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Autore: Master Chopper    11/09/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 34: The Sword

Sefirot Keter, la Corona. Questo incantesimo, scelto accuratamente da Merlino per combinarsi con la magia del fodero di Excalibur, permetteva al Re Cavaliere di saldare qualsiasi cosa toccasse come se fosse stato un fabbro con del metallo bollente.

In tal modo si era potuto riattaccare il braccio, senza aver perso sangue, e siccome il potere si spingeva anche a livello molecolare, riusciva a rendere solide le fiamme della spada di Uriel per poterla far fronteggiare con Excalibur.

 

“Esattamente come ai vecchi tempi, quando bastava solo ago e filo dopo una battaglia per riattaccargli orecchie, braccia e gambe!” Rise sguaiatamente Sir Owain, con grande sconcerto di Sir Galahad.

“Non capisco cosa ci sia da ridere, comunque… già, il nostro re, proprio perché sapeva di essere inarrestabile, si lanciava sempre in prima fila. Nessuno riusciva a scollarlo dall’avanguardia.”

E mentre i tempi andati venivano rievocati con un mesto sorriso sulle labbra, Sir Pellinore diede voce ai pensieri di tutti loro: “State pensando che c’è qualcosa di strano in tutto ciò.”

I due giovani cavalieri sussultarono, al contrario di Sir Lancillotto, il quale si corrucciò per rispondere al vecchio: “Ma non riesco a capire cosa.”

Riportarono lo sguardo sull’arena: “Cioè, il suo modo di combattere è sempre stato quello, no? Quindi perlomeno il carattere dovrebbe essere rimasto…”

“Carattere?” Grugnì l’anziano cavaliere. “Non ha aperto bocca nemmeno una volta dall’inizio della battaglia, né si è sfilato l’elmo. Come possiamo davvero dire che sia rimasto lo stesso di sempre?”

 

Gli uomini più vicini ad Arthur della sua stessa famiglia, ovvero i Cavalieri della Tavola Rotonda, lo conoscevano a menadito da praticamente quando aveva affermato il suo potere sulla Britannia.

Avrebbero potuto narrare vita, morte e miracoli di quell’uomo, di tutta la sua passionale esistenza e del suo cuore da inguaribile ingenuo fanciullo. A volte sembrava proprio un bambino, e Merlino suo padre o fratello maggiore, pronto a ragguardarlo. Ciò era quasi comico, siccome nonostante il mago dimostrasse pochi anni più di lui, si comportava da mamma preoccupata per il figlio.

Questi battibecchi erano spesso fonte per i cavalieri di derisioni, le quali venivano ben accolte dal re a causa del suo umorismo. Tuttavia, ci fu una volta soltanto in cui nessuno osò pronunciare parola in una discussione tra Merlino ed Arthur.

Fu quella volta in cui, di soprassalto, la parete della stanza in cui si tenevano le riunioni, assieme al celebre tavolo, venne sfondata. A sollevarsi dalle macerie fu un giovane uomo, dai biondi capelli mossi e con una camicia di seta blu indosso, ora macchiata di sangue.

Si ripulì la bocca, sputando un grumo rosso per terra.

“Bastardo!”

“Smettila di provocarmi, Arthur! Ti sto parlando seriamente.” Tuonò un giovane dai capelli bianchi, vestito con un lungo abito intarsiato di gemme. Brandiva una staffa, dalla cui punta fuoriusciva ancora un filo di fumo.

I cavalieri tutti attorno si erano prontamente allontanati, assistendo alla scena con una preoccupazione mai provata prima.

Ruggendo, Arthur brandì una spada appartenente ad un’armatura da esposizione e si lanciò su Merlino. La lama e il bastone si incrociarono.

“Sei soltanto un ragazzino sconsiderato se pensi che puoi fare tutto ciò che vuoi solo perché sei il re!” Gli urlò in faccia l’altro.

“Ah sì?! Invece devo fare tutto ciò che vuoi tu solo perché tu sei… cosa?! Il re del nulla?!”

“Come osi?! Io ti ho fatto diventare ciò che sei adesso, altrimenti saresti ancora a rubare dalla strada, figlio bastardo del re Uther!”

Dopo aver sentito il modo in cui era appena stato chiamato, gli occhi di Arthur si assottigliarono come quelli di un animale. Abbandonò la pressione sulla staffa di Merlino e si gettò su di lui con una spallata in pieno petto, travolgendolo. Dopodiché, cavalcando l’inerzia, lo afferrò dalle spalle per gettarsi assieme a lui a terra, schiacciandolo.

Lì, rinchiudendolo tra le sue ginocchia, provò a sferrargli un pugno, ma venne bloccato.

“I-Io…” la sua voce tremò per lo sforzo.

“Proprio perché sono un… bastardo…!” Un suo pugno riuscì a collidere con la faccia di Merlino, facendogli schizzare sangue dal naso rotto.

Il mago aveva istintivamente chiuso gli occhi, ma quando li riaprì si considerò pronto a contrattaccare con tutte le sue forze. Però non lo fece.

“Io, proprio perché sono un bastardo…” Vide Arthur in lacrime, sopra di sé: “Voglio conoscere il vero amore, ed amare chi amo davvero, e da chi sono ricambiato.”

Il grido proveniente dal cuore lacerato del ragazzo riecheggiò in tutta la sala, vibrando in quelli dei valorosi cavalieri, ma soprattutto in quello di Merlino.

Arthur Pendragon, figlio del re Uther, avuto da una regina già sposata ma che lui desiderava a tutti i costi. Successivamente, una volta divenuto re, gli era stato imposto un matrimonio politico con Ginevra, donna che lui non amava affatto.

Scoprì così che le guerre e le battaglie, assieme alla leggenda che contribuiva a creare grazie alla sua spada Excalibur, non lo rendevano affatto più eroico di un uomo triste e solo. Questo, fino a quando non conobbe una donna che amasse davvero: lady Morgana.

 

Merlino aveva provato a metterlo in guardia: la sua previsione infallibile diceva chiaramente che, qualora Arthur si fosse unito a Morgana, ciò avrebbe segnato la fine del suo regno, condannandolo alla disgrazia e alla morte.

Eppure, ora che quel giovane aveva tirato fuori i denti e gli artigli per opporsi a quel destino del tutto certo, e ancor più dopo aver visto le sue sincere lacrime, il mago poté dire di conoscere cosa stesse provando.

Lo conosceva anche lui l’amore.

Fuori dal castello, dove si era rifiutato di vivere, in una casa sul lago più incantevole di tutta Britannia, lo aspettava la sua amata. Una donna la quale pronunciare solo il nome gli riempiva le narici di un odore dolcissimo, di casa.

-Nimue… tu capiresti.- Assieme a Nimue avevano cresciuto Arthur sin dalla sua nascita, portato via dal padre Uther, anch’egli privo di un destino felice. Sapeva che anche lei desiderava soltanto vederlo in pace con il suo cuore, e forse quello era l’unico modo per salvarlo dalla miseria della sua stessa anima.

Il mago fece crollare le sue braccia al suolo, in segno di resa. Lasciò che le lacrime del suo praticamente figlio gli precipitassero sul viso, diventando allora le sue.

 

Immerso in quei tempi, il volto di Merlino si era irrigidito in un’espressione neutra, con gli occhi tutt’altro che colmi dell’entusiasmo di poco prima. Morgana al suo respirava profondamente per l’emozione.

Intanto, proprio al di sotto del loro sguardo, la folla umana continuava a ululare.

“Maledetto angelo da quattro soldi!” Gridavano iracondi, rigettando la loro rabbia ed il loro disgusto verso l’immobile avversario, pietrificato di colpo dopo il rivelato potere di Arthur.

“I veri angeli dovrebbero stare dalla parte di noi umani! Anzi, tutti voi déi in realtà… dovreste amarci come noi abbiamo amato voi!” Lacrime scorrevano tra gli spalti. Appartenevano a cuori traditi dalle fedi in cui si erano rifugiati per millenni, o milioni di anni, solo per scoprire che in realtà quell’amore non era affatto ricambiato.

Anzi, proprio coloro che avevano venerato, per nove lunghe battaglie non avevano desiderato altro che la loro estinzione.

Masutatsu Oyama, Vlad, Dante e Charlotte, i quali ora osservavano la scena con sguardo crucciato, erano complici della furia degli dèi che si era abbattuta solo loro con l’intento di cancellarli per sempre.

 

“Amare.” Le labbra di Uriel si dischiusero dopo esser rimaste serrate per troppo tempo.

Né una goccia di sudore marchiava il suo corpo, e né un respiro affannato disturbava la sua voce, la quale infatti poté rimbombare in tutta l’arena nonostante fosse calma e monotona.

Gli umani si ritrassero istintivamente indietro, e sorprendentemente lo stesso fecero gli déi.

Lui sollevò lentamente la mano di fronte a sé, per poi tendere il braccio in direzione del suo nemico.

“Un Dio che promette amore… non è mai esistito, se non nella vostra disperata immaginazione!”

Serrò il pugno con così tanta forza da produrre il suono di due montagne che si scontravano tra di loro, generando al contempo una pressione che seppe smuovere il terreno.

“Voi non meritate amore da nessuno, eppure lo pretendete come elemosina! E questo perché voi umani siete… peccatori.”

Pronunciando l’ultima parola, si fiondò verso Arthur ad ali spiegate. La sua ombra gigantesca venne proiettata sul cavaliere, inglobandolo e trasmettendo in tutti gli spettatori una sensazione di oppressione spaventosa, come se anche loro potessero venir giustiziati in un batter d’occhio.

Arthur, senza essersi scomposto nemmeno per un secondo, si preparò a resistere all’attacco più veloce che l’avversario gli avesse scagliato contro.

“Seven Bowls of God’s Wrath!”

Tuttavia, qualsiasi cosa arrivò in seguito fu senza dubbio fuori dalla sua anche più remota previsione.

Al primo fendente, quasi del tutto invisibile, venne conficcato di schiena nel terreno senza nemmeno avere il tempo di accorgersene. Il secondo fendente parato lo scagliò all’indietro, o meglio, attraverso la terra alle sue spalle che penetrò per diversi metri. Il terzo colpo fu un affondo, e quando lo evitò sollevandosi da terra, questa fu perforata al posto suo fino a chissà quale profondità. La spada di fuoco allora si sollevò dal basso per un quarto colpo, ed il fendente sfiorò appena l’elmo di Arthur, proseguendo in una colonna di fuoco fino alle nuvole.

Quando tuttavia il Re Cavaliere vide l’avversario scagliare i suoi ultimi tre fendenti, comprese che non avrebbe avuto scampo: furono così veloci da venir visualizzati dai suoi occhi come se fossero avvenute nello stesso esatto tempo. Nonostante la velocità, la loro potenza fu tale da squarciare la sua armatura su entrambe le spalle e al centro del petto.

Poté sollevare la spada solo dopo essersi accorto di esser stato colpito.

Ladies and gentlemen! I colpi di Uriel vanno a segno!” Gridarono gli annunciatori, ma proprio l’arcangelo non degnò né loro, né gli spettatori e tantomeno Arthur, di un secondo di tregua.

Infatti, quando il suo avversario si sarebbe aspettato un attacco, sbatté nuovamente le ali così forte da scagliarlo all’indietro per la corrente generata.

“Seven Bowls of God’s Wrath!”

La letale combinazione di attacchi venne ripetuta proprio dopo che il Cavaliere era stato destabilizzato dalla folata di vento improvvisa.

Il primo colpo, per lo stupore di tutti, venne parato.

“Forza Arthur!” Gridava l’umanità dalle tribune.

Anche il secondo venne parato, mentre il terzo fu schivato per un soffio.

“Arthur…” Mormorò Charlotte Corday mordendosi il labbro inferiore. Non voleva perdere un altro compagno.

Al quarto colpo Arthur provò ad incrociare la spada con quella di Uriel, ma le fiamme divamparono d’improvviso, minacciando di inglobarlo, e così venne respinto.

Chiunque si stava rendendo conto che in realtà il combattente delle divinità stesse rivelando la sua vera forza solo in quei brevi attimi, con pochi colpi atti a distruggere il suo avversario.

Ciò nonostante, anche al quinto attacco il cavaliere fece cozzare la sua Excalibur contro la spada avversaria per interromperne la carica. Di nuovo, fallì.

A quel punto Uriel, senza perdere il ritmo della sua danza fiammeggiante, indietreggiò quanto bastasse per affondare in avanti. L’affondo era stato più debole del precedente, e quando ciò venne intuito da Arthur, lui comprese di poter rischiare il tutto e per tutto: avrebbe afferrato le mani di Uriel come prima.

Eppure, proprio quando il suo cervello ebbe registrato l’azione che stava per compiere, tutto divenne buio.

Le ali di Uriel si erano spalancate, coprendo la luce del sole ed inabissando l’enorme corpo del cavaliere all’interno della sua ombra.

Ora che Arthur riuscì a vedere la trappola che il suo nemico gli aveva teso, si accorse di quanto lui stesso ormai fosse irrimediabilmente esposto ad un prossimo attacco. Ciò nonostante, cercò il più velocemente possibile di pararsi prima che Uriel lo colpisse di nuovo con una folata di vento.

E proprio così, il vero stratagemma dell’angelo poté mettersi in moto: dopo essersi librato in volo per appena un metro ad ali spiegate, anziché sbatterle, ruotò attorno all’asse che costituiva il suo corpo. Così fu in grado di sferrare un tremendo colpo potenziato dall’energia cinetica; stavolta la guardia dell’umano non solo cedette, ma letteralmente si spezzò.

 

Il suono dell’acciaio e delle ossa che si frantumavano sovrastò ogni urlo da entrambi gli schieramenti, per poi far piombare le suddette tribune nel silenzio più totale.

Gli umani guardarono atterriti, grazie ai loro occhi sgranati per lo sgomento, a cosa fossero state ridotte entrambe le braccia del loro paladino: rami spezzati, dai quali l’armatura si sgretolava come un sottile strato di vetro infranto.

Ma, con ancor più orrore e disperazione, riuscirono a vedere ciò che significò il momento più buio dall’inizio del Torneo del Ragnarok.

Erano frammenti di acciaio e oro che risplendevano nella loro sofferenza, piombando al suolo.

“Dio ha creato il peccato esclusivamente per renderne vittime gli umani.” Sentenziò allora Uriel.

Il suo spadone di fuoco, le sue quattro ali spiegate, e la sua intera mastodontica figura rimasero impresse nel riflesso di Excalibur, la leggendaria spada, ormai spezzata.

“Mentre io sono stato creato per punire i peccatori! Dunque, voi umani esistete solo affinché io, in questo momento a me concesso alla fine dei tempi, possa purgare il creato dalla vostra vita!”

 

Gli annunciatori erano ammutoliti come tutti i presenti. Non era necessario aggiungere niente, perché chiunque aveva assistito alla più spaventosa dimostrazione di forza in quel torneo.

Adramalech volse lo sguardo verso il suo collega, ed a quel punto si ricordò di una conversazione avuta poco prima dell’inizio del nono scontro. Più che una chiacchierata tra colleghi era stato un avvertimento: gli era stato garantito che si sarebbe presto reso conto del perché Uriel fosse stato scelto tra tutti gli angeli, nonostante non fosse famoso per qualche sua azione.

Al che il cancelliere degli Inferi gli aveva preventivamente chiesto una spiegazione, ed in quel momento aveva potuto veder riaffiorare negli occhi del cancelliere del Paradiso un ricordo angosciante.

“Perché in realtà…” Gli aveva confidato “… è sempre stato Uriel il vero angelo più potente.”

 

Chi tra i grandi angeli era stato selezionato per annientare la sopravvivenza dell’umanità?

Michael, il capo dell’esercito angelico e principe degli angeli, che aveva scacciato all’inferno suo fratello Lucifer? O forse Gabriel, il cui nome significa Forza di Dio, come aveva dimostrato annientando la città di Sodoma?

Poco tempo prima dell’inizio del Torneo del Valhalla, St. Peter era stato incaricato di raggiungere l’Alto dei Cieli per invitare i suddetti arcangeli a prendere parte allo scontro.

“Uff! Queste scale!” Gemette, maledicendo le sue piccole ali per niente adatte al volo “Cos-? No! Non le sto maledicendo davvero!” Urlò, dissociandosi dal peccato.

Una volta raggiunto il piano più alto al quale quella scala dorata potesse condurlo, trovò la figura di un giovane seduto su di una nuvola, con le gambe penzoloni. Quando questi lo vide, dopo una capriola nel vuoto spiegò tre paia di ali per raggiungerlo in volo.

“Peter!” Raphael lo salutò raggiante, siccome non era un volto solito a vedersi lassù. Lui era l’Arcangelo della Cura, dall’aspetto più innocente e fanciullesco di tutti gli altri. E, a detta di St. Peter, era anche mille volte più piacevole da guardare di tutte quelle assurdità fatte di ali e occhi e ruote, da brivido.

Dopo avergli spiegato il motivo della sua venuta, il cancelliere guardò l’angelo in attesa di una sua reazione.

“Lo sapevo già.” Gli disse lui però, sorprendendolo.

“Qui tutti sanno già che cosa sta per succedere. Io però…” Il suo viso si fece mesto, volgendosi altrove. “… non voglio davvero pendere la bilancia per l’estinzione dell’umanità.”

Tra tutti, Raphael era stato l’angelo più vicino agli umani, dispendendo la sua conoscenza per guarirli e spingere la loro evoluzione fino al punto dove erano arrivati.

“So cosa vuoi dire.” Nonostante al giovane si fosse accapponata la pelle per la paura di esser stato sentito mentre diceva tali cose, quando si voltò non trovò alcuno sguardo di rimprovero. Al contrario, c’era un sorriso compassionevole, ma che sosteneva il fardello di un grande dolore.

Michael, dalla bellezza folgorante, aveva la testa bionda incorniciata da un’aureola di piccole spade di luce, come quelle che adornavano già la sua armatura dorata. Tuttavia, anche se in perenne assetto di battaglia contro le forze del male, non pareva affatto intimidatorio e ostile.

“Da quando in qua gli uomini rappresentano il male che noi umani dovremmo estinguere? È quasi un controsenso, qualcosa che va contro il nostro compito sin dalla loro creazione…” Perplesso, guardò St.Peter in cerca di risposte, anche se lui era solo un cancelliere.

“Però lo farai.” Terminò per lui una terza voce. Si trattava di un altro angelo accovacciato in disparte, con le braccia poggiate sulle ginocchia larghe. “Perché siamo stati chiamati proprio per porre fine alla loro vita.”

L’arcangelo Gabriel pareva distaccato, o forse desensibilizzato sull’argomento, come dimostravano i suoi occhi foschi.

“Il Concilio degli Dèi non accetta mai repliche. Ho sentito che hanno richiamato all’appello persino chi si è sempre tenuto distante dal loro ambiente, come Enkidu, Baphomet e Sun Wukong. E se rifiutiamo… bhe, penso che sarebbero disposti a mandare Fenrir fin quassù per prenderci.”

Michael lo guardò con aria di rimprovero, offeso dall’ipotesi dell’altro, il quale credeva che per lui il Lupo del Ragnarok sarebbe stato un problema.

“Eppure qualcuno si è opposto a loro!” Esclamò Raphael, intervenendo: “Si tratta proprio del motivo per cui stiamo affrontando questa discussione! È un membro del Concilio degli Dèi, quel Merlino…”

“E allora? Cosa vuoi dire: che dovremmo unirci a lui?” Domandò il principe degli angeli, senza però alcuna ironia nella voce. A quel punto vide la faccia scura di Gabriel infrangersi, mostrando un piccolo sorriso.

“Bhe, allora… sapete che io sono il messaggero per eccellenza, no… ?”

“Smettila di vantarti, vanaglorioso!” Lo beccò Raphael, quasi spingendolo a controbattere.

“Ecco… ho scoperto che in realtà molti dèi, anche appartenenti ai pantheon che hanno schierato i loro combattenti, si sono messi dalla parte di Merlino. Parlo di Ishtar, Fobetore, Ammit, Prometheus, il quale è un combattente, e persino una delle presidentesse del Concilio, Ptah… e altri.”

“A-Aspettate, ma di cosa state-?!” Balbettò St.Peter, incredulo di star assistendo a quella conversazione, nonostante stesse venendo ignorato.

L’Arcangelo della Cura squittì raggiante: “Quindi non siamo stati i soli ad aver avuto questa idea!”

Al contrario, Michael fu più riflessivo prima di aprir bocca: “O forse c’è qualcosa dietro le azioni di Merlino, che va ben oltre il semplice salvare l’umanità.”

Gabriel inarcò un sopracciglio: “Sei indubbiamente diventato più scettico da quando hai mandato Lucifero nelle profondità della terra.”

“Il fatto che il male sia sotto terra non vuol dire che non possa essere lo stesso vicino ai cieli.” Nonostante il velo di inquietudine che circondava il Principe degli Angeli, dopo poco cancellò ogni dubbio dal suo viso e proclamò:

“D’accordo. Andremo almeno a parlare con Merlino per conoscere le sue vere intenzioni. In questo modo valuteremo quali parti prendere!”

Non ci fu tempo per i festeggiamenti di Raphael, o la felicità male esternata di Gabriel. Non ci fu nemmeno più tempo per quell’idea di tramutarsi in un fatto, perché prima ancora che potessero accorgersene, gli Arcangeli erano diventati quattro.

“È così, dunque?” Una pressione paragonabile al levare di mille voci in coro esplose nell’Alto dei Cieli, pietrificando l’aria ed appesantendo il corpo dei presenti.

Persino il Principe degli Angeli e l’Angelo della Forza sgranarono gli occhi, sentendo la presenza al loro fianco diventare mastodontica, tanto da oscurare la luce del loro stesso Dio.

“Per gli umani mostrate… compassione.” Uriel camminò verso Raphael, il quale si era rannicchiato in un angolo con la testa tra le mani.

“Volete… salvarli.” Si sporse sopra il suo capo chino, accarezzandogli i capelli con la sua voce.

“È per colpa vostra che noi angeli siamo diventati ciò che loro vogliono credere.” E schioccò le dita. Di colpo, come un soldatino, il più giovane scattò sull’attenti e fuggì in volo, per poi ritornare dopo qualche secondo in fretta e furia.

“Ci credono loro protettori, o servitori.” Continuò, mentre si faceva allacciare l’armatura che gli era stata portata. Dopodiché indicò in una direzione, ed i due arcangeli più forti e temuti si dileguarono con delle facce pallide.

“Flammescat igne caritas… “Infiammi di fuoco la carità”, eh?” Gli venne portato lo spadone nella sua guaina, così immenso e pesante da dover essere sorretto in contemporanea da Michael e Gabriel con immenso sforzo.

St.Peter intanto stava assistendo ad un’illusione che si frantumava davanti ai suoi occhi.

Pensò che se solo gli esseri umani avessero saputo cosa fossero in realtà gli Arcangeli, ovvero semplici schiavi per Uriel, non ci avrebbero mai creduto. Questo perché l’Arcangelo delle Fiamme non era mai apparso in nessuna leggenda o mito rilevante per la storia dell’umanità, né degli dèi.

“Gli umani non necessitano della pietà degli angeli quanto noi non necessitiamo delle loro suppliche. Questo perché, come sono in grado di capire anche quegli sciocchi, le implorazioni di un debole impotente vanno fatte cessare solo calando la lama sulla sua testa, non assecondandole!”

 O meglio, come apprese in quel momento, aveva scelto intenzionalmente di non apparire davanti agli umani per mantenere incolmabile la distanza tra lui e loro, come quella che c’era tra il Cielo e la Terra.

“Noi siamo i giustizieri del peccato. L’umanità È PECCATO.”

La spada venne sguainata, liberando il suo fuoco selvaggio.

“Era da un po’ che non scatenavo il mio vero potere… e stavolta non dovrò farlo usando i vostri nomi.”

E senza aggiunger altro dopo aver eliminato ogni libertà di scelta per i propri fratelli, andò ad adempiere al suo compito.

 

“Prega me, peccatore! Prega affinché la tua fine giunga subito!”

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Con questo capitolo si sono viste le backstory di Arthur ed Uriel, e vorrei davvero sapere cosa ne pensate. Intanto posso immaginare di essere stato un po’ confusionario con Uriel, quindi ecco che provo a chiarirvi le idee: in questo universo narrativo, tutte le vicende mitologiche attribuite agli arcangeli che riguardano castighi divini sono state svolte da lui e basta, lasciando però che il merito ricadesse sugli altri perché non ha mai voluto venir riconosciuto per quello che faceva. Non si tratta di modestia, ma di distacco: non vuole essere adulato, perché reputa che gli angeli che vengono idolatrati siano visti troppo vicini agli umani, e per lui esseri divini ed umani non possono mai e poi mai entrare in contatto.

Un’altra precisazione, è che in questo universo, per volere di sospensione dell’incredulità, Arthur Pendragon è esistito davvero ed ha compiuto le sue gesta.

Per il prossimo capitolo dovrete pazientare un po’, ma vi assicuro che è già pronto al 50%.

Alla prossima!

P.S: Se non lo avesse ancora notato, i primi tre scontri hanno ricevuto delle copertine disegnate da me. Piano piano arriveranno per tutti.

   
 
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