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Autore: Master Chopper    09/09/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 33: Kyrie Eleison

Le tende del grande letto a baldacchino lasciavano filtrare debolmente la luce proveniente dalla finestra, illuminando solo da un lato Hel. La dea, con la parte superiore del corpo che emergeva dalle coperte, stringeva la mano al fratello Fenrir, seduto di parte.

Lui non l’avrebbe più vista, né ascoltato la sua voce: le conseguenze dell’ottavo scontro erano irreparabili anche dopo esser stato riportato in vita. Allo stesso modo, sua sorella era rimasta gravemente ferita, facendolo preoccupare fino all’ultimo secondo del match da poco concluso.

“Hel, io non ti avrei mai lasciata morire.” Tali parole vennero pronunciate da una terza figura in quella stanza. Gaia, la Madre Terra, guardava seria i due sul letto. Dentro il suo sguardo non c’era più ombra di superiorità, rabbia o desiderio di vendetta. Qualcosa pareva essersi rotto dentro di lei, ed un frammento del suo essere si era così staccato, cadendo via da quella che era stata palesemente una maschera.

“Lo scontro era fuori da ogni previsione degli organizzatori, perciò sarebbe stato sensato interromperlo qualora tu fossi stata in serio pericolo. Ripeto, non saresti morta in nessuna occasione dentro quell’arena.”

La dea della morte a stento riusciva a ripensare alla battaglia appena combattuta senza tremare per la paura, segno che Boudicca le avesse impresso sin nelle ossa l’eco della sua mortale pericolosità. Tuttavia, volle fidarsi delle rassicurazioni di Gaia, più per timore che la parte più oscura e feroce della titanide potesse ripresentarsi su quel volto ora così calmo.

“Piuttosto… ora che hai utilizzato a pieno i tuoi poteri per la prima volta, sei diventata abbastanza forte da richiamare quelle anime?” La voce di Gaia si incrinò appena.

Definitivamente anche l’ultima luce che anelava una possibile felicità scomparve dalle sue iridi quando Hel scosse la testa, con una smorfia preoccupata.

“Non è niente di così sorprendente, ahimè.” Sopraggiunse una quarta presenza, parlando con leggerezza di quella questione che faceva battere così forte il cuore di Gaia.

Merlino si palesò ridente, nel suo aspetto così giovane ed ingenuo da parere fuori posto in mezzo a tutte quelle divinità potentissime. I suoi occhi, i quali erano suddivisi in tanti frammenti come un prisma, e che brillavano come un minerale prezioso raffinato, si piegarono quando sorrise.

“Nemmeno il Record of Ragnarok, dal quale Hel trae i poteri come tutti gli dèi, è abbastanza forte da evocare anime del genere.”

Dopo aver affrontato l’iniziale sorpresa che rappresentò la comparsa del magus davanti a loro, Hel e Fenrir rimasero ancor più sbalorditi dalla totale assenza di reazioni da parte di Gaia.

 Per tutto quel tempo avevano creduto di essere le pedine di Gaia nella sua battaglia contro Merlino, eppure in quel momento lui si era introdotto nella loro discussione, sapendo perfettamente di cosa stessero parlando. Inoltre, si era inserito in quell’atmosfera informale con aria così fiduciosa e serena, da apparire completamente a suo agio.

“Capisco.” Sospirò Gaia, dando lo scacco matto alle menti dei due fratelli, divinità nordiche.

In quel preciso istante compresero che Boudicca aveva detto la verità, intuendo all’alleanza che quelle entità avevano stretto, e che aveva come obbiettivo qualcosa che andava ben oltre il mero Torneo del Valhalla. Tuttavia, con quei due assieme nella stanza, si sentirono improvvisamente scoraggiati dall’idea di intromettersi: nonostante non stessero mostrando nemmeno un briciolo di pericolosità, né fossero di cattivo umore, trasudavano una potenza così immensa che avrebbe potuto paralizzare sul posto qualsiasi dio o umano nella storia.

“Comunque…” Il sorriso del mago si fece più sensibile, a tratti sincero. Porse una mano a Gaia: “Auguri per questo nono scontro. Che vinca il migliore!”

Lei la strinse, ricordandosi come avrebbe dovuto concludersi per l’appunto quell’incombente battaglia.

 

Nell’arena l’aria era così bollente da parere sul punto di prender fuoco, con ogni urlo che pareva una scintilla per far scoppiare tutta la tensione immagazzinata nei polmoni degli spettatori.

Ora che una metà del colosseo era stata ricostruita, anche le anime umane sopravvissute ad Hel avevano ripreso ad incitare qualsiasi altro eroe sarebbe sceso in campo per rappresentarli. In tutti loro si animava la paura di sparire dalla storia, siccome l’esistenza dell’umanità era messa in pericolo anche solo da una vittoria da parte degli dèi.

Ladies and gentlemen! Siete caldi?! Siete pronti?!” Un boato da ogni singolo posto rispose agli annunciatori, i cancellieri del Paradiso e dell’Inferno.

“In questo penultimo scontro previsto per il torneo che deciderà le sorti dell’umanità, la speranza di ogni singola anima di uomo e donna è riposta in una vittoria… mentre, per gli dèi, basterebbe che il proprio sfidante vincesse per ripagare di tutte le smisurate perdite subite tra i vari pantheon!”

Mentre parlavano, in cielo vennero trasmesse le morti di ogni sfidante nei precedenti scontri.

Il cadavere impalato al muro di Enkidu. La sabbia che aveva sepolto la tomba di Ramsess II. Baphomet che si dissolveva nella luce. La tanica prosciugata dal sangue di Mengele, solo rimasuglio della sua esistenza. La gola perforata di Quetzalcoatl, dopo che Charlotte si era arresa. Hastur, inghiottito dall’eterna sofferenza. Il cappello svolazzante all’aria di Guy Fawkes, unica parte di lui sopravvissuta all’esplosione.

Ed infine la statua di ghiaccio in cui si era trasformata Boudicca, nell’istante esatto in cui venne frantumata in minuscole particelle. L’ultima sconfitta per gli umani, l’ultima di ben cinque.

Dèi e umani digrignarono i denti, guardandosi in cagnesco. Ben presto quel loro odio sarebbe stato incarnato da due lottatori, i quali avrebbero combattuto fino alla morte per la giustizia della loro specie.

 

“Passiamo al lato degli umani, forza!”

La terra tremò quando il portale venne spalancato, abbassandosi come un ponte levatoio per superare il fossato che separava l’arena dagli spalti.

E sebbene ce ne fossero molti più nobili di lui, egli fu scelto più e più volte senza ombra di dubbio come loro comandante!” Mentre St.Peter annunciava lo sfidante con quella citazione, un nitrito lontano riecheggiò forte con un tuono.

Ad un furioso galoppo, un cavallo bianco bardato di rosso e d’oro percosse duramente il ponte di legno con i suoi zoccoli, per poi spiccare un balzo in corsa.

“Colui che dalla fortezza di Camelot ha radunato i migliori cavalieri, regnando in eterno grazie alla sua leggenda!”

Colui che gli era in groppa, una volta raggiunta la massima altezza, saltò a sua volta: in alto, perfettamente perpendicolare al sole nel cielo, riflesse i suoi raggi al punto da accecare tutti gli spettatori.

“Il più forte, il più nobile, il più valoroso! Mai nessuno ha osato dubitare dei suoi poteri!”

Quando atterrò, lo fece piombando in picchiata dopo aver estratto qualcosa da un fodero al suo fianco. Un altro scintillio, seguito dal sibilo dell’acciaio che sguscia fuori da una guaina. E proprio la lama di una spada si conficcò sul costone di roccia che sporgeva dal terreno, il quale venne squarciato da parte a parte da una sola e profondissima crepa.

“Il leggendario Re dei Cavalieri… e Re in Eterno…”

La spada era enorme, e così ricoperta d’oro da non poter essere quasi chiamata un’arma. Il braccio armato che la impugnava era d’acciaio bluastro, come il resto dell’armatura, anche se ora era coperta da un mantello rosso con la pelliccia bianca, svolazzante nel vento come un’insegna di battaglia. Dal suo elmo rotondeggiante, sopra il quale era incastonata una corona con diverse gemme preziose, osservava il campo di battaglia che presto avrebbe conquistato.

“Arthur Pendragon, Re Artù!”

Una fanfara di trombe accompagnò l’urlo unanime di centinaia di migliaia di cavalieri, tutti abbarbicati sulla parete divisoria degli spalti più bassi. Sollevavano le loro armi e i loro stendardi, gridando o percuotendosi gli scudi e le corazze per produrre ancora più suono. Si respirava un’aria quasi mistica, da leggenda.

“Oh, per l’amor di… Ginevra.” Borbottò un cavaliere affascinante, con un lungo ciuffo di capelli biondi che gli discendeva lungo parte del viso. “Davvero occorre essere così chiassosi?”

Ma la lamentela di Sir Lancillotto non venne di certo ascoltata da un altro cavaliere, grosso e dall’aspetto selvaggio come un leone, il quale iniziò ad urlare più forte di tutti gli altri presenti messi assieme.

“FORZA ARTHUR!” Sir Gawain, nipote del re combattente, era infiammato dall’eccitazione.

A quel punto un giovane biondo, con un sorriso tirato a causa dell’imbarazzo, cercò di calmare Lancillotto: “Su, su, padre. È normale che siano tutti così entusiasti: dopotutto sono millenni che non vediamo Re Artù combattere.” La benevolenza di Sir Galahad bastò a placare il padre, il quale si limitò a sbuffare.

“Piuttosto…” Bofonchiò un vecchio dalla voce rauca e cavernosa. Nonostante l’età, mostrata dai baffi grigi che spuntavano da sotto la visiera calata dell’elmo, in armatura Sir Pellinore pareva il più spaventoso tra tutti i Cavalieri della Tavola Rotonda.

“Mi domando se quel ragazzino sappia ancora battersi…” Il suo sguardo si assottigliò fissando l’armatura silente al centro dell’arena “Ed in particolare se sappia ancora come si usa… quella.”

 

Quella. Un termine riduttivo per indicare la spada più conosciuta al mondo, in un racconto immortale capace di toccare ogni singolo angolo della Terra, attirando in ammirazione tutti gli esseri umani.

Excalibur, la spada invincibile che non aveva mai perso una battaglia. Essa non tradiva affatto la sua natura magica, mostrandosi quindi come la prima vera e propria arma soprannaturale brandita da un umano nel corso del Torneo del Valhalla.

 

Quando Arthur era poco più che un ragazzino, un giovane mago gli disse che era giunto il momento per lui di diventare re di Britannia. Egli si fidò ciecamente di lui, e questa sua fiducia venne ripagata nel momento in cui si materializzò una spada in un’incudine sopra una roccia, che nessun cavaliere seppe estrarre.

Nessuno, tranne lui. Eppure, a discapito della credenza popolare, quella spada non era Excalibur.

Quell’arma non rendeva Arthur un cavaliere migliore, ma lo legittimava soltanto al trono di Inghilterra. Il ragazzo conobbe quindi il limite della sua forza, quando si affrontò per la prima volta contro l’esperto Sir Pellinore.

Il vecchio cavaliere infatti gli distrusse la spada ritenuta magica nel duello, ma riconoscendo il suo talento lo lasciò vivere.

“Fai unire il cavaliere che ti ha battuto alla tua Tavola.” Suggerì allora il mago all’orecchio di Arthur. “Il nemico di oggi è l’alleato di domani.”

E così, mentre il potere del re si rafforzava grazie ai prodi cavalieri che si riunivano sotto il suo vessillo, il mago lo premiò con una spada davvero invincibile: emersa dalle profondità di un’antica civiltà nascosta in un lago, fuoriuscì dallo specchio d’acqua la splendente e dorata Excalibur.

 

E ora quel mago, dall’alto della sua tribuna personale, sorrideva divertito.

“Perché mi hai fatto fare tanta strada per raggiungerti, Merlino?!” Gemette dolorante una vecchia donna coperta da panni neri e grigi, ornati con piume di corvo.

La sua vista provocò ancor più ilarità in lui, strappandogli una risata.

“Megera! Sei proprio un fiore, vedo. Il più bel fiore che io possa cogliere oggi-”

“È Morgana, non Megera!” Gridò furibonda lei, prendendolo a bastonate con un ramo nodoso che usava per camminare. “E poi io dovrei essere molto più giovane di te!”

“Lo so, ma ti sei ridotta comunque vecchia e decrepita perché non hai saputo usare bene la magia che ti ho insegnato.” O forse non l’aveva insegnata come avrebbe dovuto apposta.

Lei di tutta risposta sputò per terra, ringhiando con i suoi pochi denti: “Ho capito, sei qui per deridermi e basta. Torno ad aspettare la fine del mondo…”

Ma Merlino la cinse prontamente in un abbraccio, iniziando a supplicarla con fare smielato “No, no, no! Ti prego, Morganuccia! Rimani e ti mostrerò tante cose bellissime!”

“Ma va via!” Morgana lo prese ad altre bastonate. “Che cosa vorresti farmi vedere da quassù? Sentiamo!”

Un ghigno serpentino si spalancò sulla faccia del mago, ricoprendo tutto il suo campo visivo dopo che l’ebbe forzatamente afferrata da spalle ed avvicinata a sé.

“Il più bello spettacolo prima della fine del mondo! Anzi, diciamo proprio che sarà questo stesso spettacolo a terminare l’esistenza degli dèi e degli umani!”

 

“E ora, dal lato degli dèi…!” Sbraitò St. Peter, venendo poi seguito dal collega Adramelech: “… chi cercherà a tutti i costi di calpestare questa speranza!”

Gli dèi iniziarono a esultare festosi, fino a quando il loro portale non si spalancò, portando solo un silenzio tombale. Sembrava un evento assurdo: tutte quelle voci erano state silenziate di colpo da qualcosa di invisibile, una presenza che, non sapevano nemmeno loro in che modo, ma riuscivano a percepire.

Era capace di paralizzare le loro ossa come un ordine impellente. Un ordine al quale non poteva sottrarsi nemmeno una divinità.

Scie di fumo grigio fuoriuscirono dal corridoio, ed inizialmente si temette che fosse qualcosa di simile alla polvere da sparo portata da Guy Fawkes. Al contrario però, quando arrivò alle narici di tutti gli spettatori, questi capirono cosa fosse: incenso.

Il dolce e penetrante incenso rese i loro sensi ancor più acuti, quando diverse fiammelle si accesero nell’oscurità da cui proveniva quel profumo. Il fuoco, fluttuando al di sopra di tante assurde figure, simili ad ammassi di ali e globi oculari con attaccati degli incensieri, sembrava vibrare al suono del loro canto.

“Confiteor Deo omnipotenti

Beato Urieli Archangelo

Quia peccavi nimis

Mea culpa, mea culpa

Mea maxima culpa”

Non pochi esseri umani tremarono come fuscelli al vento, con il terrore negli occhi e che risuonava fin nelle loro cellule. Alcuni scoppiarono in lacrime, ed eppure così si poté sentire dalle loro bocche fuoriuscire un rantolo:

“Kyrie Eleision! Kyrie Eleision!” Invocavano la pietà di colui che stava emergendo dall’oscurità, al suono del canto ormai trasformato in una vibrazione assordante.

“Mea culpa!”

Gli annunciatori ripresero la presentazione: “Lui, l’angelo che incarna la Giustizia, la Forza, la Luce…!”

Con uno scatto del braccio, ciò che brandiva la figura appena emersa dal corridoio si tramutò in una pira fiammeggiante.

“…il Fuoco!”

Non camminava, rendendosi ancor più distaccato da quel mondo terreno che con lui non aveva nulla da spartire. Una tunica bianca, cinta in vita, strisciava al suolo, rivelando la parte superiore del corpo: muscoli su di una pelle candida, ciò nonostante incisa da un marchio nero al centro del petto. Era un sole con un occhio all’interno.

“Mea culpa!”

“Porterà l’Apocalisse senza battere ciglio, ardendo fino a ridurre in cenere il suo avversario! Perché tale è la sua natura da implacabile giustiziere divino, e perché il suo nome significa proprio Fuoco di Dio!”

Due paia di gigantesche ali bianche erano distese dietro la sua schiena, mentre un piccolo paio saliva fin sopra al collo, incrociandosi davanti al suo volto per nascondere qualsiasi cosa si trovasse sopra la sua bocca. Al centro di esse era marchiato un altro occhio nero dentro un sole.

Col suo braccio destro impugnava uno spadone senza lama: infatti, dalla guardia in su danzavano in maniera quasi impercettibile delle fiamme, unite contro ogni legge della natura per formare una lastra di fuoco lunga due metri.

“Mea Maxima culpa!” Terminarono gli angeli attorno a lui.

“L’Arcangelo delle Fiamme Celesti… Uriel!!”

Il gigantesco angelo era massiccio come l’armatura di Arthur, ma, sospeso da terra di qualche centimetro, lo sovrastava di circa un metro. Non appena si fu ritrovato di fronte al suo avversario, sollevò il bicipite per porre la sua lama di fiamme parallela al terreno.

“Sei tu, l’ultima fortezza da abbattere per cancellare i mortali dal creato?”

Arthur rispose estraendo Excalibur dalla roccia, privandosi del mantello, che ricadde alle sue spalle.

 

Intanto l’umanità era ancora sotto shock, impietriti dall’apparizione dell’arcangelo.

“M-Ma come è possibile che quello… sia il vero aspetto di un angelo?” Più lo guardavano, e più si sentivano accapponare la pelle, pervasa da un formicolio infestante.

L’aria attorno ad Uriel era distorta, molle, con bagliori globulari che brillavano sulle piume delle sue ali per renderlo quasi inguardabile a causa della troppa luce.

In ogni raffigurazione storica degli angeli reperita fino ai tempi odierni, essi sono sempre stati ritratti con sembianze umane ed ali simili a quelle della colomba, simbolo di purezza. Eppure, ora che l’umanità si trovava al cospetto del primo vero angelo che si fosse mai rivelato a dei comuni mortali, capirono che questo fosse una creatura del tutto diverso dalla loro specie.

“Piuttosto…” Iniziarono a mormorare, come timorosi che il combattente degli dèi potesse sentirli: “Non ho mai sentito nominare questo Uriel. Perché non hanno inviato l’Arcangelo Michael, Gabriel o Raphael?”

Ma il segreto venne mantenuto dal silenzio che aleggiava nell’arena.

“Combattenti! Ai vostri posti!” Squillarono le trombe “Il Ragnarok ha inizio!”

 

“Di quanti peccati ti sei macchiato in vita, umano?” Disse Uriel appena cominciato lo scontro, stravolgendo l’aspettativa degli spettatori. Non ricevette risposta da Arthur, tuttavia sembrava che non gliene importasse affatto.

“Che siano stati mille, cento o anche uno, non importa. La grande colpa per la quale verrai giustiziato seduta stante…” Sollevò il braccio armato, caricando il colpo. “…è di aver sfidato Dio!”

Con un movimento innaturale, l’angelo parve traslare nello spazio senza alcun reale movimento corporeo, nullificando la distanza che lo separava dal cavaliere. Lì, calò lo spadone, dipingendo una mezzaluna infuocata nell’aria.

“Quella spada è fatta di solo fuoco!” Sogghignarono gli dèi sugli spalti “Non è qualcosa che puoi semplicemente fermare! Stupido umano!”

E gridando il nome del loro paladino, assistettero alla parabola compiuta dalla spada di fuoco. Questa però, venne intercettata a qualche centimetro dalla faccia di Arthur con un tonfo sordo.

Il grido venne soffocato, facendo echeggiare nell’arena soltanto quel misterioso frastuono.

Gli stivali del Re Cavaliere scavarono un piccolo solco nella terra, ciò nonostante né il suo busto, né le sue braccia vacillarono quando con Excalibur parò la spada di Uriel. L’angelo, incredulo, esercitò ancor più pressione sul suo braccio, trovando però un’insormontabile resistenza.

“Ladies and gentlemen!” Strillarono gli annunciatori: “Nessun fuoco al mondo si dovrebbe comportare in quel modo!”

Davanti agli occhi di tutti era infatti visibile come le fiamme che componevano l’arma dell’arcangelo continuassero a divampare, fatta eccezione per la parte in collisione con la lama di Arthur. Lì, infatti, esse sfrigolavano all’impazzata, tuttavia venendo respinte e facendosi sempre meno feroci.

“La sua spada tocca… l-le fiamme?!” Sussultarono sia gli dèi che gli umani.

Nell’alto della sua tribuna, Gaia, la quale aveva assistito alla scena con non poco stupore, si soffermò a riflettere nell’arco di un secondo: “Le opzioni sono due: questa capacità ha a che fare o con Excalibur o con…” volse lo sguardo alla tribuna sopraelevata opposta, dove c’era una sua vecchia conoscenza.

“…una Sefirot!”

Merlino sorrise perfido: “Schiaccialo, Arthur!”

 

E come se avesse potuto sentire quell’ordine, stavolta fu Arthur a muoversi. Lasciò scivolare lungo la lama l’attacco di Uriel, per poi colpire nel punto lasciato scoperto, ovvero l’intero fianco destro.

L’arcangelo riuscì a ritirare l’arma in tempo per usarla come scudo, ma il suo avversario aveva già previsto questa mossa, così deviò la traiettoria del colpo all’ultimo secondo. Gli spostamenti istantanei di Uriel e la sua grande spada lo salvarono giusto in tempo da una raffica di sferzate, fendenti ed affondi, talmente tanto rapidi da trasformarsi in scintillii fugaci.

“È una pioggia; ma che dico? una burrasca di attacchi!” Strillò Adramalech, su di giri, venendo seguito da St. Peter: “Nessuno si sarebbe aspettato che Arthur potesse costringere Uriel sulla difensiva!”

Con gli occhi scintillanti per l’emozione, il giovane Sir Galahad si stava sporgendo dalle tribune per assistere meglio alla scena: “È incredibile! Mozzafiato! Stupefacente! Anche se le fiamme che costituiscono la spada di Uriel la rendono un’arma pericolosa, il peso degli attacchi del Re lo sbilanciano sempre di più, rendendogli impossibile rispondere tra un colpo e l’altro!”

“Sei un vero fanatico, lasciatelo dire Galahad!” Rise allora Sir Gawain, divertito da tutto quell’entusiasmo nonostante lui non ne mostrasse affatto di meno. “Il nostro Re è un asso nel combattimento!”

“Il realtà quelle sono tecniche da principiante…” Commentò aspramente Sir Lancillotto, facendo piombare gli altri due cavalieri nello sconforto.

Dopodiché, assottigliando lo sguardo con l’aria di chi ha previsto l’arrivo di qualcosa di sensazionale, sussurrò: “Ora arriva la parte in cui occorre stare attenti!”

Quando Arthur caricò un fendente da dietro la sua testa, tutti compresero che sarebbe stato un attacco dalla potenza terrificante. Al contrario però, Uriel vide qualcos’altro: una finestra per colpire.

A causa della guardia del suo avversario venuta a mancare praticamente su tutto il corpo, nell’intervallo di tempo impiegato per sollevare così tanto la spada, lui poté abbandonare la difesa per sferrare un singolo, potente affondo a breve distanza.

Le fiamme scaturirono come un getto lavico eruttato da un vulcano.

Un essere infinitamente potente come Uriel aveva affrontato soltanto nemici altrettanto divini, o comunque soprannaturali, e per questo motivo mai era prima d’ora entrato a contatto con il mondo dei combattimenti umani. In particolare, la scherma tra esseri mortali, i quali combattono senza spade dai poteri magici, è parecchio interessante nel modo in cui può sopperire la differenza di potenza tra un avversario ed un altro. E questo modo si chiama tecnica, o strategia.

Per questo motivo, l’arcangelo non avrebbe mai potuto intuire che in realtà Arthur non stesse affatto caricando un colpo, bensì avesse assunto una posa difensiva con lo scopo di attirarlo fuori dalla sua difesa pressocché impenetrabile.

L’arma di Uriel venne intercettata in volo, e lì rimase, bloccata dalla pesante Excalibur. Questa situazione avrebbe portato ad un equilibrio, se solo il Re Cavaliere non avesse deciso di mollare la presa di una mano sulla sua spada, per poi calare l’intero braccio: con esso avvolse tra il gomito ed il guanto d’arme l’impugnatura dell’arma di Uriel, assieme alle sue due mani.

“Lo ha… bloccato!” Sussultarono gli dèi, appena conclusa quell’azione svolta all’incirca in un secondo.

“Schiaccialo!” Ripeté Merlino, con gli occhi iniettati di sangue.

Da quella distanza il pugno dell’umano, portato più che altro con il pomolo della sua arma, si abbatté sul volto dell’angelo con un fragore metallico.

 

L’occhio di Uriel si schiuse, osservando così il volto del suo avversario così vicino. In realtà poté solo riflettersi sull’elmo di lui, e così vide come il suo volto si fosse contratto per incassare il colpo con la guancia. Una stilla di sangue colò dalla sua bocca, ma niente più: nemmeno un lamento venne ceduto ad Arthur, il quale sembrava troppo attonito, come del resto tutti gli spettatori, per reagire.

Così agì lui per primo, spiegando le sue gigantesche ali per poi sbatterle fragorosamente addosso al cavaliere. Esso venne scaraventato all’indietro per una decina di metri, come se la folata di vento che lo aveva strappato dal suolo non percepisse affatto il peso a dir poco insostenibile della sua corazza. Infine, capitombolò al suolo, rialzandosi sulle ginocchia quasi istantaneamente.

Lì si fermò, iniziando a tremare convulsamente per qualche secondo. Quando smise, non pareva più così intenzionato a ripartire all’attacco.

“Quel bastardo ha fatto la cosa migliore.” Commentò Sir Pellinore, più preoccupato che in ammirazione.

Sir Gawain lo guardò con fare interrogativo: “Cosa intendi dire? Arthur l’ha comunque colpito!” 

“Quel pugno non era portato a danneggiarlo, ma solo a creare lo spazio necessario affinché avesse potuto infilzarlo con Excalibur. All’ultimo secondo però Uriel deve averlo intuito, ed ha incassato il colpo senza farsi distanziare, nullificando del tutto ogni opzione di Arthur.”

Un senso in inquietudine si animò tra gli spalti dell’umanità, e non per la visione del loro paladino costretto in ginocchio, bensì per ciò che stavano percependo nell’aria. A quel punto si accorsero di come anche la tribuna degli dèi fosse piombata nel silenzio più totale, ed alcuni di loro stessero addirittura tremando.

 

“Voi umani non sapete proprio fare altro?” La voce di Uriel suonava lamentosa come una nenia.

“Illudere. Mentire. Soggiogare con l’inganno.”

Nella mente delle divinità tra gli spalti vennero invocati i ricordi di tutti i combattenti perduti fino ad allora. In quel momento più che mai, si sentirono subissati da un odio inverosimile, alimentato in alcuni dalla vergogna, ed in altri dalla vendetta.

E proprio perché pensavano di essere in sintonia con le emozioni dell’arcangelo, a stento videro quando questo svelò un macabro sogghigno al di sotto delle ali che gli coprivano il volto.

“Meglio così!” Ruggì lui, euforico.

A nessuno venne data spiegazione del suo comportamento, perché un istante dopo sollevò la spada da terra. Sorprendentemente fece soltanto calare la lama verso il basso, colpendo il vuoto. Tuttavia, dal fendente seguì una deflagrazione di colore incandescente.

Arthur colse appena la sagoma di Uriel in quel bagliore accecante: lo vide scattare verso di lui, ed istintivamente sollevò la guardia, siccome non avrebbe potuto schivare.

Il colpo previsto tuttavia non arrivò, e quell’immagine dell’avversario sfocò, dissolvendosi al sole.

Ciò accadde giusto in tempo affinché il vero Uriel si sostituisse alla sua immagine residua una frazione di secondo dopo, ormai avendo destabilizzato il ritmo del cavaliere.

“Muori.”

Con una mezzaluna crescente rossa scarlatta, sotto gli sguardi atterriti degli spettatori, la spada di Uriel separò il braccio di Arthur dal suo corpo. Il fendente era stato rapido ma preciso come una pennellata, ciò nonostante, e di questo l’arcangelo si preoccupò immediatamente, non aveva eseguito la tanta desiderata uccisione.

Per di più, il braccio mozzato era soltanto un guanto d’arme, senza né spada, né…

-Sangue?!-

Lo shock del non vedere il liquido rosso vitale sgorgare da quell’arto reciso gettò il giustiziere divino in un abisso di insicurezze.

Quell’incertezza, esattamente com’era stata sfruttata poco prima da lui in persona, stavolta venne colta dal suo avversario. Arthur infatti aveva inarcato la schiena all’indietro per evitare di venir mortalmente reciso in due, e sfruttando lo slancio fece oscillare Excalibur dal basso, tracciando una mezzaluna del tutto uguale alla precedente, però di un bianco purissimo.

Uriel la parò dopo aver visto il bagliore con la coda nell’occhio, tuttavia il colpo fu così potente da respingerlo all’indietro. I suoi piedi toccarono terra, scavando due piccoli solchi assieme a quello gigantesco della sua spada che aveva saldamente ancorato al suolo.

 

Merlino sorrise compiaciuto: “La tecnica di Uriel consisteva nel generare un miraggio, riflettendo i raggi solari sul calore della sua spada. In questo modo Arthur ha visto la sua immagine distaccarsi, ed anticiparlo prima che effettivamente arrivasse da lui.” Si voltò verso la vecchia al suo fianco, con tono sbarazzino:

“Lo sai come hanno chiamato gli umani questo tipo di illusione?”

“Sì… Fata Morgana.” Rispose lei, guardando il mago con fare deluso, non soddisfacendolo con l’imbarazzo che in realtà stava provando.

“Quel giovanotto sembra essere assai avvezzo alle illusioni, però. E poi… quel braccio…”

“Ah, vogliamo parlare di quello?”

 

“Unbelievable, ladies and gentlemen!” Strillarono gli annunciatori, mentre le platee rimanevano sbigottite e mute.

“Arthur ha evitato il colpo mortale di Uriel per un soffio come se nulla fosse successo!”

A testimonianza di questa nonchalance, il cavaliere chinò l’emo verso il proprio arto, per poi raccoglierlo.

“Non… sanguina…” Mormorarono le divinità, notando come neanche dal moncone sgorgasse sangue.

I Cavalieri della Tavola rotonda risero beffardi, tutti tranne Sir Lancillotto, il quale si limitò a ribattere secco:

“No che non sanguina, imbecilli. Voi non siete di certo gli unici a poter avere delle armi magiche!”

Erroneamente nella storia si attribuiscono molti poteri magici ad Excalibur, ma in realtà ad essere davvero invincibile è l’abilità per il combattimento del suo portatore, ovvero il Re Cavaliere.

Affermare però che non ci siano poteri soprannaturali nell’arma è falso, perché il vero artefatto magico risiede non nella spada, bensì nel suo fodero. La guaina di Excalibur, rivestita interamente in oro e portata al momento sulla cintura del paladino dell’umanità, aveva infatti la capacità di non far mai sanguinare il suo possessore.

Per questo motivo la scena di Arthur che raccoglieva il suo stesso braccio come se fosse una pietra da terra, agli occhi dei quattro cavalieri parve assurdamente familiare.

“E non finiscono qui le sorprese.” Disse Merlino, osservando impaziente il suo pupillo.

 

“L-Ladies and gentlemen!” La voce dei presentatori si strozzò, mentre gli occhi degli umani di tutto il mondo si riempirono di gioia e speranza.

“Sai, Morgana… ad Arthur è stato dato un potere che entrasse in perfetta sincronia con la magia del fodero di Excalibur.”

“Re Artù si è…!”

Excalibur venne nuovamente impugnata a due mani, come più si addiceva ad una grande spada per un combattimento al pieno delle proprie forze.

“… riattaccato il braccio come se fosse stato un guanto!”

L’umanità ruggì vittoriosa, vedendo il proprio guerriero tornare come nuovo, e più pronto di prima a combattere.

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Perdonate la lunga attesa, ma questo scontro è un osso duro per me: nella mia testa è programmato in un modo, ma viene costantemente messo in discussione dal mio buon senso, e questo causa continui ripensamenti e modifiche in corso d’opera.

Ciò nonostante, almeno eccolo qui! Spero vi possa piacere quanto sta piacendo a me scriverlo, perché vi assicuro che sarà del tutto diverso da quelli che avete visto in precedenza.

Il motivo? Andrà a svelare le motivazioni dietro le scelte di Merlino che hanno causato l’inizio di questa storia.

A dopodomani, con il continuo!

P.S: Il design di Arthur è basato su questo stupendo disegno: https://www.artstation.com/artwork/nQ8nKr

   
 
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