetica.

Kettelburn esclamò qualcosa in gaelico, zoppicando verso di lei e schioccando la pinza che aveva al posto della mano. «Temo che dovrà far visita al professor Piton e farsi controllare la ferita, signorina Vane.

«Ti amputerà il piede, vedrai!» esclamò Merula.

Ismelda sorrise con fare inquietante. «Ohhh, voglio vedere anche io, allora!»

Kettelburn rise. «Ci vuole ben altro di un purvincolo per perdere un arto! Non vi ho insegnato niente? Ah ah! Riesce a camminare da sola, signorina Vane?»

Prima che potesse anche solo prendere fiato per cercare una risposta, Barnaby era già al suo fianco. L’espressione serena gli era sparita dal volto, sostituita da una preoccupata, e per un attimo sperò temette che la prendesse in braccio come una sposa. «La accompagno io, signore. Posso? Per favore?»

«Ce la faccio da sola, Bee.» Scosse il capo quando Barnaby tentò di replicare. «È solo un morsetto—»

«Tranquilla Gwendolyn!» esclamò Hagrid, appena arrivato per controllare lo stato di salute dei suoi purvincoli. «Ti ci accompagno io dal professor Piton. Non voglio che ci perdi la lezione, Barnaby.»

Le spalle del ragazzo si incurvarono nello stesso istante in cui lei tirò un sospiro di sollievo. «Ti ringrazio lo stesso, Barnaby, ma Hagrid ha ragione. Ci vediamo dopo, eh?» Gli sorrise con sincero affetto e non riuscì a fermare la mano che, di sua iniziativa, gli accarezzò la guancia spigolosa. Solo allora lui sembrò ritrovare un po’ di spirito.

Hagrid la sollevò da terra come una piuma e iniziò a farle una ramanzina su come dovesse stare più attenta quando si occupava di quelle creaturine. «Quello che custodisci nella riserva non ti ha mai morsicato, no?»

«No, mai… ero sovrappensiero. Mi dispiace di avergli fatto male, davvero.»

«Oh, non ti preoccupare. Lo avrà già dimenticato, sicuro.»

Il tragitto verso i sotterranei fu condito da qualche sguardo incuriosito, che lei evitò con molto coraggio nascondendo il viso contro il petto del mezzo-gigante. Trovarono il professore oltre la porta socchiusa del suo ufficio, intento a leggere un pesante libro e a prendere appunti.

Hagrid si schiarì la gola. «Professor Piton—»

Gli occhi neri del mago si soffermarono subito sui suoi, arrossati e bassi, e per la prima volta da quella disavventura Gwen arrossì d’imbarazzo.

Piton abbassò la piuma e inarcò un sopracciglio sulle gocce di sangue che stavano bagnando il suo bel pavimento in pietra. «A cosa devo il dispiacere della sua visita, signorina Vane?»

Sapeva benissimo cosa ci facesse lì—non era abbastanza ovvio? Ma no: lui voleva sentirglielo dire. Maledetta serpe. «Mi sono fatta male durante la lezione di creature magiche.»

«È stata morsa da un purvincolo.»

Piton alzò gli occhi al cielo. «Come mai la notizia non mi sorprende?» Accennò al retro della stanza, dove c’era una branda per le emergenze come quella, specialmente ora che l’infermeria era piena di studenti impietriti, infermiera compresa, e Piton sparì per qualche minuto per recuperare l’unguento giusto.

Hagrid la fece sedere sul morbido materasso e l’aiutò a levare la scarpa ormai rotta e la calza insanguinata. La punta del piede le pulsava a ritmo del cuore, sempre più forte e insopportabile, e la ferita aveva assunto un colore viola affatto rassicurante. Si morsicò il labbro, nella speranza che il cervello si concentrasse su quello anziché sulla ferita. Ovviamente non servì a niente, se non a sentire il sapore ferroso del sangue sulla lingua.

Quando Piton tornò, Hagrid gli lasciò spazio e si congedò poco dopo, facendole promettere di passare a trovarlo. «Ti preparerò dei biscotti, solo per te», fu la sua minaccia prima di andarsene.

Il professore le osservò il piede con l’espressione di uno che aveva appena ingoiato una caramella al sapore di vomito, scosse il capo e iniziò a pulirle la ferita dal muco del purvincolo. Aveva una mano inaspettatamente leggera, il che era sorprendente dato che si era aspettata che schiacciasse sulla ferita solo per il gusto di farle male.

Che pensiero stupido. Piton era antipatico come uno spillo nell’occhio, sì, ma non era certo crudele. Almeno, non così tanto.

Indicò l’ampolla accanto alla gamba. «Che cos’è? Da cosa è composto?» gli domandò, da una parte curiosa giacché non riusciva a leggere l’etichetta, dall’altra con il solo scopo di riempire l’aria di qualcosa che non fosse il silenzio.

Le scoccò un’occhiata perplessa, alla ricerca di qualcosa che non trovò. Così le rispose, elencandole gli ingredienti e le dosi con fare annoiato, come se si aspettasse che lei non lo ascoltasse affatto. «Perché lo vuole sapere? Ha paura che l’avveleni?»

Gwen sbottò una risata, ma non rispose alla provocazione. «So che non si direbbe, ma la sua materia mi piace. E se voglio—no, lasci perdere. Non ha importanza, ora.»

«Continui.»

Prese un respiro, sbuffando l’aria dalle guance gonfie, conscia che non l’avrebbe lasciata andare prima di aver scoperto la fine della frase. «Vorrei diventare una guaritrice, un giorno… e bisogna saper fare pozioni, no?»

Conosceva già la risposta, ma voleva spostare l’argomento verso lidi più sicuri, lontano dai dubbi che la stavano tenendo sveglia la notte—tra le altre cose. Diventare guaritrice significava aiutare le persone in difficoltà e lei aveva lasciato che la sua migliore amica morisse per colpa sua senza che si fosse accorte delle sue intenzioni.

Gran bell’aiuto, quello.

Piton non le rispose subito. Agitò la bacchetta e delle garze pulite e ben annodate si arricciarono attorno al piede ferito. Gwen provò a muovere le dita, ora che quell’unguento l’aveva anestetizzata per bene. Chissà quanto a lungo avrebbe fatto effetto?

«Torni dopo cena; le cambierò le garze e le rimetterò la pomata. Nel frattempo può prepararne altra lei stessa, così non mi disturberà più per i prossimi tre giorni.»

«Posso? Davvero?»

Piton sospirò. Fece comparire un calderone sul tavolo lì vicino e scrisse i passaggi su una lavagna appesa al muro. «Sa dove trovare gli ingredienti.» E con quelle parole, le diede le spalle in un fruscio di mantello e tornò nel suo ufficio.

Merlino, quant’era drammatico.

Ma almeno era l’unico che la stava trattando come sempre, sgarbato e odioso. Il solito Piton, insomma, che non le girava intorno in punta di piedi per paura che crollasse per il recente lutto come facevano tutti gli altri. Quello squarcio di normalità era una boccata d’aria fresca.

Gwendolyn poggiò il piede offeso per terra e sospirò di sollievo quando si accorse di non aver perso del tutto la sensibilità alla gamba, ma solo all’area attorno alla ferita. Si mise al lavoro subito dopo, felice di avere qualcosa di bello da fare per tenere a bada i brutti pensieri, e rimase nascosta in quello stanzino buio e umido per l’ora successiva.

Venne interrotta solo una volta, da due voci familiari che provenivano dall’ufficio del professore. Non poteva vederli, né per fortuna essere vista, ma trattenne comunque il fiato e si immobilizzò come una statua.

«Dov’è? Possiamo vederla? Come sta?» domandò Barnaby, la preoccupazione evidente nel suo tono di voce.

«Sopravvivrà, purtroppo», fu la lenta e annoiata risposta del professore.

Gwen ingoiò una risata, nonostante tutto.

«E dove possiamo trovarla?» chiese Liz, sollevata.

«Lontano da me, per fortuna. Non è più qui.»

Oh, avrebbe potuto abbracciarlo. Chissà che faccia avrebbe fatto?

«Beh, grazie professore, per essersi preso cura di lei.» C’era un sorriso nella frase di Liz e si ritrovò a sorridere anche lei. «Non accade spesso che si faccia male con qualche creatura. È sempre così attenta.»

«Chiaramente non lo è stata questa volta.»

«Uhm, professore—» Barnaby fece una pausa. Gwen vide la sua ombra muoversi vicino all’uscio della porta oltre la quale si stava praticamente nascondendo, e temette che l’aprisse. Tornò indietro, poi, come se avesse cambiato idea. «Potrebbe dirle, nel caso la vedesse, che la creatura era molto triste di averle fatto male?»

Gwendolyn sentì il cuore farsi pesante come una pietra e non solo per la dolcezza di quelle parole, ma soprattutto perché ora era certa che lui sapesse dove fosse e non volesse disturbarla. Forse aveva fatto rumore senza accorgersene. O forse aveva letto oltre l’imperscrutabile volto del professore. Barnaby riusciva sempre a vedere oltre, qualsiasi ostacolo avesse davanti. Perché mai avrebbe detto una cosa simile proprio a Piton?

Non sentì la risposta del professore, troppo intenta a crogiolarsi nei suoi pensieri, e saltò sulla sedia quando l’uomo comparve oltre la porta. Liz e Barnaby erano già andati via.

«Immagino abbia sentito tutto.»

Gwen annuì. «Grazie per avermi nascosta, anche se Barnaby...» Fece cadere la frase nel vuoto e si strinse nelle spalle.

Piton non rispose; si limitò ad avvicinarsi per controllare il contenuto del calderone. Doveva aver fatto bene, perché non la rimproverò nemmeno per la minima accortezza, nonostante la smorfia che gli inasprì il viso.

«Le manca l’entusiasmo della signorina Haywood, in fatto di pozioni. E lavora in maniera del tutto disordinata.» Accennò all’ammasso di boccette vuote rovesciate, ingredienti sparsi sul tavolo e gli strumenti da lavoro che completavano quel quadro eclettico. «Ma, anche se mi costa tanto ammetterlo, lei è una studentessa… decente»

Il primo vero sorriso della giornata le arricciò le labbra. «Oh? Ho sentito bene o mi sono davvero spuntati i ciuffi viola nelle orecchie? Potrebbe metterlo per iscritto, per favore? Chiedo per i posteri.»

«—se non fosse per il suo sarcasmo irritante.»

«Ah. Ecco.» Gwendolyn ridacchiò birichina, riportando l’attenzione sulla pozione. Lavorò in silenzio finché non fu pronta, sotto lo sguardo attento dell’uomo, che le diede il permesso di imbottigliarne il quantitativo giusto per tre giorni, da spalmare ogni sei ore.

«Perché le piace la mia materia?»

Si strinse nelle spalle, cercando di nascondere il velo di malinconia che quel discorso le provocava. «Mia madre è un'ottima pozionista. Io e Jacob spendevamo ore a guardarla mentre preparava qualche infuso.» Deglutì un magone con fatica e si schiarì la gola. «E poi è come cucinare.»

Piton inarcò entrambe le sopracciglia. «Come, prego?!»

«Ma sì. Si pesano gli ingredienti, si tagliano, si mischiano e si mettono a cuocere. I babbani la chiamerebbero chef, professore.»

«Sparisca dalla mia vista», le sibilò, le narici larghe come un drago che stava per sputare fuoco.

Gwendolyn scoppiò a ridere, incapace di trattenersi.

«E cerchi di sistemare le cose con quel Lee.»

La risata si trasformò in un attacco di tosse. «Cos—mi sta leggendo la mente senza permesso?!»

«No, ma è abbastanza ovvio che sia distratta. E non solo per quello che è successo alla signorina Khanna. Riconosco due stupidi spasimanti quando li ho davanti e gradirei tenere queste sciocchezze fuori dalla mia aula e da quelle pericolose. Non la voglio rivedere qui perché si è distratta.»

«Oi! Barnaby non è stupido!» E starà meglio senza di me.

Piton ghignò, proprio nel momento in cui sentì la sua presenza invaderle la testa. «Non posso parlare per lui, ma io farei volentieri a meno della sua presenza. Vada, ora.»

«Sì, chef.»

«E dieci punti in meno a Corvonero.»

 

 

*

 

«Un penny per i tuoi pensieri.»

«Che c’entra Penny con i pensieri di Gì?»

Gwendolyn sbatté le palpebre più volte, come se si fosse appena svegliata, e si rese conto di aver fissato la sua colazione senza neppure toccarla, mentre a sua volta Andre la osservava con preoccupazione, Talbott apriva e richiudeva la bocca in cerca di una risposta alla domanda e Barnaby, l’infiltrato del giorno alla tavola Corvonero, si grattava il mento con fare pensoso. Si era fiondato da lei non appena l’aveva vista entrare in Sala Grande, rimproverandola per aver saltato la cena la sera prima, e l’aveva aiutata a sedersi nonostante gli avesse ripetuto più volte che non ce ne fosse il bisogno.

«È un modo di dire», spiegò Murphy, prendendo fiato per quello che si preannunciava un lunghissimo racconto di come fosse nata quell’espressione.

Punzecchiò l’uovo sodo con la forchetta, cercando di tagliar fuori la voce martellante di Murphy, quando quella calda di Barnaby le solleticò un orecchio.

«Come si spegne questo tizio?»

Fu fortunata che non stesse ingoiando niente, altrimenti avrebbe sputato anche la lingua per l’improvvisa risata che le salì in gola. «Mi dispiace deluderti, ma non credo sia possibile.»

Le spalle larghe del ragazzo si incurvarono con rassegnazione, mentre il commentatore proseguiva nella sua lezione improvvisata e gesticolava come se ne andasse della sua stessa vita. Barnaby sembrò illuminarsi quando la vide nascondere una risata e stava per parlare quando una mano gli si posò sul braccio e una voce interruppe qualsiasi cosa stesse per dire.

«È quasi ora di Erbologia. Andiamo?»

Liz sorrise con dolcezza e, per l’ennesima volta, Gwendolyn pensò che sarebbe stata perfetta per Barnaby. Erano burro e marmellata, mentre lei si sentiva tanto un barattolo vuoto. Liz era decisamente meglio di lei. Merlino, chiunque sarebbe stata meglio di lei, persino una mandragola.

«Ma—»

Incapace di tenere a bada la coperta di tristezza che l’avvolse, Gwen lo interruppe. «Ci vediamo dopo, Bee. Non voglio che facciate tardi per causa mia.» Non c’era bisogno di aggiungere anche quella alla lunga lista di colpe che aveva, no?

Il ragazzo bofonchiò qualcosa di incomprensibile e, prima di andarsene, si sporse per darle un imbarazzato bacio sulla guancia, lasciandola accaldata e con una valanga di rimorsi sulle spalle. Li guardò lasciare la Sala Grande affiancati l’un l’altra, già impegnati in chissà quale interessante conversazione, e sospirò. Non voleva rinunciare a lui, ma se fosse stato lui a rinunciare a lei? Sarebbe stato meglio. Sarebbe stato più facile.

«Lo sai, non dovresti essere gelosa.»

Gwen riportò l’attenzione sul suo migliore amico e gonfiò le guance come una bambina indispettita. «Non sono gelosa. Sono... uhm, carini insieme, no?»

Andre fece cadere le posate, incredulo. «Di che diavolo parli?»

«Niente, è solo quello che penso. Sono perfetti.»

Talbot grugnì una risata. «Tu pensi? Woah, questa sì che è una grande notizia. Dov’è Rita Skeeter quando serve?» Il calcio alla caviglia che ricevette sotto banco gli fece mordere la lingua dal dolore, ma ebbe il buon senso di non lamentarsi.

«Sei impazzita davvero?» proseguì Andre. «A parte il fatto che quei due sono solo amici, non puoi pensare seriamente che Barnaby Lee guardi un'altra che non sia te. Ma lo hai visto? È quasi imbarazzante starvi intorno.»

Gwendolyn ingoiò un pezzo di toast con poca forza, preferendo concentrarsi di nuovo sulla colazione senza realmente vederla, che stare ad ascoltarlo. «E perché no?»

«Perché è innamorato di te, brutta idiota. Non ti è ancora chiaro?»

La dolce marmellata di albicocche divenne amara a quelle parole. Le distrusse quel poco di buon sapore che aveva sulla lingua e non andò via neppure dopo un importante sorso di succo di zucca. «È qui che ti sbagli. È innamorato dell’idea di me. È ben diverso.»

Ci aveva pensato a lungo, dopo la conversazione che avevano avuto qualche giorno prima e quell’invito di Piton a smuovere le cose. E non poteva essere che così.

Andre alzò le braccia al cielo, in segno di resa. «Io a volte non ti capisco.»

«Siamo in due», annuì Talbott, che prese le sue cose e si allontanò qualche posto più in là, giacché quei discorsi lo mettevano a disagio più di quanto volesse ammettere e non desiderava essere interpellato—né voleva beccarsi altri calci, meritati o meno che fossero.

«Non c'è niente da capire. È molto semplice: è cresciuto in un ambiente in cui neanche i genitori lo amano, in cui la nonna continua a sminuirlo, in cui non ha mai avuto un'amicizia sincera. Poi arrivo io e le mie motivazioni egoistiche, che lo salvo dall'odio e dalle grinfie di Merula, e d'un tratto divento quello che non ha mai avuto. E, per quanto ciò che provo e ho provato fin quasi dall’inizio sia sincero, quello che prova lui per me non è amore romantico, Andre. È gratitudine. Solo che non vede la differenza perché nessuno è mai stato gentile con lui prima di me.»

Murphy annuì. «Beh, c’è il 70,3% di probabilità che Gwendolyn abbia ragione, perché—»

Andre neppure lo fece continuare. «Non so se tu sia più masochista, o ingenua, o cieca, o tutte e tre le cose insieme.»

«Andre, sono seria.»

«Anche io. È per caso il tuo modo di convincerti di non meritare il suo affetto? O di avere una ragione per lasciarlo indietro senza soffrire, mentre ti crogioli nei tuoi sensi di colpa?»

Gwendolyn scosse il capo, pulendosi le labbra con un tovagliolo e alzandosi, per dirigersi a lezione e lasciarsi indietro le domande scomode dell’amico. Ovviamente lui non aveva nessuna intenzione di lasciar cadere l’argomento. Nessuno dei due si degnò di salutare il povero Murphy, che stava ora sciogliendo l’orecchio a un altro compagno di Casa.

«Merlino e Morgana, tu pensi davvero che ti ami per le motivazioni sbagliate! Sei completamente scema?» esclamò Andre, raggiungendola con pochi e lunghi passi.

«Sì, ho i miei dubbi ed è lecito averli. E sì, voglio solo... concentrarmi su Jacob e R, tenere d’occhio Ben e Merula, vendicare Rowan e trovare un po' di pace, se mi è possibile. Non ho tempo di... di pensare a lui, o di spezzargli il cuore, o di frantumare il mio nel frattempo. È fin troppo rotto.»

«Gwen, il fatto che Rowan sia… sia morta, non vuol dire che non debba vivere anche tu.»

Lo ignorò, insieme all’ormai familiare nodo in gola che seguì quelle parole. «E quindi pensavo che se lui e Liz spendono più tempo insieme e si accorgono di piacersi... ben venga. Sono carini insieme, no? Sono… sono perfetti, insieme, davvero.»

Forse, ripetendolo più volte in una giornata, avrebbe potuto convincersi delle sue stesse bugie.

O forse no.

Ad ogni modo non poteva pensare di stare felice tra le braccia del ragazzo che le piaceva dal terzo anno, quando Rowan era fredda e immobile tre metri sotto terra.

«Non puoi essere seria. Sei innamorata di lui, Gwen.»

Cacciò via le lacrime con determinazione, scuotendo il capo. «È proprio per questo motivo che non voglio che soffra a causa mia. O che venga coinvolto come Rowan. Si è già beccato due maledizioni per proteggermi e… insomma, questo lo capisci, sì?»

Andre la fece fermare in mezzo a un corridoio ancora semi-deserto e sospirò. «Abbiamo già intrapreso questa discussione: siamo tutti coinvolti, ormai. Vuoi dirmi che hai intenzione di allontanare anche me perché sono il tuo migliore amico? Vuoi davvero riprendere questa follia come opzione? Non sei sola: mettitelo in testa. E non lo sarai di certo cercando di allontanare chi ti vuole bene. Anzi, a questo proposito c’è una questione di cui vorrei parlarti, insieme a Charlie e Penny. E Merula e Ben.»

C’era qualcosa che non le piacque affatto in quel tono di voce, in quelle parole sussurrate cariche di pericoli e segreti, e l’ansia tornò a stringerle lo stomaco più forte di prima. «Non voglio fare tardi a lezione. Andiamo.»

Il cercatore di Corvonero alzò gli occhi al cielo, affatto felice di come la discussione fosse terminata, ma la seguì all’aula di Trasfigurazione senza aggiungere altro.

Quel pomeriggio Gwendolyn non riuscì a concentrarsi affatto.

Da una parte le preoccupazioni per gli studenti maledetti, il costante ricordo del banco vuoto due posti più avanti di quello che ora occupava con Badeea, il timore che Ben e Merula facessero qualcosa di sciocco, le parole di Andre su Barnaby e su qualsiasi cosa dovesse dirle... aveva una testa troppo piccola e le spalle troppo deboli per sopportare un carico di preoccupazioni così grande.

 

 

 

 

---

 

Note: 

Continua. :)

 

Altro capitolo più o meno filler, che stende il terreno per il prossimo. Ho in mente qualche cambiamento rispetto al filo della storia, perché certi comportamenti e certe scelte da parte di MC non mi sembrano coerenti con l'idea che mi sono fatta di lei.

A presto,

Marta

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: kenjina