Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Luschek    09/09/2020    2 recensioni
{Raccolta di Missing Moments&What If sui Guerrieri, scritta in occasione della challenge Hurt/Comfort Time indetta sul forum "La Torre di Carta".}
- Capitolo "Inizio":
"Senza fiatare si recò da Annie e Bertholdt. Il bambino gli sorrideva in modo così dolce, che a Reiner parve di sentire la bocca zuccherata ad un certo punto."
- Capitolo "Mostro":
"Se soffrisse tanto quanto hanno sofferto le sue vittime, cambierebbe qualcosa?"
- Capitolo "Grazie":
"Una volta il semplice schianto di un piatto sul pavimento l'ha ridotto ad un’ombra tremante, poiché l'ha confuso col fragore dei massi del Wall Maria che si schiantavano sulle case."
- Capitolo "Tregua":
"Odia il tonfo sordo prodotto dall’impatto dei pugni contro il muro."
- Capitolo "Autodistruzione":
"Percepisce una brezza gelida sul collo, quando si accorge che il tintinnio delle pillole è identico a quello dei bossoli che piovono sul pavimento."
- Capitolo "Fine":
"Rispetto a chi si è lasciato dietro, non c’è nessuno a fargli compagnia in quel luogo dimenticato da Dio."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Annie Leonhardt, Berthold Huber, Porco Galliard, Reiner Braun
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quel che non vi è stato raccontato'
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Prompt: Ricordi. 

What If/Predizione: Reiner muore durante l’ultima battaglia e, prima di passare a miglior vita, ha vari flashback sulla sua vita. 

 

 

Inizio 

Il potere dei Titani è qualcosa che solo pochi possono gestire. Reiner, da quando Eren ha dimostrato di possedere la Coordinata, è sempre stato convinto di questo. Marley addestrava i propri cadetti non solo per renderli più forti, ma soprattutto per controllare che i possessori dei Titani non fossero vittime della follia. Tra le generazioni dei cadetti, soltanto la loro è stata la peggio gestita: perché hanno assegnato il Gigante Bestia ad un traditore, mentre l’Armato ad un incapace come lui.  

Reiner si meraviglia di sé stesso: è ad un passo dalla morte e, invece di trovare la pace, si ostina ad autocommiserarsi. Prega che nessuno dei suoi compagni, né quelli vivi né quelli defunti, assista alla miserabilità con cui affronta il momento del trapasso.  

Mentre Eren – anzi, il guscio scevro di ragione che è diventato – si avventa sulla collottola del suo Titano, serra le palpebre e si morde il labbro inferiore per reprimere un grido di terrore.  

«Piacere, io mi chiamo Marcel. Marcel Galliard.» 

Il bimbo dagli occhi vispi gli porse la mano e Reiner, preso alla sprovvista, si nascose dietro la gonna della madre. Lasciò che s’intravedesse una porzione di volto, affinché potesse studiare i movimenti successivi del coetaneo. Marcel parve non prendersela, anzi, sembrò accettare quella diffidenza, come se fosse naturale, all’interno di quel contesto, non fidarsi di nessuno.  

«Questo è mio fratello Porco.» aggiunse e spinse in avanti un ragazzino coi capelli rossi. 

Li analizzò con attenzione, constatando che, sebbene la loro carnagione e i colori dei capelli fossero diversi, entrambi avevano una fisionomia identica. A differenza del fratello, però, Porco non sorrideva e questo lo mise in soggezione.  

«Vuoi giocare con noi? Cerchiamo un altro bambino per completare la squadra.» spiegò Marcel e col capo indicò tre bambini dietro di loro. Il più alto teneva un pallone sotto il braccio. 

Reiner scoccò un’occhiata alla madre, la quale annuì col capo e gli accarezzò i capelli.  

«Vai. La fila è molto lunga, passerà un po’ prima che sia il tuo turno, caro.» 

Inghiottì a vuoto, poi si staccò pian piano dalla donna e mosse qualche passo incerto verso i due fratelli. 

«Qual è il suo problema?» domandò Porco, che aveva un’espressione arcigna in volto. 

«Non ho alcun problema!» borbottò lui in risposta, mentre le gote gli s’imporporarono subito dall’imbarazzo. 

«Smettila, Polucolo 

Marcel sapeva imporsi, nonostante i suoi sette anni. Gli era bastato irrigidire la voce, affinché il fratello si ammutolisse. Senza esitazione, afferrò le loro mani e se li trascinò dietro finché non raggiunsero gli altri.  

«Lo hai trovato?» chiese una delle due bambine, quando furono abbastanza vicini. 

«Sì, eccolo qui: il nostro ultimo giocatore!»  

Il ragazzo gli sollevò un braccio e lui desiderò sotterrarsi. Adesso i cinque lo osservavano, come se si aspettassero che dicesse qualcosa. Calò un silenzio imbarazzante, durante il quale notò Porco roteare gli occhi e incrociare le braccia al petto. L’altra bambina, quella che era rimasta zitta, sembrava volesse trafiggerlo con lo sguardo, ma non sapeva per quale motivo lo stesse guardando male. 

«Come... come ti chiami?» era stato il bambino alto a parlare. 

«Io...» la stretta di Marcel si fece più intensa e lui si prese di coraggio «Reiner. Mi chiamo Reiner.» 

«Piacere di conoscerti, Reiner. Io sono Pieck.» la bambina gli porse la mano.  

Stavolta Reiner la strinse, liberatosi dalla riluttanza. Non si aspettava di conoscere così tante persone. Sembravano anche simpatici, tralasciando la bambina-bionda-inquietante e Porco. Sentì un calore piacevole attraversargli il petto, poi, spinto da una ritrovata grinta, chiese ai due coetanei rimanenti: 

«E voi come vi chiamate?» 

Il bimbo senza nome arrossì e si stropicciò un lembo della camicia, come se Reiner gli avesse appena domandato qualcosa di estremamente imbarazzante. 

«Bertholdt.» mormorò l’altro, evitando il suo sguardo. 

«Annie.» biascicò la bambina bionda e incassa la testa tra le spalle. 

Marcel batté le mani per richiamare la loro attenzione, poi le allungò verso Bertholdt, cosicché questo gli passasse il pallone. 

«Facciamo le squadre. Scelgono Annie e Pieck, così abbiamo una femmina per squadra.» 

Porco aprì la bocca per protestare, ma tacque quando il fratello gli arruffò i capelli. Reiner ammirava la sicurezza e la vivacità con cui si approcciava alle cose: era attratto da lui come lo sarebbe stata una falena da una fonte di calore. 

I maschietti si misero in fila e lui capitò tra Bertholdt e Marcel. Il primo torturava la punta della propria scarpa, scorticandola contro il terreno, mentre il secondo oscillava il peso un po’ sui talloni e un po’ sulle dita dei piedi. 

«Allora...» Pieck si prese il mento fra due dita «scelgo Porco.» 

Il ragazzo sorrise e batté il cinque a Marcel, poi trottò accanto alla bambina. Reiner si gratto il collo, non tanto perché avesse prurito, quanto per il fastidio che gli aveva arrecato non essere scelto per primo.  

Annie, invece che dirlo, puntò l’indice contro Bertholdt per riferire la sua scelta. Il bambino gli lanciò un’occhiata veloce, che a lui sembrò intonsa di preoccupazione, e in poche falcate raggiunse la bimba.  

Adesso aveva il magone, perché gli ultimi rimasti erano lui e Marcel. Nel frattempo che scrutava Porco sussurrare all’orecchio di Pieck, capì che lui sarebbe stato l’ultimo ad essere scelto. Tutto passò in un battibaleno, quando Marcel gli diede una pacca vigorosa sulla spalla e gli disse: 

«Finirai nella squadra più forte, fortunello.» 

Dopo ciò, gli importò poco che Pieck chiamò il nome dell’amico, invece che il suo. Senza fiatare si recò da Annie e Bertholdt. Il bambino gli sorrideva in modo così dolce, che a Reiner parve di sentire la bocca zuccherata ad un certo punto.  

«Dunque,» cominciò la ragazza «dato che tu sei grosso, sta’ in porta. Dovresti bloccare meglio le palle.» 

«Sono grosso?» sbarrò gli occhi, dopo che udì quelle parole. 

«No, non intendeva grosso in quel senso...» specificò Bertholdt tra un balbettio e l’altro «intende che... rispetto a noi, sei più muscoloso.» 

Reiner capì che l’altro voleva indorargli la pillola, tuttavia si limitò ad annuire. Era molto gentile con lui, quindi non se la sentiva di rispondergli a tono, né di attaccare briga con Annie, perché quella bambina gli incuteva timore. 

«Siamo pronti?» ululò Porco, sebbene i due gruppi fossero distanti solo pochi passi. 

«Sì!» esclamarono loro tre all’unisono, per poi lanciarsi degli sguardi perplessi quando si resero conto di aver risposto insieme.  

«Allora cominciamo!» gridò Marcel, che lanciò con un calcio il pallone in aria.  

Non gli avevano indicato nemmeno dove fosse la porta, tuttavia a nessuno dei sei importò molto dei ruoli. Ricordava che quel pomeriggio inseguirono il pallone fino a grondare sudore da ogni centimetro di pelle. La palla schizzava come se fosse all’interno di un flipper, all’interno del piccolo rettangolo di spazio che si erano ritagliati tra la folla.  

Annie e Porco erano i più veloci, tanto che a volte percepiva il bisogno di fermarsi, perché i polmoni bruciavano da impazzire nel tentativo di stare dietro loro, che, invece, non si arrestavano mai. Bertholdt era il più preciso: se lui entrava in possesso della palla, il goal era assicurato.  

Non si sarebbe mai aspettato di tenere testa a due compagni del genere, tuttavia, dopo l’ennesima cannonata di Marcel che era riuscito a parare, si disse che, forse, sarebbe riuscito a vincere quella partita di calcio.

Forse, azzardò, sarebbe riuscito a diventare persino un cadetto guerriero - chissà, magari un giorno lo sarebbe diventato davvero, un Guerriero!
 

 

 

 

   
 
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