Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: Juliet8198    16/09/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
________________________
-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Taehyung aveva dovuto lavorare con l'immaginazione. 

 

Non era stato facile all'inizio. Non lo era stato affatto. La prima volta che vide il suo migliore amico incosciente, steso su un letto di ospedale e ricoperto di tubi, aveva sentito il sangue evaporare dal suo corpo. Si era chiesto come faceva a stare ancora in piedi, data l'evidente necessità di svenire. Poi era scappato, come un codardo. Come un pessimo amico. Era riuscito ad arrivare fino a casa prima di buttarsi sul water e svuotare il suo stomaco della colazione che non aveva mangiato. Le lacrime gli avevano impedito di guardare le sue mani tremanti stringere debolmente la superficie di ceramica e la gola bruciava come se fosse stata graffiata da lame appuntite mentre cercava di fare uscire dal suo organismo qualsiasi demone lo stesse tormentando. 

 

Non che le volte successive fossero andate meglio. Il suo corpo sembrava rifiutare l'idea di Jimin in quello stato. La rigettava fisicamente, costringendolo a sedersi e a calmare l'alta marea che cresceva nel suo esofago. Quando i suoi occhi si posavano sul ragazzo steso nel letto, un'immagine si sovrapponeva al viso inerme. 

 

Jimin che sorrideva, socchiudendo le palpebre.

 

Jimin che rideva buttando la testa all'indietro e accasciandosi contro la cosa più vicina a lui. 

 

Jimin che sonnecchiava sommessamente con i capelli scompigliati, le labbra contratte in un adorabile broncio inconsapevole e le guance gonfiate dal sonno. 

 

Quando le due immagini iniziavano a battagliare per prevalere l'una sull'altra, il cervello di Taehyung andava in tilt. Se si concentrava sulla realtà, sul corpo comatoso costantemente accompagnato dal ronzio fastidioso delle macchine a cui era attaccato, non riusciva a rimanere nella stanza. Era costretto a chiudersi in bagno finché il suo stomaco non decideva di smetterla di spingere fuori il cibo che non aveva mangiato. Era solo concentrandosi sulla seconda immagine, quella dell'amico che conosceva, vivo e sprizzante di felicità, che riusciva a calmare i tremori del suo corpo. 

 

Utilizzando quello stratagemma, era riuscito a rimanere seduto accanto al letto d'ospedale per diverse ore ogni giorno. Parlava con lui, con il suo migliore amico, come faceva normalmente. Si lamentava del comportamento di Jungkook o dei rimproveri paterni di Jin oppure gli raccontava dei nuovi pezzi che aveva iniziato a scrivere e gli chiedeva la sua opinione. 

 

-Non sono sicuro se farla sentire a Namjoon-hyung. Cosa ne dici? A te piace?- 

 

Quando le sue domande cadevano nel vuoto, immaginava il caldo sorriso di Jimin che lo osservava con entusiasmo e gli rispondeva che sì, gli piaceva un sacco la sua nuova canzone e che Namjoon l'avrebbe adorata. Quando piangeva, lo vedeva attaccato alla sua schiena, con la braccia attorno a lui e la testa appoggiata alla sua, intento a dondolarlo come un bambino mentre gli sussurrava parole confortanti. 

 

Era una strategia che funzionava, apparentemente. La nausea se n'era andata e il suo corpo non sembrava più sull'orlo dello svenimento. Perciò, continuò in quella maniera ogni giorno. 

 

Gli mancava il suono della sua voce. 

 

Qualche volta, riascoltava le loro canzoni pur di sentirla ancora. A volte riguardava le loro interviste per vedere il modo in cui si voltava verso di lui, nel tentativo di nascondere una risatina o per scambiare una battuta che solo loro avrebbero potuto capire. 

 

 

-Tae, è ora.-

 

La voce di Namjoon perforò la bolla che si era creato con lo scopo di escludere dal suo campo d'attenzione l'ambiente in cui si trovava. Per quanto fosse costosa e ben arredata, non voleva guardare la camera d'ospedale. Quando però il suo hyung si avvicinò timidamente a lui, stringendogli brevemente una spalla, dovette prendere atto del manipolo di infermieri fermi sulla soglia della porta. 

 

Era ora. 

 

Era ora di rischiare di perdere il suo migliore amico per sempre. 

 

Un fiotto di nausea ritornò a solleticargli la gola, ma Taehyung la rigettò indietro deglutendo con veemenza. 

 

Non poteva affrontare quel pensiero in quel momento. La sua testa non lo avrebbe potuto sorreggere. 

 

Il ragazzo intrecciò le dita fra quelle di Jimin, immaginandolo mentre piegava il capo con un'espressione rassicurante. 

 

"Andrà tutto bene TaeTae. Non fare il fifone." 

 

Taehyung emise un lungo sospiro. 

 

-A dopo.- 

 

Non aggiunse altro. Gli bastava questo. Lo avrebbe rivisto, dopo. Era come augurargli buona fortuna prima di vederlo salire per un'esibizione individuale e attendere il suo ritorno. O come salutarlo prima che partisse per Busan per visitare la sua famiglia. 

 

Sciogliendo le dita dalla debole stretta, lasciò che il suo lungo mignolo si incastrasse in quello così buffamente piccolo dell'amico. 

 

"Promesso?" 

 

~~~~~~

 

Jimin non era sicuro di dover sentire dolore in un sogno. Perché quello era un sogno. Ogni tanto, si rese conto, se ne dimenticava. 

 

Il sordo bruciore che però provò al cranio e alla base della schiena sembrava tremendamente reale. Dopo che la figura in broccato lo aveva spinto nel nero di un vuoto senza fondo, si era ritrovato a cadere per lunghi agonizzanti istanti fino ad incontrare una superficie dura. Il suo corpo vi si era schiantato contro con tutta l'energia della caduta, ricevendo una frustata di dolore lungo le appendici. 

 

Il mal di testa era accecante. Aveva l'impressione che qualcuno gli stesse trapanando il cervello con un martello pneumatico, mentre gli incendiava le meningi con una fiamma ossidrica. Non era affatto una bella sensazione. 

 

Quando finalmente riuscì a fare a patti con il bruciore, sollevò lentamente la schiena guardandosi attorno. 

 

Nero. 

 

Buio. 

 

Null'altro. 

 

Premendo i palmi contro il pavimento freddo su cui si trovava, riuscì a issarsi in piedi. 

 

-Ti sei fatto male?- 

 

La voce del fantasma si infiltrò nella sua spina dorsale e la scosse leggermente. Una carezza gelida gli sfiorò una scapola prima che una pallida mano si infilasse fra la sua e vi stringesse attorno le sue dita inconsistenti. 

 

Jimin rimase in silenzio. Era nel bel mezzo del nulla. Sentiva l'oscurità cercare di isolarlo ancora più di quanto già non fosse. Aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi. Seppur falso. Seppur frutto solo della sua immaginazione. 

 

Gli ci volle qualche istante per notare la porta argentata che era comparsa davanti a sé. Quando finalmente prese atto della sua presenza, si fece avanti appoggiando la mano sulla maniglia, gelida quanto il fantasma al suo fianco. Jimin non sapeva esattamente cosa aspettarsi a quel punto. Se quella era l'ultima porta, avrebbe dovuto affrontare qualcosa di simile al mostro di ghiaccio chiuso nella coscienza di Jein. Si era ritrovato spesso durante il percorso a pensare a cosa avrebbe trovato lui a quel punto. Di certo, un mare di Park Jimin che schiamazzavano l'uno contro l'altro non era in cima alle sue aspettative. 

 

 

Il ragazzo non sapeva se essere stranito, sollevato o terrorizzato. Lasciandosi la porta alle spalle, aveva fatto due passi prima di bloccarsi in mezzo all'ambiente completamente bianco, fortemente in contrasto con l'oscurità da cui proveniva. Davanti a sé, il caos più totale si scatenava senza apparentemente riconoscere la sua presenza. 

 

La prima figura a passargli davanti agli occhi fu una copia di sé che doveva risalire ai tempi del suo debutto, data la sua pelle pesantemente abbronzata e gli occhi circondati da eye-liner. Il ragazzino corse lungo il suo campo visivo come un bolide, con la maglia sfacciatamente sollevata su quella pretesa di addominali che al tempo era convinto di avere mentre urlava a squarciagola "SONO UN GRAN FIGOOOOO". 

 

La seconda figura ad attirare l'attenzione di Jimin fu una versione di sé ancora più giovane, vestita con il body scuro che usava ai tempi in cui frequentava la scuola di danza. Con occhi spalancati e un po' spaventati fissava un'altra copia, vestita con un elegante completo rosso e intenta a ripassare la coreografia di Fire. 

 

-Accidenti.-

 

In un moto di frustrazione, la copia digrignò i denti stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Poi, riprese a ripetere ogni movimento ancora e ancora, tornando sugli stessi cinque passi e commettendo continuamente lo stesso errore. Come un loop. E a ogni sbaglio, il suo sguardo si faceva più rabbioso e la sua bocca si storceva sempre più in una smorfia di rabbia e frustrazione. 

 

A distogliere l'attenzione dalla figura persa nella sua irritazione, fu il passaggio di un Jimin avvolto in abiti chiari e con i capelli biondi illuminati dal biancore della stanza. Con un gatto placidamente addormentato fra le braccia, fischiettava sommessamente la melodia di Serendipity passeggiando per la stanza come se non vi fosse altro abitante, lasciando di tanto in tanto una carezza dietro alle orecchie dell'animale. 

 

Gli occhi di Jimin dardeggiavano da una parte all'altra dell'ambiente senza sapere dove posarsi. C'erano copie intente a cantare finché il viso non gli si arrossava dallo sforzo e il collo non mostrava i tendini tesi. C'erano versioni di lui da bambino, che correvano zigzagando fra le gambe dei presenti con una risata sulle labbra e i capelli scuri che li solleticavano la fronte. C'erano dei Jimin sdraiati sul pavimento, madidi di sudore e con i muscoli tremanti o accovacciati su se stessi con la schiena sconvolta dai singhiozzi. 

 

Dovevano essere almeno una cinquantina. Una cinquantina di Park Jimin caoticamente diversi l'uno dall'altro. 

 

-Silenzio.- 

 

La voce imperiosa sembrò riuscire a porre fine a quel guazzabuglio di suoni. Jimin si guardò attorno incuriosito, cercando con lo sguardo il possessore. Le copie, allora, si aprirono in due sponde davanti a lui, presentandogli esattamente ciò che cercava. 

 

La visione lo pungolò brevemente con un moto di rabbia e disgusto. Era ancora lì. Seduto su un maledettissimo trono intarsiato in oro, rialzato dal pavimento grazie a due gradini marmorei, come un cacchio di essere superiore. 

 

Un angolo della bocca di Jimin si contrasse in una smorfia. La figura avvolta in broccato lo osservava dall'alto della sua regale seduta con sufficienza, gli occhi appena posati su di lui ma il mento ostinatamente dritto. Non avrebbe neppure abbassato la testa per guardarlo. Come se non fosse degno neanche del breve movimento. 

 

-Benvenuto.- 

 

Il viso magro e altero si contrasse in una smorfia di scherno. 

 

-Ti piace il mio... reame?- 

 

Lo stava puntellando. Stava cercando di spremere da lui ogni goccia di risentimento e cieca rabbia che poteva ottenere. Il problema era che ci stava riuscendo. 

 

-Tutto questo... può stare in piedi solo grazie a me.- continuò la figura sul trono, mormorando le ultime parole con fierezza. 

 

Jimin era a un passo dal salire sul quel maldetto affare dorato e prenderlo a pugni finché non avesse visto il sangue scorrere su quel ghigno disgustoso. 

 

-Se tu sei qui, è solo grazie a me.- 

 

Jimin non  era mai stato una persona violenta. Nonostante ciò, mai come in quel momento aveva sentito i muscoli tremare dalla voglia di ammazzare di botte qualcuno. 

 

-Dovresti essermi grato.- 

 

Fece un passo avanti, l'inerzia del pugno che aveva preparato pronta a trascinare il suo corpo. Si fermò. 

 

"Respira."

 

"Calmati."

 

"È esattamente quello che vuole." 

 

-Non capisci? Io sono qui per aiutarti.- 

 

Per la prima volta da quando l'aveva incontrata, la copia in broccato sembrò manifestare un tono di voce sincero. I suoi occhi avevano perso parte della loro aspra alterigia e lo guardavano con un principio di dolcezza. 

 

-Sono qui per proteggerti.- 

 

Jimin abbassò la testa. Aveva desiderato che qualcuno lo proteggesse. Dagli occhi del mondo. Da se stesso. 

 

Forse avrebbe dovuto...

 

"No."

 

La mente del ragazzo sembrò risuonare come un bicchiere di cristallo colpito da una forchetta. 

 

"Tu hai già chi ti protegge." 

 

Quando alzò il capo, Jimin passò lo sguardo sulle figure che lo circondavano, ognuna intenta a fissarlo con occhi attenti. I suoi occhi. Ogni copia era così diversa dal resto del gruppo da non sembrare appartenere alla stessa persona. Eppure lo era. Erano parte di lui. Lui era loro e loro erano lui. Con le sue stranezze, le sue debolezze, il suo incorreggibile perfezionismo e la sua intransigenza verso se stesso. Con le sue lacrime. Con il suo corpo imperfetto. Lui era tutto ciò. 

 

Il ragazzo abbracciò i presenti con lo sguardo e, infine, sollevò gli occhi. Lungo le pareti chiare della stanza in cui era rinchiuso, delle immagini furono proiettate come scene di un film. 

 

La sua famiglia che lo abbracciava quando finalmente era riuscito a tornare a casa dopo due anni di assenza. 

 

Le pacche affettuose dei suoi hyung sulla sua testa durante il suo compleanno. 

 

Gli abbracci di Taehyung, avviluppato al suo corpo come un koala in carenza di affetto. 

 

Jimin non si accorse di avere un sorriso sulle labbra. Quando finalmente rivolse la sua attenzione alla figura seduta sul trono, intenta ad osservare le scene sulle pareti, il suo sguardo era limpido e la sua mente cristallina. 

 

-Non ho bisogno di te.- 

 

La voce uscì dalla sua gola con una sicurezza che non pensava di possedere. Fu come se fosse stata pompata fuori dal suo stesso cuore. 

 

-Ci sono già delle persone che mi amano.- 

 

La figura in broccato si voltò verso di lui. I suoi occhi erano fragili, veli sottili di carta pronta a strapparsi. La sua pelle era traslucida, la luce la attraversava come fosse vetro. Con una smorfia contrariata, abbassò lo sguardo a terra. Infine, sparì. 

 

Si dissolse nell'aria come una manciata di raggi di sole, assorbiti dal bianco accecante della stanza. 

 

Il trono si dissolse in una nuvola di oro che si disperse nell'atmosfera. 

 

Al suo posto, una porta. La scritta EXIT sulla sommità catturava l'attenzione per il suo contrastante colore rosso sulla superficie argentata che sormontava. 

 

Jimin fece un passo. Ne fece un altro e un altro ancora. Prima di accorgersene, si era ritrovato con la mano sulla maniglia. 

 

Era stato facile, tutto sommato. 

 

Finalmente era il momento. 

 

Doveva andare. 

 

Jein era dall'altra parte. 

 

La sua famiglia era dall'altra parte. 

 

I ragazzi erano dall'altra parte. 

 

Contraendo le labbra, fece per afferrare la chiave appesa al collo, ma finì per stringere solo la stoffa della sua maglia. All'improvviso, sentì il suo collo tirare verso destra. 

 

Il fantasma di Jein lo fissava con grandi occhi imploranti. Fra le dita stringeva la grossa chiave, ancora legata a lui. Tirando, la ragazza fece avvicinare ancora di più il viso di Jimin al suo. 

 

-Resta con me.- 

 

La sua voce miagolò l'implorazione mentre la mano libera gli accarezzava il petto. 

 

-Ti prego.- 

 

I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi scuri, erano lucidi, splendenti di lacrime pronte a cascare come gocce di una fontana. 

 

"Che cosa stai facendo?" 

 

"Vattene!" 

 

"Sei vicino ad uscire da questo posto!" 

 

Il fantasma strinse ancora di più la chiave, aumentando la tensione del nastro argentato finché il suo viso non si ritrovò accoccolato al petto tremante del ragazzo. 

 

-Non mi lasciare.- 

 

Jimin non riusciva a respirare. Aveva paura di sentire il suo odore salirgli nelle narici e bloccarlo lì una volta per tutte. 

 

Poi, una piccola pressione sulla gamba gli fece abbassare lo sguardo. E Jimin si sentì definitivamente soffocare. 

 

-Papà...- 

 

La sottile voce di Minho uscì dalle labbra contratte in un broncio. Con gli occhi inumiditi da timide lacrime, il bambino inspirò brevemente aria sollevando il piccolo naso schiacciato. 

 

-Papà, non te ne andare...- 

 

Jimin non riusciva a staccare gli occhi dal viso ormai singhiozzante. Le guance paffute, che Jimin aveva visto solo gonfiarsi dalle risate quando gli faceva il solletico, erano rigate da rivoli di lacrime. 

 

Prima che potesse fermarle, esse erano anche sul suo volto. 

 

Doveva andarsene. 

 

Doveva ma...

 

Come poteva? 

 

Minho. Minho era lì. Lei era lì. Potevano ricostruire la loro casa. Potevano vivere come una famiglia. Potevano...

 

... essere felici. 

 

Una mano si sollevò di propria iniziativa. La mano rimase sospesa per qualche istante prima di avvicinarsi lentamente, molto lentamente alla schiena della ragazza stretta a lui. Era pronta ad appoggiarsi su di essa e stringerla fra le sue braccia. 

 

Poi, un cigolio. 

 

La mano si bloccò a centimetri dalla pelle fredda e gli occhi di Jimin dardeggiarono verso la porta. 

 

La superficie argentata non era più chiusa. 

 

Come era possibile? 

 

Non aveva usato la chiave per aprirla. 

 

Perché? Perché era aperta?

 

Un sottile velo di luce penetrava dalla fessura. 

 

La mano di Jimin si allontanò velocemente mentre il suo corpo si spostava verso la porta socchiusa. 

 

La fessura luminosa si espanse ancora di più. Gli occhi del ragazzo non riuscivano a distinguere i dettagli delle sagome che vi si intravedevano oltre. Sette teste sembravano stagliarsi contro quell'infinita luce. 

 

Poi, una mano si fece avanti. Era grande, con dita lunghe ed elegantemente affusolate. Così famigliare nella sua bellezza. 

 

Un viso gli sorrise in un modo fin troppo unico. Il labbro superiore della figura si sollevò fino a mostrare tutti i denti, creando un buffo rettangolo di gengive che risollevava il cuore. Gli occhi di Taehyung sembravano più brillanti della luce che stava alle sue spalle. 

 

Jimin guardò il suo migliore amico. Aveva ancora delle lacrime impiastricciate fra le ciglia, ma poteva vedere chiaramente quel viso sorridente che lo stava chiamando. 

 

Taehyung era venuto a chiamarlo. Doveva andare. 

 

Prese un lungo respiro. 

 

E allungò la mano.

 

 

BUONSALVE

Ci siamo quasi. Due capitoli e ci siamo, siete carichi???? 

Devo dire che questo capitolo è stato tosto. Di solito non ho bisogno di riscrivere intere parti dei capitoli ma con questo l'ho dovuto fare perché è troppo importante. Inizialmente la parte della sfida tra Jimin e la copia malandrina era ancora più corta perciò ho cercato di darle più risalto, anche se in effetti rimane comunque piuttosto breve. Comunque Jimin è un individuo generalmente equilibrato, pur con i suoi problemi di autostima, perciò la sua sfida era meno ardua di quella di Jein. Il fulcro delle sue difficoltà infatti è stata alla fine la falsa Jein e l'illusione della famiglia che avevano insieme. 

 

Spero che non vi abbia deluso la soluzione finale. Ci tenevo a dare a Tae un ruolo importante e volevo sottolineare come il loro legame è molto forte perciò ho pensato che fosse la persona giusta per venire a salvare il nostro eroe intrappolato. E adesso... beh adesso basta scoprire cos'è successo nella vita reale!

   
 
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