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Autore: Master Chopper    22/09/2020    2 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 35: Break Through The Surface

Il vento soffiava sul prato e tra le colline, risalendo fin sopra quelle rozze pietre per accarezzare i capelli dei due. Lei era in piedi sullo stesso lastrone di pietra dove invece lui era seduto con le gambe ciondoloni nel vuoto. Attorno a loro il complesso megalitico di Stonehenge si affacciava su di uno splendido tramonto dai colori della perla e del fuoco.

“Merlino…” Nimue richiamò il compagno per l’ennesima volta, ma la sua voce veniva rapita dalla brezza pre-serale, non raggiungendo quindi il malinconico mago intento a fissare quel globo rosso scuro sparire oltre l’orizzonte.

Era passato un paio di anni da quando si erano allontanati da Camelot, ma non vi era stato tramonto in cui Merlino non avesse volto il suo sguardo sperduto verso il cielo, come se stesse perennemente cercando la sua casa lassù.

“Arthur ha davvero bisogno di te.” Non riusciva più a trattenere quell’informazione, per quanto sapeva che avrebbe potuto ferirlo.

Finalmente destò una qualche attenzione in lui, il quale infatti si voltò incuriosito.

“Il frutto della sua unione con Morgana… è nato.” Nimue lo vide accigliarsi appena.

“E quindi?”

“Lo ha abbandonato. Se n’è separato, pur contro la volontà di Morgana.”

Per poco il mago non scivolò giù dal dolmen per lo sgomento: “M-Ma…!”

“Ti ha ascoltato. Ha dato retta a ciò che gli dicesti allora, alla tua profezia secondo la quale quell’unione avrebbe portato solo distruzione al suo regno e a tutto ciò che ama.”

Merlino tornò a guardare altrove, con le spalle ricurve.

“Forse lo ha già fatto con il vostro rapporto, ma…” Nimue sapeva di essere l’unica che il mago ascoltasse, così non si arrese davanti a tutte le barriere che lui cercava di ergere. Gli si avvicinò, accarezzandogli i capelli.

“Perché non torni da lui, a Camelot? Ti ha dimostrato che si fida di te, anche se ha dovuto separarsi dal sangue del suo sangue. Capisci? Lui ti è ancora amico… quanto tu lo sei per lui.”

“Oh, Nimue… io sono davvero un pessimo amico, se per questo.”

 

Il terrore attanagliava gli spalti dell’umanità, dove soltanto respiri affannosi rompevano il silenzio, senza che parole proferissero dalle loro bocche.

Excalibur, in pezzi, era scivolata dalle mani di Arthur, e ora tutta l’arena sembrava esser stata inglobata dall’insormontabile ombra dell’arcangelo giustiziere.

“La tua fiducia si è di colpo sgretolata assieme a quel ridicolo giocattolo?” Per la prima volta la bocca di Uriel si piegò in un sorriso sprezzante di scherno, non trattenendo più tutto il disprezzo che provava verso la razza umana, né il piacere causato dal vederla in ginocchio e tremante per la paura.

Poco più in alto, i Cavalieri della Tavola Rotonda osservavano il loro sovrano ridotto ad una statua, completamente paralizzato dopo la distruzione dei suoi arti, nonché della sua leggendaria spada.

“Com’è potuto succedere?” Balbettò Sir Gawain, confuso quanto Sir Galahad al suo fianco: “Prima è riuscito a reggere tutti i suoi colpi di spada. Non è possibile che d’improvviso gli attacchi di Uriel siano diventati così pesanti da spezzargli le braccia!”

In quel momento i due si sentirono picchiettare sull’armatura da Sir Pellinore. Prima che riuscissero a girarsi però, il vecchio cavaliere abbatté a piena forza le sue mani nuovamente su quegli spallacci, ed allora i due si sottrassero.

“Ahia!” Gemettero, per poi rimanere stupiti dalla loro stessa reazione.

“Esatto.” Annuì il vecchio, drammatico: “Arthur è stato colpito per ben due volte dal semplice battito d’ali di Uriel… eppure, ha ricevuto da quei singoli colpi più danni di quanto mai abbia dovuto sopportare.”

Sir Lancelot si corrucciò: “Le folate di vento lo hanno… colpito?”

“Se sono state abbastanza forti da scagliarlo via di tutti quei metri, allora hanno subito anche un altro effetto, che però noi non abbiamo potuto vedere.” Ed indicò di nuovo i due cavalieri più giovani: “Intendo sotto l’armatura.”

“Sotto l’armatura?” Ripeté confuso Sir Gawain, massaggiandosi la spalla dove era stato percosso, nonostante avesse un pesante spallaccio di metallo a proteggerlo.

“Le vibrazioni prodotte dalla pressione hanno attraversato il corpo di Arthur, facendolo sbattere e rimbalzare ripetute volte all’interno della sua armatura. In questo modo è stato ferito dalla sua stessa protezione, tanto da triturargli le ossa. La stessa sorte deve averla subita l’acciaio di Excalibur, in quanto è durissimo, ma proprio perché è davvero poco flessibile ed inadatto a sopportare simili oscillazioni.”

Successivamente, dopo aver fatto piombare nel silenzio i suoi compagni, il vecchio cavaliere si massaggiò la mascella con fare molto preoccupato: -Ci voleva davvero un angelo per portare in ginocchio Arthur…-

 

“Lascia che ti spieghi una cosa: per i deboli come voi non esiste né Paradiso, né Inferi, ma solo un’atroce fine tra le fiamme della mia spad-!“

Il discorso borioso di Uriel si interruppe a causa della sorpresa, quando davanti a sé il cavaliere si piegò.

Nonostante l’elmo poté sentirlo mugugnare qualcosa di sconclusionato, o fin troppo confuso a causa del panico, mentre raccoglieva i frammenti della sua arma. La sabbia scivolava tra i guanti d’arme ogni volta, assieme a piccoli frammenti d’oro e acciaio che si apprestava a recuperare con agitazione.

“Giusto! Con il suo potere Arthur potrebbe riparare Excalibur!” Esclamò St. Peter quando ebbe intuito cosa stesse accadendo.

Bastarono queste poche parole per ridonare all’umanità la speranza necessaria per far erompere un fragoroso urlo di incitazione.

“Forza Arthur!!”

Il ruggito travolse il campo di battaglia, stordendo le divinità sulle tribune opposte.

Queste, dopo qualche istante di disorientamento, compresero cosa avrebbero dovuto fare a loro volta:

“Forza Uriel! Non lasciarglielo fare!”

Nessuno si sottrasse a quegli incitamenti fino a sgolarsi, mentre il terreno tremava sotto miliardi di piedi che pestavano ripetutamente.

Tuttavia, a nessuno dei due contendenti importava di quel tifo sfrenato.

“E-Exca…Excalibur.” Sussurrava un alito dietro l’elmo del cavaliere.

“Come osi distogliere lo sguardo da me?!” Tuonò invece Uriel con voce grave, prima di spalancare le sue due paia di ali, impugnando la spada davanti a sé.

“Paradise Lost!”

Le piume bianche si avvilupparono attorno la lama, venendo incendiate da quello stesso fuoco che aumentava di intensità. Dopo aver sciolto la stretta, le ali incandescenti assunsero la forma di quattro triangoli, rigidi ed immobili ai lati dell’angelo.

Il Re Cavaliere non fu in grado di evitare la carica di Uriel, quando questi turbinò su di lui come una stella a dalle cinque punte infuocate. Le ormai moltiplicate lame segnarono l’armatura dopo il misero tentativo di Arthur di sottrarsi all’attacco, dopodiché quegli squarci capaci di rendere rosso l’acciaio, divamparono in una miriade di fragorose esplosioni.

L’umano ne venne investito, tramutandosi in una pira che gettò un agghiacciante urlo di dolore al cielo. Un istante dopo la sua corazza si sgretolò, per poi evaporare in denso vapore bianco.

 

Il Re galoppava in groppa al suo cavallo, conscio di starsi trascinando dietro una parte del suo regno: coloro che erano scesi in battaglia, coloro che lo avevano seguito tra le spade e gli scudi di ogni conquista e vittoria, coloro che avevano sacrificato la loro vita pur di seguirlo fino alla fine dei tempi.

-Ma cosa ne è stato di tutto il resto del mio regno?!- Nessuno avrebbe potuto vederlo sotto il suo elmo in quel momento, ma se anche solo qualcuno avesse potuto farlo, non lo avrebbe riconosciuto.

Era il volto di un uomo attanagliato dal dolore e dal rimorso, la cui anima non era stata in pace da quando aveva scoperto che Camelot era stata presa da un nemico che non aveva potuto né prevedere, né fermare.

La sua gente ora era prigioniera di quel nemico, ed era stata strappata dalla felicità proprio perché lui li aveva lasciati indifesi, anche se per un breve periodo di tempo.

-No! Sono imperdonabile!- Lacrime che nessuno avrebbe potuto vedere sgorgarono lungo le sue guance.

E quando arrivò alle porte del suo castello, mentre il sole tramontava sulle montagne, vide quel nemico.

Con un battaglione di cavalieri pari al suo, e alle spalle le mura del castello affollate dagli ostaggi in lacrime, forse di speranza per il ritorno del loro re, un uomo si ergeva ritto davanti a tutti.

Stringeva tra le mani lo stendardo di Camelot, con il simbolo della Tavola Rotonda: tutto ciò per il quale Arthur aveva combattuto, sopportando il peso di essere re e allo stesso tempo cavaliere.

Eppure, ciò che più scosse il sovrano, fu che quell’uomo in armatura non gli fosse straniero.

“Tu sei Mordred!” Gridò Sir Pellinore, al fianco del re.

“Bastardo! Hai tradito l’ordine della Tavola Rotonda! La pagherai!” Anche Sir Lancelot l’aveva riconosciuto: Mordred era cresciuto al loro fianco, ammirando Arthur come un dio sceso in terra, più che un re.

“C-Cosa… Perché?” Riuscì a malapena a mormorare il re di Camelot, mentre intanto quel traditore si sfilava l’elmo.

Rivelò una chioma di capelli corvini, che ora più che mai gli ricordò qualcosa che aveva deciso di abbandonare al suo passato, ed uno sguardo che non era affatto radioso e limpido come un tempo.

“Perché finalmente mi prendo ciò che mi spetta di diritto…” Gli occhi di Morderd, al contrario, svelarono un tetro bagliore maligno.

“… Padre!”

 

I capelli biondi di Arthur furono tutto ciò che Uriel riuscì a vedere dall’alto. Allo stesso modo, gli spettatori avevano potuto vedere a stento come l’umano, dopo l’esplosione della sua armatura, si fosse rannicchiato in ginocchio, con la testa incassata tra le spalle.

“Ti inchini a me?” Insinuò maligno l’arcangelo. “Voi umani siete così bravi a farlo, quando dovete invocare il perdono divino.”

Sopra di loro il cielo era stato coperto da una cappa di nubi nere.

Ladies and gentlemen! Sembra che Arthur, dopo il grave colpo che ha subito…” Gli annunciatori lo avevano notato, e mostrarono sugli schermi olografici il vero motivo di quella posizione fetale assunta dall’uomo.

“… stia proteggendo Excalibur, la sua lama spezzata!”

L’elsa ed i frammenti dell’arma erano infatti ciò che il cavaliere dalle braccia rotte stringeva al petto, tremando convulsamente.

 

“Padre?!” Ripeterono gli uomini del re, chi rimanendo troppo sconvolto per parlare, e chi dando immediatamente del pazzo al cavaliere in nero.

Al contrario, Arthur rimase in silenzio, con le labbra sigillate dallo stesso malessere che ormai lo attanagliava da tempo.

“Senti solo ora i sensi di colpa?” Mordred fu apparentemente in grado di leggergli nel pensiero, suscitando in lui una reazione spaventata che ben poco si addiceva ad un re. Arthur sembrava aver di fronte un fantasma.

“Tu lo hai sempre saputo. Hai saputo che, dopo aver abbandonato mia madre Morgana e me, io ero capitato sotto la tua ala. Hai saputo anche che non ti ho mai odiato, e che non ho mai svelato a nessuno questo nostro segreto perché volevo guadagnarmi la tua approvazione con i risultati, e non solo perché sono sangue del tuo sangue!”

La voce del cavaliere aumentò di volume ad ogni parola, finché non si ritrovò ad urlare parole che tutto il regno poté ascoltare.

“Eppure…” Infine, scemò in un rantolo di dolore, mentre il suo sguardo sprezzante si fiondava sul volto inafferrabile del padre, protetto dietro l’elmo.

“Eppure hai sempre fatto finta di niente, pur sapendo chi fossi… e non sono mai stato abbastanza per te, da ricevere anche solo uno sguardo.”

Ci furono pochi secondi di silenzio, scanditi dai battiti dei cuori di padre e figlio.

Gli uomini schierati in battaglia si domandarono se Arthur sarebbe riuscito ad uccidere suo figlio, e se l’odio di Mordred lo avrebbe davvero portato ad eliminare il re benevolo e giusto di Camelot.

Ad Arthur invece, bastò pensare a Merlino: l’amico che aveva scelto di ascoltare troppo tardi.

Sfoderò Excalibur e si lanciò in battaglia.

 

Il colorito dei suoi capelli si estinse, lasciando una chioma sporca come di cenere e carbone. Quella contaminazione proseguì anche sul resto del suo corpo, dove la cotta di maglia divenne nera, ed apparvero piume di corvo a decorarla.

“No!” Esclamò Morgana, affacciandosi sull’arena con il terrore negli occhi. Al suo fianco, il mago era impassibile.

“Non puoi… averlo fatto!” Ululò allora la megera, strattonandolo disperata mentre il dolore le attanagliava il cuore. “Perché?! Perché non lo hai lasciato in pace!”

Al contempo, gli spalti dell’umanità e degli dèi si animò di mormorii confusi e sussulti di sorpresa.

Ladies and gentlemen…” Anche St.Peter ed Adramelech non sapevano proprio come reagire a quell’evento mai accaduto prima.

“Sembra che il combattente dell’umanità… non sia davvero Arthur!”

Morgana gridò, artigliando l’aria, come per raggiungerlo: “Il mio bambino!”

A Mordred, il Cavaliere Traditore, però non importava di niente di tutto questo. Lui stringeva Excalibur e tremava.

 

“Oh, Nimue… io sono davvero un pessimo amico, se per questo.” Aveva rivelato Merlino alla sua compagna, sapendo che la battaglia in cui Arthur sarebbe morto avrebbe preso luogo tra qualche anno, esattamente come aveva previsto.

Sorrise, perché era solo il primo dei suoi piani a lungo termine che si sarebbe attuato.

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Parliamo innanzitutto di qualche inaccuratezza che potrebbe far storcere il naso a qualche esperto del Ciclo Bretone: sì, ho fatto avvenire la Battaglia di Camlann (lo scontro mortale tra Arthur e Mordred) a Camelot, e sì, so che durante la battaglia Arthur avrebbe combattuto con una lancia, e non con Excalibur.

A mia difesa: A) Non ci sono certezze sul luogo dove sia avvenuta questa immaginaria battaglia; B) Qualcuno mi spieghi perché mai Arthur avrebbe dovuto abbandonare la sua incredibile e leggendaria spada, per una lancia random che appare giusto per quell’occasione.

Lungi da me criticare l’universo narrativo che concerne la leggenda di Re Artù, but still, dovete ammettere che è molto confuso a causa delle innumerevoli versioni (francesi, gallesi, inglesi e chi più ne ha, più ne metta).

Successivamente… sì. Plot Twist: il nono rappresentante dell’umanità è in realtà Mordred, figlio (bastardo) di Arthur!

Cosa ne pensate? Come credete che volgerà la storia dopo questa scoperta? E soprattutto, come mai Merlino ha architettato tutto questo?

Alla prossima!

   
 
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