Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Luschek    07/09/2020    1 recensioni
{Raccolta di Missing Moments&What If sui Guerrieri, scritta in occasione della challenge Hurt/Comfort Time indetta sul forum "La Torre di Carta".}
- Capitolo "Inizio":
"Senza fiatare si recò da Annie e Bertholdt. Il bambino gli sorrideva in modo così dolce, che a Reiner parve di sentire la bocca zuccherata ad un certo punto."
- Capitolo "Mostro":
"Se soffrisse tanto quanto hanno sofferto le sue vittime, cambierebbe qualcosa?"
- Capitolo "Grazie":
"Una volta il semplice schianto di un piatto sul pavimento l'ha ridotto ad un’ombra tremante, poiché l'ha confuso col fragore dei massi del Wall Maria che si schiantavano sulle case."
- Capitolo "Tregua":
"Odia il tonfo sordo prodotto dall’impatto dei pugni contro il muro."
- Capitolo "Autodistruzione":
"Percepisce una brezza gelida sul collo, quando si accorge che il tintinnio delle pillole è identico a quello dei bossoli che piovono sul pavimento."
- Capitolo "Fine":
"Rispetto a chi si è lasciato dietro, non c’è nessuno a fargli compagnia in quel luogo dimenticato da Dio."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Annie Leonhardt, Berthold Huber, Porco Galliard, Reiner Braun
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quel che non vi è stato raccontato'
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Prompt: A gioca con la boccetta delle pillole anti-depressive, B lo osserva. 

What IfPorco ha aperto la porta mentre Reiner aveva la canna del fucile in bocca. 

Contesto: dopo il capitolo 107. 

 


Autrodistruzione 

I polpastrelli di Reiner accarezzano il tappo verde di una boccetta. Grazie alla plastica semi-trasparente, Porco intravede all’interno di essa delle capsule bianche. Il contenitore viene agitato dalle dita tozze dell’altro, le quali, però, non accennano a svitarne il coperchio.  

Percepisce una brezza gelida sul collo, quando si accorge che il tintinnio delle pillole è identico a quello dei bossoli che piovono sul pavimento.  

 

«Dov’è Reiner?» 

Pieck aveva rivolto lo sguardo verso di lui, che aveva grugnito in segno di dissenso. Non sapeva dove si fosse cacciato Reiner, né tantomeno desiderava saperlo.  

La ragazza aveva appoggiato il capo sulla propria spalla, poi aveva abbassato le palpebre e sospirato. Nonostante si ostinasse ad apparire calma, le sopracciglia aggrottate gli avevano fatto intuire che fosse turbata. 

«Puoi andare a cercarlo, Pokko?» 

La frase gli sembrava sospesa, come se Pieck volesse omettere un particolare importante, magari lo stesso che le crucciava il viso di solito rilassato. Porco aveva sbuffato, tuttavia aveva deciso di assecondarla, dato lo sconvolgimento nel volto di lei. 

«Mi devi un favore.» aveva risposto asciutto, poi si era alzato dalla sedia ed era uscito dalla stanza. 

 

Aveva vagato una decina di minuti e, a differenza di quanto era solito fare, aveva chiesto informazioni in giro su dove fosse andato Reiner. Aveva ricavato soltanto un vago “L’ho visto andare verso l’armeria” e come un’idiota si era recato lì, senza però trovare l’uomo.  

Il sospetto già l’ebbe in quel momento, dato che mai aveva visto l’altro esercitarsi al poligono, oppure smontare e rimontare i fucili, com’era invece solito fare Porco per allenarsi. Era rimasto qualche minuto nella stanza piena di armi, storcendo il naso, mentre scrutava gli scaffali uno ad uno, nella speranza che almeno loro gli rivelassero qualcosa.  

Effettivamente successe: uno spazio vuoto nel reparto dei fucili gli aveva insinuato il dubbio che fosse stato Reiner a prenderlo. Perché prendere un fucile? 

Era un interrogativo a cui non sapeva rispondere. Aveva infilato le mani nelle tasche e si era morso l’interno della guancia, nel frattempo che i piedi lo conducevano fuori dalla stanza. Ripercorse tutto il corridoio a ritroso, lasciandosi alle spalle l’armeria. 

Procedeva spedito come un treno, finché un semplice singhiozzo non fu capace di arrestarlo sul posto. Ne sentì un altro paio, dopodiché la quiete inghiottì ogni altro suono.  

Alla sua destra vi era una porta, su cui vi era scritto “Sgabuzzino”. Forse non erano affari suoi, tuttavia un presentimento gli suggeriva di entrare nello stanzino per accertarsi di chi ci fosse dentro. Afferrò la maniglia e non ci pensò due volte a girarla per scoprire chi avesse pianto. 

Di sfuggita aveva scorto una zazzera bionda, quindi il suo istinto gli aveva suggerito che quello seduto sulla sedia fosse Colt, difatti pure le sue labbra stavano per mimare il nome del commilitone. Le sue pupille lo contraddissero, però, quando si focalizzarono sul volto di Reiner, il quale stringeva il calcio del fucile tra le mani. La voce gli morì in gola e la sua espressione fu attraversata da un lampo di stupore. 

L’uomo aveva la canna dell’arma in bocca e, anche se fu difficile da metabolizzare sul momento, era chiaro l’intento celato dietro quel gesto.  

Nessuno dei due fiatò, nel momento in cui i loro sguardi s’incontrarono. Soltanto dopo parecchi minuti, Reiner allontanò il fucile dal proprio viso e fu allora che Porco sbatté la porta dietro di sé. In poche falcate raggiunse l’altro, gli strappò l’oggetto dalle mani, poi fece scattare la sicura e i bossoli piovvero sul pavimento. 

Appoggiò l’arma sul pavimento e rimase chinato dinanzi all’altro, che aveva abbassato lo sguardo per seguire i suoi movimenti.  

«Da morto saresti più inutile che da vivo.» 

Osò sibilare, mentre percepiva il sangue ribollire nelle vene dopo ciò a cui aveva assistito. Se Reiner fosse morto, avrebbero perso i pochi vantaggi che avevano sul nemico e, inoltre, avrebbe reso vano anche il sacrificio di Marcel. Non poteva permettergli di andarsene così, soltanto perché il senso di colpa lo opprimeva.  

Se lo promise in quel frangente: se Reiner Braun dovesse perire o vivere, quella era una scelta che spettava solamente a lui, Porco Galliard. 

 

Reiner si è messo a fissare di nuovo la boccetta delle pillole anti-depressive, ma stavolta non se la rigira più tra le mani. Un broncio gli incurva verso il basso le labbra, però dalla sua bocca non esce alcuna protesta. 

«Dovresti ingoiarle, non guardarle.» borbottò Porco, piegandosi su un fianco, cosicché potesse raggiungere il collo della bottiglia posta accanto la sua sedia. 

Dopo che annusa l’intruglio acre contenuto nella damigiana, la inclina verso l’altro. Reiner nega col capo e pone una domanda retorica: 

«Vino e tranilcipromina?» 

Fa spallucce, poi tracanna il liquido vermiglio finché all’interno della bottiglia non ne rimane neanche una goccia. Quando gli ha proposto di condividerlo, non ha fatto caso alla combinazione letale che costituirebbero alcool e antidepressivi.  

L’uomo dinanzi a lui alla fine cede e, senza indugiare ulteriormente, apre la boccetta per prelevare due pillole e mettersele in bocca. Deglutisce producendo un fastidioso gloglottio, ma perlomeno Porco è sicuro che le abbia mandate giù.  

«Rischi di ucciderti, così.» sussurra Reiner ad un tratto. 

Porco sbatte un paio di volte le palpebre, poi solleva un sopracciglio e ripone la bottiglia vuota per terra, senza staccare il contatto visivo dall’altro. Percepisce il calore propagarsi sulle sue guance e la sensazione familiare dell’ebbrezza lo tranquillizza. 

«Tu, Reiner Braun, vuoi davvero farmi la predica su questo argomento?» 

L’altro uomo sgrana appena gli occhi e, per sua grande soddisfazione, indossa un’espressione che non sia attraversata dalla sofferenza. 

C’è un momento di pausa tra i due, durante il quale si scrutano in attesa che uno di loro faccia la prossima mossa. È Reiner, infine, a prendere la parola. 
 
«Mi preoccupo.» si giustifica e le labbra di Porco si incrinano in un sorriso pregno d’amarezza. 

«Smettila di imitare Marcel. Non ho bisogno di un nuovo fratello maggiore. Lui è insostituibile e tu, in ogni caso, non potresti mai prendere il suo posto. Mai.» 

Crede di aver straparlato, quando gli occhi dell’altro si ricoprono di un velo lucido e teme di assistere ad una cascata di lacrime e moccio. Reiner, però, lo smentisce, perché scuote il capo e, dopo un momento in cui ha distolto lo sguardo, lo fissa dritto nelle pupille. 

«Non voglio imitarlo. Non più. Se mi preoccupo lo faccio in vece di me stesso.» 

Il timbro di lui è duro, tuttavia a Porco piace quella risposta. È contento che l’altro smetta di inseguire lo spettro del fratello. Dovrebbero finirla entrambi di farlo e lasciare stare i morti nelle loro tombe.  

Non ribatte e si limita ad alzarsi, armandosi della bottiglia vuota.  

«Andiamo, sbrigati. Non si riempirà da sola.» 

Ordina, ma Reiner lo guarda frastornato. 

«Ho appena preso le...» 

«Tagliala, Braun. Un sorso non ti farà male.» 

Porco dà le spalle all’altro e non può vedere il sorriso dolciastro che gli viene rivolto.  

 

 

 

 

 

   
 
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