Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: summers001    25/09/2020    1 recensioni
BriennexJaime | Fix-it | Multichapter breve
Dal testo:
“Oh, cammini di nuovo.”
“Ne sembrano tutti così sorpresi.”
E rubò un sorriso da Brienne. Jaime la guardava sorridere e ne rimase incantato. Non se la ricordava sorridere. O forse sì, in una di quelle tante notti a Grande Inverno, quando aveva scoperto che la barba sul collo le faceva il solletico, così tanto da farla contorcere prima di scoppiare a ridere a crepapelle.
“Siamo abituati a pensarti morto.” Brienne rispose acida con una frecciatina, lanciata apposta perché ferisse, ma non in profondità. Dopo un lungo silenzio alzò persino gli occhi per controllarlo.
“E tu hai visto anche i morti camminare, di cosa ti stupisci?”
Brienne rise di nuovo involontariamente. Si coprì la bocca per nasconderlo, ma Jaime pareva attendere proprio quella reazione con gli occhi che non la lasciavano un secondo e la controllavano. “Smettila!” lo supplicò.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From beginning to the end'
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Epilogo
 
 
Quando Jaime arrivò a Castel Granito cominciò a respirare i ricordi di un tempo ormai andato. Quella terra raccontava quello che era e quello che era stato. Il castello imponente era ormai spoglio, vuoto e sporco. I magnifici arazzi di famiglia erano stati strappati ed abbandonati, forse dalle guardie della Madre dei Draghi, forse dagli stessi abitanti di quelle terre. Il porto, una volta centro di commercio a cui giungevano le migliori sete ed i migliori gioielli del paese, era diventato un parcheggio per piccoli pescherecci locali. Puzzava di pesce andato a male, di urina ed alcol.

Le terre dei Lannister erano state depredate e distrutte, la povera gente lasciata a morire di fame e pochi piccoli commercianti polarizzavano la ricchezza locale. Lo spirito di costruzione che aveva invaso Approdo Del Re non era mai arrivato fin in quel posto, abbandonato all’incuria. Più guardava quell’indecenza, più capiva suo padre Twyn che riteneva necessaria la presenza di una grande famiglia in quel castello.

Ed eccolo lì, l’ultimo piccolo stupido pesce dei Lannister che avrebbe cercato di nuotare in quello sporco stagno. Avrebbe voluto capirlo Tyrion, quando tanto voleva quelle terre. Avrebbe voluto vederlo in quel castello vuoto, dove l’unica cosa che sentiva era la sua voce che rimbombava. Era vuoto, sterile, inutile. Un posto come un altro dove finire il resto dei suoi giorni. Sarebbe stato la testimonianza vivente del declino del nome dei Lannister, lasciando invece a suo fratello il compito di reggerne il peso.
Si sentiva a suo agio tra gli scheletri della sua infanzia, tra quelli di Cercei, Twyn o sua madre. Era il posto dov’era iniziato tutto, da dove una volta sarebbe voluto fuggire. Jaime guardava le radure infinite, le spiagge, la pietra bianca che sapeva di salsedine e vedeva il ragazzino colmo di ideali che si allenava con la spada. Quel posto era l’emblema dell’innocenza infantile che a sedici anni aveva deciso di abbandonare per lei.

Ora che Cercei non c’era più si sentiva di nuovo vicino a quel bambino. Era in quello stesso modo che si era sentito con Brienne. Era tornato ad essere sé stesso, pulendo con lei quel cuore sporco che si era ritrovato. Aveva brillato di nuovo, in modo più spento rispetto al cavaliere della sua gioventù, ma brillava ed il motivo di quel luccichio era Brienne. Si sentiva sudicio e razziato di ogni più piccola emozione quando poi lei lo aveva lasciato.
Tornare a Castel Granito lo faceva sentire a suo agio in mezzo a tutta quella polvere. Era tornato come un figliol prodigo, accolto di nuovo in quel castello sporco, ma misericordioso.
 
***
 
Brienne accarezzò la copertina del Libro dei Confratelli dopo averlo chiuso. Aveva riempito la pagina di Jaime ed ormai non c’era più spazio. Aveva scritto del suo altruismo; di come fosse dedito a proteggere gli indifesi, proprio come aveva fatto quella volta che aveva perso la sua mano; della sua lealtà verso la regina, sua sorella; dei suoi voti rispettati. Solo un bel romanzo mitologico per ispirare le future generazioni.

Quando chiuse quel libro Brienne si rese conto che quello impresso sulla carta non era il vero Jaime Lannister. Jaime era prima di tutto fedele al suo cuore, o quanto meno lo era stato fino a prima di andar via. Quando chiuse quel libro, Brienne aspettava e sperava in un senso di pace che non sarebbe mai arrivato. Col passare dei giorni cominciava anzi a sentirsi arrabbiata. La rabbia le ribolliva sottopelle, pronta ad esplodere come una bolla purulenta.
Erano bugie, solo bugie: Jaime che le diceva che l’amava e poi la lasciava dopo essersi ritrovati ed aver passato ore magiche tra le mura di Approdo Del Re.
Era così strano stare là senza di lui.

Jaime era molto di più di quello che il cuore di Brienne bramava da una vita. Lo amava. Si era resa conto della portata di quel sentimento con la sua assenza. Per giorni era stata convinta che ce l’avrebbe fatta da sola, come al solito, come era sempre stata abituata a fare, fino a che la sua assenza era diventata asfissiante ed aveva iniziato a cercarlo in tutte le piccole cose, persino su quel libro. Sperava di ritrovarlo tra le quelle pagine, che ci fossero più parole di quelle che ricordava, che gli riportassero alla memoria il Jaime Lannister dei primi tempi, quello di cui poteva fare a meno.

Si era invece ritrovata a scrivere per colmare il vuoto. Chi meglio di lei?

Quello che aveva scritto era una farsa. Non era quello che ricordava, era la metà delle cose che aveva fatto. Un uomo non può essere solo la somma delle sue azioni. Mancava quella parlantina fluida e pungente che lo mettevano continuamente nei guai; quella tenacia con cui aveva imparato di nuovo ad usare una spada con la mano sinistra; quel sorriso che come una calamita richiamava uomini e donne, persino Brienne stessa, che si ritrovava a gravitare in quel vortice, senza notare che era lui invece a trovarsi attorno a lei su una sua orbita. Poi c’era quell’innocenza che cercava di nascondere, quella che aveva perso durante l’infanzia e poi stranamente ritrovato e che gli illuminava gli occhi. Jaime era tutto questo, non soltanto un cavaliere. A volte Brienne pareva dimenticarlo.

Cos’era lei allora? Un cavaliere? Una donna? Entrambi?

Aveva fatto bene a rimanere ad Approdo del Re per servire Bran Lo spezzato? Per inseguire la cappa bianca ed il controllo dell’esercito? Per ambizione? Non remava contro ogni principio che aveva adottato da ragazza, dopo aver imbracciato la sua prima spada? Non aveva seguito Renly Baratheon perché credeva potesse diventare re. Né aveva servito Cathelyn Stark perché pensava che suo figlio potesse sedere sul trono di spade. O Sansa Stark, perché fermamente convinta che avrebbe regnato presto al Nord. No, l’aveva fatto perché era la cosa giusta, perché erano persone giuste. Che ne era stato della Brienne di un tempo?

Ecco allora come ci si doveva sentire a tradire sé stessi. Arrabbiati, stupidi, irremovibilmente fermi sulle proprie posizioni per non dover ammettere la verità e provare vergogna.

Brienne si accasciò a sedere, da sola nella sua stanza alla sua scrivania, con le mani sulla fronte. Sbirciò il bianco luccicante del suo mantello, l’impegnativo drappeggio decorato d’oro che la distingueva dagli altri cavalieri. Strizzò gli occhi, sperando di cancellare il fastidio che stava provando. Quando li riaprì quel prurito era ancora là, misto a disperazione e vergogna. Vergogna per non averlo capito prima, per averlo lasciato andare. Perché aveva ragione, era stata una codarda.
 
***
 
Si ritrovò nelle stanze degli altri cavalieri prima ancora di riflettere su quel che stava facendo. Si sentiva presa da una smania di sistemare le cose, di recuperare quello che aveva perso, sperando di poter cancellare le scelte sbagliate. Corse nel castello in punta di piedi, eccitata abbastanza da esser veloce e lenta abbastanza da non far rumore. Contò le stanze numerandosele sulla punta delle dita, fino a raggiungere quella che stava cercando. Controllò la serratura che per fortuna era aperta, come lei stessa gli aveva insegnato ed entrò.
Podrick Payne dormiva nel suo letto, grande quel che bastava perché ci entrasse disteso sulla schiena. Abbracciava l’orlo delle coperte arrotolato sotto al collo. Dal focolare la brace emanava scaglie di luce rossa, dalla finestra invece la luce bianca della luna, ovattata dalle nuvole, rendeva visibile il contorno degli oggetti che le stavano attorno.

“Pod?” chiamò Brienne, aspettandosi di svegliarlo con un solo bisbiglio.

“Hm” si lamentò lui mugolando tra le labbra. Scosse leggermente la spalla per scacciare qualunque cosa l’avesse disturbato.

Brienne sbuffò impaziente. “Pod, sveglia.” Insistette.

Il ragazzo aprì gli occhi all’improvviso, come se qualcuno l’avesse strappato dal sonno con la violenza. Mise a fuoco cercando di capire chi gli stava accanto, prima di biascicare un assonnato “E’ successo qualcosa? Chi è…”

“No, nessuno.” Lo rassicurò Brienne “Sono venuta per salutarti.” Spiegò poi. Cercò di nascondere dietro uno sguardo cupo quella frenesia che da qualche ora l’aveva presa, senza riuscirci. Quella che Pod si trovò davanti era una Brienne ansiosa ed irrequieta.

“Dove…?” provò a chiedere lui.

“Castel Granito.”

Pod sospirò accondiscendente. Forse l’aveva già capito e se lo aspettava. Forse ci sperava, ma gli dispiaceva saperla andare via.  

“C’è un’ultima cosa. Posso contare su di te?”

Quello fece sì con la testa nel buio.

Brienne staccò il mantello dalla sua armatura. Accarezzò per l’ultima volta il pesante tessuto bianco ed oro. Si era sempre chiesta quale fosse il senso dietro quella scelta di colori: al buio risplendevano. Mentre ne sentiva la trama delle cuciture sotto alle dita per l’ultima volta, pensò a come si fosse lasciata corrompere così facilmente, senza neanche fermarsi a pensare; pensò al suo passato, alla sua storia, a come aveva sempre scelto di non schierarsi con alcuna casata in ogni guerra interna, a come fosse contato sempre il bene più grande per lei. “Consegnalo a Lord Tyrion domani mattina.” Gli chiese “Per favore.” Aggiunse, per trattarlo da suo pari.

Pod titubante allungò le mani, lasciandole il suo tempo per abbandonare il mantello, come se fosse un lungo addio. Poi quando lei fu pronta, lo prese tra le mani, lo soppesò sulle braccia e lo tenne sulle gambe, timoroso anche solo di poggiarlo sul suo letto. Non voleva che si sporcasse. Sospirò e poi guardò Brienne che continuava a seguire l’oggetto con lo sguardo. “Le cose che facciamo per amore.” Disse Pod, ripetendo una frase che una volta aveva sentito dire, neanche ricordava dove.

La donna alzò gli occhi stupita, all'improvviso, quasi avesse visto un fantasma. Quelle poche parole suonarono come un segno di aver fatto la scelta giusta alle sue orecchie. Sorrise e pensò a Jaime, alla prima volta che si erano incontrati, alla lunga avventura in su e in giù per tutta Westeros, ai giorni passati al Nord e poi nella capitale. Sembrava tutto averla preparata per confluire in quel momento. La sua vita si stava chiudendo come un cerchio, pronta poi ad aprirne un altro in cui però non sarebbe stata da sola. O almeno lo sperava. “Le cose che facciamo per amore.” Confermò.

Salutò Pod con lo sguardo e corse via fino alle stalle. Sellò il cavallo che le parve più riposato e lasciò la fortezza. Davanti ai cancelli due guardie le sbarrarono la strada Le guardò con timore, sperando che non fosse stato Tyrion Lannister ad ostacolarla, decidendo per suo fratello e per lei che Brienne non avrebbe dovuto rivedere Jaime mai più. Quando alzò gli occhi però quello che vide fu Re Bran alla finestra. La guardava con le mani che stringevano i braccioli della sua sedia. Una coperta di lana col simbolo degli Stark gli copriva le gambe.
Ancora una volta Brienne credette che non l’avrebbe lasciata andare. Nella sua testa ogni persona che le capitava di incrociare lungo il suo cammino, si stava frapponendo tra lei e Jaime. Sempre che lui l’avesse ancora voluta.

Il re guardò Brienne, come a cercarne di capire le intenzioni, poi sembrò aver visto qualcosa. Chiuse gli occhi soddisfatto di qualunque cosa avesse potuto leggere a quella distanza nello sguardo di lei. Fece un cenno a quelli che le aprirono la porta.
Brienne fuggì allora da Approdo Del Re, col favore della notte e di Bran Lo Spezzato.
 
***
 
Quando arrivò a Castel Granito rimase per molto tempo ad ispezionare le terre, prima da lontano, poi sempre più da vicino. Voleva conoscere la gente, il profumo delle città, quello del mare e delle campagne. Era quello il posto dove Jaime era nato e cresciuto. Brienne aveva indugiato sull’idea di visitare quel posto quando lo credeva morto, fino a qualche mese prima. Poi era diventato sempre meno importante, fino a quando non l’aveva lasciata ancora ed allora aveva cominciato a cercarlo di nuovo. Sperava che tra le persone riuscisse a riconoscere quello spirito piccante e gioviale tipico dei Lannister, tipico di Jaime e di suo fratello Tyrion.

Avrebbe potuto semplicemente avvicinarsi, cercarlo, parlargli, ma più la distanza diminuiva più un altro tipo di angoscia faceva strage del suo coraggio. Aveva paura che lui potesse non volerla più, che si fosse dimenticato del suo decantato amore per lei. Aveva paura che provasse repulsione per lei, ora che anche la sua ostinata tenacia ed il suo bianco candore se n’erano andati. Aveva paura di aver perso ogni cosa di lei che lo attraesse. E poi c’era sempre la possibilità che avesse trovato un’altra, che un’altra donna più giovane e più bella di lei potesse avergli rubato il cuore.

Per tutto quel tempo si era tenuta a debita distanza. Era meglio sperare che niente fosse cambiato, piuttosto che vedere coi propri occhi di essere stata dimenticata. Rimase nascosta fino a quando qualcuno cominciò a mormorare della sua presenza. Ebbe paura che quelle voci arrivassero anche a lui.

Il cuore le martellava nel petto. Pareva rimbombare e produrre un rumore sordo contro l’armatura. Era diventata così pesante da volersela togliere. Tutte quelle stringhe sotto al collo le mozzavano il respiro. Si tenne stretta le redini del cavallo che si era portata appresso mentre avanzava a viso scoperto, sotto un sole tenue di primavera lungo le vie di Lannisport verso Castel Granito.

Quando raggiunse la fortezza, trovò tutte le porte aperte, alcune persino scardinate ed abbandonate nel cortile. Chiunque sarebbe potuto entrare per dormire, rubare o ammazzare i suoi abitanti nel sonno. Lasciò il suo cavallo all’ingresso e continuò ad avanzare, stringendo la spada ed a mano a mano sciogliendosi e dimenticando pezzi di armatura lungo il cammino. I pavimenti erano stati da poco ripuliti, un sottile strato di polvere fumosa li ricopriva. La sala principale era ariosa e luminosa, completamente diversa dalla Fortezza Rossa che si trovava più a sud. Gli arazzi della famiglia Lannister erano appesi quasi su ogni muro: leoni dorati su fondo rosso inquietavano ed opprimevano chiunque li guardasse, come a fare sfoggio di una regale potenza e ricchezza, così diversa dal selvaggio lupo di casa Stark.

Il rumore dei suoi passi rimbombava nell’ambiente, rimbalzando tra un muro e l’altro. Ed ora? Dov’era Jaime? Esplorò il castello, la sala da pranzo, quella dei ricevimenti, i piani più alti con le camere da letto. Tutto era deserto.

Qualunque cosa avesse provato negli ultimi giorni ritornò quasi più forte a farsi sentire: la preoccupazione, l’ansia, l’amore, la rabbia, culminando alla fine in disperazione. Lasciò che uscisse ancora una volta tutto fino ad emettere un gemito ed accasciarsi al pavimento. Successe all’improvviso che si ricordasse delle conversazioni avute sulla balconata davanti al mare. Brienne sentì l’odore del vento e della salsedine che la ispirò e la guidò passo dopo passo verso una torre bianca, dove le scale correvano a spirale al suo interno, distorcendo il suono del vento in fischi che quasi le ricordavano un temporale. Si immaginò il castello, nel pieno del suo splendore, magari solo pochi anni prima: le porte chiuse ed imponenti, alte e spesse talmente tanto da opporsi ai fenomeni della natura e cancellare quel suono. La guerra aveva portato via persino la tranquillità in quel posto.

Fece le scale a due a due, con l’armatura che ancora le pesava sulle spalle come togliendole tutte le energie. La fame di ossigeno e la fatica le facevano pulsare il cuore fin nelle tempie, fino a quando si trovò in cima ad una torre che si affacciava sul mare in ogni lato. Si girò da un lato, poi dall’altro ed alla fine eccolo là.

Jaime se ne stava a rivolgere le spalle al mare con fare pensieroso. I pantaloni gli fasciavano di nuovo le gambe, il lino scuro della sua camicia sbuffava dai bordi della sua giacca rigida di pelle battuta marrone. Si voltò appena col sole che gli baciava una guancia. Portava di nuovo i capelli corti e pettinati, la barba curata, gli occhi incupiti da un’ombra malinconica. “Mi chiedevo quando saresti arrivata.” Disse Jaime alla fine tetro. Gli angoli delle labbra gli si curvarono appena verso l’alto, disegnando una fossetta su una guancia.

Brienne stava ancora riprendendo fiato. La irritò pensare che lui la stesse aspettando, che la sua fosse una mossa premeditata, che fosse caduta come una preda nella sua trappola. La rabbia le si disegnò di nuovo sul volto, quasi avesse l’infantile bisogno di contraddirlo.

“Mi hai quasi lasciato andare.” Disse poi Jaime e finalmente il viso gli si aprì in un sorriso illuminato dal sole. Lui invece non poteva essere più felice di vederla là, sotto il sole, con l’armatura e l’odore di sale e mare che era ovunque. Aveva sempre odiato quel posto, quel castello. Faceva caldo, sì sudava, il sole era soffocante e solo l’aria salmastra riusciva a placare l'afa che gli mozzava il fiato. Realizzò che Brienne stava sudando anche lei. Era una cosa stupida da pensare, ma si sentiva di nuovo bene, come fosse una prova della sua presenza ed esistenza. Per la prima volta da tantissimi, troppi anni sentiva qualcosa che si stava avvicinando alla felicità. Brienne però non era felice. Perché non era felice? L’incertezza del salto, del futuro. La consapevolezza di non sapere se stesse agendo nel suo interesse o per seguire uno stupido sogno da ragazzina. Il sentirsi ingenua, innamorata, esposta, scoperta. Come poteva la paura portarla alla felicità? Jaime rideva. Come poteva ridere della paura di lei? Ed infatti non poteva, non avrebbe dovuto almeno.

Brienne gli suonò un ceffone, forte abbastanza da fargli piegare il collo dall’altro lato, ma Jaime rideva, non riusciva a smettere.
“Che hai da ridere così tanto?” gli chiese. Non ne aveva diritto, intanto pensava. “Hai avuto il coraggio di andartene di nuovo? Per ben tre volte? Rispondi!” urlò alla fine.

“A cosa?” le chiese finalmente Jaime guardandola negli occhi. Le si avvicinò ancora fino ad essere ad un respiro dal suo viso. “Devo fare finta di essere incazzato con te?” le chiese stanco di essere incazzato, di fare la guerra, di fare finta di ronzarsi attorno casualmente per così tanti anni “Anzi, sì, porca puttana, lo sono. Predichi il valore ed il coraggio e poi non hai le palle di affrontare me.”

“Già, non ce le ho.” Rispose stizzita lei. Mai nessun’altra affermazione poteva suonare più letterale.

Jaime roteò gli occhi, ad imitare quegli sguardi che era lei una volta a lanciargli, come quando le diceva una sciocchezza. “Che cazzo c’entra?” chiese ridendo poi ancora degli assurdi toni e dell’assurda piega che stava prendendo la conversazione.

“Sono una donna, okay? Ti amo e non ho neanche mai pensato che tu mi volessi sposare. Poi l’hai detto.” Disse e le vennero invece le lacrime pensando al momento più bello e disperato della sua vita. Lavarono via la rabbia dal volto di Brienne. Il busto le si muoveva in spasmi, la gola emetteva suoni come se non riuscisse a respirare. “Poi l’hai detto e volevo solo urlarti di sì, ma... Ma…” pensava che l’armatura, i modi di fare, i vestiti, la spada, il talento allontanasse chiunque, che le avrebbero impedito di soffrire ancora in futuro. Invece no, era tutto cambiato. Voleva che qualcuno si avvicinasse, la spogliasse, la toccasse. Voleva che qualcuno la amasse, ma senza tutte quelle cose era esposta, aveva paura. Quando Jaime se n’era andato da Grande Inverno aveva creduto di aver avuto ragione. Poi lui si era avvicinato ancora di più e... “Non ho mai avuto le palle.” Le mancava il coraggio di lasciarsi amare.

“Lo so.” Le disse e finalmente la abbracciò. Fu come tornare a casa. Lei forte, intelligente. Aveva fatto fuori i migliori cavalieri di Westeros. Letale, leale, gentile, calda, accogliente. Lei era tutto questo e molto di più. E l’amava, così tanto da passare inosservato all’inizio, prendergli l’inconscio e rapirgli i pensieri. Annusava l’odore dei suoi capelli che ormai sapeva di mare, di sudore e di crine di cavallo. Si nascose nella piega pulsante tra il collo e le spalle. Emanava calore. Jaime amava quel calore. La baciò finalmente. Era con lei ed era di nuovo a casa. “Ed ora?” le chiese alla fine con le labbra sulle sue.

“Io sono questo.” Rispose lei, battendosi le mani sui fianchi per sottolineare l’ovvietà.

“Lo so.”

Fu il turno di Brienne per nascondersi nel suo corpo. “Chiedimelo ancora.” Fece con la saliva che gli bagnava la pelle ad ogni parola.

“Mi vuoi sposare?”

“Sì.”
The end.




Angolo dell'autrice
Hello! Ed eccoci qua di nuovo ad una fine. O meglio eccomi qua.
Dunque, prima ovviamente i ringraziamenti. Ringrazio chi sta leggendo, chi pensa di recensire, chi ha aggiunto questa storia in qualche lista. Ringrazio genius_undercover in particolare, che ha cominciato da poco a lasciare recensioni e l'ha fatto seguendo le mie storie e di questo non potrei esserne più onorata.
C'è un clima di solennità coi finali, vero? Beh onde evitare di rovinarlo mi fermo qui. 
Per chi mi segue, faccio solo presente che continuerò winter's memory ed a breve posterò un'altra modern AU, lunga qualche capitolo. Bene, detto questo vi lascio. Vi invito a farmi sapere se la storia tutta vi è piaciuta e come vi è sembrata. Un abbraccio forte forte a distanza a tutti, mano sul cuore e bacioni cybernetici.
Summers
  
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