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Autore: mask89    21/09/2020    10 recensioni
Naruto è in esilio auto inflitto, ma un omicidio, legato a delle circostanze misteriose, lo costringe a ritornare a Konoha, dove sarà costretto ad affrontare il suo passato.
Genere: Azione, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Jiraya, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno | Coppie: Minato/Kushina, Naruto/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Chapter XV

 

Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Certo, il terribile cazziatone di Jiraiya, sul modo in cui si era comportato durante l’interrogatorio, gli pesava come un macigno sulla coscienza; ma, ciò che più che gli toglieva il sonno era quella frase finale pronunciata, in quel modo insolente, da Hidan. No, non era casuale. “Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io.”  La ripeteva dentro di sé, come un mantra, da ore. Smise di rigirarsi nel letto, ormai era chiaro che Morfeo, per l’ennesima volta nell’arco di pochi giorni, lo rifiutava apertamente. Si mise al pc, nella speranza di placare quei dubbi, che ormai lo stavano assalendo da ore. Provò a cercare il significato di tale proverbio su internet, era indubbio a cosa si volesse riferire, ma preferiva averne la certezza. La sintesi delle risposte, fornitegli dai vari siti consultati, non gli piacque affatto: era più facile aspettarsi qualche attacco da parte dei nemici, invece del tradimento di una persona cara. Per tale motivo, si fa affidamento a Dio affinché ci protegga da situazioni del genere. Quindi Hidan stava insinuando che una persona a lui cara lo avesse tradito. Non poteva essere possibile…Tuttavia, ripensando agli eventi di un anno e mezzo prima…No, non poteva avere assolutamente ragione. Non era possibile. Era sicuro che nessuno, della sua cerchia di amicizie dell’agenzia, lo avesse tradito. Però, soltanto alcuni di loro potevano essere a conoscenza di quella sera. Avrebbe controllato, ma solo per precauzione. Poi, reso sicuro dalla sua ricerca, avrebbe sbattuto i suoi risultati sul volto di quel bastardo e, a quel punto, gliela avrebbe fatta pagare. Solo per avergli fatto dubitare di alcune persone a lui care. Però avrebbe fatto le cose per bene. Nessuno doveva sapere ciò che stava per fare. Era giunto il momento che Volpe ritornasse all’azione, dopo molto tempo. Avrebbe sfruttato lo stesso sistema adoperato dagli hacker per falsificare le timbrature. Si infiltrò nel database biomedico e creò una utenza falsa a cui associò un badge. Successivamente, si registrò nel software della portineria, per abilitare il tesserino a tutte le aree, compresi i piani interrati; in modo tale che il programma non rilevasse delle anomalie o che gli fossero bloccati gli accessi, nel caso in cui avrebbe avuto la necessità di accedere ad altre aree. In seguito, si occupò delle telecamere; quel giorno non avrebbero registrato nessun movimento. Infatti, ogni ripresa video sarebbe finita su un server esterno, per essere immediatamente distrutta. Ci mise diverso tempo, per completare e perfezionare tutto il lavoro; ma, verso le cinque del mattino, si poté ritenere soddisfatto. Finalmente, il richiamo del letto si fece sentire. Impostò la sveglia alle otto. Poi si coricò.

 
Notò che all’ingresso vi erano le solite due guardie. Le salutò con un gesto della mano. Poi passò il tesserino sia sul tornello, che sul marcatempo. In seguito, si voltò verso la telecamera presente all’ingresso e fece un occhiolino. Rise beffardo, tanto nessuno lo avrebbe notato. Con disinvoltura si recò verso gli ascensori. Prese quello vuoto e pigiò il tasto che portava al meno tre. Si guardò intorno, non c’era nessuno. Raggiunse la stanza di suo interesse, quella dell’omicidio. Collegò il pc al server. Scrocchiò le dita delle mani, salutò Naruto Uzumaki per dare il benvenuto alla terribile Volpe. La risposta alle sue domande era in quel flusso di dati. Ne era sicuro. Imprecò verso sé stesso, per non aver controllato in quei giorni quelle anomalie. Ma, a sua discolpa, aveva avuto il suo bel da fare. Fra lezioni da preparare, notizie non facili da digerire, era stata un’impresa concentrarsi. Per non citare Sakura. Sapeva che sarebbe stato difficile gestire certe emozioni, ma non avrebbe mai potuto prevedere che lo avrebbero fatto deragliare così tanto. Pensava di essersi lasciato tutto alle spalle, invece...Si schiaffeggiò il volto. Non era il momento di pensare a certe cose. Doveva rimanere concentrato su ciò che si apprestava a fare. Si collegò ai server dell’agenzia e cominciò a studiare i vari flussi di dati. Iniziò ad analizzare tutte le anomalie che riscontrava nella rete dell'agenzia. Era molto strano, non seguivano uno schema fisso. Infatti, in alcuni giorni non ve ne erano affatto, in altri, invece, il traffico dati in entrata ed in uscita era elevato e sembrava concentrarsi in alcune particolari ore della giornata. Osservò che, quei particolari pacchetti di dati, confluivano nella rete pubblica dell’edificio. Com’era possibile? Come erano riusciti a violare un network così sicuro, senza destare alcun sospetto? Come avevano potuto creare un ponte con la rete pubblica della struttura e, conseguentemente, far fuoriuscire dati così importanti? Doveva procedere con ordine, per rispondere a quelle domande. Avviò un programma che aveva ideato lui stesso ed impostò la ricerca in modo tale da capire, da quanto tempo, quello stillicidio di dati andava avanti. Dopo qualche minuto, ebbe la risposta, all’incirca da un anno. Praticamente, da quando l’agenzia si era trasferita a Konoha. I dubbi aumentarono. Com’era possibile che nessuno se ne fosse mai accorto prima? Iniziò a scorgere la lista dei giorni, ma non riuscì ad individuare uno schema, una connessione logica. Sembrava che, quella fuga di dati, fosse aleatoria. Ma, nel suo lavoro, la casualità non esisteva. Tutto aveva una logica. Bisognava soltanto trovare la giusta chiave d’interpretazione. Un particolare balzò agli occhi, da subito dopo l’omicidio, non vi erano più quelle piccole alterazioni. Le due reti sembravano essere tornate due entità distinte. Si concentrò in modo particolare su quel giorno; notò che, in quella data, corrispondeva l’ultimo flusso anomalo. Cercò di circoscrivere l’arco temporale. Il risultato fu sorprendente, era durato tutta la notte, anche durante le indagini preliminari della Radice. Com’era possibile? Fece una scansione di tutti i device, per tipologia, connessi ad entrambe le reti. I pc, sia fissi che mobili, risultavano, per quanto concerne il loro traffico, in perfetto ordine. L’anomalia non era lì. Passò ad analizzare i dispositivi mobili; finalmente ebbe successo. I dati che transitavano dai server dell’agenzia a quelli della rete pubblica, convogliavano verso un determinato IP. Provò a incrociarlo con i giorni delle anomalie. Ci aveva visto giusto, compariva sempre. Fu facile risalire al device; corrispondeva ad uno smartphone. Quell’IP doveva appartenere al telefono della vittima, ne era sicuro; se fosse stato così, sarebbe stato anche facile triangolarlo e, di conseguenza, recuperarlo. Ma, doveva averne la certezza matematica. Incrociò i giorni delle anomalie con le timbrature della vittima. Il risultato smorzò il suo entusiasmo. Entrambe non corrispondevano. Non poteva essere vero, si era sbagliato. Riconfigurò la ricerca e attese; ma il risultato fu uguale al precedente. Non ci stava capendo più nulla. Era ormai sicuro che, l’omicidio e la fuga dei dati fossero collegati. Ma, quei nuovi risultati rimettevano in discussione tutto. Si alzò in piedi di scatto. Aveva bisogno di riflettere. Se non era stata la vittima a causare quello, allora chi? Doveva estendere la sua ricerca a tutti i dipendenti della struttura. Era l’unica strada percorribile. Azzerò i precedenti parametri di ricerca, per adattarli a quella nuova ipotesi. Attese che il programma facesse le sue analisi di rito ma, anche questa volta, il risultato fu deludente. Non era possibile. La vittima non era il trafugatore di dati; nemmeno i dipendenti, sia dell’agenzia che della struttura, erano loro; allora chi? Poi un’intuizione. I dipendenti esterni, come gli addetti alle pulizie e le guardie armate; anche loro potevano accedere alla rete della struttura. Rilanciò la ricerca. Questa volta ebbe successo. Vide che l’IP era collegato ad uno smartphone. Iniziò a triangolare il segnale. Con sua enorme sorpresa, constatò che il possessore di quel telefono era nell’edificio. Era agganciato al repeater della portineria. Da quell’indirizzo riuscì ad infiltrarsi nel dispositivo e, non appena scoprí a chi era collegato, a momenti rischiava di cadere dalla sedia. Il misterioso possessore era la guardia giovane. Non era possibile che quell’individuo fosse capace di un’operazione di tale entità. Aveva letto il suo profilo. Qualcosa che non quadrava. Entrò nel log delle connessioni del telefono. Dal registro evinse che tutti quei dati erano reindirizzati verso altri IP. Quel telefono era una specie di testa di ponte. Chi credeva che quella moltitudine di indirizzi falsi lo avrebbero scoraggiato, si sbagliava di grosso. Sorrise, finalmente era giunta l’occasione per testare ufficialmente il suo nuovo algoritmo. I test preliminari erano andati più che bene, ma quel banco di prova sarebbe stato l’ideale. Quel programma gli consentiva di arrivare al vero indirizzo IP, che si celava dietro quella moltitudine di indirizzi falsi. L’attesa durò più di un’ora ma, finalmente, aveva l’indirizzo di colui che era dietro tutto. Lo localizzò. Un senso di vertigine lo colse. Non poteva essere possibile. Ricontrollò tutto, ma non vi era nessun errore. Era tutto vero. A malincuore, decise di forzare l’accesso di quel pc, non fu difficile. Si sentì come se avesse scoperchiato il suo vaso di Pandora personale. L’origine del suo dolore, che lo aveva torturato e tormentato nell’ultimo anno e mezzo, era archiviata in quel pc. Scoppio a piangere. Perché Jiraiya gli aveva fatto tutto questo? Per quale scopo? Cosa aveva fatto, per farsi odiare così tanto? Lavorò come un ossesso per raccogliere tutte le prove per incastrare il vecchio bastardo. Aveva quasi ultimato il tutto quando, un particolare, attirò la sua attenzione. Un senso di malessere, peggiore del precedente, lo investì. Quando uscì da quell’edificio era pomeriggio inoltrato. Un cadavere probabilmente avrebbe avuto un aspetto migliore. Si diresse verso il suo ufficio, aveva delle faccende urgenti da sbrigare.
 
Sakura era inviperita. Aveva sbagliato nei suoi confronti, lo sapeva bene; ma non accettava, assolutamente, il modo in cui la stava trattando. Poteva sopportare il fatto che inventasse delle scuse, di cui alcune veramente stupide, per non parlarle; ma, cercare di evitarla in modo così evidente, l’aveva ferita, umiliata, infuriata. Quel venerdì avrebbe risolto la situazione una volta per tutte, o non si sarebbe più chiamata Sakura.
Ino aveva cercato di dissuaderla in tutti i modi da quella folle idea, ma, ormai, aveva deciso. Avrebbe pedinato Naruto per tutto il giorno, per poi seguirlo fino a casa sua, dove non avrebbe avuto più scampo e sarebbe stato costretto a dirle tutta la verità. Era talmente convinta di ciò che stava facendo, che per quel giorno, aveva chiesto ed ottenuto un giorno di ferie. Una cosa a dir poco eccezionale, visto che non le richiedeva mai e Tsunade era letteralmente costretta a mandarla in riposo forzato.  Quella, però, era un’occasione particolare; poiché, il tarlo del dubbio la stava corrodendo da dentro, come mai le era successo in vita sua. La mattinata si era rivelata un autentico buco nell’acqua. Aveva provato a cercarlo in facoltà, ma la segretaria le aveva detto che per quella mattina non si sarebbe fatto vivo, un lavoro urgente lo avrebbe tenuto lontano dal suo ufficio. Dopo la pausa pranzo, si era appostata sul tetto dell’ospedale; da quel posto aveva un’ottima visuale sui viali che conducevano al dipartimento di informatica, quindi, se fosse passato da quelle parti, sicuramente sarebbe stata capace di riconoscerlo. La pazienza non era mai stata una sua virtù, ma se voleva vincere quella guerra, l’unico modo era attendere che, l’uomo al centro dei suoi pensieri, si facesse vivo. L’attesa finalmente aveva dato i suoi frutti, erano le diciotto passate, quando lo vide avanzare verso la struttura che ospitava il suo ufficio. Decise di scendere dal tetto e di appostarsi nel bar dell’ospedale. Sarebbe passato per forza di lì, per andare a prendere la metro che lo avrebbe riportato a casa. Diverse volte, in quelle settimane, avevano condiviso il percorso che li portava alla fermata. Ordinò un té freddo. Quei giorni di fine aprile erano davvero caldi, inoltre, tutte quelle ore di attesa sul terrazzo l’avevano assetata. Sorseggiò lentamente la bevanda, mentre gli occhi erano fissi sull’ampia vetrata. Finalmente lo vide passare. Guardò l’orologio, questa volta l’attesa era durata all’incirca un’ora. Si affrettò a pagare alla cassa, poi corse verso l’uscita. Mantenne una certa distanza, non voleva che il biondo si accorgesse che lo stesse seguendo. Si confuse tra la folla mentre scendeva le scale che portavano alle varie fermate della metro. Si ritrovò a pensare che, normalmente, i loro percorsi si interrompevano dopo la prima rampa di scale, considerato che lei prendeva la linea A per tornare a casa, mentre lui la B. Ma, quel giorno, sarebbero andati verso la stessa direzione. Lo osservava da lontano. Aveva un’aria strana. Sembrava pensieroso; rinchiuso in una sfera personale, in cui aveva escluso il resto del mondo, infatti, non era interessato alle cose o alle persone che gli erano attorno. Entrò nel vagone, nonostante ci fosse parecchia gente, riusciva ancora a scorgere la chioma bionda del suo amico. Il viaggio durò all’incirca mezz’ora; alla penultima fermata, prima del capolinea, lo vide prepararsi verso l’uscita sul lato destro della carrozza. Fece lo stesso. Uscita dal vagone, gli diede diversi metri di vantaggio, non voleva correre il rischio di farsi scoprire, ora che era quasi giunta all’obiettivo. Sorrise, quello era il quartiere in cui era cresciuto. Quante volte ci era stata dall’infanzia all’adolescenza? Quante volte era stata ospite a casa sua? Ricordò con affetto i genitori di Naruto, due persone fantastiche, i quali ogni volta l’accoglievano a casa loro, la facevano sentire parte della famiglia e non una semplice amica in visita. Da quanto non li andava a trovare? Da parecchio, si disse. Fortunatamente, l’inseguimento non durò a lungo, il suo amico abitava nelle vicinanze della fermata, in una palazzina di recente costruzione, o almeno così le sembrava. Lo vide entrare nell’androne del palazzo. Attese qualche secondo, poi si avvicinò al campanello, per capire a che piano fosse situata l’abitazione. Era al settimo. Suonò ad un campanello a caso e si fece aprire il portone con la più classica delle scuse: era lì per fare una sorpresa ad una persona a lei cara. Doveva essere la sua giornata fortunata, la graziosa vecchietta che le rispose, credette, senza esitazione, alla sua innocente bugia. Uscita dall’ascensore si guardò intorno, per localizzare l’appartamento di Naruto. Lo trovò alla sua destra. Inspirò profondamente e suonò al campanello. Attese. Nessun rumore giungeva dall’interno. Nessuna riposta. Ora basta! Pensò. La sua pazienza era giunta ormai al limite. Non gli avrebbe permesso di usare quello stupido stratagemma nuovamente.      
«Naruto è inutile che fai finta di non essere in casa, ti ho visto entrare. Ti ho seguito. Apri immediatamente questa porta!» Non le importava che tutti i condomini del palazzo la sentissero. Ormai, in quelle settimane la sua dignità era andata a farsi benedire da un pezzo. Lo sentì trafficare con la serratura. Sorrise soddisfatta. Almeno quel suo coprirsi di vergogna era servito a qualcosa!
Entrò in casa come una furia, pronta a dirgliene di tutti i colori. Non lo degnò neanche di uno sguardo, la rabbia era troppa.
«O ti decidi a chiarire, una volta per tutte, la nostra situazione o ti giuro che te le suono finché non sputi fuori la verità.» Lo sentì accampare una scusa. Una giornata pesante. Voleva rimandare tutto al giorno successivo. Ma anche no! Lei voleva delle risposte e subito! Non lo aveva mai visto così titubante. Lo vide portarsi la mano destra sull’anulare della mano sinistra. Dov’era la fede? Si guardò intorno, qualcosa non tornava. Quella casa aveva qualcosa di strano, mancava di tocco femminile. E dov’erano le foto di sua moglie o del loro matrimonio? Erano in pausa di riflessione, certo, ma questo non giustificava l’assenza della testimonianza della loro unione. I dubbi aumentarono nella sua testa. Con la coda dell’occhio vide la fede poggiata nel portaoggetti vicino l’ingresso. Fulminea la prese. Scrutò l’interno alla ricerca di una data, di un nome. Niente, non c’era nulla di tutto ciò! Gli prese la mano, nessun segno che indicasse che la fede era sul dito da almeno due anni. Era furiosa.
«Ora mi dirai esattamente cosa cazzo succede!» Ma quella sensazione sparì non appena lo guardò, finalmente, negli occhi. Un baratro di dolore e rimpianto ecco cos’erano quelle iridi. Sentì tutto quell’astio defluire rapidamente dal suo corpo.
«Naruto, dimmi cosa ti succede.» Proferì con tutta la dolcezza di cui era capace.
Le chiese di andare via, con la promessa che l’avrebbe richiamata per raccontarle tutto.
Lentamente si avviò verso la porta. Non voleva lasciarlo da solo, ad affrontare chissà quali demoni; ma, dentro di sé, sapeva che era la cosa giusta da fare.
Richiuse la porta. Si ritrovò a sperare, con tutta sé stessa, che quella chiamata giungesse il più presto possibile.



Spazio autore:

Ciao, 
puntualmente, come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo.
Finalmente il traditore è venuto a galla. Ma quali saranno le motivazioni? 
Inoltre, siamo tornati al punto dove la storia ha inizio. Cosa vuole dimenticare Naruto del suo passato? Sakura riuscirà ad aiutarlo?
Ringrazio ancora una volta chi commenta e/o ha messo la storia nei seguiti, da ricordare, preferiti.
Come sempre, spero che sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.
   
 
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