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Autore: Marti Lestrange    21/09/2020    8 recensioni
Quando la tranquillità della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts viene spezzata da una misteriosa sparizione, l’Auror del Dipartimento Investigativo Teddy Lupin è mandato sul posto a cercare risposte. Ma, mentre l’uomo insegue la verità, le domande aumentano. Lo sfuggente gruppetto capeggiato da Albus Potter e Scorpius Malfoy nasconde qualcosa, un segreto celato tra amici e cugini, e in cui anche l’irreprensibile James Potter è rimasto invischiato. Chi crollerà per primo? Chi finirà per cedere sotto il peso della verità?
[ dal testo: ❝ La notte in cui successe era una notte strana. Su Hogwarts e i suoi prati era sceso il buio, quel buio fitto e pregno di spettri delle notti d’inverno, cariche di presagi e nuvole ammassate come mostri in cieli di piombo e carbone. ❞ ]
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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SORPRESA: la seconda parte del capitolo è arrivata prima del previsto, ora mi odiate un po’ meno, sì? Buona lettura ♥︎

 


 

16.

CAPITOLO SEDICI

PARTE SECONDA

 

 

Teddy finì di sorseggiare il suo caffè e buttò il bicchiere vuoto in un cestino. Si trovava fuori dall’anticamera che precedeva l’aula d’udienza dove Scorpius, Rose, Roxanne e Caitlin (con i rispettivi genitori e il loro legale, Theodore Nott) erano riuniti ormai da un’ora. A presiedere l’udienza erano Victoria Nott, in quanto Procuratore Generale del Ministero della Magia, e Robert Barton, facente le veci del Capo dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia (Harry era stato ovviamente messo da parte per questioni legate al conflitto d’interesse). Teddy non aveva visto nessuno, quella mattina. Aveva dormito in ufficio, dopo aver scritto un gufo a Victoire (l’ennesimo in pochi giorni) spiegandole la situazione e aggiornandola sulla faccenda, e la sua fidanzata gli aveva risposto di non preoccuparsi, ché lei se la sarebbe cavata, e di stare tranquillo. Teddy si era chiesto, una volta di più, cos’avesse fatto di così buono e giusto per meritarsela. E si ripromise anche che si sarebbe preso una bella vacanza, appena tutto quel casino sarebbe finito, e avrebbe costretto Vic a fare altrettanto, e sarebbero partiti per andare ai Laghi e godersi qualche giorno di relax solo loro due, lontano dal Ministero e dai suoi intrighi. Quella domenica mattina, l’ufficio era calmo e relativamente deserto, a parte loro. Teddy si era svegliato tutto rotto dopo aver dormito per terra, accucciato accanto alla sua scrivania, e aveva accettato come un toccasana il bicchiere di caffè che gli aveva portato la cugina Molly, che aveva fatto un salto al Ministero solo per sapere come stava, visto che Victoire le aveva spiegato gli ultimi sviluppi, dei quali lei era ancora all’oscuro. Avevano parlato brevemente e Teddy le aveva raccontato ciò che era successo il giorno prima, sabato, cioè che lui era rimasto lì tutto il giorno, non si era mosso a parte per mangiare qualcosa al volo comprato al bar del Ministero (e per sciacquarsi la faccia in uno dei bagni), che i ragazzi erano rimasti nelle loro celle di custodia, che i loro genitori avevano fatto loro visita il mattino presto e poi nuovamente la sera prima di cena e, infine, che l’esperto di bacchette aveva fatto i suoi accertamenti in mattinata. Aleksandar Petrović1 era un discendente diretto (l’unico, in realtà) del famoso Mykew Gregorović, noto fabbricante di bacchette che aveva visto la sua fortuna da qualche parte nell’est Europa, e che aveva trovato la morte per mano di Lord Voldemort, nel 1997. L’uomo collaborava ormai da anni con il Ministero per questioni legate all’arte delle bacchette e aveva effettuato degli Incanti Reversus su ognuna di quelle che avevano confiscato ai ragazzi, e il risultato era stato vergato su pergamena e consegnato, in una cartellina sigillata, e in doppia copia, a Victoria Nott e Robert Baston, che avrebbero utilizzato quel risultato per emettere una sentenza definitiva. Inoltre, si era sfogato con Molly, ammettendo che aveva evitato di incontrare Harry e gli altri, il giorno prima, e che si sentiva malissimo all’idea che Harry pensasse che fosse un «meschino cagasotto», intimorito all’idea di affrontare un confronto e un dialogo con lui in merito alle ultime vicende. Ovviamente, fino al giorno prima la sua posizione di Auror incaricato del caso Jenkins lo aveva messo in una posizione difficile, impedendogli di parlare al suo padrino come un figlioccio, e a cuore aperto, come gli premeva di fare. Avrebbe potuto affrontarlo solo come un Auror, e coinvolto, per giunta, e non era esattamente la conversazione che sperava di instaurare con lui. Molly lo aveva rassicurato e incoraggiato, puntando sulla ragionevolezza dello zio Harry e sull’affetto che aveva sempre nutrito nei suoi confronti. Teddy aveva abbracciato la cugina e l’aveva ringraziata di cuore, e si era quindi deciso a raggiungere la sua famiglia per un chiarimento. Fece un bel respiro, quindi, e aprì la porta per raggiungerla. 

Erano tutti lì riuniti e girarono il volto sorpresi quando sentirono la porta aprirsi e richiudersi dietro di lui. Ginny sedeva in mezzo ai suoi figli, la mano destra sul ginocchio di James e quella sinistra su quello di Albus, in un gesto tanto intimo e profondo, di amore e appoggio e incondizionata fiducia, che Teddy si sentì quasi di troppo, come se fosse giunto a invadere la loro privacy con la sua ingombrante presenza. James non sembrava preoccupato, o teso, non più, ormai, ché forse la sua maggiore maturità lo aveva portato ad accettare, con rassegnazione e accettazione, tutto ciò che sarebbe arrivato, e qualsiasi decisione fosse stata presa per lui, di qualsiasi natura, come se si sentisse colpevole, effettivamente, e quindi ritenesse una punizione l’unica soluzione decente e giusta per ciò che aveva fatto. Albus invece muoveva la gamba sinistra su e giù, su e giù, visibilmente agitato, e quella destra era ferma solo perché la mano di sua madre vi era posata sopra; aveva la faccia di chi si sarebbe volentieri alzato per scappare a gambe levate lontano da lì, e da tutti coloro che lo circondavano, e Teddy pensò a quanto sembrasse giovane - a quanto effettivamente lo fosse - e vulnerabile, scoperto come un nervo, pronto per essere colpito proprio laddove era più debole. Harry invece camminava avanti e indietro, percorrendo l’anticamera a grandi passi, le mani giunte dietro la schiena, la camicia abbottonata storta e i capelli talmente spettinati che sembrava vi fosse scoppiata una bomba. 

«Teddy?» Ginny fu la prima a parlare. 

Teddy avanzò di un passo, le mani buttate nelle tasche dei pantaloni sdruciti che indossava ormai da due giorni. Non vedeva l’ora di farsi una doccia, tra le altre cose. 

«Ciao», disse. «Spero di non disturbare.»

Harry gli si avvicinò e gli strinse un braccio. «Tu non disturbi mai, Teddy.» Gli rivolse quindi un pallido sorriso, annebbiato dalla stanchezza di quelle ultime ore, e Teddy si sentì ancora peggio di quanto già non si sentisse. Bene

«Puoi sederti, Harry, per favore? Vi vorrei parlare.»

Il suo padrino annuì, e se provò sorpresa non lo diede a vedere. James e Albus invece lo guardavano incuriositi, mentre Ginny sembrava indossasse una maschera fatta di durezza e avorio, era bella e temibile e Teddy l’aveva vista così glaciale solo in rare occasioni. Solitamente riversava la sua furia cieca su tutto e tutti, come il fuoco dell’Ardemonio, che nulla risparmiava e nulla graziava. Si sentì alla gogna e deglutì. 

«Mi spiace essere venuto solo ora», iniziò passandosi una mano tra i capelli: quella mattina si era alzato e questi erano di un banale e piatto grigio topo, tutta colpa dello stress e della stanchezza, e si era quindi sforzato per farli arrivare ad un democratico e tenue azzurrino, ma senza andare oltre. «Fino a ieri, momento in cui tutte le prove sono state raccolte e il fascicolo è stato consegnato al Procuratore Nott e al Sottosegretario Baston, mi trovavo in una posizione difficile e scomoda. Ero Teddy, il tuo figlioccio», e fece un cenno del capo a Harry, che annuì in risposta, e forse come incoraggiamento a continuare, non lo sapeva, «ma anche Edward Remus Lupin, Auror del Ministero della Magia, uno dei due ufficiali incaricati di occuparsi del caso Jenkins.»

«Quello che voglio dire è che io ho vissuto l’ultimo mese spaccato in due, da una parte ero vostro cugino», e questa volta indicò James e Albus, e il primo gli rivolse un accenno di sorriso, mentre il secondo rimase immobile, «quindi colui che vi vuole bene, che vi appoggia ed è fiero di voi, siete come dei fratelli, per me, e lo sarete sempre, non importa cosa succederà. E stavo male, per voi, ché non volevo ammettere, nemmeno con me stesso, ciò che le prove mettevano in evidenza, ciò che mi portavano a scoprire, giorno dopo giorno, in una parabola discendente che mi ha fatto incazzare, furiosamente, e dubitare di voi, che mi ha portato a non fidarmi, di voi, e nello stesso tempo non volevo che accadesse, capite? Io volevo fidarmi, con tutto il cuore.»

«Mi avete dato filo da torcere, però, cazzo se me lo avete dato!» esclamò scuotendo la testa. Ora che aveva iniziato sentiva di non voler più fermarsi. «Quando mi hai raccontato quel mare di cazzate, Jamie, e quando ho capito che lo erano, giuro che avrei tanto voluto prendere tutto quanto, mandare al diavolo Roger, il caso e tutto il castello, e andarmene. Lo giuro su Victoire. Ma non l’ho fatto, non avrei mai potuto, perché ho preso un impegno, e quando sono diventato Auror ho fatto un giuramento, ho giurato che avrei servito il mio paese e avrei fatto di tutto per adempiere ai miei doveri, nel bene e nel male, e fino all’ultimo respiro.»

Scambiò uno sguardo con Harry e vide che il suo padrino aveva gli occhi lucidi e si auto-impose così di non guardarlo, ché non poteva permettersi di cedere, non ora. 

«Quando siete venuti a confessare ero arrabbiato, ero arrabbiato con voi perché pensavo che fosse l’ennesima presa in giro, l’ultima, grande beffa, e quasi non volevo, e non potevo, credervi. E invece è successo, mi avete raccontato tutto, e nonostante sapessi che quella era una verità solo parziale, l’ho accettata, mi sono accontentato, confidando che Scorpius non avrebbe permesso che vi prendeste tutta la colpa. E così è stato.»

Vide la freddezza di Albus vacillare, forse sentir pronunciare il nome del suo migliore amico lo aveva scosso, ma si ricompose in fretta, e Teddy pensò quasi di essersi immaginato tutto.

«Questi ultimi due giorni sono stati terribili, perché avrei tanto voluto parlare a tutti voi solo come Teddy, Teddy e basta, come ho sempre fatto, ma mi trovavo in una situazione davvero difficile, ho dovuto convivere con il mio lavoro e allo stesso tempo cercare di non ferirvi, ma temo di averlo fatto, evitandovi ed evitando un confronto con voi, nonostante sarebbe stato solo un confronto con l’Auror Lupin, ma almeno ne avreste avuto uno.»

«Teddy», cominciò quindi Harry, «hai finito?»

Teddy sospirò e annuì. «Credo di sì.»

«Tu pensi che io non lo capisca, Teddy?» riattaccò quindi a parlare il suo padrino. «Tu dimentichi che sono stato un Auror, forse?»

Teddy scosse la testa: ovviamente no, non lo aveva dimenticato, come avrebbe potuto? Era stato proprio per Harry (oltre che per sua madre, ovvio) che aveva deciso di diventare un Auror a sua volta. E lui lo aveva sempre spronato e incoraggiato e spinto a far meglio e di più, assicurandolo che ci sarebbe riuscito, che sarebbe riuscito a fare tutto ciò che desiderava, ché in fondo era figlio di Remus Lupin e Ninfadora Tonks, due eroi di guerra. 

«Non dimenticarlo mai, allora. Non dimenticare che io ti capisco, io capisco la situazione nella quale sei venuto a trovarti, capisco che tu ti sia arrovellato il cervello per sbrogliare la matassa senza che qualcuno si facesse male, e non pensare che non lo abbia capito, quando quel giorno al Paiolo Magico ci siamo incontrati e abbiamo parlato. Ovviamente, non potevo immaginare che tu stessi indagando sui miei figli, tra gli altri, ma ho immaginato che ci fosse qualcosa di strano, in questo caso, qualcosa che, forse, non mi volevi dire.»

«Sai qual è stata la prima cosa che ho detto a Ginny quando ci hanno mandato a chiamare dall’Ufficio Auror? E poi quando siamo arrivati qui ed Eva Chapman ci ha informato della cosa?» Si girò verso sua moglie, che intanto aveva seguito tutto il discorso di Teddy in silenzio. Ginny Potter finalmente gli sorrise e Teddy si sentì sciogliere. Allora non era così arrabbiata con lui, dopotutto. 

«Harry mi ha detto: ‘per fortuna ci sarà Teddy, con loro’», disse solo lei. 

«Esatto, oltre che altre numerose imprecazioni per ciò che ci era stato appena riferito, ovvio», aggiunse Harry lanciando un’occhiata ad entrambi i suoi figli. Non sembrava arrabbiato, però, ma solo stanco, davvero stanco, come dimostravano le due pesanti occhiaie nere che gli ornavano gli occhi. «Ma una delle prime cose a cui ho pensato è stato il fatto che ci saresti stato tu, Teddy, insieme ai miei ragazzi, e ne avresti garantito l’incolumità, così come il giusto trattamento, cosa che non è mai venuta meno, questo devo riconoscerlo.»

«Mi dispiace tanto non essere venuto prima, davvero», ripetè Teddy scuotendo la testa. Non riusciva a darsi pace.

Ginny allora si alzò e gli cinse le spalle con un braccio e Teddy sentì quel buon profumo di fiori che da sempre la caratterizzava e che lui associava ormai all’estate, quella spensierata che trascorreva a casa di Harry e Ginny, quando sua nonna Andromeda gli permetteva di trasferirsi lì per qualche settimana prima dell’inizio del nuovo anno a Hogwarts. 

«Sei come un figlio, per noi, Teddy», disse quindi la donna. «Sei stato come un fratello per i nostri figli, soprattutto per Jamie, e ti vogliamo un bene che trascende qualsiasi ruolo, e qualsiasi decisione verrà presa lì dentro», e indicò con un cenno del capo la porta chiusa dell’aula per le udienze. 

Teddy non sapeva cosa dire, non sapeva cosa replicare di fronte ad un’altra - l’ennesima - prova di affetto da parte della famiglia Potter, prove alle quali non si sarebbe abituato mai. 

«Non solo tu hai fatto una promessa, Teddy», intervenne Harry. «Ne ho fatta una anche io, venticinque anni fa, quando tuo padre mi ha chiesto di diventare il tuo padrino. Dentro di me, sapevo cosa significasse davvero quella sua richiesta, sapevo quali sottintesi celasse e contenesse, nonostante non volessi ammetterli. Per me è stato un onore - seppur doloroso, visto ciò che lo ha preceduto - farti da padrino, Teddy, ed è stato un onore rispettare la promessa fatta ai tuoi genitori, cioè che mi sarei sempre preso cura di te, sempre

E così, alla fine si ritrovarono tutti stretti nello stesso abbraccio, che sapeva del profumo di fiori di Ginny e delle giornate di sole spese nel prato di casa Potter e dei Natali intorno al fuoco, con sua nonna Andromeda seduta in poltrona a sonnecchiare e lui steso sul tappeto mentre la radio trasmetteva le carole. Quella era la sua famiglia, e si rese conto solo in quel momento di quanto gli fossero mancati, tutti quanti. 

«Okay, ora basta con questi sentimentalismi», borbottò Albus e James gli diede uno spintone amichevole per farlo stare zitto.

«Sei proprio un Serpeverde, non c’è che dire», commentò Ginny scompigliando i capelli del figlio minore. 

«A proposito, non vi ho chiesto come sta Lily…» chiese Teddy mentre Harry si risedeva e si asciugava gli occhi con la manica della camicia. 

«Scossa, ovviamente», spiegò quindi Ginny. «La McGranitt l’ha mandata a casa a dormire, stanotte, per stare insieme a noi, e stamattina l’abbiamo rispedita a scuola. Era preoccupata, ma le abbiamo spiegato la situazione, con la promessa di informarla non appena avuta la sentenza.»

Teddy notò che a Ginny morì la voce in gola, per la tensione e la paura e la preoccupazione, così le sorrise. «Lily è una ragazza forte e intelligente, ed è molto più assennata di questi due», commentò ironico indicando James e Albus, e cercando di sdrammatizzare.  

I suoi cugini alzarono gli occhi al cielo ma non aggiunsero altro. Ginny volse nuovamente il viso su Teddy. «Vieni a cena, stasera? Quando tutto sarà finito.»

Teddy annuì. «Sarebbe bellissimo.»

«Porta anche Victoire, sembra che non la vediamo da una vita…»

«Ora devi andare?» chiese quindi Harry. 

«No, non devo andare. Anzi, pensavo di aspettare qui fuori, con voi. Posso?»

 

 

James entrò nell’aula delle udienze senza guardarsi indietro. Rose e gli altri erano probabilmente usciti da un’altra porta, una volta concluso, per questo non li aveva visti, e così doveva essere successo anche per Albus e i suoi genitori. Per fortuna, Teddy aveva atteso con lui che lo chiamassero, e così non era rimasto solo. Mano a mano che il momento si avvicinava, sentiva di star perdendo sempre più la calma, e anche quell’apparente tranquillità che lo aveva permeato nei giorni precedenti e durante l’interminabile attesa di quel pomeriggio domenicale. 

Non avevano parlato molto, lui e Teddy. Più che altro, erano rimasti seduti l’uno accanto all’altro, in un significativo silenzio che, per loro, era valso molto più di un milione di parole. Quando la porta dell’aula si era aperta e Robert Baston si era sporto e lo aveva chiamato per nome, si era alzato come se non avesse avuto neanche più le gambe. Teddy aveva fatto altrettanto e lo aveva trattenuto un secondo, solo per guardarlo negli occhi e, forse, infondergli tutto il coraggio che possedeva. «Andrà tutto bene, lo sai, vero?»

James aveva annuito e, senza dire niente - non ne era stato capace - si era avviato, come un automa. E non si era voltato. 

All’interno, Theodore Nott lo aspettava, in piedi, ad un capo di una scrivania di lucente mogano ingombra di documenti e fogli, tutti in rigoroso ordine. Gli sorrise. Dall’altra parte, sedeva quella che, aveva saputo, era la moglie di Theodore, Victoria Nott, i capelli scuri raccolti in una coda stretta, le labbra colorate di vermiglio piegate in un sorriso glaciale e le dita intrecciate sul ripiano in legno. Robert Baston riprese posto sbottonandosi la giacca blu e lo invitò a sedersi con un composto e fluido gesto della mano destra. James lo conosceva di nome, e perché qualche volta suo padre lo invitava a cena, ma non poteva dire di conoscerlo davvero, o per lo meno, quel tanto che bastava a decifrarne l’espressione. 

«James, vieni avanti», lo incitò anche Theodore e lui obbedì, riuscendo a raggiungere la sedia e riprendendo un po’ fiato. Doveva cercare di ricomporsi, non avrebbe potuto rispondere alle loro domande in quello stato, e così cercò di evocare immediatamente qualcosa che lo calmasse e che lo facesse tranquillizzare, e gli saltò alla mente il ricordo delle mattine del suo compleanno, da bambino, quando Ginny lo svegliava con un pasticcino con sopra una candelina e Lily saltellava sul suo letto, Albus gli faceva gli auguri quasi abbaiando e suo padre gli scompigliava talmente tanto i capelli che poi non riusciva più a pettinarsi per tutto il giorno; le estati trascorse tra la Tana e Villa Conchiglia, quando lui e Louis si tuffavano dagli scogli e Albus e Rose sedevano poco lontano e confabulavano e scuotevano la testa, e la sera bevevano limonata e mangiavano  pesce cotto alla griglia da zio Bill e dopo cena si riunivano di fronte al falò e Fred raccontava storie di fantasmi e tutti avevano paura tranne lui e Roxanne; il primo giorno ad Hogwarts, quando aveva fatto il viaggio con Louis e, infine, era stato Smistato a Grifondoro e tutto il tavolo lo aveva applaudito, aveva applaudito proprio lui, James Sirius Potter. 

«James? Tutto bene?» 

Si riscosse e si voltò verso Theodore, che lo guardava preoccupato, quasi chino sulla sua sedia. Annuì. «Sì, scusate», rispose. Sentiva di aver quasi ripreso il controllo di sé e delle sue emozioni. Annuì di nuovo. «Sono pronto.»

«Molto bene, allora», esclamò la Nott prendendo il controllo della situazione. «Lei è qui perché l’accusa nei suoi confronti è la seguente: esecuzione di una Trasfigurazione Umana in fase post-mortem e, subito dopo, occultamento del suddetto corpo Trasfigurato. Si rende conto di quanto sia grave quest’imputazione, vero, signor Potter? Soprattutto perché lei è maggiorenne.»

James annuì e chinò il capo. Theodore gli aveva detto di mostrarsi remissivo e quanto più possibile in colpa, solo così sarebbe riuscito a sembrare credibile. 

«Ne sono consapevole, Procuratore Nott, e sono immensamente pentito di ciò che ho fatto», disse alla fine. «Ma l’ho fatto solo perché in quel momento pensavo di proteggere mio fratello e le altre persone coinvolte, ma soprattutto mio fratello. Solo ora mi rendo conto di quanto le mie azioni abbiano in realtà danneggiato tutti loro, non solo me stesso, e quanto abbiano ferito i signori Jenkins.»

Con Theodore avevano pensato anche a quel discorso e citare i genitori del ragazzo era stata un’idea del Magi-Avvocato. 

«Potete vedere anche voi quanto il ragazzo sia pentito», intervenne Theodore.

Gli altri due annuirono. Baston si grattava il mento, pensieroso, ma non sembrava ostile. La Nott invece era tutt’altra storia. Sembrava quasi sguazzare nel tormento e nell’inadeguatezza che doveva leggergli in viso. 

«Fortunatamente, i coniugi Jenkins, con i quali ho parlato ieri pomeriggio, hanno dimostrato un’incommensurabile pietà per tutti voi, comprendendo che siete solo dei ragazzi, proprio come il loro figlio, e hanno deciso quindi di accordarvi il loro completo perdono», spiegò la donna. 

James sbarrò gli occhi, ma sentì Theodore stringergli il ginocchio sotto il tavolo, segnale che voleva dire di tacere. Infatti sua moglie alzò una mano. 

«Per quanto abbia considerato i signori Jenkins un esempio di carità e innata compassione, ciò non toglie che lei e tutti gli altri rimanete colpevoli agli occhi della legge, che io rappresento qui, in quest’aula, oggi», aggiunse quindi. 

«E noi ci rimettiamo alle decisioni di questa corte, Procuratore Generale», disse Theodore con un sorrisino. La moglie però non fece una piega, mantenendosi professionale e seria. 

«In questa cartellina è contenuto il risultato della perizia del signor Petrović sulle vostre bacchette», disse Baston prendendo la parola e alzando la suddetta cartellina in modo che James la vedesse. «Perizia che ha confermato quella che è stata effettuata sulla bacchetta della vittima, e anche il risultato della Magi-Autopsia effettuata sul cadavere: Jenkins ha cercato di Schiantare Albus Potter, ma quello Schiantesimo gli si è ritorto contro. Nella bacchetta di suo fratello abbiamo trovato traccia di un Incantesimo di Disarmo, e null’altro, segno che il ragazzo non aveva nessuna intenzione di Schiantare o, peggio, uccidere la vittima.»

James tirò un sospiro di sollievo al pensiero che fossero riusciti a dimostrare l’innocenza di Albus. 

«Nella sua, c’è ovviamente traccia della Trasfigurazione Umana», proseguì Baston, «ma anche qui, nient’altro. Invece, tramite quella di Jenkins, siamo riusciti a ricostruire come si siano effettivamente svolti gli eventi e cos’abbia innescato il ritorno di fiamma che ha provocato la morte del ragazzo.»

«Tutto questo vuol dire che sono state prodotte delle attenuanti, signor Potter», intervenne Victoria Nott. «Attenuanti che giocano a vostro favore e tramite le quali il sottosegretario Baston e io, insieme al suo legale, siamo riusciti a raggiungere un accordo.»

«Un patteggiamento?» chiese James, stupito di come gli eventi stessero forse volgendo a suo favore. Si voltò verso Theodore e lui annuì, incoraggiante, sorridendogli.

«Abbiamo valutato un po’ di elementi e li abbiamo pesati», disse Baston incrociando le dita, i gomiti poggiati sul tavolo. «Tra questi, i tentativi della vittima di aggredire Albus Potter, che lo hanno messo in una situazione sorprendentemente scomoda, perché, in fin dei conti, nessuno di voi voleva aggredirlo, cosa che invece ha fatto lui nei vostri confronti. Aggiungiamoci il fatto che lei ha agito come ha agito solo ed esclusivamente in difesa di suo fratello, senza premeditazione, e spinto dalla paura e dalla sua giovane età. A tale proposito, proprio la sua età, e la sua inesperienza, giovano a suo favore, in questo caso.»

«Ciò che il Sottosegretario Baston vuole dirti, James», intervenne Theodore poggiando una mano sul bracciolo della sua scomoda sedia. James si girò a guardarlo. «Ciò che vogliamo dirti, è che, per via di tutti questi elementi, siamo giunti ad un accordo. Un accordo vantaggioso per te, molto vantaggioso.»

James annuì. «Okay…» rispose, non sapendo bene cosa dire.

«L’accordo prevede, intanto, una punizione che verrà decisa dalla preside McGranitt», iniziò la Nott prendendo la parola, «che è già stata messa al corrente della nostra decisione e l’ha molto sensatamente accettata di buon grado. Oltre a questa, le verrà proibito di giocare a Quidditch», e a James quasi mancò il respiro all’idea che una delle cose che amava di più al mondo gli fosse appena stata tolta, «e di visitare Hogsmeade, fino alla fine dell’anno scolastico, si intende. Le verrà inoltre applicato un Incantesimo di Localizzazione2, che delimiterà i suoi movimenti nei confini della scuola e, successivamente, della sua abitazione, nella quale avrà l’obbligo di trascorrere l’estate, senza eccezioni.»

James annuiva, non poteva fare altro che annuire. Pensava che, forse, la prospettiva - la tremenda prospettiva - di finire ad Azkaban, unita alla paura che gli aveva attanagliato le viscere quella notte, quando non riusciva a dormire, nella sua cella di custodia, ecco, quella prospettiva si stava allontanando per sempre, e forse non sarebbe andata poi così male. Forse.

«Infine, e qui è insita la maggiore fetta di impegno da parte sua, sarà tenuto a prestare un anno di servizi utili alla comunità, a partire dal settembre prossimo, presso l’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Heydon Hall3, nel Norfolk, dove svolgerà tutta una serie di mansioni che sarà premura del direttore dell’Istituto assegnarle al momento del suo arrivo in loco. Questo è tutto. Domande?»

James rimase in silenzio per un attimo, durante il quale il pensiero del temibile ICGMS gli balenò nella testa a tinte fosche e brutti presagi. Aveva ovviamente già sentito parlare di quell’Istituto, tutti i giovani maghi e streghe della Gran Bretagna temevano quel posto che, sovente, provocava loro addirittura degli incubi. Quanti genitori avevano minacciato i loro giovani pargoli di spedirli a Heydon Hall se non avessero fatto i bravi, o finito i compiti, o rispettato le regole della scuola… Un paio di volte Ginny lo aveva promesso ad Albus e James ricordò quanto suo fratello ne fosse rimasto impressionato, tanto da ritirarsi nella sua stanza con la coda tra le gambe - cosa inusuale, per Albus Severus Potter. Per cui, il pensiero di dover trascorrere un intero anno tra quelle quattro mura, a lavorare fianco a fianco con il suo personale, a contatto con torme di ragazzini difficili e turbolenti che si erano macchiati di svariati crimini di poco conto, come ruberie e atti di vandalismo e cose simili, lo fece sprofondare nello sconforto. Unito al fatto che la sua vita sarebbe stata messa in stand-by per un anno, durante il quale non avrebbe potuto giocare a Quidditch e nemmeno farsi notare da qualche squadra e fare provini. Anzi, ora come ora vedeva la sua possibile carriera nel suo sport preferito come un miraggio ormai lontano. Infine, si diceva che Heydon Hall fosse infestata… o almeno, una volta glielo aveva raccontato Fred, durante uno dei loro famosi falò estivi. 

«Non ho domande, no», rispose quindi riscuotendosi dal turbine dei suoi pensieri. 

«Molto bene, allora direi che siamo tutti d’accordo», esclamò Baston, che sembrava solo desideroso di alzarsi e andarsene e dimenticarsi della questione.

«Vorrei solo specificare un’ultima cosa», disse Victoria Nott. «Voglio che sia chiaro che le è andata bene, signor Potter, molto bene. E vorrei che se lo ricordasse per tutti gli anni a venire, fino alla fine della sua esistenza, vorrei che ringraziasse questo culo ossuto che mi siede di fianco e quella faccia da culo che mi siede di fronte, perché, se fosse stato per me, le cose sarebbero andate diversamente. Chiaro

James si stupì del tono utilizzato dalla donna, ma non si stupì invece del messaggio che voleva fargli arrivare: gli era andata bene, e tutto per merito di Baston, che probabilmente aveva votato a suo favore, e di Theodore, che era un ottimo Magi-Avvocato. 

Annuì, per l’ennesima volta nel giro di mezz’ora. Poi finì tutto molto in fretta, in realtà: Theodore raccolse la sua valigetta di pelle e lo invitò a stringere la mano al Procuratore e al Sottosegretario; lui ringraziò sommessamente e sottovoce e poi uscì, imboccando la porta e sentendola richiudersi alle sue spalle. Ed era tutto finito. Per davvero. E non sarebbe finito ad Azkaban. Mai.

La prima cosa che vide fu il viso di Albus. Gli sorrideva ma allo stesso tempo era preoccupato per lui. Poi quello di sua madre, gli occhi umidi: non l’aveva mai vista così vulnerabile. Teddy, in piedi accanto a lei a cingerle le spalle, fu il primo ad andargli incontro per chiedergli come fosse andata, ma James non rispose. Stava guardando suo padre, Harry, e suo padre stava guardando lui, e in quello sguardo c’era tutto ciò che più contava al mondo. 

 

 

«Ginny?»

«Ginny!»

«Ho quasi fatto, Harry!»

«Avrei bisogno di aiuto con il sugo, ma va bene lo stesso…» bofonchiò Harry tra sé e sé mentre correva per la cucina ingombra di pentole, pentoline e padelle, tagliando il basilico, affettando i pomodori freschi e frugando nella dispensa alla ricerca degli spaghetti. Quella sera aveva deciso di cucinare lui, menù rigorosamente italiano: spaghetti al pomodoro saltati in padella accompagnati da un bicchiere di vino rosso. Gli piaceva passare del tempo in cucina, ma a cucinare davvero, alla Babbana, non come faceva Ginny - e la stragrande maggioranza dei maghi - che si limitava ad agitare la bacchetta e a lasciar fare alla magia. No, troppo facile. Voleva preparare una buona cenetta per Teddy e Victoire, che sarebbero arrivati a momenti, e insieme avrebbero passato una bella serata di tranquillità casalinga. La tavola era già apparecchiata e aveva anche acceso alcune candele. Doveva solo finire in cucina e il gioco era fatto.

Accese l’acqua per la pasta e si appoggiò al bancone della cucina, sospirando. Si sentiva decisamente più rilassato e tranquillo rispetto a com’era stato nelle ultime quarantott’ore, nonostante sentisse la stanchezza invaderlo a ondate. Sapeva che quella sera dopo cena, molto più tardi, sarebbe crollato nel suo letto, ma il giorno dopo era lunedì e avrebbe dovuto rientrare in ufficio, dopo un weekend di non riposo. Lui e Ginny si erano preoccupati da morire per James e Albus, ma ora sembrava che la mareggiata fosse passata e che a tutti loro sarebbe stata riservata un po’ di meritata serenità.

Alla fine, a Rose, Scorpius, Roxanne e Caitlin era stato proibito di giocare a Quidditch e di visitare Hogsmeade, e a questo era stata aggiunta una punizione a testa quando sarebbero rientrati a scuola, a discrezione della preside McGranitt, e un mese estivo di servizio utile per la comunità. Albus aveva ricevuto la stessa sentenza, ma i mesi estivi di servizio utile erano diventati tre. Harry non aveva osato sperare che andasse a finire meglio di così, per tutti loro. Aveva davvero temuto di perderli, James e Albus, ma soprattutto James, data la gravità delle accuse - e di ciò che aveva effettivamente fatto. Si chiese che cosa ne sarebbe stato di lui - e di Ginny - nel caso in cui fosse andata a finire peggio… Certo, avrebbero continuato a impegnarsi per essere dei buoni genitori, ma la loro famiglia si sarebbe spezzata e non sarebbe mai più tornata come prima, per quanto lui e sua moglie si sarebbero sforzati per stare accanto ai ragazzi in qualsiasi caso. Anche solo il pensiero di una simile eventualità era doloroso.  

Avevano salutato i ragazzi davanti ad uno dei camini dell’Atrium, da dove erano stati rispediti a Hogwarts, accompagnati da Roger Davies. Avevano abbracciato prima Albus e poi James, su cui era stato appena applicato un Incantesimo di Localizzazione, e Ginny li aveva baciati sulle guance, gli occhi lucidi alla prospettiva di lasciarli andare così presto. Lui aveva guardato negli occhi entrambi i suoi figli, cercando di trasmettere loro tutto il bene che provava nei loro confronti, e poi li aveva guardati partire, e sparire in uno sbuffo di cenere. Era certo che a Hogwarts sarebbero stati al sicuro, e nei prossimi mesi avrebbero tutti fatto i conti con la seconda ondata di conseguenze. 

Era arrabbiato con loro, anche ora che tutto era finito, ma aveva tenuto a bada qualsiasi rimprovero, qualsiasi recriminazione avrebbe potuto salirgli alle labbra appena li aveva rivisti, quella sera al Ministero: avevano fatto un errore, uno sbaglio dovuto all’ingenuità, alla giovane età, al desiderio di proteggersi a vicenda, e Harry ne sapeva troppo di momenti come quello che i suoi figli avevano vissuto per incolparli di qualcosa. Sarebbero stati puniti e avrebbero ricordato per sempre quell’episodio, come lui stesso non aveva mai scordato i suoi, di errori, e tanto bastava. In fondo, forse sperare in una vita tranquilla era troppo se di cognome facevi Potter.   

In quel momento, suonarono alla porta e Harry sobbalzò, riscuotendosi dai suoi pensieri e lanciando un’occhiata alle pentole sul fuoco.

«Harry, vai tu!» gridò Ginny. Alzando gli occhi al cielo, attraversò il piccolo salotto e corse fino alla porta, scivolando negli ultimi metri. Si schiarì la gola e aprì.

Teddy e Victoire erano in piedi sullo zerbino, sorridenti. 

«Siamo in anticipo, vero?» chiese il primo.

«Abbiamo portato il dolce, zio Harry», esclamò la seconda alzando una busta di carta azzurra.

«Entrate, ragazzi. Bentornati.»

 



Note:

1. Aleksandar Petrović: unico discendente diretto di Mykew Gregorović, il fabbricante di bacchette; personaggio di mia invenzione. 
2. Incantesimo di Localizzazione: non penso esista, quindi l’ho inventato io. 
3. Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Heydon Hall: di mia invenzione.

 

Allora, eccoci qui finalmente con la seconda parte di questo capitolo! Mi spiace avervi fatto aspettare e spero di essermi fatta perdonare almeno un pochino con questo aggiornamento, in anticipo sulla tabella di marcia - lo avevo fissato per giovedì - ma che non potevo più rimandare, visto che lo aspettavate con ansia. Infine, il cerchio si chiude. Veniamo a conoscenza della sorte dei ragazzi, e quello che ne esce “conciato peggio” è per forza di cose James, ma penso gli sia andata anche bene, viste le premesse. 

 

Con questo, vi annuncio ufficialmente che ci sarà un SEQUEL di “Death in the Night”, con protagonista proprio JAMES: contenti? Vi anticipo già che il genere sarà horror - o comunque paranormale, non voglio utilizzare termini a sproposito, così come non mi sono mai permessa di definire questa storia thriller, ormai sapete che sono una con i piedi per terra. In ogni caso, ne leggerete delle belle, promesso 👀 

 

Fatemi sapere ovviamente cosa ne pensate, soprattutto sul POV a sorpresa finale, che vi avevo anticipato nello scorso capitolo. Non ho resistito all’idea di inserire Harry. Infine, vorrei ringraziare di cuore mia sorella Alice Rosier Dolohov per l’aiuto che mi ha preziosamente fornito nella stesura di questa seconda parte, che diversamente non sarebbe uscita così ♥︎ always precious ♥︎

 

Alla prossima settimana con l’epilogo e i ringraziamenti finali, Marti

 
   
 
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