Quando si desidera una cosa
bisogna avere pazienza.
Non importa quanti
ostacoli il destino metta sulla tua
strada,
se tu ami quella persona
tu li salterai, li scavalcherai
o li scalerai se necessario.
Per Shin avrei scalato
una montagna.
-Misato Uehara.
La mattina dopo mi svegliai in un
silenzio ovattato,
allungai la mano quel tanto che bastava per tirare un po’ la
tenda e mi
meravigliai. Aveva continuato a nevicare per tutta la notte e ora Tokyo
sembrava glassata, la metro avrebbe funzionato?
Sarei riuscita ad arrivare in tempo dal mio capo?
Non vedevo l’ora di togliermi il dente, volevo che il
fratello di Shin pagasse per tutte le sue malefatte e che ci lasciasse
in pace.
Parlando di Shin mi girai piano verso di lui e notai che dormiva ancora
con
un’espressione così serena che rimasi sorpresa.
Sembrava un bambino, era così vulnerabile che ne ebbi
paura, in quello stato tutto poteva fargli del male, persino io,
soprattutto
io.
“Non ti ferirò.”
Mormorai.
“Non sarò come tutte le donne della mia famiglia,
io sarò
diversa.”
Svegliai Shin, lui mi sorrise.
“Buongiorno, principessa. Che stavi dicendo prima?”
“Niente, commentavo che è caduta un sacco di neve
stanotte.”
“Ok.”
Mentre lui faceva la doccia io preparai la colazione, poi
toccò a me.
Fuori faceva davvero freddo, non credevo potesse fare
così freddo in città, ci affrettammo verso la
metropolitana, almeno lì ci
sarebbe stato caldo. Poi volevo parlare al mio capo il prima possibile.
La metro funzionava per fortuna e salimmo sul vagone che
portava verso dove lavoravo, era pieno di studenti e impiegati come al
solito.
Eravamo schiacciati come sardine, non vedevo l’ora di fare la
patente e possedere
un auto mia o almeno un motorino. Ero stanca di farmi schiacciare.
Arrivammo alla nostra fermata e scendemmo, respirare aria
quasi pura fu un sollievo.
“È presto, sei sicura che il tuo capo sia sveglio
a
quest’ora?”
Guardai il cellulare, effettivamente eravamo un po’ in
anticipo.
“Fermiamoci in un bar, così beviamo qualcosa di
caldo.”
Lui annuì ed entrammo nel primo locale che vedemmo, non
era molto pieno, sperai che la roba non facesse troppo schifo o che non
fosse
troppo cara visto che né io né Shin navigavamo
nell’oro.
Ordinammo un cappuccino, che arrivò poco dopo con qualche
pasticcino come decorazione, lo assaggiai: era buono.
“Buono.”
Mormorò Shin.
“Sì.”
Risposi io, ero sulle spine ora che il momento era arrivato.
“Non ti preoccupare, andrà tutto bene.”
Shin mi strinse la mano.
“Sì.”
Ci alzammo e pagammo, come mi aspettavo il prezzo non era dei
più economici.
La casa del mio capo era molto vicina, suonai il
campanello e lui uscì.
Alla mattina sembrava più vecchio e stanco.
“Vieni, Misato. Lui chi è?”
“È Shin, il mio ragazzo.
“Certo. Una ragazza carina come te non rimane da sola a
lungo.”
Commentò con un sorriso.
La sua casa era molto accogliente, un misto di elementi
tradizionali e moderni, sua moglie stava facendo colazione mentre
guardava il
tg del mattino.
“Mi scusi per il disturbo, ma ho pensato che fosse meglio
risolvere questa faccenda subito.”
“Deve essere successo qualcosa ieri sera, mi hai accennato a
una specie di
maniaco.”
“Sì, esattamente.”
Sentii la moglie sbuffare.
“Ecco perché non dovresti far fare il turno di
chiusura a
una ragazza: è pericoloso per lei.”
Lui sbuffò.
“Cosa è successo?”
“Mi ha fatto delle avances e si è portato via il
mio reggiseno.”
Arrossii.
“Ci sono le registrazioni? Altrimenti non possiamo fare
niente.”
Frugai nella mia borsa e porsi i filmati di sorveglianza
al mio capo.
“Ok, adesso guardiamo e poi vedremo cosa fare.”
“Va
bene.”
Mi sentivo un po’ in imbarazzo nel mostrare al mio capo
quei momenti così degradanti per me: ero stata usata come
mero oggetto di una
vendetta. Quel coglione non si era portato via solo il mio reggiseno,
si era
portato via la umanità.
Il mio capo guardava il video senza dire una parola, ma
con un’espressione profondamente disgustata.
“Mi dispiace, Misato. È stato un assalto in piena
regola
e non te lo meritavi, perché sei una brava ragazza. Vorrei
consegnarlo alla
polizia, ma come possiamo?”
“Lui vuole qualcosa da me e ritornerà. Visto che
sarà
un’altra notte di neve, quale occasione migliore?”
“Ok, stanotte lo terrò d’occhio da casa
mia. E quando lo
vedrò passare chiamerò la polizia, dovremmo
riuscirci.”
“Non è un po’ ristretta la tempistica?
Può scappare.”
Disse Shin.
“Sì, hai ragione. Misato non va messa in pericolo
o a
disagio più del necessario. Io lo tratterrò,
cara?”
La moglie alzò la testa dalla sua ciotola.
“Quando ti farò un segnale tu chiama la polizia e
spiega
la situazione, ok?”
“Ok, caro. Per me va bene.”
La sua espressione si era addolcita un attimo, doveva aver visto le
immagini.
“Misato, perché accetti di lavorare la
sera?”
“Per l’affitto. Faccio due lavori e nel tempo che
mi resta studio. Ho bisogno
di continuare a lavorare nel negozio di suo marito.”
Lei sospirò.
“Vorrei che mia figlia avesse la metà della tua
grinta…”
Lo presi come un segnale di approvazione.
“Va bene, allora è deciso.”
“Sì.”
Salutai il mio capo e sua moglie e poi uscimmo da casa loro.
Quel giorno fu eterno.
Dopo la visita al mio capo tornammo a casa, io mi misi in
pari con i compiti e lo studio, Shin studiò un copione e
provò le sue battute.
Non erano molte, faceva il figlio ribelle di un famiglia facoltosa e
alla fine
si redimeva grazie all’amore di una ragazza.
Non andava pazzo per quella sceneggiatura, ma aveva
bisogno di lavorare e farsi un nome se voleva averne di migliori, anche
se la
sua passione erano le produzioni underground.
Finalmente arrivò il momento di uscire per andare a
lavorare al supermercato, baciai Shin e mi avventurai in una Tokyo
coperta di
neve. Non era un problema per la metropolitana, ma le persone in strada
erano
di meno rispetto al solito.
Salii su di una carrozza ansiosa e preoccupata per quello
che mi aspettava alla sera, anche dopo ero distratta, i miei colleghi
erano
leggermente preoccupati perché di solito ero efficiente.
Finalmente arrivai al videonoleggio e dopo aver mangiato
un bento entrai, salutai il mio collega e poi mi cambiai. Indossai la
maglietta
del negozio e battei la mano sulla spalla del ragazzo.
“Dai, sei libero! Da adesso ci sono io.”
“Non credo verrà molta gente con un tempo come
questo.”
“Lo spero.”
“Ah! Speri di farti un sonnellino!”
“Forse.”
Ridacchiai come una scema, non doveva sospettare nulla.
Lui uscì e io mi misi dietro al bancone, esaminai per un
po’ la lista della gente che doveva riportare i video, poi
iniziai a
gironzolare per il negozio sistemando i dvd fuori posto.
La mia ansia aveva raggiunto il culmine, tra poco sarei
esplosa.
Finalmente il bastardo arrivò, io feci finta di nulla e
continuai a sistemare i dvd e le cassette. Avevo paura, ma non dovevo
dimostrarlo o sarebbe stato peggio, gli avrebbe dato più
potere.
Lo sentii alle mie spalle, ma continuai a ignorarlo, lui
mi prese per braccio e mi costrinse a voltarmi.
“Cosa vuoi da me?”
“Lo sai, voglio una risposta da te.”
“Non verrò con te!”
“Mi costringi a usare la forza.”
In un attimo le mie mani erano imprigionate nella stretta di una delle
sue,
l’altra saliva verso il seno mentre mi baciava violentemente.
Io mi divincolavo
come un’anguilla, ma la sua stretta era forte e ora una delle
sue sporche mani
era su una delle mie tette.
“Così è tutto più
eccitante!”
Mugugnò, poi la sua presa svanì, aprii cautamente
gli occhi e lo vidi
trattenuto da due robusti poliziotti, una poliziotta mi avvolse in una
coperta
e mi diede una tazza di the.
“Ragazzo, sei in arresto per tentata violenza
sessuale.”
“Era consenziente!”
“A noi non sembrava per niente e il suo capo dice che non
è la prima volta che le dai fastidio, dice che ha dei
video.”
“Non è vero, voi non sapete chi sono io!”
“Chi sei importa poco, noi abbiamo visto cosa stavi
facendo.”
Lo trascinarono via mentre lui vomitava un fiume di bestemmie, la
poliziotta
rimase.
“Ti senti meglio ora?”
Io bevvi un sorso di the.
“Sì. Grazie per essere intervenuti.”
“Il tuo capo ci ha chiamato.”
“Capisco.”
“Te la senti di venire in commissariato per la
denuncia?”
“Sì, ma vorrei venire con il mio ragazzo.
È possibile?”
“Sì, certo. Chiamalo pure, così ti
sentirai più sicura.
Ma non sarebbe meglio chiamare la tua famiglia?”
“Loro abitano a Okayama, io vivo qui per frequentare il
liceo.”
“Capisco.”
Chiamai Shin e lui arrivò subito. Mi lanciai nelle braccia
di Shin e scoppiai a piangere, buttando fuori in
qualche modo la tensione che avevo accumulato fino a quel momento.
Benché
sapessi che il rischio era calcolato mi ero spaventata comunque, lui
sembrava
deciso a stuprarmi, nonostante la presenza delle telecamere e il fatto
che il
negozio fosse un luogo pubblico. Forse pensava che i soldi di suo padre
avrebbero coperto tutto, non era nemmeno la prima volta che metteva nei
guai
Shin. Il padre non aveva rapporti con Shin, non sapevo da dove venisse
tutta
quella rabbia e non mi importava nemmeno in fin dei conti, bastava che
stesse
lontano da me.
“È tutto
a posto,
Misato. È tutto finito, adesso andiamo alla polizia e lui
sarà punito.”
“Sì, lo so. È la tensione, sono stata
in ansia tutto il
giorno.”
“Ti capisco, ma adesso lui non può più
farti male.”
Io annuii vigorosamente, era davvero finita.
“Devo andare alla polizia per la denuncia, mi
accompagni?”
“Non chiederlo nemmeno. Certo, che vengo.”
“Grazie.”
Il commissariato non era molto lontano, ci andammo mano nella mano a
piedi.
Avevo bisogno di Shin, volevo trascorrere più tempo
possibile con lui e non vedevo l’ora che la nostra
vacanza-appuntamento si
potesse fare.
In commissariato mi trovai ad affrontare quella maschera
di rabbia e odio che era il fratello di Shin, continuò ad
inveire contro di noi
mentre compilavo la denuncia. Non taceva nemmeno sotto le minacce dei
poliziotti, alla fine furono costretti a sbatterlo in guardina.
Sembrava nato
per stare lì, se Shin era un bastardo –
biologicamente parlando – quello era
bastardo dentro, marcio.
Non capivo il suo accanimento, da tempo il mio ragazzo
non era più responsabilità della famiglia
Okazaki, era stato sotto la custodia
legale di Yasu fino al suo diciottesimo compleanno e ora era
maggiorenne e
libero.
Finito di compilare tutti i moduli i poliziotti mi
lasciarono andare, dicendomi che sarei dovuta tornare il giorno dopo
per
confermare il verbale firmandolo.
“E lui?”
Chiesi un filo spaventata.
“Dato il suo comportamento aggressivo rimarrà in
guardina
per tutta la notte, poi potrà contattare il suo avvocato.
Potreste
patteggiare.”
Annuii, non volevo rivedere mai più quel cazzo di
maniaco.
“Puoi andare a casa ora.”
“Sì.”
Guardai l’ora sul cellulare, avevo perso l’ultimo
treno.
Mi alzai comunque e uscii dal commissariato insieme al
mio ragazzo, fuori nevicava ancora.
Io
cominciai a frugare nella borsa con gesti nervosi.
“Misato, che succede?”
“Tra una cosa e l’altra ho perso l’ultimo
treno per tornare a casa, controllo
di avere abbastanza soldi per chiamare un taxi.”
“Io non abito molto lontano da qui, puoi dormire da me,
se ti va.”
Tirai un sospiro di sollievo.
“Sì, mi va. Ti avrei comunque chiesto di venire con me, non me la
sento di dormire da
sola.”
“Comprensibile dopo quello che hai passato.”
Abbassò gli occhi con aria triste, io gli presi una mano tra
le mie.
“Ehi, non è colpa tua. Non pensarci neanche, mi
hai
sentito, Shin?”
“Ma se io non fossi entrato nella tua
vita…”
“Mi saresti mancato.”
“Dici sul serio?”
“Sì. Probabilmente a quest’ora mi starei
dibattendo in pensieri sul presunto
amore per il mio fratellastro, era quello che facevo prima di
conoscerti, ma
poi sei arrivato tu e le cose sono cambiate, adesso so chi sono. O
almeno penso
di saperlo, perché la vita è in continuo
movimento.”
“Deve essere per quello che cerchiamo certezze.”
“E io credo di averne trovata una in te.”
Dissi arrossendo.
“Grazie. È una delle cose più belle che
mi abbiano mai
detto.”
Strinse una della mie mani.
“Andiamo a casa mia, sarai stanca morta.”
Io sorrisi.
“Sì, andiamo. Un letto, una cioccolata e una
dormita mi
rimetteranno in sesto. Domani devo farmi vedere a scuola, almeno per
sapere i
compiti delle vacanze.”
Shin annuì e ci allontanammo insieme nella notte.
L’appartamento di Shin
era piccolo e piuttosto
incasinato.
Sembrava più l’appartamento di un occidentale e
notai che
si tolse la scarpe dopo che me le ero tolte e io e lasciandole a
casaccio, non
si era mai abituato al Giappone. Mi ritrovai a sorridere.
“Come mai sorridi?”
“Non ti sei ancora abituato al Giappone, vero?”
“Ci sto provando, ma mi riesce ancora difficile. Da cosa
l’hai capito? A parte
sapere la mia storia.”
“Le scarpe.”
Gliele indicai.
“Ogni buon giapponese sa che vanno disposte con la punta
verso l’uscita, tu le hai buttate a caso e te le sei tolte
dopo che io l’ho fatto.
D’abitudine non lo fai e ogni giapponese ha
l’abitudine di farlo.”
Lui sorrise.
“Sgamato.”
“Scusami, faccio la maestrina e tu mi hai appena
aiutata.”
“Sei finita nei guai perché frequentavi
me.”
“Questo non conta, non è colpa tua se hai un
fratello stronzo.”
Lui sorrise.
“Vuoi qualcosa? Ho della birra…”
“No, un the caldo va benissimo. Non mi va di bere birra o
altri alcolici.”
“Ok, mettiti comoda.”
Io annuii e mi lasciai cadere a peso morto sul divano, in un angolo del
salotto
c’erano un basso e una chitarra acustica, tutti e due avevano
l’aria di non
essere stati toccati da mesi. Probabilmente erano un residuo di quando
suonava
nei Blast di cui non riusciva, o non voleva, liberarsi. Sembravano
aspettare
qualcuno o qualcosa, che attendessero anche loro Nana?
Che sapessero che se n’era andata e che anche la loro
vita era stata congelata da quel distacco improvviso e inaspettato?
Mi piaceva pensare di sì e le aggiunsi alla lista di cose
e persone che la partenza di mia sorella aveva messo in stand-by.
Ancora una
volta mi chiesi perché se ne fosse andata, ma iniziava a
diventare una domanda
sterile e inutile, i motivi non importavano più, quello che
importava era che
tornasse.
“Ecco il tuo the.”
“Grazie.”
Non mi ero accorta di quanto fossi scioccata finché non
bevvi quel the, sentire
il suo calore dentro di me sembrò restituirmi al mondo.
“Ci voleva proprio.”
Mormorai.
“Stai meglio, ora?”
“Sì, prima mi sembrava di vagare tra argomenti non
importanti per non
affrontare quello che è successo stasera. Il mio monologo
inutile sulle scarpe,
la mia riflessione sugli strumenti musicali erano solo modi per non
pensare.”
“Ah, hai notato quanto sono stati poco usati la mia chitarra
e il mio basso.”
Io annuii.
“Pensi che dovrei riprendere a suonare?”
“Solo se vuoi…”
“Mi piacerebbe suonare il basso.”
“E la chitarra no?”
Il suo sguardo si fece lontano e distante.
“Ho imparato a suonare la chitarra acustica solo per
Reira.”
“Oh, scusami… Io non volevo…”
Lui alzò una mano.
“È tutto okay, lei è nel passato ormai.
Ha scelto l’uomo da amare e non sono io.”
“Takumi, eh?”
“Già, Takumi. Quell’uomo sembra nato per
rubare la felicità agli altri.”
Strinsi la tazza e abbassai gli occhi.
“La ami ancora?”
“È stata la prima ragazza di cui mi sono
innamorato sul
serio, proverò sempre qualcosa per lei, ma amarla?
No, ho smesso di amarla. Ho avuto molti mesi per capirlo
e accettarlo.”
“Lei ti amava?”
“Non lo so, forse a suo modo, un pochino sì. Il
vero amore della sua vita è
Takumi, però, e lei correrà sempre da lui quando
dovrà scegliere. È quello che
ha sempre fatto, spero che un giorno riesca a tenerselo tutto per
sé per
sempre, molte persone smetterebbero di soffrire, inclusa tua
sorella.”
“Mia sorella?”
“A lei Takumi non è mai piaciuto. Prima le ha
portato via Ren con la sua band,
poi Hachi e Ren una seconda volta quando lo ha implicitamente costretto
a
scegliere lui tra Nana e la band.”
“Stronzo.”
Borbottai, pensando a quanto dovesse avere sofferto lei, che
già si portava
addosso la ferita dell’abbandono di nostra madre.
“Se continuiamo a parlare di lui la mia birra si
inacidirà e il tuo the
diventerà amaro, meglio smettere.”
“Sono d’accordo conte, adesso è il
momento di festeggiare, non di piangere.”
Finimmo il the e la birra, Shin portò tutto in cucina e
lo sentii lavare la tazza.
Io ero sul divano a combattere contro me stessa, avevo
già dormito con lui ed era quella la mia intenzione quando
gli avevo chiesto se
potevo stare da lui, eppure avevo più paura adesso che la
prima volta.
Doveva essere l’effetto del trauma che avevo subito,
respirai profondamente e cercai di ritrovare la calma, non potevo
permettere a
un bastardo qualsiasi di rovinarmi la serata e poi ero sicura che Shin
non ci
avrebbe provato. Mi rispettava troppo per farlo, avremmo fatto
l’amore
nell’occasione giusta e non era questa, ora sarebbe sembrato
solo affrettato.
Mi sentii un po’ meglio.
“Che ne dici di andare a dormire, Misato?”
“Sì, ci sto.”
“Sembri nervosa.”
Io scossi le spalle.
“Lo sono, ma non so perché.”
Lui mi abbracciò forte, all’inizio ero spaventata,
ma poi sentendo il suo odore
mi rilassai completamente e rischiai di cadere per terra come un sacco
di
patate. Lui mi sollevò come se fossi una sposa.
“Sei solo spaventata, è normale.
Adesso ci facciamo una dormita e domani le cose
sembreranno migliori.”
Io annuii.
“Shinichi…”
“Sì?”
“Ti amo. Grazie per esserci.
Sei stato la mia medicina.”
“E tu la mia, piccola Misato. Ora è il momento di
andare a letto, sei stanca e
scossa.”
“Sì.
Mi addormentai nelle sue braccia, ancora prima di raggiungere il suo
letto e lo
feci sorridendo.
Era questo l’effetto che mi faceva lui: anche nelle
situazioni peggiori mi rassicurava e mi faceva sorridere come nessuno
mai.
Era questo il vero amore, non ancorarsi a una persona
come se fosse una roccia per non andare a fondo, ma sostenersi a
vicenda.
Nana, sei mai riuscita ad accettare fino in fondo il
sostegno di Ren?
Ren te lo ha mai offerto?
Lo hai percepito?
O forse il tuo bisogno era più primordiale? Volevi
qualcuno legato a te per sempre?
Qualcuno che non scappasse?
È per questo che hai messo una catena e un lucchetto al
collo di Ren?
Come ti sei sentita quando hai scoperto che li ha portati
fino alla fine?
Che ha pensato a te fino alla fine, come testimonia il
regalo per te?
Questo ti ha consolato o ti ha gettato in un abisso di
disperazione ancora più profondo?
È per questo che scappi?
Sono i legami che ti fanno paura?
Sorella, i legami ti avrebbero potuto salvare e forse
possono ancora farlo.
Fu a questo che pensai quella notte tra il sonno e la
veglia, abbracciata stretta al corpo magro di Shin.