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Autore: dreamlikeview    19/09/2020    2 recensioni
Non sapeva chi era. Fin da quando era tornato a Hogwarts, si era sentito smarrito, non aveva un’identità.
Non era buono, non era cattivo, quindi chi era esattamente Draco Malfoy?


Dopo la sconfitta di Voldemort, il Mondo Magico cerca di rialzarsi dalle sue ceneri, così come tutte le persone che hanno vissuto la guerra, sia da una fazione che dall'altra. Draco Malfoy, assolto da ogni accusa, si ritrova a vivere un vero e proprio inferno all'interno della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Solo l'aiuto di Harry Potter, che a sua volta cerca di superare i suoi traumi, riuscirà a salvarlo.
Saranno in grado di aiutarsi a vicenda?
[Drarry, short-fic]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Disclaimer: Né i personaggi, né il loro mondo mi appartengono. Questa storia è scritta senza alcun fine di lucro e non intendo offendere nessuno con questa.

WARNING!
Sono trattati temi particolari come bullismo, omofobia e altre merdate simili. Se sono argomenti a cui siete particolarmente sensibili, evitate di leggere. (c’è l’happy ending, ma si passa per un mare di angst, soprattutto nel primo capitolo e in parte del secondo)
 
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Out of Ashes

Capitolo 1: It feels impossible.


 
Fin da quando era tornato a Hogwarts, Draco non si era sentito a suo agio con nessuno, neanche con i suoi compagni di casa. Passava la maggior parte del tempo isolato da tutti gli altri, da solo in qualche angolo della sua stanza o in disparte in biblioteca. Tendeva a non socializzare molto con gli altri, un po’ perché non avrebbe saputo di cosa parlare con loro, un po’ perché lo sentiva che anche gli altri non volessero avere niente a che fare con lui. Del ragazzino spocchioso e arrogante che era stato, non era rimasto che un cumulo di macerie; era distrutto, spezzato.
Era solo, la sua famiglia era stata processata e condannata, Potter aveva parlato in favore suo e di sua madre, ma solo lui era stato “graziato”. Non avrebbe dovuto essere così privilegiato, lui era colpevole, lo era sempre stato. Rispetto ad altri figli di Mangiamorte, che non si erano macchiati di alcun crimine, se non quello di essere nati nella famiglia sbagliata, lui aveva accettato il Marchio Nero e la prova che lo avesse fatto era ancora impressa sulla sua pelle, nero su bianco, benché esso fosse molto sbiadito rispetto a un anno prima. Poco contava che avesse avuto sedici anni, l’influenza negativa della sua famiglia e la paura di morire, non aveva alcuna giustificazione. Non aveva mai preso una posizione, ma aveva agito tra le fila del lato oscuro. Aveva sbagliato e doveva pagarne le conseguenze. Avrebbe dovuto marcire ad Azkaban come i suoi genitori, come tutti gli altri Mangiamorte.
Lui aveva usato una delle maledizioni senza perdono, la maledizione Imperius, su una donna per costringerla a fare ciò che voleva, aveva quasi ucciso ben due compagni di scuola (poco importava che uno di loro fosse stato Weasley) aveva cercato di uccidere il preside e aveva aperto le porte di Hogwarts ai Mangiamorte, aveva permesso loro di entrare nella scuola, di seminare il panico, di distruggere tutto e di uccidere altre persone. Poco importava che avesse cercato di proteggere Potter e i suoi amici quando erano arrivati al Manor, quella notte durante le feste di Pasqua o che avesse lanciato la sua bacchetta all’eroe del mondo magico, quando quest’ultimo si era rialzato disarmato e aveva fronteggiato Voldemort; quelle azioni lì non contavano, perché non aveva fatto nient’altro. Aveva insultato per anni i sanguemarcio per il loro stato di sangue, perché non erano puri quanto lui, un purosangue; aveva ritenuto giusto credere di essere superiore al mondo e di dimostrarlo nel peggiore dei modi: con il bullismo. Non aveva mai capito quanto le sue azioni fossero state pericolose, nocive, sbagliate.
Si era reso conto solo a diciotto anni di essere stato lui stesso quello veramente sporco e marcio. Aveva denigrato persone molto più brillanti di lui, come ad esempio la Granger, solo perché lei discendeva da una famiglia di babbani e non di maghi. E per anni aveva creduto a tutte quelle fesserie, aveva creduto di essere nel giusto, aveva creduto che fosse corretto insultarla in quel modo, insultare tutti i Weasley in quanto traditori del sangue, amici di babbani e di nati babbani, aveva ritenuto giusto vessare Paciock perché lo reputava uno sfigato, aveva creduto giusto rendere la vita di Potter un inferno, aveva ritenuto giusto cercare di mettergli i bastoni tra le ruote ogni anni e comportarsi in quel modo orribile, perché lui poteva, perché suo padre gli aveva detto che lui, rispetto agli altri, era superiore, perché il suo sangue era puro.
Aveva capito solo dopo tanti anni che non era la purezza del sangue a rendere più meritevoli, ma la purezza del proprio cuore, delle proprie azioni. Lo stesso Potter, che lui aveva insultato, sfregiato, ostacolato, gli aveva salvato la vita più di una volta durante l’ultima battaglia e lui era solo fuggito come il codardo che era. Il maledetto eroe del mondo magico aveva parlato in suo favore, prendendo ad esempio le sole due cose positive che aveva fatto, gli aveva permesso di essere scagionato – perché, signor giudice, è vero che Malfoy ha accettato il Marchio, ma aveva sedici anni. Lei cosa avrebbe fatto, a quell’età, se Voldemort, nel pieno delle sue forze, al culmine del potere, le avesse chiesto di scegliere tra il seguirlo o l’essere ucciso? – la sua eloquenza aveva colpito così tanto i giudici del Wizengamot che, al momento della "votazione", era stato emesso un verdetto unanime: non colpevole. Eppure… Draco non meritava un trattamento di favore.
Non sapeva chi era. Fin da quando era tornato a Hogwarts, si era sentito smarrito, non aveva un’identità.
Non era buono, non era cattivo, quindi chi era esattamente Draco Malfoy?
Era stato un bullo, , era stato un mangiamorte, vero, aveva vissuto anni orribili con un mostro in casa sua, aveva visto cose orribili, delle quali aveva avuto paura, era un codardo, vero anche questo, ma adesso, chi era, in realtà?
Aveva vissuto tutta la vita credendo di essere un vincente. In realtà, era solo un perdente.
Era stato cresciuto con l’idea di essere un privilegiato, un purosangue che aveva il diritto di possedere una bacchetta e di insultare chi non era come lui. Era stato cresciuto come un aristocratico, aveva imparato le regole del bon-ton, aveva imparato tre lingue straniere, aveva imparato a fare magie a sei anni con la bacchetta di suo padre, perché poteva farlo in quanto mago purosangue, aveva vissuto nella bambagia, credendo di essere un vincente, fino a che la realtà non era andata a bussare alla porta del suo castello di cristallo e gli aveva servito su un piatto d’argento sporco e arrugginito l’orrore che si celava dietro alla sua vita dorata, mostrandogli quanto in realtà fosse un perdente.
Ed era iniziato il suo lento percorso di declino.
A sedici anni, il suo mondo era cambiato, la sua vita agiata era diventata un inferno, era sprofondato in un baratro senza fondo. Aveva iniziato a vivere nella paura e nel terrore nella sua stessa casa. Si svegliava durante la notte in preda al panico, che gli attanagliava le viscere e gli impediva di respirare, aveva preso un marchio oscuro, solo per salvarsi la vita, aveva accettato di fare cose orribili, per salvarsi la vita e aveva visto tante, troppe persone morire per mano dell’uomo che lui e la sua famiglia avevano servito. Si era ritrovato, dopo la guerra ad essere nessuno, dopo aver creduto di essere importante, non aveva più una casa, un patrimonio, non aveva nulla. Non meritava nulla.
Ma chi era lui, adesso? Cos’era diventato? Perché era in quella scuola a tentare di costruirsi un futuro? Non era il suo posto, non meritava di essere a Hogwarts. Ed era questo che i suoi compagni di scuola gli ricordavano ogni giorno.
Non poteva stare in quella scuola, pulito dal suo passato, quando era ancora così sporco, con quel marchio ancora impresso sulla pelle, dopo aver combattuto al fianco di colui che aveva ucciso così tante persone, che aveva ucciso i suoi insegnanti e moltissimi dei suoi compagni di scuola. Non che provasse affetto o rispetto nei loro confronti, ma… aveva contribuito a far sì che facessero quella fine orribile. E invece lui era vivo e, dopo tutto quello che aveva fatto, era libero. Non era giusto. Non meritava di star lì a Hogwarts, non meritava di avere una seconda chance. Quello non era il posto per lui, ne era consapevole e così come lui, anche altri studenti ne erano consapevoli.
Draco sapeva di meritare ogni commento sgradevole, ogni insulto, ogni spintone, ogni vessazione contro di lui e accettava passivamente ogni cosa, accusando ogni volta i duri colpi che gli erano riservati, anzi pensava (e ne era fermamente convinto) di meritare di peggio. Molto peggio.
Non meritava compassione né pietà e questo era uno dei tanti motivi per i quali si isolava da tutti gli altri, sebbene alcune delle persone, per le quali aveva provato più rispetto, cercassero in ogni modo di coinvolgerlo di più, di farlo sentire parte di un gruppo, per dimenticare, per lasciarsi tutto alle spalle, per andare avanti con le loro vite; loro potevano, ma Draco no, non poteva né voleva. Si rifiutava ogni volta di partecipare a qualsiasi cosa, perché era accaduto troppo, non si poteva andare avanti come se niente fosse successo, le loro vite erano segnate da ciò che era accaduto… e lui, soprattutto, non meritava di andare avanti. Per questo, si ostinava a rifiutare ogni volta. Fino a che un giorno… non cedette.
Bastò solo una volta, per mandare a rotoli tutto e peggiorare la sua già precaria situazione.
Era la sera di Halloween, fuori dalle mura di Hogwarts pioveva incessantemente e tutto sembrava molto tetro e oscuro, più del solito e l’animo di Draco era in tempesta, esattamente come lo spettacolo che si manifestava fuori dalle finestre. Appena dopo la cena, il ragazzo era ritirato nella sua stanza senza parlare con gli altri. Aveva attraversato la Sala Comune senza guardare nessuno, chiudendosi nella sua stanza del dormitorio. Alcuni dei suoi compagni di stanza erano lì, lo guardarono con pietà e Draco sbuffò leggermente, decidendo di sdraiarsi sul letto ed ignorare quegli sguardi.
Si sorprese, quando i suoi compagni di casa lo invitarono ad unirsi a loro ad una piccola festa organizzata insieme ad altri studenti, nella loro Sala Comune; Malfoy rifiutò di partecipare, ma alla fine i suoi compagni di stanza insistettero così tanto da convincerlo, beh, più che convincerlo, lo trascinarono fuori dalla stanza: solo una volta, non te ne pentirai. Non avrebbe mai dovuto lasciare che prendessero il sopravvento.
Scoprì quasi subito che era stata un’iniziativa dei Grifondoro e inspiegabilmente tutti, compresi i Serpeverde, avevano accettato di partecipare.
La Sala Comune brulicava di studenti provenienti dalle altre case e c’erano davvero tante persone, ma Draco passò la maggior parte della serata isolato da tutti, fino a che non lo invitarono ad unirsi a loro per uno stupido gioco adolescenziale. Non voleva giocare, presenziava solo perché era stato quasi trascinato con la forza fuori dal suo dormitorio. Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andasse, ma non se ne era accorto subito. Alcuni Grifondoro lo occhieggiavano come la minaccia peggiore del mondo o con disgusto, stessa cosa i Corvonero. I Tassorosso si astennero dal guardarlo, ma probabilmente anche nei loro sguardi Draco avrebbe visto qualcosa di negativo. Notò, poi che tra i grifoni, mancava Harry Potter. Nessuno chiese dove fosse l’eroe del mondo magico, ma udì alcune voci: qualcuno alluse al fatto che avesse incontri intimi con alcune "fiamme", altri semplicemente restarono in silenzio. Draco non capiva cosa stesse accadendo, in realtà. Soprattutto quando iniziarono ad offrirgli cose illegali da bere, ma per una volta decise di affogare il suo dolore nell’alcool, di dimenticare per un attimo tutto il resto e fu quello a rovinarlo. Il gioco, a cui lo avevano invitato a partecipare, consisteva nel rivelare due verità e una bugia sul proprio conto e gli altri partecipanti avrebbero dovuto “indovinare” quale tra le tre fosse la bugia; a quel punto della serata però Draco era già ubriaco – non reggeva per niente l’alcool, non era abituato a bere, i suoi lo avevano educato a mantenere sempre il controllo e non si era mai lasciato andare – e quando era stato chiesto a lui di rivelare le sue verità e la sua bugia, lui non si accorse di ciò che disse, le parole uscirono fuori da sole:  «Sono gay; una volta sono stato trasformato in un furetto; so evocare un Patronus».
Non si rese conto immediatamente di aver detto solo la verità, cos'era successo? Veritaserum o cosa? In quel momento la cosa che lo sconvolse maggiormente fu l’essersi lasciato scappare il suo più grande segreto davanti a tutti quegli altri studenti. Li vide sorridere malignamente nella sua direzione, ebbe paura di quegli sguardi e, semplicemente, fuggì nella sua stanza, sperando che quell’umiliazione bruciate che provava, fosse sufficiente per gli altri, ma si accorse che non essa era neanche lontanamente vicino ad esserlo.
 
La notizia del suo involontario coming out si espanse a macchia d’olio già dalla mattina successiva alla festa. Tutta la scuola sapeva che a lui piacessero i ragazzi e non fu positivo. Le vessazioni aumentarono: a chi lo chiamava mangiamorte, assassino, infame, pezzo di merda e altri appellativi simili, si aggiunsero coloro che lo chiamavano frocio, checca, succhiacazzi. Non che avessero mai visto Draco praticare fellatio a qualcuno, ma era un insulto comune. La sua vita ad Hogwarts divenne peggiore. Non c’era una persona che non lo fermasse per insultarlo, spingerlo o altro, solo un paio di volte era stato picchiato nel cortile, una volta mentre correva per raggiungere l’aula di Trasfigurazioni, un’altra mentre cercava solo un po’ di tranquillità, dopo l’ora di pranzo.
Era arrivato a Hogwarts, sapendo di non meritare di essere in quella scuola per tutto quello che aveva fatto, sapendo di meritare di essere maltrattato dagli altri, perché era stato un mangiamorte – l’orribile cicatrice che si era autoinflitto e che deturpava il suo braccio sinistro, non era riuscita ad eliminare il marchio nero che rappresentava ancora la prova della sua colpevolezza – perché era stato un bullo che si era divertito a tormentare le vite altrui in gioventù, perché era una persona orribile, perché non era mai andato d’accordo con nessuno, perché aveva guardato sempre gli altri dall’alto verso il basso. Non credeva di meritarlo anche per il suo orientamento sessuale, probabilmente era l’unica cosa di se stesso che non era sbagliata… ma, evidentemente, per gli altri era un motivo valido per fargliela pagare. Forse, perché lui stesso in passato aveva denigrato gli altri per lo stato di sangue, per i loro difetti, per la loro personalità; era ovvio che, adesso, le persone che aveva tormentato usassero contro di lui le sue debolezze. Dopotutto, essere omosessuali era un errore, giusto? Nella sua famiglia, essere gay era un disonore, forse peggio che l’apprezzare i babbani e i nati babbani e per questo l’aveva nascosto per tutto quel tempo, ma aveva sempre saputo che nel mondo magico non era mai stato un fattore di discriminazione così elevato. Sapeva che tutti erano tolleranti verso tutti gli orientamenti sessuali più disparati… beh, forse era vero, ma non per Draco Malfoy.
Quello era un trattamento riservato solo a lui, perché in passato aveva deriso e umiliato i ragazzi più deboli di lui per molto meno. Meritava di essere perseguitato anche per quello.
In fondo, un motivo valeva l’altro, in qualche modo doveva pagare per i suoi errori, per gli sbagli che aveva fatto, per il male che aveva arrecato al prossimo, che lo insultassero chiamandolo sporco mangiamorte oppure schifoso frocio non faceva differenza, un insulto valeva l’altro.
 

 
Draco era a disagio ogni volta che si trovava in un’aula o nei corridoi con gli altri studenti. Sentiva i loro sguardi addosso, sentiva i loro giudizi e per quanto sapesse di meritare il loro odio, non riusciva proprio ad evitare di sentirsi in quel modo. Ogni volta che lo spingevano nel corridoio, ogni volta che gli facevano cadere la borsa o i libri per terra, aspettando solo che si abbassasse per poter urlare che a lui piaceva stare a novanta gradi, sentiva una parte di sé morire lentamente. Non avrebbe mai creduto di poter passare da bullo a bullizzato, ma era qualcosa che doveva accettare, perché era solo la conseguenza delle sue azioni. Gli sarebbe sempre servito da insegnamento. Non avrebbe dovuto comportarsi in quel modo in passato. Una parte di sé sapeva che era giusto che subisse ciò che lui aveva fatto subire agli altri, ma un’altra parte di sé ne era devastata e sebbene lo meritasse, non riusciva a consolarsi con quell’idea. A volte gli sembrava semplicemente di affogare nel dolore e nella disperazione.
L’umiliazione che provava ogni giorno, quando qualcuno lo additava con un nomignolo dispregiativo, non riusciva a contrastarla. A volte si chiedeva come avessero fatto le persone che lui aveva tormentato a convivere con loro stesse per tutti quegli anni. Come aveva potuto essere così crudele? Come aveva potuto far sentire una persona in quel modo?
Non sapeva darsi una risposta, ma si pentiva ogni giorno di ciò che aveva fatto. Si pentiva ogni giorno di aver tormentato altri ragazzi, di averli presi in giro per i loro difetti, per aver minato così tanto la loro autostima. Gli dispiaceva da morire, ma non sapeva come porre rimedio alla sua stupidità giovanile. Forse subire quelle angherie ogni giorno, avrebbe esorcizzato il suo passato. Cercava di autoconvincersi che fosse giusto così, per poter affrontare meglio ogni giornata scolastica, ma non faceva meno male.
Nessuno, a parte lui, meritava tutto quel dolore.
Piano piano, quelle vessazioni lo stavano spezzando, quasi quanto lo aveva fatto la guerra. Aveva quasi sedici anni, quando aveva visto sua zia Bellatrix uccidere un babbano a sangue freddo, ne aveva compiuti sedici da poco, quando si era ritrovato Voldemort davanti che gli aveva impresso quel marchio sulla pelle, aveva bruciato così tanto che a volte sentiva ancora l’eco di quel bruciore sulla pelle, ne aveva quasi diciassette quando aveva visto Piton uccidere Silente al posto suo, ne aveva compiuti da poco diciassette quando aveva visto Voldemort uccidere la professoressa di Babbanologia e darla in pasto a Nagini. Ricordava la notte in cui Potter era stato portato a casa sua per essere riconosciuto ed aveva taciuto la sua vera identità. Aveva detto di non riconoscerlo, di non essere sicuro che fosse lui. In realtà, lo aveva riconosciuto benissimo. Non poteva essere nessun altro, se non lui. Quegli occhi verdi, pieni di speranza anche nel momento peggiore, pieni di rabbia combattiva, pieni di quel qualcosa particolare che aveva spinto Draco a pensare che, forse in quel momento, avrebbe potuto fare la scelta giusta. Lo aveva coperto, non aveva rivelato la sua identità per dargli il tempo di organizzare la fuga, così che potesse continuare la sua missione, qualsiasi essa fosse e sconfiggere quel mostro. E così aveva preso la sua prima vera scelta, non una imposta. Una sua scelta personale. Era poco, pochissimo in confronto a quello che avevano fatto altri, in confronto a quello che aveva fatto Potter, ma… aveva fatto una sua piccola parte in quella guerra dalla parte giusta e per un solo momento si era sentito una persona migliore, anche se la paura e la disperazione erano state sue fidate compagne di vita fino a che Voldemort non era morto.
Potter era riuscito a fuggire, quella notte e un po’ gli piaceva pensare che avesse vinto anche grazie al suo contributo. Era ciò che si ripeteva per non impazzire del tutto, per non spezzarsi definitivamente, per pensare che forse, in profondità, anche lui poteva essere una brava persona – anche se non lo era.
Perché non le hai detto chi ero? A Bellatrix, quella notte alla villa, tu sapevi che ero io e non hai detto niente, perché? – gli aveva chiesto Potter, quando lo aveva rivisto, ma lui non aveva saputo cosa rispondere. Già, perché lo aveva aiutato? Perché aveva capito di essere spacciato e aveva voluto provare a salvarsi? Perché aveva provato a redimersi? Perché aveva visto in lui l’ultima speranza in quel mondo senza speranze?
Forse. Ma non era riuscito a dirglielo, non durante la battaglia, non quando c’erano Tiger e Goyle vicino a lui, che avrebbero potuto spifferare tutto a suo padre o a Voldemort. Così aveva taciuto e… Potter lo aveva salvato ugualmente dall’Ardemonio, era tornato indietro per portarlo fuori da una stanza invasa dalle fiamme maledette e lo aveva tirato sulla sua scopa, salvandogli la vita. Si era aggrappato con disperazione ai suoi fianchi, mentre volavano tra le fiamme incandescenti dell’Ardemonio e ricordava perfettamente il terrore che aveva provato, quando Potter, mentre le fiamme stavano per raggiungerli e lui gli ripeteva di andare verso la porta, cercava di afferrare un oggetto in caduta libera verso il fuoco; erano stati attimi di terrore, ma Potter alla fine lo aveva portato in salvo e aveva distrutto l’oggetto misterioso.
Aveva saputo solo dopo che si trattava di un horcrux e che il moro li avesse già trovati e distrutti tutti, poi sul campo di battaglia Potter lo aveva salvato di nuovo. Ricordava un mangiamorte puntargli la bacchetta contro e un lampo di luce rossa aveva metto fuori combattimento l’uomo ostile.
Potter lo aveva salvato due volte, quando lui non aveva mai fatto niente per aiutarlo, se non mentire a suo padre. Quella volta avrebbe potuto fare molto di più, avrebbe potuto impedire a Bellatrix di torturare la Granger, se l’avesse fatto, forse Potter lo avrebbe salvato anche quella volta… ma non lo avrebbe mai saputo. Ricordava la devastazione che aveva provato quando lo aveva visto senza vita tra le braccia di Hagrid. Tutte le speranze per un mondo migliore erano morte con lui… e poi, esattamente come un eroe delle leggende, Potter si era alzato e aveva affrontato Voldemort. A lui era venuto spontaneo, corrergli incontro, passare dalla parte di Hogwarts e lanciargli la sua bacchetta, non avrebbe potuto fare altro per aiutarlo in quel momento. Qualcuno avrebbe potuto vedere il suo gesto come un puro atto di egoismo, di codardia, ma dentro di sé sapeva che quella scelta l’aveva fatta quella notte al Malfoy Manor. Conosceva la sua verità e Potter sembrava aver apprezzato il suo gesto, poiché lo aveva difeso ai processi, facendo in modo che venisse assolto. Ancora non sapeva spiegarsi perché avesse fatto una cosa del genere. Insomma, lui era stato il primo ad essere stato danneggiato dalle sue vessazioni, dalle sue continue prese in giro, eppure…
Eppure, Potter non era tra coloro che gli rendevano la vita un inferno. Potter se ne stava sempre per i fatti suoi, magari con uno o due amici, in biblioteca o in cortile, ma non gli dava fastidio, semplicemente ignorava la sua presenza, com’era giusto che fosse.
Provava emozioni contrastanti dentro di sé. Si diceva di meritare quello che gli facevano, ma si chiedeva anche quando la sua punizione sarebbe finita e quando avrebbe smesso di soffrire. Perché anche se si nascondeva dietro alla sua faccia di bronzo, dentro di sé soffriva tanto. E si chiedeva come avesse potuto fare cose simili a suoi coetanei, quando era più piccolo. Si pentiva ogni giorno di tutti gli scherzi fatti a Paciock, di tutti gli insulti fatti alla Granger o ai Nati babbani in generale o a Weasley, di tutte le volte che aveva provato a mettere nei guai “San Potter”, di quando si era unito alla Umbridge per mettersi in mostra e andare per forza contro Potter e tutti gli altri studenti della scuola – se solo si fosse unito a quel gruppo, invece di seguire quella pazza psicotica, avrebbe saputo anche difendersi meglio durante la guerra – e di tutte le altre cose orribili che aveva fatto nel corso della sua adolescenza.
Vivere quell’inferno, forse gli era servito più di una reclusione ad Azkaban, era la sua pena per aver accettato il marchio, per essere stato un bullo e per essere stato Draco Malfoy. Se solo ci fosse stato un altro modo per rimediare ai suoi errori, l’avrebbe fatto, se avesse avuto un modo per tornare indietro nel tempo, l’avrebbe fatto. Sarebbe andato dal se stesso undicenne e gli avrebbe detto: sii gentile, non essere un bullo, non ti piacerà subire quello che tu fai agli altri. Sii furbo e scegli amicizie migliori, sii amico di Potter, non fartelo nemico, lui può aiutarti, lui è la speranza per un futuro migliore, privo di oscurità. Avrebbe voluto avere un amico che lo avesse aiutato nel momento in cui si era ritrovato davanti a Voldemort, avrebbe voluto supporto da qualcuno, e invece era sempre stato solo. Così solo che l’unica persona che gli era stata accanto era stata Mirtilla Malcontenta, quando si nascondeva in quel bagno, dove nessuno andava, per sfogare il suo dolore e la sua frustrazione, nello stesso bagno in cui Potter lo aveva quasi ucciso.
Se non lo avesse attaccato per primo, Potter sarebbe stato disposto ad aiutarlo e a cambiare il suo destino?
Non lo avrebbe mai saputo, perché, quando aveva visto Potter guardarlo in uno dei suoi momenti di maggiore fragilità, il suo cervello aveva smesso di funzionare e, come suo solito, si era messo sulla difensiva, aveva iniziato a duellare con l’altro e poi aveva provato a lanciare una Cruciatus contro il suo avversario… era ovvio che quest’ultimo tentasse di difendersi, ma non avrebbe mai immaginato quell’incantesimo, il Sectumsempra, nemmeno aveva sentito parlare di esso, prima di quel momento.
Non avrebbe mai dimenticato quell’incantesimo e la sensazione di star per morire, di sentire la vita abbandonare il proprio corpo. A volte, avrebbe preferito che il moro avesse avuto successo quella notte, così da non dover sopportare quella vita, ma sapeva che per uno come lui, la morte sarebbe stata solo un regalo. Evidentemente le persone preferivano che lui vivesse e soffrisse in quel modo. Non poteva chiedere a quei ragazzi di smetterla di tormentarlo, perché quando loro lo avevano chiesto a lui, Draco aveva reagito ridendo di loro, denigrandoli ancor di più, continuando a fare di peggio. Avrebbe tanto voluto non essere stato così, ma lo era stato e adesso doveva pagarne le conseguenze. Si chiedeva quando la sua pena sarebbe finita, quando avrebbe smesso di pagare per i suoi crimini, ma poi si diceva che suo padre era stato condannato prima all’ergastolo e poi la sua pena era stata tramutata in pena capitale. Era stato sottoposto al bacio del dissennatore prima dell’inizio della scuola, non aveva assistito direttamente alla cosa, ma gli era sembrato di percepire a distanza il momento in cui suo padre era stato “ucciso”, in realtà gli era toccato un destino peggiore della morte.
Beh, come pensava, la morte per quelli come loro era un lusso. Suo padre non c’era più e, sebbene non fosse stato un padre esemplare e lo avesse spinto verso la magia oscura, verso Voldemort… era comunque l’uomo che lo aveva cresciuto e che, a modo suo, lo aveva amato. A​mare era un parolone riferito a Lucius Malfoy, ma a modo suo gli aveva dimostrato affetto, ma questo era avvenuto molto prima che lui andasse a Hogwarts, moltissimo tempo prima del ritorno di Voldemort. Eppure, lui conservava ancora quei ricordi d’infanzia. Un’infanzia piena di regole rigidissime, di norme da rispettare e altre ristrettezze, piena di imposizioni e simili, ma c’erano anche ricordi felici, legati ai suoi genitori. Era stato male, il giorno dell’esecuzione di suo padre, ma non aveva avuto nessuno a cui aggrapparsi in quel momento. Non lo avrebbe mai avuto, perché lui non meritava compassione, né affetto, dopo tutto quello che aveva fatto, non meritava niente, se non quello che subiva. Gli sembrava uno scambio equo. Gli avevano risparmiato la prigione, gli avevano risparmiato la pena capitale, ma gli avevano riservato un futuro circondato da persone che non gli avrebbero mai permesso di cambiare.
Era impossibile che qualcuno potesse concedergli una chance, perché era consapevole di non meritarla affatto.
 

 
Tornare a Hogwarts era stato strano per Harry. Si era ritrovato in una scuola, che lui stesso aveva contribuito a ricostruire, durante l’estate dopo la guerra, una scuola che aveva sempre considerato casa, ma che adesso… non riconosceva più come tale, perché la violenza e l’orrore della guerra erano ancora impressi su quelle pareti.
Si parlava di “ottavo anno” per loro che erano sopravvissuti alla guerra, la McGranitt aveva deciso che tutti coloro che avevano perso un anno, avrebbero frequentato un anno supplementare per prendere i M.A.G.O. Così era stato introdotto l’ottavo anno temporaneo. Ci voleva coraggio per parlare di ottavo anno dopo una guerra, ma era ciò di cui tutti avevano bisogno. E tornare in quella scuola per il ragazzo-che-è-sopravvissuto e Salvatore del Mondo Magico fu comunque traumatico. Aveva sempre visto Hogwarts come la sua casa, anche nei momenti peggiori e quando neanche un anno prima aveva visto quella stessa casa distrutta dalla furia di un mago psicopatico, ossessionato da lui, aveva sentito di aver perso una parte di sé, insieme a tutte le persone che avevano perso la vita per lui. E non c’era bisogno che nella sua mente sentisse la voce serpentesca di Voldemort dire una cosa del genere, fin da quando al quarto anno aveva assistito alla morte di Cedric e al quinto aveva perso Sirius, era stato consapevole della sua colpevolezza. Remus, Tonks, Fred, Moody, Dobby, Edvige e tutti gli altri erano morti per colpa sua, per difendere lui o per combattere al suo fianco, perché lui a un anno di vita era sopravvissuto e Voldemort aveva dedicato la sua residuale esistenza a rendergli la vita un inferno.
Si sentiva abbastanza solo, si sentiva così fin dal due maggio 1998. 
Ron e Hermione ormai facevano coppia fissa, stavano sempre insieme, si facevano forza l’un l’altra e lui voleva lasciarli alla loro privacy. Non voleva mettersi in mezzo o essere il terzo incomodo tra di loro, quindi passava con loro il tempo in Sala Grande, durante i pasti o durante le lezioni, ma non si intrometteva tra di loro, quando, ad esempio, si mettevano su un divanetto della Sala Comune, accoccolati l’uno all’altra.
Era felice per loro, erano ancora amici e si vedevano di tanto in tanto, ma da quando aveva rotto con Ginny, beh, passare il tempo con le coppiette non era il suo passatempo preferito. Le cose con la sorella del suo migliore amico non erano andate affatto bene, lei era troppo opprimente, troppo fastidiosa, troppo petulante, troppo ossessionata e lui non era nelle condizioni mentali giuste per sopportarla. Lo accusava costantemente di non amarla abbastanza, di non essere presente per lei, di non essere più lo stesso, di essere diverso dal ragazzo che l’aveva baciata quando lei era al quinto anno e lui al sesto. Grazie al cazzo, avrebbe voluto dirle. Lui era davvero cambiato, fin dalla fine della guerra, dopo il periodo orribile di maggio-giugno, non si era sentito più lo stesso con lei, con tutti, si sentiva inadeguato in ogni situazione e più le persone gli ricordavano ciò che aveva fatto contro Voldemort, più lui le respingeva e si isolava da loro. Ginny era stata solo la prima, perché lei non faceva che parlare della guerra. Lo capiva, davvero, che avesse perso suo fratello e ne volesse parlare con lui, ma non riusciva ad essere un supporto per lei, perché stava sprofondando sotto i suoi sensi di colpa. Quando lei aveva trovato consolazione tra le braccia di un altro, allora aveva trovato la scusa per chiudere la relazione. Non aveva voluto rompere prima, perché sapeva che nessuno, neanche Ron, avrebbe capito le sue motivazioni, per fortuna quella situazione spiacevole si era risolta da sola.
Si era gettato a capofitto nel cercare di dimenticare ciò che era accaduto, di elaborare i lutti che aveva subito e, all’insaputa di tutti, aveva iniziato a vedere uno specialista, un Nato Babbano che lavorava come psicologo tra i Babbani che lo stava aiutando ad elaborare tutto
. A lui aveva confessato ogni cosa, anche il sollievo che aveva provato, dopo la rottura con Ginny. Lo vedeva ancora una volta a settimana e lui gli aveva suggerito di fare qualcosa che potesse farlo stare meglio, che lo aiutasse a scaricare la pena che provava. E Harry si era rimboccato le maniche: si era offerto come volontario per aiutare a catturare i maghi oscuri rimasti, aveva assistito e testimoniato ad un sacco di processi, il tutto mentre aiutava i professori a ricostruire la scuola dalle sue stesse macerie.

Si era completamente chiuso in quei lavori e quando l’ottavo anno era iniziato, non aveva fatto altro che ignorare tutti – a parte pochi – e cercare di prendere i M.A.G.O. Avere uno scopo lo aiutava a svuotare la mente dai pensieri pessimistici che aveva e lo aiutava ad affrontare i demoni del suo passato. Solo la preside sapeva del suo impegno settimanale. Ogni sabato, quando non c’erano le lezioni, la donna gli permetteva di usare il camino collegato alla Metro Polvere del suo ufficio, in modo che potesse raggiungere Londra per presenziare al suo appuntamento.
Un’abitudine che non aveva perso, era andare a prendere il tè da Hagrid, dopo le lezioni del pomeriggio. A volte restava lì fino a ora di cena, qualche volta schiacciava anche qualche pisolino, era l’unico posto dove riusciva a sentirsi a suo agio e a non sentirsi così… inadeguato. Hagrid era stato il primo a portarlo nel mondo della magia, ricordava ancora quando era apparso alla porta della catapecchia dei Dursley e gli aveva consegnato la sua lettera per Hogwarts. Era sempre stato lì per proteggerlo, aiutarlo durante gli anni di follia a Hogwarts. Era stato straziante sentirlo piangere, mentre lo trasportava dalla Foresta Proibita al castello, quando tutti credevano che lui fosse morto. Si era anche scusato con lui, per averlo fatto soffrire così tanto. Il mezzo-gigante aveva risposto alle sue scuse con un forte abbraccio e lo aveva invitato ad andare da lui, ogni volta che voleva. E per Harry era terapeutico.
Andare da Hagrid, parlare con lui di creature magiche strane, era qualcosa che lo faceva sentire ancora il ragazzino pieno di speranze e di gioia nei confronti della magia che era stato quando era arrivato lì. Aveva trovato una sorta di calma interiore e di via per la guarigione, quando Hagrid gli aveva proposto di aiutarlo con le creature magiche.
Harry non aveva trovato niente da ribattere e anche il suo psicologo era stato d’accordo. Un paio di mesi dopo l’inizio della scuola, aveva iniziato ad aiutarlo nella riserva, ogni volta che aveva del tempo libero. E gli piaceva anche prendersi cura delle creature magiche. Aveva instaurato un feeling particolare con i Thestral, uno in particolare, quello che Hagrid chiamava Frank, sembrava più socievole degli altri. Harry spesso lo nutriva e si prendeva cura di lui e un giorno, lo aveva accarezzato con delicatezza e l’animale magico aveva appoggiato la testa sulla sua spalla, in cerca di altre carezze. Non erano aggressivi o porta iella come molti credevano. Aveva anche rivisto Fierobecco, ribattezzato Alisecco, in modo che non avesse alcun problema con il ministero. Non che adesso il nuovo Ministro della Magia avesse particolare interesse ad eseguire l’esecuzione di un ippogrifo vecchia di quattro o cinque anni, ma era meglio evitare che si sapesse che Fierobecco fosse ancora vivo. E poi c’erano davvero così tante creature, che Harry a volte perdeva il conto delle ore che trascorreva lì. Hagrid progettava anche di adottare un cucciolo di drago, ma la McGranitt non aveva dato ancora il permesso per farlo, anche se Harry era sicuro di aver sentito Ron parlare del fatto che Charlie sarebbe venuto dalla Romania con un uovo di drago per Hagrid, ma non l’aveva detto al guardiacaccia per non dargli false speranze, non prima che la McGranitt dicesse qualcosa a riguardo.
In ogni caso, quella era la sua nuova routine: tanto lavoro con Hagrid alla riserva, tanto studio per prendere i M.A.G.O, allenamenti di Quidditch, incontri del sabato con il suo psicologo e poco tempo per socializzare o fare qualsiasi cosa “da adolescente” come gli dicevano alcuni dei suoi conoscenti.
Non era colpa di nessuno, era lui che si sentiva inadatto a tutto. Non era colpa di Ron e Hermione, che nonostante tutto cercavano di aiutarlo, quando riuscivano a scalfire la parete spessa che Harry aveva eretto attorno a sé, non era colpa di Ginny che aveva cercato consolazione tra le braccia di qualcun altro, quando lui non poteva dargliene. Non era colpa di nessuno, se non sua. Era lui che si sentiva sbagliato a tutti i livelli e non riusciva a sopportare nessuna situazione. Aveva capito di non voler più essere un Auror, di voler cambiare completamente la propria vita, di non voler più vedere morte, distruzione, violenza. Aveva bisogno di finire la scuola e di prendere del tempo per se stesso, per riflettere. Forse avrebbe giocato a Quidditch come professionista, era ancora nella squadra e non gli sarebbe dispiaciuto disputare partite e viaggiare in giro per il mondo. Almeno la gente avrebbe avuto un vero motivo per apprezzarlo. Non gli piaceva l’idea di essere ricordato come “colui che ha ucciso Voldemort”, lo faceva sentire un assassino, anche se lo aveva fatto per salvare il mondo magico.
Ad accompagnarlo, poi, durante quell’ultimo anno, c’era il suo vecchio amico: il senso di colpa, che lo divorava ogni volta che provava a dormire. Durante la giornata era così impegnato da riuscire a non sentirlo, ma quando si sdraiava nel letto, chiudeva le tende del suo baldacchino, ecco che i pensieri negativi, il dolore, il senso di colpa piombavano su di lui a ricordargli tutto ciò che aveva perso.
Allontanatosi un po’ dai suoi migliori amici storici, aveva legato un po’ di più con Neville, con lui non parlava mai della guerra, né di Voldemort. A volte studiavano insieme, altre passavano il tempo a chiacchierare di argomenti futili come Dean che ci provava con Seamus e quest’ultimo che non se ne accorgeva. Altre finivano per discutere di cosa avrebbero fatto dopo la scuola, Neville era sicuro di voler diventare un professore di Erbologia – dopotutto, aveva tantissimi Eccezionale in quella materia e amava sufficientemente le piante per poterlo fare – ma Harry non sapeva ancora cosa fare dopo i M.A.G.O e la cosa lo devastava. «Non preoccuparti» gli diceva l’amico «Vedrai che capirai cosa vuoi fare dopo la scuola».
Era da lui che era venuto a sapere della faccenda Malfoy. Da dopo i processi, Harry avrebbe voluto chiedergli come stesse, soprattutto dopo aver saputo di Lucius. Con lui non era riuscito ad avere uno sconto di condanna come nel caso di Draco – completamente assolto – e di Narcissa, che aveva avuto una riduzione della pena dall’ergastolo a 10 anni di reclusione e una serie di ristrettezze che non ricordava, ma almeno sarebbe stata libera. In realtà, lei gli aveva chiesto solo di occuparsi di Draco, la donna voleva che suo figlio avesse un futuro fuori dalla prigione. Si sarebbe fatta andare bene anche l’ergastolo se fosse servito a far uscire Draco indenne da quella storia.
Era stato da Neville che aveva saputo che Malfoy veniva preso di mira da altri studenti, soprattutto da quando era venuto fuori che lui era gay. Lui non guardava molto le dinamiche scolastiche altrui, non lo faceva con cattiveria o perché non gli importava, ma aveva passava la maggior parte del tempo libero in biblioteca, non partecipava ad attività ricreative varie o alle feste illegali che venivano organizzate nella scuola. Era concentrato su se stesso e sul superare i demoni del suo recente passato.
Impossibile, aveva commentato quando Neville gli aveva raccontato di aver visto dei Grifondoro picchiare Malfoy nel cortile. Pensava che il messaggio di quell’anno fosse chiaro: nessuna faida con nessuno. La McGranitt era stata chiara, non voleva rivedere violenza tra gli studenti, dopo aver assistito ai Carrow che facevano torturare gli studenti più piccoli. Ma sinceramente… a lui importava qualcosa di Malfoy?
Beh, un po’. Altrimenti non lo avrebbe tirato fuori dalla Stanza delle Cose Nascoste infuocata, altrimenti non lo avrebbe salvato durante la guerra né durante il processo. Tuttavia, dopo la guerra, aveva giurato a se stesso che non avrebbe più permesso a nessuno di portare dolore, scompiglio e negatività in quella scuola. Lo doveva a tutte le persone che erano morte in nome della pace, dal suo padrino a Remus, da Fred a Dobby. Avere di nuovo violenza tra quelle mura, sarebbe stato come infangare le loro memorie, rendere vano il loro sacrificio. Nessuna violenza doveva essere ammessa a Hogwarts, Malfoy era stato davvero una spina nel fianco per anni, ma anche lui meritava la pace, dopotutto quello che aveva vissuto. Lui c’era, lui lo aveva visto il terrore vero nei suoi occhi a Malfoy Manor, quando aveva finto di non riconoscerlo, dandogli la possibilità di scappare e di salvare gli ostaggi nei sotterranei. Non aveva mai capito quali fossero le reali intenzioni del biondo, ma di fatto lo aveva davvero aiutato. Gli aveva permesso di portare in salvo Luna, Olivander, il folletto, Ron e Hermione. Col senno di poi, forse avrebbe potuto portare via anche lui e tentare di salvarlo, come non aveva fatto al sesto anno, quando, invece di porgergli una mano ed aiutarlo, lo aveva aggredito e poi aveva usato quell’incantesimo su di lui. Ancora gli venivano i brividi quando pensava al corpo del biondo riverso nel sangue, che copioso usciva dal suo corpo. E sempre col senno di poi, aveva capito che, in effetti, Malfoy era uno stronzo patentato, ma non era un mostro, non come Voldemort. Non aveva mai ucciso nessuno, a differenza di Harry stesso. E aveva abbassato la bacchetta, quella notte sulla Torre di Astronomia, ne era certo, lo aveva visto, se non fossero arrivati Bellatrix e gli altri mangiamorte, Draco avrebbe accettato l’aiuto di Silente. Così, dopo aver ascoltato le parole di Neville, ripromise a se stesso che, se mai avesse visto atteggiamenti ostili nei confronti del biondo, sarebbe intervenuto e avrebbe messo fine alla cosa. Non gli importava chi era Malfoy, cosa aveva fatto e cos’era stato, la guerra era finita, tutti avevano sofferto tanto in quel periodo, nessuno meritava altro dolore, nemmeno lui.
Non si rese conto subito delle sue azioni, fu una cosa graduale. Prima iniziò a tenerlo d’occhio durante le lezioni, si assicurava sempre che nessuno gli desse fastidio, poi iniziò a farlo anche durante gli orari del pranzo e della cena. Qualche volta aveva sentito degli insulti, ma non era riuscito a capire chi fossero davvero i colpevoli. Vedeva Malfoy sempre triste, sulle sue, taciturno. Non era lo stesso Malfoy spocchioso e arrogante che aveva conosciuto negli anni precedenti, avere avuto contatti con Voldemort doveva aver spezzato anche lui, solo perché aveva preso il Marchio, non voleva dire che non avesse avuto paura di lui, alla fine tutti i suoi seguaci ne erano anche terrorizzati. Nessuno capiva che era solo un ragazzino di sedici anni, quando era stato marchiato? No, perché neanche lui l’aveva capito in un primo momento, era sempre stato convinto che Draco Malfoy incarnasse il male, prima di rendersi conto che si trattava solo di un suo coetaneo terrorizzato da un mostro che minacciava di ucciderlo. Non avrebbe mai dimenticato la sua voce spezzata, mentre rivelava a Silente la verità, Io devo ucciderla… o lui ucciderà me. Col senno di poi, doveva ammettere che, se non fosse stato per lui, non avrebbe salvato Olivander che non gli avrebbe rivelato la verità sulle bacchette e non gli avrebbe parlato della Bacchetta di Sambuco. E non avrebbero potuto recuperare l’horcrux nella camera blindata di Bellatrix. E se Malfoy non gli avesse lanciato la sua bacchetta, durante l’ultima battaglia, di certo non sarebbe stato lì, vivo a cercare di rimettere insieme la sua vita. Aveva vinto la guerra anche grazie all’aiuto di Draco Malfoy e non era giusto che lui continuasse a pagare, la guerra doveva finire anche lui, dopotutto vivere con Voldemort sotto lo stesso tetto era stata una punizione sufficiente. Persino il biondo meritava di meglio e di superare gli orrori della guerra.
Fu un pomeriggio, mentre si dirigeva verso il Lago Nero per controllare la Piovra Gigante, che si accorse di qualcosa che non andava. E fu quello il giorno in cui tutto cambiò.
 

 
Draco era in anticipo per la lezione di Rune Antiche. Aveva bisogno di prendere un po’ d’aria dopo la lezione di Pozioni più noiosa della storia delle lezioni di Pozioni (a volte gli mancava così tanto il modo di insegnare di Piton, lui rendeva la materia affascinante e interessante, per un periodo, quando si permetteva ancora di essere ottimista, pensava ad un suo futuro nel campo delle pozioni o come insegnante o come ricercatore o qualcosa del genere), per questo decise di andare sulla riva del Lago Nero, di sicuro lì non lo avrebbe disturbato nessuno. Aveva bisogno di stare da solo, nell’ultimo periodo c’erano cose che non capiva. Prima di tutto, perché Potter si ostinasse a fissarlo in quel modo, lo fissava sempre, ogni volta che ne aveva l’occasione: durante i pasti in Sala Grande, quando lo incrociava per caso nei corridoi, durante le lezioni in comune… era frustrante e non riusciva a trovare una spiegazione a quello stranissimo comportamento.
Quello sguardo verde, carico di giudizi, lo sentiva su di sé ogni volta che condividevano uno spazio comune e bruciava sulla sua pelle, bruciava più delle vessazioni che subiva ogni giorno. Era veramente insopportabile, perché non si faceva gli affari propri? Perché lo fissava in quel modo? Cosa voleva da lui? Aveva sentito che era gay e voleva iniziare a vessarlo anche lui? Non gli avrebbe dato torto, insomma, lui era stato sgradevole nei confronti di San Potter per anni, lo aveva denigrato, insultato, sfidato, odiato più di qualsiasi altra cosa, aveva fatto di tutto per essere odioso nei suoi confronti, quindi l’altro poteva solo ricambiare la moneta in quel modo. Ma non lo faceva, si limitava ad osservarlo, fissarlo e poi scostare lo sguardo quando incrociava i suoi occhi. Lo faceva impazzire quell’atteggiamento, perché non gli andava a parlare direttamente?
I suoi compagni di casa avevano provato a scusarsi con lui per la situazione in cui lo avevano cacciato – non avevamo idea che potesse accadere una cosa simile, dicevano – ma non li accusava di niente, gli altri avrebbero trovato il modo di rendergli la vita un inferno ugualmente. Era ciò che meritava.
E sì, doveva ammetterlo di aver pensato che lo avessero fatto di proposito, anche se erano dispiaciuti, forse lo avevano fatto ubriacare di proposito per fargli confessare il suo più grande segreto, per vendetta o qualcosa del genere, ma poi si erano pentiti della situazione che si era creata attorno a lui, perché magari non credevano che un coming out involontario portasse a quelle conseguenze catastrofiche. A lui non importava, anche se l’avevano fatto di proposito, era sicuro di meritare quel trattamento.
Si sedette sulle sponde del Lago Nero e sospirò, ogni tanto aveva bisogno di una pausa da tutto quello. Osservò davanti a sé e tirò le ginocchia al petto, infossandoci il viso in mezzo. Era vero, meritava tutto, ma sarebbe finita prima o poi? Qualcuno si sarebbe accorto quanto fosse devastato dentro? Qualcuno avrebbe capito che aveva imparato la lezione e che non avrebbe mai più maltrattato gli altri? Qualcuno gli avrebbe porto una mano, in segno di aiuto e di pace? No, non lo meriti.
A volte, aveva voglia di piangere, ma suo padre gli aveva sempre detto che piangere era per i deboli, per i perdenti, i Malfoy non erano deboli, non piangevano mai. Lui lo aveva fatto una volta, quando era così devastato da non sapere neanche cosa fare per non impazzire, ma aveva solo sedici anni all’epoca.
Ne aveva quasi diciannove ormai. Era un uomo. Non poteva piangere perché si sentiva solo. Inoltre era una solitudine che si era creato da solo, una solitudine che meritava, lui meritava di soffrire e di pagare per i suoi errori del passato, quindi perché avrebbe dovuto essere triste per quello? E perché qualcuno avrebbe dovuto tirarlo fuori da quella spirale di dolore? Non ne valeva la pena, per nessuno.
«Ehi ragazzi! Guardate chi c’è!»
Draco si irrigidì. Conosceva fin troppo bene quella voce, era un Corvonero, uno di quelli che faceva commenti più spietati, tra tutti gli altri ed era lo stesso che lo aveva picchiato insieme a quei Grifondoro, qualche settimana prima.
«Lasciami in pace» disse il biondo, senza alzarsi dal suo posto.
«No, vedi… devi ancora imparare la tua lezione, frocetto impertinente» quel tono lo fece trasalire, c’era qualcosa in quel tizio che gli incuteva timore, non sapeva se era la stazza o l’odio che leggeva nei suoi occhi o entrambe. Draco si alzò lentamente e raccolse la sua borsa, fece per superarlo, senza aggiungere niente, ma questo lo bloccò con una mano, spingendolo all’indietro con violenza, lui per poco non cadde.
«Non voglio problemi, non ti ho fatto niente, lasciami passare» insistette Draco, cercando di non mostrare il terrore che aveva dentro di sé. Si guardò intorno disperato, sperando che ci fosse qualche professore nei dintorni, ma questo aveva l’abilità di trovarlo quando non c’era anima viva nei paraggi. Quando erano all’interno del castello, si limitavano a commenti poco piacevoli, ma mai a cose fisiche, perché lo sapevano, se fossero stati visti dai professori, sarebbero stati puniti. Non avevano paura che Draco parlasse con loro, tutti sapevano che lui era fin troppo codardo per andare a lamentarsi con qualche professore, se accidentalmente, fuori dalla scuola, veniva picchiato. E loro erano maledettamente bravi a scovarlo quando in giro non c’era nessuno ad assistere.
Il Corvonero non disse niente, gli puntò la bacchetta contro e usò un Petrificus Totalus su di lui, prima che potesse prendere la sua bacchetta. Quello fu raggiunto da altri tizi, tra i quali riconobbe un paio di Grifondoro, tre Serpeverde e altri due Corvonero. Poi un primo calcio raggiunse il suo fianco e, sebbene fosse immobilizzato, Draco sentì un dolore allucinante, non riuscì a sfogare il suo dolore. Sopraggiunse un altro calcio, poi un pugno e altri colpi che non riuscì a distinguere, forse anche un incantesimo che non comprese.
«Non hai fatto niente?» chiese quello «Lo sai che i tuoi amichetti mangiamorte hanno sterminato la mia famiglia?» chiese colpendolo ancora «Mio fratello aveva solo undici anni, undici!» esclamò, tirandogli un pugno dritto nello stomaco «E loro lo hanno ucciso senza pietà! Tu sei come loro, tu sei un lurido mangiamorte, dovresti marcire ad Azkaban!»
Mi dispiace – avrebbe voluto dire – lo so che dovrei essere lì, non è colpa mia, se mi hanno assolto. Lo so, lo merito, lo so, lo so… – pensava. Supplicava con lo sguardo il tizio di fermarsi, ma non la smetteva, anzi, dopo qualche minuto i suoi amici si unirono a lui, iniziando a colpirlo con inaudita violenza. Draco sentiva solo dolore, ovunque e se non fosse stato pietrificato, avrebbe pianto perché tutto quello era troppo per chiunque. Dopo una serie infinita di pugni e calci, il Corvonero si alzò in tutta la sua altezza e gli puntò la bacchetta contro.
Draco chiuse gli occhi, sperando che usasse un Anatema che Uccide, solo per mettere fine a tutto quel dolore. Pronunciò un Diffindo particolarmente forte e sentì il suo braccio lacerato – non era orribile quanto il Sectumsempra, ma sentiva ugualmente il sangue fuoriuscire dai suoi vasi sanguigni – e poi un altro incantesimo che non riconobbe.
«Ehi! Lasciatelo stare!» una voce raggiunse i presenti, mentre il Corvonero tirava un altro, forte calcio dritto nello sterno del Serpeverde, seguito da un pugno in piena faccia dato da un Grifondoro «Stupeficium!» gridò il nuovo arrivato. L’incantesimo fu così forte che uno degli aggressori venne sbalzato via di almeno un paio di metri da Draco. E poi nel suo campo visivo apparve lui: l’eroe, San Potter. Si sentirono dei passi in lontananza, forse il Corvonero e i suoi amici erano andati via, scappando a gambe levate dopo essere stati beccati.
«Finite Incantatem» pronunciò il Grifondoro, abbassandosi sul biondo. Draco sentì l’incantesimo pietrificante sparire dal suo corpo, le lacrime intrappolate nei suoi occhi scivolarono sulle sue guance e strinse gli occhi per non farle notare all'altro, avrebbe voluto alzarsi e andare via, ma non riuscì a muoversi a causa del dolore che provava su tutto il corpo. 
«Malfoy? Ce la fai ad alzarti?» chiese. Il biondo scosse la testa, non aveva energia per fare niente, neanche per pensare in quel momento. Voleva solo sparire, essere inghiottito dal terreno o sprofondare nel Lago Nero, piuttosto che subire quell’umiliazione, eppure… Potter gli aveva appena salvato la vita. Lo sentì imprecare tra sé e sé, poi sentì le sue mani delicate sul viso e poi sul petto, per tastare e controllare che non avesse niente di rotto, poi lo fece sedere sull’erba, molto lentamente e infine, con una prova di forza non indifferente, passò un braccio sotto alle sue ginocchia e ne piazzò uno dietro alla sua schiena. Lo sollevò da terra come se non pesasse nulla e lo strinse a sé. Draco non avrebbe voluto sentire dentro di sé nessuna sorta di calore confortevole, ma la prima cosa che percepì dentro di sé, stretto tra quelle braccia forti, fu una sensazione piacevole e si sentì al sicuro, dopo tanto tempo.
«Ti porto in infermeria» affermò il Grifondoro, quando il suo sguardo, incrociò quello carico di domande del Serpeverde.
Il biondo annuì, incapace di fare altro e lasciò che il suo soccorritore lo portasse in infermeria in quel modo. Avrebbe dovuto sentirsi umiliato da quello, avrebbe dovuto protestare, avrebbe dovuto dirgli che non doveva trattarlo in quel modo, che non era una principessina in difficoltà, ma sentiva così tanto dolore ed era così tanto stanco di soffrire, che accettò silenziosamente il suo aiuto. Era da così tanto che nessuno era gentile con lui, che quasi pianse per la delicatezza con cui Potter lo stava trattando.
Non avrebbe dovuto sentirsi così, ma… dopo quasi tre mesi di sofferenza, quello era un piccolo sollievo.
Sentì gli sguardi giudicanti degli altri studenti che li osservavano, mentre attraversavano il corridoio e scioccamente pensò che forse lo avrebbero lasciato in pace, ora che il Grande Harry Potter aveva preso le sue difese… non doveva crogiolarsi così nell’illusione, ma decise che lo avrebbe fatto solo in quel momento, quando era un po’ deboluccio e malconcio, poi sarebbe tornato in se stesso e ad accettare tutto ciò che gli capitava.
In quel momento, però, il gesto di Potter gli scaldò il cuore.
Quando entrarono nell’infermeria, furono accolti da Madama Chips che chiese immediatamente cosa fosse accaduto. Potter spiegò brevemente ciò a cui aveva assistito e “L’ho salvato” disse alla donna. Draco sentì le sue gote tingersi di rosso senza alcun motivo e si sentì terribilmente scoperto e vulnerabile quando l’altro lo mise su uno dei lettini. Lo osservò, in attesa che anche lui andasse via e lo abbandonasse, ma Potter rimase lì. Attese con pazienza che la medimaga della scuola lo visitasse, che medicasse le sue ferite e gli desse un paio di pozioni antidolorifiche, poi quando lei andò via, dopo avergli ordinato di restare lì per il resto della giornata in osservazione, Potter si sedette accanto a lui.
«Perché non vai via?» chiese il biondo.
«Non mi va» replicò il moro «Resterò qui. In caso tu abbia bisogno di qualcosa».
«Non ho bisogno della balia, Potter» disse, cercando di risultare acido abbastanza da farlo desistere. Non voleva Potter con sé, non voleva nessuno con sé. Non voleva la sua compassione, la sua pietà, voleva restare da solo e convincersi ancora una volta, che ciò che gli era capitato fosse giusto.
«Potter, sul serio, vai via» ripeté.
«Non me ne vado» replicò ancora una volta «Posso anche restare in silenzio, ma da qui non mi muovo». Draco sentì il proprio cuore battere più forte, senza alcun motivo. Non aveva senso che si sentisse così, solo perché Potter lo aveva salvato e neanche voleva sentirsi così. Non gli rispose, semplicemente appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, cercando di dormire. Grazie alle pozioni della medimaga, il dolore fisico stava lentamente sparendo. Il dolore che provava dentro di sé, però, faceva ancora male, era sempre presente e non sarebbe mai svanito, neanche se Potter lo aveva salvato da un’aggressione, perché dopo quella ce ne sarebbero state altre e ancora altre, fino alla fine della scuola. O forse non sarebbe mai finita e le persone avrebbero continuato ad aggredirlo, ogni volta che lo avrebbero incontrato solo perché non lo sopportavano o avevano perso qualcuno a causa di suo padre o della guerra. E inoltre, lo meritava.
Quindi che differenza faceva? Il silenzio, comunque, durò poco.
«Stavo andando a controllare la Piovra Gigante, sai?» domandò il moro retoricamente, mentre lui aveva gli occhi chiusi – come sapeva che stesse fingendo di dormire? «Ultimamente do una mano a Hagrid con le creature magiche, c’è un Thestral che è davvero simpatico, si chiama Frank». Draco avrebbe voluto dirgli a me cosa frega di questo? Ma chi te l'ha chiesto? – ma qualcosa lo fece desistere. Era bello sentire la voce di qualcuno che gli parlava in quel modo gentile. E infatti, Potter continuò a parlare della sua piccola occupazione di aiutare il guardiacaccia con la cura delle creature magiche. Gli disse di tutte le specie che c’erano, di come si occupasse di loro, nutrendole e pulendo, quando necessario, le zone in cui vivevano. Draco non capì perché, ma sentire parlare Potter in quel modo, lo fece rilassare. Non sapeva se fosse il suo tono di voce o altro, ma riuscì a farlo rilassare e… a fargli compagnia. Non doveva crogiolarsi in quello, evidentemente Potter provava solo pena per lui e voleva evitare che qualcun altro lo aggredisse, mentre era più vulnerabile del solito, ma… non riuscì ad evitarsi di sentire uno strano calore nel petto. «Le creature magiche sanno come aiutarti, sai? Ci sono anche dei cuccioli di snaso adorabili. E Hagrid ha adottato una femmina di crup incinta, i cuccioli nasceranno tra qualche mese, potrebbero piacerti» aggiunse «Ma il mio preferito resta Frank. A volte, parlo con lui».
«Quanto devi essere fuori di testa per parlare con un Thestral, Potter?» chiese con sprezzo il biondo. Si morse le labbra, pentendosi del tono usato, Potter stava cercando di essere gentile con lui e lui non sapeva ricambiare in altro modo, se non con quell’atteggiamento ostile? L’altro scrollò le spalle e sbuffò leggermente, divertito.
«Sì, lo ammetto, sono abbastanza fuori di testa, fin dalla fine della guerra» ammise «O forse lo sono sempre stato, chi lo sa, forse il mio cervello ormai si è fuso, dopo essere stato legato tanti anni a quello di uno psicopatico megalomane» asserì con una scrollata di spalle «Ma non è questo il punto. A volte fa bene fare qualcosa che ti piace, può aiutarti a distrarti dalle cose brutte che accadono». Almeno così dice il mio psicologo, aggiunse mentalmente.
«Le cose brutte che accadono come dici tu, non sono niente rispetto a quello che meriterei davvero, per tutto quello che ho fatto» disse. Perché era esattamente quello di cui si era convinto: meritava di essere emarginato, meritava di essere trattato con repulsione e meritava anche di essere il bersaglio di persone che volevano fargliela pagare per ciò che aveva fatto nel corso degli anni. Sì, meritava di pagare anche per quello che suo padre aveva fatto. Non era innocente.
«Come puoi parlare così di te stesso? Malfoy, nessuno merita di subire quello che subisci tu» disse guardandolo «Perché non hai chiesto aiuto?»
«Perché non merito di essere aiutato» rispose «E non mi farai cambiare idea. Non voglio aiuto né da te, né da chiunque altro».
«Va bene, come vuoi» replicò il moro. Draco sbuffò, tentando di girarsi su un fianco, provando un incredibile dolore al petto e al fianco, ma non demorse. Fece un paio di buffi saltelli sul letto per trovare una posizione confortevole e dare le spalle al Grifondoro e quando finalmente riuscì a stare comodo, chiuse gli occhi, mentre un paio di lacrime sfuggivano al suo controllo. Si rannicchiò su se stesso quanto poté e strinse il cuscino come se fosse stato un appiglio. Trattenne i singhiozzi che premevano per uscire dalla sua gola, li inghiottì a uno a uno, ma non riuscì a frenare le lacrime che, presto, iniziarono a scivolare copiosamente sulle sue guance, bagnando il cuscino. Non era il tipo che piangeva, lui tendeva ad incamerare tutti i sentimenti negativi, a negarli e a non esprimerli, farlo avrebbe significato mostrarsi deboli. Lui non poteva essere debole, non perché suo padre gli aveva insegnato che i Malfoy non si mostravano mai deboli, ma perché sapeva che se fosse crollato, sotto il peso di ciò che stava vivendo, di lui non sarebbe rimasto niente, se non cenere. In quel momento, quel suo presupposto fu abbattuto e tutto il dolore che aveva subito in quegli ultimi mesi, si sciolse sotto forma di lacrime amare, che silenziose scivolavano sul suo volto. Tutto per colpa di San Potter che aveva deciso di soccorrerlo e di dimostrargli gentilezza, come nessuno aveva mai fatto prima di quel momento. Perché doveva essere sempre un portatore di speranza, quel maledetto Grifondoro?
Quando un unico singhiozzo sfuggì alle sue labbra, sperò che Potter se ne fosse andato o che almeno non si accorgesse del suo stato d’animo. Non sarebbe riuscito a sopravvivere a quell’umiliazione o allo sguardo pietoso del moro.
Quel poco della dignità che gli era rimasta, si disintegrò quel pomeriggio di fine novembre.
 

 
Harry non se la sentì di lasciare da solo Malfoy, non dopo il terribile spettacolo a cui aveva assistito nemmeno un’ora prima. Qualcosa dentro di lui gli aveva suggerito che il biondo avesse bisogno d’aiuto, che necessitasse di qualcuno al suo fianco, che lo aiutasse a superare quelle difficoltà. Così decise che avrebbe riflettuto a dovere sulla faccenda, prima di decidere come procedere, ma non avrebbe perso di vista il biondo.
Era vero, Malfoy aveva fatto cose orribili, era stato una vera spina nel fianco per anni, ma non meritava di soffrire così tanto, non per le colpe di suo padre. Lui poteva capire cosa significava avere a che fare con Voldemort, aveva convissuto con la presenza di quel mostro nella sua mente per anni. Il terrore delle visioni, delle cose che aveva fatto... a volte le sognava ancora durante la notte. Malfoy aveva avuto Voldemort in casa sua, era stato suo prigioniero, aveva temuto per la sua vita durante il giorno e durante la notte. Non era giusto che continuasse a soffrire tanto.
Non giustificava le sue azioni, né il fatto che fosse stato un bullo, ma comprendeva i motivi che lo avevano spinto a compierle. Vittima della paura, si potevano fare anche cose orribili. Lui stesso aveva lanciato un incantesimo mortale contro il suo ex rivale al sesto anno. Anche il suo migliore amico Ron, mentre erano alla ricerca gli horcrux, gli aveva detto un sacco di cose orribili causa della rabbia e della paura che provava, prima di andare via e abbandonare lui e Hermione. E, come aveva detto anche nella sua testimonianza a favore del biondo, aveva solamente sedici anni quando aveva accettato; era poco più di un ragazzino, cresciuto in un ambiente teso verso la magia oscura, la sua mente era plagiata da suo padre e dalla paura di Voldemort e aveva agito sotto minaccia di morte.
La guerra era finita, nessuno meritava altro dolore e altra sofferenza, neanche Draco Malfoy, doveva fare qualcosa per cambiare quella situazione. Forse, poteva iniziare a fare qualcosa per farlo capire anche ai suoi compagni di scuola, offrendo aiuto a Malfoy e far capire a tutti che tutti meritavano perdono, anche quelli come il Serpeverde. Se lui, che era stato in prima fila nella lotta contro Voldemort e i mangiamorte, faceva un passo indietro e smetteva di ignorare ciò che accadeva al Serpeverde e riusciva a perdonarlo per il suo passato, magari quelli che erano stati dalla sua parte durante la guerra, avrebbero fatto un passo verso il perdono anche loro e avrebbero smesso di vessarlo in quel modo. Doveva guidare quel cambiamento, adesso, prima che fosse troppo tardi. Poteva essere un buon diversivo per superare il proprio senso di colpa, forse salvare Malfoy poteva aiutarlo a salvare se stesso.
Quando sentì un singhiozzo provenire dall’altro, il suo primo istinto fu quello di piegarsi verso di lui e stringerlo, ma si fermò subito. Draco non lo avrebbe apprezzato e lo avrebbe respinto, avrebbe rifiutato a prescindere qualsiasi suo gesto, così si limitò a restare lì, sperando che apprezzasse il supporto silenzioso. Non riusciva a stare lì senza far niente, senza consolarlo in qualche modo, ma dovette farsi forza su se stesso per riuscire a non farlo, a non sporgersi verso di lui per stringerlo. Draco non aveva bisogno di quello, in quel momento. O forse sì?
Non erano così tanto in confidenza da potersi comportare in quel modo. Doveva andarci piano con lui e farsi accettare lentamente, non poteva imporsi o il biondo lo avrebbe respinto a priori. Restò fermo sulla sedia e attese che Malfoy si calmasse, sperando che non si accorgesse subito della sua presenza, altrimenti non avrebbe saputo come reagire. Non ci fu bisogno di reagire, dieci minuti dopo, vide il suo corpo finalmente rilassato sulla branda e capì che si era addormentato, sfinito dal pianto e forse anche a causa delle pozioni che gli aveva somministrato Madama Chips.
Harry non si mosse da lì, restò accanto a Malfoy, fino a che, verso sera, il biondo non si destò. Si voltò verso di lui lentamente e spalancò gli occhi quando lo vide lì. Aveva gli occhi rossi e gonfi, ma il Grifondoro non glielo fece notare, si limitò a passargli un bicchiere pieno d’acqua rivolgendogli un piccolo sorriso. Draco accettò l’acqua, ancora confuso dall’atteggiamento dell’altro e bevve, fissandolo.
«Perché sei rimasto qui?» gli chiese. Lui scrollò le spalle, senza sapere cosa rispondere, esattamente, cosa avrebbe dovuto dirgli? Avrebbe dovuto dirgli che era lì perché voleva aiutarlo? Perché voleva salvarlo dalla situazione spiacevole in cui era? Non poteva usare quelle dirette parole o il biondo lo avrebbe respinto.
«Non avevo altro da fare» rispose «E ho pensato di essere più utile qui, sai, per evitare che altri ti aggredissero».
«Ti ho già detto che non ho bisogno di te, Potter» ribatté l’altro con acidità, sperando che non si notasse troppo il fatto che avesse pianto, prima di addormentarsi. Se aveva fortuna, i suoi occhi gonfi potevano essere collegati al sonno. Almeno, ebbe la decenza di non fargli presente il suo stato davvero pietoso e lo apprezzò.
«So quello che hai detto e… penso che tu abbia bisogno di qualcuno» disse semplicemente «Diversi anni fa, mi hai porto la mano, dicendomi che avresti potuto aiutarmi a conoscere le persone giuste». Draco arrossì e scostò lo sguardo, non riusciva a reggere quegli occhi verdi per troppo tempo «Non so se riusciremo a diventare amici, ma… possiamo provarci e…» Harry porse la mano destra verso di lui «Io posso aiutarti, se tu lo vuoi».
Draco deglutì, osservando quell’offerta. Quando aveva sperato che qualcuno gli porgesse una mano, nei momenti brutti? Quanto aveva sperato che qualcuno lo salvasse? Troppo spesso, ma non aveva mai creduto di meritarlo. Ma perché, allora, l’offerta di Potter sembrava essere così allettante?
Valutò i pro e i contro di quell’offerta, cercò di immaginare cosa sarebbe accaduto, di certo non sarebbe finito tutto magicamente, ma… forse sarebbe stato più tollerabile? Sicuramente i suoi amichetti Grifondoro avrebbero avuto da ridire e lo avrebbero tormentato, rendendo la sua vita un inferno peggiore di quello che già viveva… e poi cosa ne sarebbe stato di lui? Sarebbe diventato amico di Potter e poi? Non poteva funzionare, non poteva essere possibile, loro due… amici? Sembrava impossibile. Eppure Harry era lì, che gli porgeva una mano, in segno di sostegno, dopo averlo salvato da un’aggressione… era tutto troppo bello per essere vero.
Cosa doveva fare, esattamente? Accettare il suo aiuto? O era un trucco, un inganno come la festa a cui era stato trascinato dai suoi compagni di stanza e che si era rivelata una trappola, dopo il suo involontario coming out?
Deglutì, fissando la mano di Potter tesa verso di lui. Chiuse gli occhi, se avesse rifiutato il suo aiuto, avrebbe perso un'occasione… forse quello era un segno? Qualcuno gli stava dicendo che forse poteva ricominciare? Poteva smettere di soffrire?
«Dov’è il trucco?» si ritrovò a chiedere, aprendo di nuovo gli occhi, putando i suoi occhi di ghiaccio in quelli verdi – e caldi – di Potter «Vuoi umiliarmi? Dove sono i tuoi amichetti, stanno già ridendo di me, vero?»
«No. Non ti sto prendendo in giro, Draco, sono serio, la mia è un’innocua offerta di pace». Perché usava il suo nome di battesimo, in quelle situazioni? Perché non lo chiamava Malfoy con sdegno, come tutti gli altri? Perché Potter doveva essere così diverso dalla massa? Perché doveva portare luce e speranza nel suo cuore oscuro?
Draco osservò ancora quella mano, come se da essa potesse uscire Voldemort in persona, che lo avrebbe accusato di essere un filo-potteriano e quindi un traditore… e lo avrebbe torturato, prima di ucciderlo. Se solo Potter gli avesse teso quella mano in tempo, se solo Potter gli avesse stretto la mano sul treno…
Senza neanche rendersi conto delle sue azioni, afferrò la mano di Potter e la strinse. Vide un delizioso sorriso comparire sulle labbra dell’altro e lo vide annuire. Draco si chiese se avesse appena fatto l’errore più grande della sua vita.
«Appena ti sarai ripreso, verrai con me alla riserva di creature magiche».
… sì, forse lo aveva appena fatto, ma non se ne pentiva.
 

 
Già dal giorno dopo, Harry mantenne la sua promessa. Draco ne fu sorpreso. Aveva dato per scontato che Potter avesse provato a mostrargli amicizia solo per pietà. A colazione a stento si erano visti, il Grifondoro era arrivato in ritardo, quando lui aveva già finito la sua misera colazione e stava già andando via dalla Sala Grande per andare a lezione di Rune Antiche. Si entrano incrociati a metà della sala e il moro gli aveva rivolto uno sguardo strano, che lui non era riuscito a decifrare. Sperava di non vederlo a lezione o che avesse dimenticato ciò che era accaduto il giorno precedente.
Entrò nell’aula, quando non c’era ancora nessuno e si sedette in una delle postazioni più isolate. Aveva un po’ di compiti arretrati, non riusciva davvero a concentrarsi sullo studio con tutto quello che stava accadendo, ma allo stesso tempo sapeva di doversi impegnare, così da prendere i M.A.G.O. e poter ricominciare, magari lontano dall’Inghilterra.
Le prime due ore di lezione di quella giornata trascorsero con estrema lentezza, Draco rischiò di addormentarsi un paio di volte, ma cercò di tenere la concentrazione alta per evitare richiami dai professori, tuttavia la seguì con così tanto disinteresse, che quando uscì dall’aula sapeva ancora meno rispetto a quando era entrato. Fuggì da lì in fretta e sperò di non essere stato notato da nessuno. L’aggressione fisica e violenta del giorno prima bruciava ancora sulla sua pelle e stavolta quel Corvonero era riuscito ad instillare in lui la paura. Non aveva mai avuto davvero paura dei suoi persecutori, si limitavano agli insulti, alle parole forti, a qualche spintone e solo due volte erano venuti alle mani, entrambe le volte all’esterno del castello, lontano da occhi indiscreti e dagli occhi attenti dei professori, ma anche in quel caso non erano stati così violenti da mandarlo in infermeria, senza che riuscisse a muovere un muscolo, come il giorno prima. Se Potter non fosse arrivato, probabilmente gli avrebbero fatto di peggio ed era terrorizzato da questa possibilità.
Raggiunse l’aula di Trasfigurazione e occupò un posto vuoto, abbastanza distante dagli altri. Quando però vide i primi Grifondoro arrivare, cercò di essere meno visibile possibile, ma non tolse gli occhi dagli studenti che entravano in aula. E poi lo vide, era insieme ai suoi amici di sempre, sorrideva in modo abbastanza nervoso, annuiva, ma sembrava assente. Draco si voltò per fissare il suo libro, prima che l’altro notasse che lo stava guardando. Non capiva ancora perché gli avesse detto quelle cose il giorno prima, non lo capiva e lui odiava non avere le cose sotto controllo. Stava fingendo di leggere un capitolo riguardante alcuni tipi particolari di trasfigurazioni, quando qualcuno appoggiò una borsa sulla metà libera del banco, esattamente accanto a lui.
«Buongiorno!» esclamò il nuovo arrivato. Draco sussultò riconoscendo la voce di Potter, si voltò di scatto verso di lui con gli occhi spalancati, incredulo.
«Potter? Che ci fai qui?» chiese e avrebbe desiderato evitare il tremito della sua voce, ma l’altro sembrò non farci caso, perché gli rivolse un sorriso enorme e lo guardò negli occhi, facendogli sentire una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
«Ho lezione, secondo te perché sono nell’aula di Trasfigurazioni?» chiese retoricamente Harry, sedendosi accanto a lui.
«Intendo: perché sei qui vicino a me?» rettificò, notando che il moro stesse già prendendo le sue pergamene, il suo calamaio e la sua piuma d’oca. Lo guardò di traverso, senza capire le sue azioni.
«Il posto era libero, quindi mi sono seduto» rispose con semplicità il moro «Cos’è, la fiera delle domande ovvie?»
«Non so cosa sia una fiera» borbottò in risposta, con aria confusa «Qualcosa di babbano?»
«Te lo spiegherò o magari un giorno ti ci porterò» ridacchiò Harry, Draco lo guardò perplesso, senza capire a cosa si riferisse… non si era mai applicato troppo in Babbanologia e questi erano i risultati, un brivido percorse la sua schiena, quando pensò a quella materia. L’espressione terrorizzata della professoressa, che supplicava Piton di aiutarla, era impressa nella sua mente con particolare evidenza, come se fosse stata marchiata a fuoco sulle sue retine «Oggi a colazione sei andato via in fretta, non sono riuscito a salutarti».
«Se sei un ritardatario cronico non è colpa mia» soffiò, tornando a guardare il suo libro, scacciando dalla mente quel ricordo tanto orribile «Vedi di non disturbarmi».
Harry scrollò le spalle e iniziò a scribacchiare alcune formule sulla sua pergamena, in attesa che la McGranitt arrivasse. L’attuale preside non aveva lasciato il suo posto di professoressa di Trasfigurazioni, il motivo non era stato chiaro, ma una cosa era certa, quella donna non avrebbe mai lasciato l’insegnamento e riusciva a gestire tutto egregiamente, senza il minimo problema. Harry sapeva che Hermione aspirasse a diventare come lei ed era certo che ce l'avrebbe fatta.
Quando era entrato nell’aula, gli si era stretto il cuore nel notare Malfoy solo, seduto in disparte, che fingeva palesemente di leggere, era difficile andare d’accordo con lui, ma il biondo era una vittima della guerra tanto quanto lo erano lui, Ron, Hermione e tutti gli altri studenti, poteva aver sbagliato in passato, ma questo non significava che meritasse di essere picchiato in quel modo barbarico. Quando la sera prima, aveva spiegato ai suoi amici ciò che intendeva fare con il biondo, loro avevano storto un po’ il naso, memori di ciò che lui aveva fatto in passato, ma dopo che lui ebbe esposto le sue validissime argomentazioni, avevano capito e gli avevano dato il loro supporto. Non che Harry avesse bisogno del loro permesso per fare le cose, ma si era sentito sollevato a sapere di non dover lottare contro di loro. Non era stato facile neanche per lui uscire fuori dalla spirale di dolore, devastazione e tristezza in seguito alla guerra e ci stava ancora lavorando, in realtà e ne portava anche i segni sulla pelle, ma per Malfoy era più difficile. Non sarebbe stato facile, solo Merlino sapeva quanto sarebbe stato difficile, ma lui voleva aiutarlo, voleva salvarlo, voleva che anche lui capisse che, nonostante l’orribile passato e le pessime scelte sbagliate, il futuro non era poi così oscuro come credeva.
Lui, nonostante tutto, aveva sempre avuto degli amici al suo fianco, anche nei momenti più difficili. Aveva avuto e aveva ancora Ron, Hermione, Neville e tutti i suoi compagni di casa, aveva Hagrid che gli aveva permesso di avvicinarsi alle creature magiche e forse era stato proprio questo a salvarlo. Draco, invece, non aveva mai avuto nessuno, mai nessun amico vero, nessuno che gli consigliasse cosa fare o non fare, nessuno che lo sostenesse nei momenti difficili, nessuno che fosse stato lì per lui, a porgergli una mano quando era sprofondato in un baratro senza speranza, nessuno gli era stato accanto, quando Voldemort era entrato nella sua vita e aveva guidato le sue azioni come un abile burattinaio. Se ci pensava bene, Draco era sempre stato una marionetta per suo padre, per Voldemort, per tutti quelli che gli erano stati accanto, era un ragazzino viziato, forse un po’ odioso, presuntuoso e vile, ma non era crudele come voleva far credere di essere.
Nessuno poteva uscire da quel baratro senza un aiuto esterno e lui voleva aiutarlo, voleva essere lì per lui, voleva essere il qualcuno che sostituisse il nessuno perenne nella vita del biondo.
Forse poteva salvare anche Malfoy, se era riuscito a sconfiggere Voldemort, poteva farlo.
«Non ti darò fastidio» disse «Sarà come se non esistessi» aggiunse. Un sorriso triste ferì le sue labbra, aveva detto qualcosa di vagamente simile a suo zio, una volta, fortunatamente quei tempi ormai erano andati e aveva superato la fase Dursley da un pezzo, anche se a volte gli tornava in mente ciò che accadeva tra quelle quattro mura. Scacciò dalla mente quel pensiero e guardò il profilo del biondo, il quale sospirò sonoramente, perso nei suoi pensieri.
Doveva trovare un modo per aiutarlo, per farlo parlare. Doveva fare in modo che si fidasse di lui, ma non doveva essere troppo invadente, né poteva rapportarsi a lui come faceva con un qualsiasi altro dei suoi amici. Doveva trovare un modo per conquistare la sua fiducia. Forse poteva parlare con il suo psicologo di questo suo brillante piano e farsi suggerire un modo pratico per entrare nelle grazie di Draco.
La lezione della McGranitt finì un quarto d’ora prima, perché la donna aveva delle faccende riguardanti la scuola da risolvere, assegnò loro un tema di tre pergamene su particolari tipi di evanescenze e li congedò tutti.
«A che ora finisci oggi l’ultima lezione?» gli chiese Harry, mentre raccattava le sue cose. Malfoy sbuffò, ma lui fece finta di non notarlo. Sapeva con chi aveva a che fare e che non sarebbe stato facile, ma da qualcosa doveva pur iniziare.
«Adesso ho Pozioni, poi pausa pranzo e nel pomeriggio ho solo Aritmanzia».
«Forte! Abbiamo quasi le stesse lezioni, tranne Aritmanzia» replicò Harry «Allora che ne dici se facciamo coppia durante le ore di Pozioni? Tu sei piuttosto bravo da quel che ricordo».
«Disse quello che ha vinto la Felix Felicis al sesto anno» borbottò il biondo, scuotendo la testa «Apprezzo il tentativo, Potter, ma preferisco stare da solo».
«Te l’ho già detto che non ti lascio da solo e non mi rimangio la parola» disse guardandolo «Avanti, ti do l’opportunità di vantarti per avermi battuto in qualcosa» affermò «So che muori dalla voglia di farlo da anni, avevamo solo undici anni quando mi hai sfidato… ti ricordi la Ricordella di Neville?» chiese per provocarlo e il biondo annuì «O quando hai fatto comprare delle scope nuove a tutta la squadra di Serpeverde, solo per potermi dare del filo da torcere nel Quidditch?» domandò ancora «Beh, sappi che è noioso da morire senza di te» aggiunse.
Draco sbuffò e prese la sua borsa, mettendosela sulla spalla, lasciandosi tradire da un mezzo sorriso a causa delle affermazioni del moro, seguito subito dopo da un profondo sospiro, come poteva Potter essere lì, chiedergli quelle cose, e provocargli quello sconquasso nel petto? Non sapeva neanche come definire ciò che provava, ma sembrava che un barlume di speranza per un futuro migliore si fosse appena acceso nel suo cuore.
«Certo che me lo ricordo, peccato non essere riuscito a farti cadere dalla scopa in nessuna di quelle occasioni» borbottò, cercando di sembrare più acido possibile, mentre prendeva qualche istante per riflettere e mettere ordine nei suoi pensieri. Non sapeva cosa rispondere all’altro, una parte di sé voleva opporsi a quello, non voleva che Potter facesse parte della sua vita, eppure… un’altra parte di sé, desiderava così tanto essere meno solo, era stato così di sollievo avere qualcuno accanto, in quelle poche ore di lezione… Lo sguardo di Potter in quel momento era puntato su di lui, con una strana curiosità, era in attesa, aspettava una sua risposta e qualcosa gli diceva che non avrebbe chiesto di nuovo.
Poteva perdere quell’occasione? Forse no…
«Se accetto, tu taglierai e schiaccerai tutti gli ingredienti» disse, arrendendosi. La verità era che era troppo codardo per rifiutare, aveva sempre cercato di attirare la sua attenzione con il suo comportamento da stronzo e adesso che finalmente l’aveva ottenuta, non riusciva proprio a rifiutare e inoltre… non voleva essere aggredito di nuovo, se fosse stato accanto a Harry, le aggressioni sarebbero diminuite, giusto? Sperava di non sbagliarsi.
«Ci sto, per me va bene».
In silenzio, l’uno accanto all’altro, si avviarono verso l’uscita dell’aula di Trasfigurazioni, tutti i loro compagni erano già usciti, erano rimasti solo loro due in quell’aula. Eppure, entrambi sentirono che qualcosa di nuovo stesse nascendo. Un’amicizia? Forse.
«Ehi, Draco?»
«Sì?»
«Ti va di lavorare insieme al tema di Trasfigurazioni per la prossima lezione?» gli chiese.
«Non hai di meglio da fare, se non passare il tuo tempo con me, Potter?»
Harry scrollò le spalle «Non mi piace studiare da solo e… beh, Ron e Hermione sono due piccioncini ultimamente, non mi va di essere il terzo incomodo, mentre loro si sbaciucchiano» replicò con un’espressione fintamente disgustata, buffissima. Draco rifletté qualche secondo prima di rispondere, l’offerta del moro era allettante, passare il pomeriggio con lui a studiare, significava avere un pomeriggio di respiro da tutto e, dopo l’aggressione del giorno prima, aveva bisogno di stare solo cinque minuti in pace, solo un attimo per riprendersi e per poter respirare, un solo momento per poter camminare senza doversi guardare le spalle da chiunque. 
«Okay… dato che sono una persona magnanima, ti permetterò di studiare con me» replicò, sforzandosi di non suonare troppo patetico. Il sorriso che gli rivolse Potter gli scaldò il cuore. Possibile che quel tale riuscisse a sorridergli, come se nulla fosse? Che riuscisse a farlo sentire meno patetico di quanto non fosse in realtà? Che potere aveva? E perché gli veniva semplice, con lui, essere se stesso?
«Perfetto!» esclamò il moro «Allora andiamo, Lumacorno ci aspetta!»
Harry non volle cantare vittoria troppo presto, ma gli sembrò di vedere l’ombra di un sorriso sulle labbra del biondo.
Poteva ritenersi soddisfatto di quel primo, piccolo risultato, tuttavia era consapevole che la strada da percorrere era ancora lunga.



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Giuro solennemente di (non) avere buone intenzioni
 
HOLA PEPS!
DID YOU MISS ME?
Siete vivi dopo questo pippone incredibile? LO SO, LO SO è lungo, ma non potevo tagliarlo, già dividere questa storia in tre parti è stato difficile… doveva essere una one shot, che doveva essere letta tutta insieme… ma, ecco, potrebbe essermi accidentalmente scivolata dalle dita (COME AL SOLITO).
BTW, dopo un mese di latitanza sono tornata ad importunare i vostri schermi! :D
Siete felici? Io sì, tantissimo. Mi siete mancati/e tanto! Ma non perdiamoci in chiacchiere!
Come ho scritto all’inizio del capitolo, questa storia tratta di argomenti abbastanza delicati, non intendo sminuirli o altro, anzi cerco sempre di trattarli con i guanti e spero di non aver turbato troppo chi ha letto. La trama può sembrare un po’ trita, visto che il fandom pullula di storie con Harry e Draco a Hogwarts dopo la guerra, ma… non sono riuscita ad evitare di scriverla, e spero di averla saputa rendere comunque diversa, aggiungendo cose tipo Harry e le creature magiche (non credo di aver mai letto di lui con questa passione… se mi sbaglio, fatemi un fischio!)
Comunque, spero che questa storia, per quanto breve, vi piaccia. Ovviamente – meglio metterlo nero su bianco, non sia mai che passi per omofoba – non penso nessuna delle stronzate (ops, french) che gli stronzi dicono a Draco. E sì, è vero: le cose “illegali” che ha bevuto Draco erano corrette al Veritaserum, perché gli studenti sono stronzi e vendicativi. Ma per fortuna c’è San Potter, che stavolta è meno #maicorvonero del solito e agisce, ma per noi sarà sempre un #maicorvonero <3
Nel prossimo capitolo si scoprirà di più anche sul suo dopoguerra u.u Non ha litigato con Ron e Hermione, eh, vuole solo lasciarli godere la loro storia d’amore, quindi si distanzia un po’ e trova altre occupazioni, come le creature magiche e salvare biondini a caso per passare il tempo.
E nulla, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. La storia è di tre capitoli, ma non preoccupatevi, dopo questa cosina breve mi farò perdonare con una long molto long.
Vi do appuntamento al prossimo fine settimana :D
Bye!
See you on Saturday! (Vi era mancato, vé?)
Love ya, peps! E in bocca al lupo a tutti per la riapertura delle scuole/università e per la ripresa del lavoro, io sarò qui ad accompagnarvi, farvi compagnia e farvi distrarre in questo periodo! (E chissà, magari quest’anno riesco a laurearmi anche io… AHAH, NO.)
 
PS in questo capitolo c’è un piccolo spoiler che riguarda la mia prossima storia. Non l’ho fatto di proposito, giuro, ma rileggendo me ne sono accorta, GOOD LUCK a chi riesce a beccarlo :D (e visto che sono felice di essere tornata, se non lo trovate e siete curiosi, fatemelo presente e sarete accontentati :D)
 
Fatto il misfatto.

   
 
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