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Autore: Master Chopper    06/10/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 36: The Sword (Final)

Un colpo. Due colpi.

Quando i fendenti tirati a vuoto divennero mille, il giovane ragazzo concluse il suo allenamento con un sospiro. Lasciò andare il pesante spadone per ripulirsi il sudore che gli incollava i capelli neri alla faccia.

“Domani è il grande giorno.” Si disse, sollevando quel volto madido e sporco verso la valle che si apriva sconfinata davanti a sé. E lì, troneggiando silente ed inamovibile, la fortezza di Camelot si stagliava in lontananza.

Nonostante le miglia che separavano quel giovane dal castello, tutti gli anni passati ad allenarsi avevano eretto un cammino invisibile, costruito pezzo per pezzo dai suoi sforzi e dalla sua determinazione.

Ormai quel ponte era stato eretto, e la strada era spianata.

“Devo dire grazie solo a te, per tutto questo.” Si voltò verso la figura ammantata che lo aveva cresciuto, alimentando in sé il fuoco del suo sogno puerile, ma inestinguibile.

“È solo grazie a te se potrò incontrare mio padre… Merlino.” Terminò mentre quell’uomo si era sfilato il cappuccio dalla testa, rivelando un paterno sorriso.

“Non è nient’altro che il tuo destino, Mordred.”

 

“Il suo destino?!” Ripeté Morgana, inginocchiata ai piedi del magus mentre gli artigliava la veste. Quella donna era ormai stravolta dal dolore, dopo aver appreso che in realtà la prossima vittima sacrificale non era l’amato che l’aveva abbandonata, bensì il figlio dal quale era stata separata crudelmente.

“Come puoi essere così spregevole?! Sei un mostro!” Soffocò il volto tra le pieghe del suo vestito, piangendo ed ululando tutte le sue pene.

Al di sopra, il terrificante ghigno di Merlino si stagliava su tutta l’arena.

“Spero ti sia piaciuto il mio regalo… Gaia.” E sollevò un ipotetico calice per brindare al loro accordo.

Di dirimpetto, sempre tra le tribune più alte riservate agli organizzatori del Torneo, proprio la titanide curvò le labbra in una smorfia maliziosa.

 

“Mordred… il cavaliere traditore di Artù!” Mormorò a labbra strette Dante Alighieri, suscitando l’interesse dei suoi compagni.

“Lo conosci?” Domandò Masutatsu, sorpreso dal vedere uno sguardo così sgomento provenire dal poeta.

“È, come narra la sua fama, colui che tradì e uccise il re… suo padre.”

“Padre?” Ripeté allora Vlad “Quindi mi stai dicendo che per questo scontro non è sceso in campo Arthur, ma suo figlio?!”

Il motivo di tale scelta fu a loro ovviamente ignoto.

 

“Fermi tutti! Non è assolutamente valida una cosa del genere!” Tuonò Ptah, la dea della creazione egizia, con al fianco Ammit: “Quando mai per i combattenti umani era stato registrato questo Mordred, al posto di Arthur?!”

Baal, il signore dei demoni, le diede corda annuendo con il suo fare apparentemente distaccato: “Non è la prima volta che gli inganni di Merlino sfociano in un’incorrettezza. Il Ragnarok dovrebbe rispettare delle regole, ed invece ogni volta viene rifilato un colpo basso alle leggi stipulate…”

Spalancando un occhio gigantesco, il demone rosso riuscì a rispecchiare tutti i volti corrucciati delle divinità, in forte disaccordo con quanto stesse accadendo.

“Hanno ragione! Questo scontro va assolutamente fermato!” Echeggiò allora una voce. Gli dèi, ma soprattutto gli umani, rimasero sorpresi nel constatare come Prometheus, precedente rappresentante delle divinità, si fosse sporto sul palchetto della sua tribuna con uno sguardo tanto determinato, anche se molto inquieto.

“Oppure volete che si ripetano le incorrettezze del quarto scontro, o del quinto, o addirittura dell’ottavo?!”

 

Quando quelle parole vennero pronunciate, la dea dei morti Hel poté sentire suo fratello farsi cupo tra le sue braccia. Sarebbe stato impossibile che lui avesse potuto ascoltare, in quanto reso sordo, eppure pareva proprio il contrario.

In quanto rappresentante della sicurezza del Ragnarok e delle divinità lì presenti, ed in quanto soprattutto una pedina corrotta tra le mani di Merlino più che del Concilio degli Dèi, Fenrir non riusciva a far fronte alla battaglia combattuta dentro il suo ego. In quanto vittima e tradito, si era sempre sentito autorizzato, assieme a sua sorella, a remare contro gli dèi: erano malvagi, arroganti, e non facevano altro che giocare con la vita di chi riponeva fiducia in loro.

Eppure, ora che guardava in faccia la realtà, dopo aver visto tutto il male che anche l’umanità aveva da offrire grazie a Guy Fawkes, una singola domanda abissava qualsiasi sua certezza:

-Che cos’è il vero male?-

 

Parallelamente a quel processo mentale travagliato, nelle tribune dell’umanità riservate ai precedenti combattenti si animavano emozioni contrastanti.

Charlotte Corday era stata appena chiamata in causa dal titano Prometheus, e similmente a Fenrir, il seme del dubbio era stato insinuato nel suo castello di convinzioni.

-Il bene o il male… la Pace si può ottenere in entrambi i modi?-

No. La maschera di Guy Fawkes balenò davanti ai suoi occhi, ricordandole cosa quell’uomo avesse voluto comunicare con il suo sacrificio.

La vittoria si può conseguire indipendentemente dal compimento di bene o male. La vittoria era la salvezza dell’umanità. La vittoria era la pace.

-La vittoria… porterà la Pace?- Aveva sempre desiderato una pace che debellasse qualsiasi male, eppure la seconda volta che aveva cercato di raggiungerla, era stata costretta nuovamente a macchiarsi le mani di sangue.

A quel punto comprese quale fosse l’errore di calcolo, risalendo all’origine della sua essenza, e non a quello che era stato impiantato in lei.

“La vittoria non ci darà nulla.” Mormorò freddamente le prime parole dopo la morte di Guy Fawkes e di Boudicca.

Alle sue spalle, Masutatsu, Vlad e Dante decisero di ascoltare in silenzio.

“Solo scegliendo di andare contro al male… potremo avere la Pace.”

 

Nel mentre, Prometheus sentiva il brusio sotto di sé aumentare di intensità, segno che per la prima volta si stesse generando un tumulto portato dalla ragione, e non da insignificanti questioni tipiche degli dèi.

“Pensavo odiassi farlo.” Disse Sun Wukong: “Intendo, parlare con loro. E ora invece vuoi farli ragionare.”

“Gli dèi sono terribili.” Una nota distorta ruppe la voce di Hel, intenta ad accarezzare i capelli di Fenrir per distrarsi, o per recuperare la calma. “Non sanno fare altro che pensare a loro stessi!”

“Ed approfittarsi di te.” Aggiunse lo scimmiotto, concordando quindi con il pensiero di tutti i combattenti divini rimasti in vita. Trovò segretamente curioso che, in quel gruppo, gli unici a pensare che le divinità fossero invincibili erano Hastur ed Uriel.

-E bhe… sappiamo la fine che ha fatto il polipetto.- Tirò su col naso.

“Sì, è vero che odio gli dèi, mentre amo gli umani. Però, devo ammettere che in primis non riesco a tollerare nessun comportamento scorretto.” Gli rispose infine il titano “E dopotutto, sono convinto che Merlino e Gaia stiano facendo tutto questo per l’interesse di nessun altro, se non di loro stessi.”

 

“Insomma, la questione ormai non è più punire gli umani per il loro peccato, o gli dèi per la loro vanagloria.” Ragionò allo stesso modo Vlad, volgendo lo sguardo verso l’alto.

Anche Masutatsu guardò lì, trovando la loro falsa guida e promesso messia, il quale non li degnava neppure di uno sguardo. “… ma si tratta di sgominare i piani di chi mina alla sicurezza di entrambi, e che ha scatenato questo Ragnarok proprio per farci indebolire a vicenda.”

I più forti dèi ed umani che si uccidevano, riponendo speranza in due figure che non facevano altro che indorare la promessa di vittoria, e nascostamente complottare per accaparrarsi la carcassa di quel sistema, una volta distrutto.

“Servirebbe proprio un’alleanza per rompere il culo a quei bastardi che ci hanno abbindolato.” Vennero rivolte a Dante delle buffe facce di sorpresa, una volta che ebbe pronunciato istintivamente quelle parole.

“Che c’è? H-Ho detto qualcosa di…?”

“No.”

Tutti i presenti si voltarono di scatto, riconoscendo un’anomalia nella loro discussione: si era aggiunta una quinta persona. Tuttavia nessuno di loro scattò sull’attenti, sorprendentemente neppure Dante, il quale si ritrovò la misteriosa figura ammantata ad un palmo dal suo naso.

Al di sotto del cappuccio calato sul capo, poté vedere un benevolo sorriso risplendere sul suo volto come una falce di luna nel cielo scuro.

“Hai più che mai ragione!”

 

“Non comprendo il motivo della tua lamentela, Prometheus.” Non proprio a dispetto delle sue aspettative, Prometheus si ritrovò contrastato da Gaia in persona.

La titanide aveva parlato però con una voce troppo calma, a detta sua, per appartenere a chi rischiava di vedere il proprio piano sgominato in un batter d’occhio.

“Nessuno ha parlato di te! Cos’è, hai la coda di paglia?” Il Re delle Scimmie Sun Wukong inarcò un sopracciglio, provocatorio.

Non ci fu nessuna reazione da Gaia, la quale proseguì guardando tutti dall’alto verso il basso allo stesso modo.

“Avete menzionato come le scorse volte Merlino potrebbe esser stato responsabile di sconvolgimenti all’interno degli scontri, no? Vi siete riferiti a situazioni in cui i combattenti umani hanno stravolto le nostre previsioni, cogliendo gli dèi alla sprovvista… eppure non comprendo proprio di cosa vi stiate lamentando.”

Lasciò di stucco l’intera platea con una nonchalance agghiacciante, per poi incurvare per la prima volta la sua bocca allo scopo di formare un’espressione.

Si trattava di un ghigno affilato, con gli occhi pulsanti per la frenesia, in una deformazione di malvagità pura e che non accettava nemmeno lontanamente l’idea di avere un limite.

“Sia il quarto, che il quinto e l’ottavo scontro si sono conclusi con la vittoria degli dèi! Abbiamo vinto, quindi non ha senso protestare… esattamente come adesso!” E con la mano indicò l’arena di combattimento, presentandola in tutto il suo splendore di miseria.

“Uriel sta per infliggere il colpo di grazia ad Arthur, totalizzando la sesta vittoria e ponendo fine al torneo che tanto desiderate, a quanto pare, veder concluso! Volete davvero annullare lo scontro prima del tempo? Non pensate che sarebbe questa la vera scorrettezza?!”

Come ogni valanga, incominciò da un effetto boule-de-neige, un accrescere di mormorii, schiamazzi, ed infine voci di protesta sempre più elevate che esplosero sugli spalti.

“Ha ragione! Non ha senso fermarci proprio ora!”

“Stiamo per vincere, dannazione!”

“Gli umani non meritano la nostra pietà dopo tutto quello che ci hanno fatto!”

Gli dèi, in rivolta contro il pensiero di Prometheus, pestarono i piedi per terra e sollevarono i pugni. Barriti, ruggiti, ululati: un festeggiamento in onore della prossima vittoria, assaporata appena da lingue ormai fameliche, e della distruzione della razza umana così vicina.

Gaia sorrise soddisfatta, mentre il titano si sentiva sprofondare nei frammenti della sua speranza infranta.

Tutte quelle voci vennero zittite quando una in particolare, spaventosamente forte ed intimidatoria, rimbombò nello stadio: “Tacete!”

Le labbra degli dèi si sigillarono di colpo. Persino la titanide sussultò sbigottita, avvertendo la forte pressione omicida venir sprigionata dal centro del campo di battaglia.

Il volto di Uriel era come sempre coperto da due ali avvolte attorno alla sua testa, eppure chiunque poté sentirsi martoriato da qualsiasi cosa potesse provenire da sotto quell’ombra. L’occhio ritratto sulle piume parve muoversi e sorvolare gli spalti con inflessibile giudizio.

“Sono stato fin troppo ad ascoltare le vostre patetiche diatribe.”

E, senza pietà né climax, o tantomeno pathos, vibrò un colpo di spada verso Mordred.

Non necessitava di importanza quel momento, per lui. Era solo la conclusione di una strenua resistenza, né la prima ma sicuramente ormai l’ultima, che l’umanità aveva posto nei confronti degli altissimi ed intoccabili esseri come lui. Grazie all’eterno giudizio, l’icore non sarebbe stato versato ancora.

Non la fine del mondo, ma degli uomini, era giunta.

Morderd protesse Excalibur con tutto il suo corpo, aspettando l’impatto fatale.

 

“Pensa te! Tu sei stato fino ad ora ad ascoltare e non ti sei mosso di un millimetro, mentre io ho dovuto correre come un dannato per arrivare qui giusto in tempo!”

Una mano ricoperta da un guanto aveva afferrato il polso di Uriel, giunta dalle sue spalle con la velocità di un lampo. Sebbene fosse stata così leggera, appartenente ad una figura eterea e quasi spettrale, si serrò attorno alla carne con una presa micidiale, raggiungendo direttamente le ossa.

E lì rimase aggrappata, anche con tutti gli sforzi che l’arcangelo impiegò per muovere l’arto in circa un secondo. Dopodiché, quando provò a voltarsi, la figura alle sue spalle lo scaraventò via come se non avesse alcun peso.

Masutatsu Oyama sgranò gli occhi: dall’alto della sua esperienza sapeva bene che sarebbe stato impossibile per qualsiasi essere umano proiettare qualcuno in quel modo, contando soprattutto il peso delle ali e della mastodontica spada. Eppure, colui che era apparso nell’arena come un fulmine a ciel sereno, sembrava proprio fatto apposta per sovvertire qualsiasi convinzione.

E mentre lo stupore dei presenti raggiungeva le stelle, Gaia lanciò uno sguardo confuso a Merlino.

Si aspettava che facesse parte del suo piano, sicuramente un altro dei suoi tranelli, o magari una scorrettezza per aggiudicare anche una volta la vittoria agli dèi. Invece, quando poté leggere l’espressione sul suo volto, ne rimase terrorizzata.

Il mago aveva una maschera di informe sgomento e confusione, la distorsione del suo affascinante viso in preda alla perdizione più totale. Non era esattamente l’espressione di chi non stava comprendendo cosa accadesse, bensì proprio di chi aveva visto nascere nella propria testa un dubbio terrificante, e lo stava vedendo realizzare senza poter intervenire in nessun modo.

 

L-Ladies and gentlemen… nulla del genere era stato previsto per questo scontro!” Gridarono gli annunciatori, dopo aver chiesto spiegazioni agli organizzatori del torneo, ricevendo solo silenzi pieni di sorpresa.

“Un intruso, un terzo incomodo, insomma un invasore misterioso è sceso sul campo di battaglia!”

E quella figura allora procedette a grattarsi la nuca con fare nervoso.

“Misterioso, eh? Non era proprio il titolo con cui volevo essere riconosciuto…”

“T-Tu…” Le prime parole mai pronunciate da Mordred finalmente fuoriuscirono dalle sue labbra tremanti, quando poté sollevare il capo e constatare di essere ancora vivo.

Invece Merlino lasciò fuoriuscire dalla sua bocca un gridò di ira e disperazione: “CHE CAZZO CI FA LUI QUI?!”

Di tutto ciò, lo splendente cavaliere biondo in semplice armatura sorrise divertito. I suoi occhi azzurri come un cielo limpido riflessero il volto sgomento del figlio.

“Un “grazie papà” può andare bene... ma…”

 

Due spade conficcate in due cavalieri. Due uomini, due guerrieri, e due cascate di sangue che sgorgavano da due petti luccicanti nelle armature.

“Perch-chè… Mordred?” Il padre vomitò altro sangue, iniziando ad accasciarsi. Nel farlo, istintivamente allungò la mano verso colui che l’aveva ucciso.

Non era mai stato in grado di farlo, così decise di obbedire a quel capriccio prima che fosse troppo tardi.

“Sono nato con il sangue di un re… ma non ho mai potuto avere ciò che mi spettava…” Disse il figlio.

Il loro sangue, partendo da due ruscelli separati, si unì per formare una pozza circolare.

Il padre allora rispose: “Il mio regno era troppo per te. Troppi sacrifici, troppe ingiustizie… io stesso, non avrei mai creduto un tempo di dover dire addio al mio migliore amico, a causa di questa maledetta corona.”

“Non parlo del regno, papà.” Il figlio si sentì riscaldare dall’interno, sebbene si stesse tramutando in cadavere, nel pronunciare quell’ultima parola. “Io volevo… solo te.”

Le lacrime che sgorgarono dai loro occhi non poterono unirsi, perché quelle spade che li trafiggevano erano l’ultimo baluardo di una distanza capace di impedire qualsiasi abbraccio tra padre e figlio. E quella barriera non poté crollare finché entrambi rimasero in vita.

 

Per questo motivo, il primo pensiero che Arthur Pendragon aveva avuto, dopo esser stato evocato e salvato dal vuoto eterno di una storia dimenticata, venne realizzato seduta stante: abbracciò Mordred.

“Scusami, figliolo.” Parole che non aveva avuto il tempo di pronunciare.

Perché in fondo, non è mai troppo tardi per venir perdonati, se si ricomincia a partire dalle scuse.

“Eri l’unica parte della mia vita che non volevo perdere, mentre il mio regno cadeva a pezzi.” Entrambi i loro corpi iniziarono a splendere di una nuova luce, più viva di qualsiasi fiamma e più pura dei raggi solari.

“E quando mi sono reso conto che tu volessi solo il mio amore… ho fatto l’uscita di scena più codarda possibile.” Rise della sua stessa morte come se fosse stata solo una bazzecola, al contrario di Mordred, al quale bastò soltanto rievocare quel pensiero per far perdere un battito al suo cuore.

“Però ora io ti ringrazio… per avermi amato.” Quando sciolsero l’abbraccio, qualcosa era cambiata.

“So che non è molto, e soprattutto non è il regno che ti sarebbe spettato, ma va comunque bene come regalo, se ti dico che la puoi tenere?”

Mordred singhiozzava bruscamente mentre nella sua mano era stata ricreata Excalibur, in tutta la sua splendente maestosità.

“S-Sì…!” Le lacrime sembravano aver ostruito persino la sua gola, tuttavia riuscì ad esclamare quella singola parola forte e chiaro, a testa alta e con il petto gonfio di orgoglio. Come si addiceva ad un cavaliere di fronte al suo re.

“Bravo ragazzo.”

 

L’enorme figura che si stagliò sopra i due era un ammasso nero, un’ombra insormontabile bucata solo da un unico occhio ardente come un faro. L’ira di Uriel crepitava sulla sua pelle, sulle sue ali di fuoco e soprattutto sulla spada che ora sollevava ben oltre la sua testa.

“Come hai osato interrompermi?!”

“Sta’ giù!” Prima ancora però che l’arcangelo potesse calare la sua lama, Arthur si mosse.

In una frazione di tempo pari ad un decimo di secondo, il Re Eterno fu capace di voltarsi e, senza nemmeno degnare di uno sguardo il suo avversario, sferrargli un pugno all’altezza del volto.

Sulla faccia di Uriel esplose tutta la potenza generata da quel singolo colpo a bruciapelo, il quale pervase l’aria di una vibrazione assordante. Piume macchiate di sangue dorato svolazzarono davanti al volto di Arthur, incorniciando i suoi occhi serrati.

Persino i suoi cavalieri rimasero impressionati dall’aggressività che sprigionò nel momento in cui colpì nientemeno che l’arcangelo supremo, praticamente senza battere ciglio.

Uriel inevitabilmente finì in ginocchio prima ancora di concepire cosa gli fosse accaduto. L’impugnatura dell’arma gli era quasi scivolata di mano.

Provò a rialzarsi per ripartire all’attacco.

Così Arthur gli ripeté: “Sta’ giù!”

E sollevando il piede, pestò il suo cranio con talmente tanta forza da incassarlo nel terreno. Stavolta non fu solo l’aria, ma anche le fondamenta del colosseo a tremare.

Dèi e umani assistevano all’impossibile divenire realtà, e solo dopo qualche istante realizzarono di non star tremando a causa del sisma, ma per via della autorità sublime che quell’uomo emanava, schiacciando qualsiasi cosa attorno a sé: in una parola, dominazione.

“Uriel non riesce a muovere un dito!” Urlarono gli annunciatori, e soprattutto St.Peter credette di star assistendo ad un miracolo. Anzi, forse tutto ciò era l’opposto di un miracolo.

Ma l’arcangelo di fuoco si mosse eccome, e sollevando il capo dalla terra mostrò a tutti la sua bocca sporca di sangue contratta in un ringhio.

“B-Bastardo!” Boccheggiò, facendo forza sulle gambe per rialzarsi con un balzo “Pagherai per-!”

“Ho detto STA’ GIÙ!!”

La minacciosa voce di Arthur venne accompagnata da un boato fragoroso.

L’uomo fu capace di muoversi così velocemente da generare un boom sonico che si manifestò nello spazio circostante. Tutto ciò che aveva fatto era stato estrarre la spada che pendeva dal suo fianco, ed impugnarla sopra la sua testa fino ad estendersi mentre inarcava la schiena. In questo modo apparve come una gigantesca fortezza di ferro agli occhi dell’avversario, il quale tuttavia riuscì a scorgerlo per un istante appena.

Quando infatti Arthur calò la spada verso il basso, imponendo tutto il peso mastodontico del fendente, l’arcangelo non poté far altro che sollevare la sua arma a mo’ di scudo. L’impatto fu devastante, gravando sulla forza di gravità al punto da far sprofondare il terreno in una larga conca sotto i loro piedi.

“Paradise Lost!”

Tuttavia Uriel aveva atteso quel colpo proprio come occasione definitiva per ripartire all’attacco: sfruttando infatti l’inerzia del fendente, lo lasciò scivolare lungo la sua lama fino al terreno, roteando intanto attorno al proprio asse per sfuggirgli. In quel momento, le sue ali trasformate in repliche della stessa arma infuocata trasformarono la sua rotazione in un tornado di fuoco tagliente.

Fu allora che Mordred afferrò il genitore dal collo dell’armatura, trascinandolo all’indietro per sottrarlo a quella che, inevitabilmente, sarebbe stata la morte certa.

L’umanità festeggiò lo scampato pericolo, mentre Uriel tentennò basito, prima di ricordarsi che, effettivamente, i suoi avversari ora fossero due.

E proprio quei due, padre e figlio, impugnarono le spade per sferrare un colpo combinato, il quale si schiantò sulla difesa dell’angelo e lo scagliò all’indietro di diversi metri. Ci furono altre urla, accompagnate da un grido di dolore ed altro icore sputato.

Merlino osservava tutto questo senza lasciarsi distrarre dalle esultanze degli umani, o dalla disperazione degli dèi. I suoi occhi erano puntati su di Arthur. Il vero Arthur.

Sentì Gaia chiamarlo, era arrivata da lui per chiedergli spiegazioni. Non gliele poteva fornire, perché in tutta onestà non capiva cosa cazzo stesse succedendo, pensò.

 

“Eh! Sono sempre uno sconsiderato, ho rischiato la morte per davvero… di nuovo!” Sbuffò il re biondo, per poi scoppiare in una risata isterica a causa dell’enorme stress provato.

Uno schiaffo da parte di Mordred lo raggiunse sulla nuca, prima di un secco: “Idiota!”

I Cavalieri della Tavola Rotonda rimasero allibiti.

“Sei proprio un idiota se pensavi di sconfiggerlo buttandoti a testa bassa contro i suoi attacchi! Scommetto che mi hai visto combattere contro di lui e hai pensato che fosse facile, eh?! Bhe, ora hai fatto una figura di merda davanti a tutti!”

“Dai…” L’uomo iniziò a disegnare cerchi sul terreno con il piede, guardandoli a testa bassa: “Tutti mi sembra un’esagerazione.”

“No invece! Si tratta proprio di tutti, nel senso di tutto il creato!”

“Scusa figliolo, non sono abituato a tutto ciò. Ai miei tempi non c’erano queste cose...”

Sir Pellinore scoppiò a ridere a causa di qualcosa che mai avrebbe pensato di vedere in vita sua. Dapprima gli altri cavalieri rimasero in silenzio, ma poco dopo ruppero quella facciata di serietà con risate sempre più squillanti.

Colpevole la troppa tensione, si sentirono incredibilmente più leggeri e felici.

“Ma guarda un po’!” Bofonchiò il vecchio, ridendo sotto i baffi “Era questo il vero Arthur che mi mancava!”

 

“È intollerabile!” Per un attimo tutti si arrestarono per quell’improvviso grido.

Gaia, con gli occhi fuori dalle orbite, strillò: “Due combattenti contro uno?! Non è affatto così che deve andare! È scorretto un incontro del genere, non si può- !”

“Scusami, ma…” Dopo aver allungato l’ultima parola con un sorriso sornione, Prometheus la guardò dritto negli occhi: “Fermare questo incontro non è esattamente ciò che non volevi fare un attimo fa?”

“Sei proprio una buffona, meriteresti un naso da clown e una parrucca!” Gongolò Baal, disteso lungo la sua sedia mentre ridacchiava.

Anche Ptah rincanalò la dose: “Volete davvero annullare lo scontro prima del tempo? Non pensate che sarebbe questa la vera scorrettezza?! Per caso… ti suonano familiari queste parole, dolcezza?”

La titanide non era mai stata umiliata e resa pubblicamente così impotente come in quel momento, e per questo fu costretta a deglutire a vuoto mentre ormai tutti volgevano gli sguardi lontani da lei.

 

Intanto, tra le tribune degli umani, ma nell’area riservata ai combattenti, stava continuando un dialogo rimasto in sospeso:

“Chi sei tu?” Domandò Dante alla figura ammantata apparsa tra di loro.

“Chi, io? Sono solo qualcuno che ti ha dato ragione: servirebbe un’alleanza tra umani e dèi, un equilibrio pacifico, per porre fine al piano di Gaia e Merlino.” Trillò l’uomo misterioso, per poi sollevare un dito all’altezza della tempia.

“E prevedo che avverrà presto, quindi state tranquilli!”

Vlad, certo che non avrebbero ottenuto altre informazioni sull’identità dell’uomo, cambiò domanda: “Ci sei tu dietro tutto questo? Intendo l’arrivo di Arthur.”

Il suo interlocutore incrociò le braccia al petto, e sotto al cappuccio poté scorgersi un broncio serioso.

“Non mi piacciono le scorrettezze, ecco! Quindi ho pensato di rimediare all’inganno di Merlino con un altro inganno.”

“Cioè? Come hai fatto a richiamare Arthur, se la sua anima non era nemmeno stata resuscitata davvero per questo torneo?”  

“Ah, a dirla tutta nemmeno io avrei dovuto essere qui… ma non corriamo troppo! Quello che vi serve sapere è che: sì, ho richiamato io il vero Arthur Pendragon per fargli prendere parte al torneo… e gli ho anche concesso un mezzo per combattere, come gli spettava di diritto.”

Pur non potendo ascoltare quel dialogo, nella sommità della sua balconata il magus Merlino pensò esattamente a ciò che venne detto dall’uomo ammantato in quello stesso istante.

 

La Decima Sefirot: Malkhit, il Regno. Nell’Albero Sefirotico si colloca all’estremità opposta di Keter, la Sefirot posseduta da Mordred.

Padre e figlio, l’uno al fianco dell’altro con le spade sguainate, tracciavano un percorso costellato da tutti i combattenti umani che avevano lottato per impedire la distruzione della loro specie. Eppure, anche se in realtà quel percorso era condannato ad una fine ancor più nefasta, proprio la Sefirot Malkhit rappresentava la svolta fondamentale per evitare il collasso dell’umanità.

Il Mondo umano, materiale, connesso come radici nella terra e nella vita. Dove tutto ciò che è morto finisce, e dove tutto ciò che è vivo nasce. È proprio da questa prepotente ribellione che nasce l’intoppo nella macchina perfetta pensata da Merlino e Gaia.

Hybris’ Tale: il potere di rompere i sistemi, e per questo di incarnare in ogni fibra del proprio corpo tale incantesimo ammazza-dei.

 

“Ma allora è esattamente come la mia Sefirot, Ghevura, La Potenza!” Realizzò Masutatsu dopo la spiegazione, non poco perplesso.

Di tutta risposta l’uomo ammantato fece oscillare il dito indice alzato come un pendolo, un chiaro “no, no”.

“Ghevura non è solo la Sefirot della Potenza, ma rappresenta il Potere della Giustizia. Insomma, con questa Sefirot tu puoi imporre sugli dèi la stessa legge che amministravi per gli umani, ovvero che i tuoi pugni possono uccidere.” Fece una pausa, ritornando con lo sguardo sul campo di battaglia.

“Malkhit non pone l’uomo allo stesso livello della divinità, ma al contrario, ridimensiona il dio sullo stesso piano dell’uomo, ovvero ponendolo sul mondo materiale: il Regno degli Umani. In parole povere può annullare lo stato di invulnerabilità degli dèi quando li colpisce, rendendoli danneggiabili.”

I combattenti compresero che quella differenza così sottile in realtà potesse nascondere altro, tuttavia Dante non poté trattenere un commento d’ammirazione misto a sospetto.

“Certo che sai davvero tante cose sulle Sefirot…”

“Mi pare ovvio!” Sorrise l’altro: “È grazie a me se esistono!”

Dopodiché ignorò le facce sbalordite che i quattro gli riservarono, per fissare intensamente la ragazza francese.

“Charlotte…”

“S-Sì, monsieur?” L’Angelo dell’Assassinio lo guardò di rimando con i suoi grandi occhi chiari, riflettendo un volto non più tirato in un sorriso, ma contratto in un’espressione mesta.

“Niente. Anche se posso prevedere il futuro… anzi, proprio perché posso farlo, so di non poterti fermare.”

 

Giù nell’arena, intanto, l’arcangelo Uriel si era appena issato in piedi. In piedi, sulle proprie gambe, come quelle parassitiche creature che tanto ripudiava.

Un cocktail di vergogna e collera, in aggiunta ad una spruzzata di dolore che ancora brulicava nel suo corpo ferito, fu sufficiente a tramutare l’occhio sul paio di ali poste sul suo volto.  Esso infatti roteò, diventando una fessura verticale con al centro una pupilla animata come fiamme selvagge.

“Sacre Scritture… Dio è amore… porgi l’altra guancia…” Mugugnava come in trance, rafforzando la stretta attorno alla sua arma.

“Vi siete barricati dietro una menzogna per non temerci più! Ma ora capirete qual è la vostra unica certezza: ceneri eravate, e ceneri rimarrete!”

Mordred si irrigidì nel vedere l’avversario di nuovo al pieno delle sue forze, alimentato ovviamente dalla rabbia. Aveva provato sulla sua stessa pelle quanto fosse devastante la sua forza, e ora che non c’era più nessuna armatura a difenderlo, soccombere al suo prossimo colpo sarebbe stato inevitabile.

Proprio a causa della sua tensione trovò bizzarro vedere suo padre, al contrario, completamente a suo agio. Il re aveva le spalle ricurve ed il busto piegato un po’ in avanti, in modo da far toccare la punta della sua spada a terra. La faceva roteare avanti ed indietro di poco, muovendo il piatto della lama su e giù. Questa procedura era accompagnata da uno sguardo decisamente concentrato.

“Padre, cosa stai…?”

“Aspetta, Mordred.” Disse prontamente lui, assottigliando gli occhi, aspettandosi ciò che sarebbe successo.

L’istante dopo scattò in avanti.

La distanza che lo separava dall’angelo era fin troppa per rendere efficace un attacco a sorpresa come quello, soprattutto perché era rimasto tutto il tempo di fronte alla visuale di Uriel. Il primo pensiero di Mordred, così come di tutti i Cavalieri della Tavola Rotonda, fu che Arthur avesse compiuto un’altra scelleratezza.

Tuttavia, quando la spada dell’uomo riuscì a tracciare un lungo taglio ascendente che risalì la gamba di Uriel, tutti ammutolirono per la sorpresa. Lo stesso angelo grugnì tra i denti, sollevando lo spadone solo quando l’attacco gli arrivò all’altezza del petto, finalmente potendo bloccarlo.

 “Ladies and gentlemen! Come ha fatto il Re Cavaliere a prendere alla sprovvista Uriel con quell’attacco?!” Strillò St.Peter, incredulo, venendo poi seguito da Adramelech.

“Che sia stata la velocità, o che Uriel non sia riuscito a vedere la traiettoria del colpo?!”

L’unica evidenza fu che Arthur si sentì molto soddisfatto di esser riuscito a mettere a segno quell’attacco.

“Tsk, sembra che non mi sia arrugginito del tutto!” Aveva lo sguardo di chi era sicuro di aver scovato la debolezza del suo avversario, e non si trattenne dal rivelarlo con tono canzonatorio: “E tu invece avevi un punto debole grande quanto una casa proprio in bella vista!”

 

L’arcangelo ruggì e fece vibrare lo spadone di lato, nel gesto di spazzare via quell’umano come se fosse stato una formica. La folata di fuoco che accompagnò il fendente servì a moltiplicare visibilmente la massa della lama, rendendola immensamente più grande di Arthur.

Lui infatti imprecò tra i denti e si preparò ad assorbire il colpo parandolo con la sua spada.

Fu come se il vento avesse ghermito una foglia: pur salvandolo dalla morte certa, la spada Caliburn venne scagliata in aria quando i guanti del cavaliere implosero per la pressione.

Questa volta fu il turno di Uriel di ghignare famelico, assaporando già la distruzione della sua vittima. Poco dopo quel suo volto compiaciuto impattò contro il ginocchio ricoperto dall’armatura di Arthur, siccome il re gli aveva prontamente afferrato la testa con entrambe le mani per poi sbatterla verso il basso.

Icore spruzzò dalla faccia dell’angelo, decorando il gambale con oro puro.

“Incredibile!” Gli annunciatori si sgolarono per la frenesia dopo aver visto una mossa del genere venir messa a punto.

Ma non era ancora finita: umani e dèi osservarono Caliburn cominciare la sua parabola discendente, compiendo ritmiche rotazioni come se volteggiasse nell’aria.

Arthur cercò la concentrazione, e quando fu a portata di mano la afferrò, accompagnando la sua discesa con un fendente verso l’alto. L’obbiettivo fu il collo di Uriel, perfettamente perpendicolare al terreno.

A quel punto però l’angelo, il quale non era affatto incosciente, sfoderò tutti i suoi riflessi sovrumani: puntando i piedi al suolo, eseguì una capriola frontale per evitare che la lama lo decapitasse, lasciandola così scorrere a pochi millimetri dalla sua schiena. A quel punto, ancora a mezz’aria, scalciò contro la spalla di Arthur per darsi la spinta e balzare all’indietro.

Pensò di essere al sicuro, ma prima ancora di poter tornare con i piedi per terra, Arthur urlò:

“Mordred!”

E proprio suo figlio apparve alle sue spalle, usando la schiena del genitore come trampolino di lancio per raggiungere l’arcangelo con un salto. Excalibur scintillò, ripristinata nella sua bellezza.

Gridando per l’impeto, il Cavaliere in Nero abbatté sul suo avversario una selva di colpi da ogni direzione nel brevissimo lasso di tempo che li separava dall’atterraggio al suolo.

“Anche se siete in due, per me non fa nessuna differenza!” Uriel era davvero convinto delle sue parole: dopotutto, le sue strategie avrebbero funzionato ancora ed ancora.

Infatti, quando Mordred affondò con impeto, a causa dell’impazienza lasciò la sua guardia fin troppo scoperta. All’angelo bastò così lasciar scivolare il peso di Excalibur lungo la sua lama, ed iniziare una rotazione fiammeggiante accompagnata dalle sue ali di fuoco.

“Padre!” Gridò però il giovane cavaliere, e proprio in quel momento Uriel comprese di trovarsi lui stesso intrappolato nel vortice della strategia di quei due umani.

Di fatto, Arthur sopraggiunse come una valanga travolgente, aggirando però il suo avversario per sorprenderlo dalla schiena. Sorprendendolo durante l’azione di roteare attorno al proprio asse, abbatté la sua spada contro un’ala dal verso opposto, frapponendosi così alla rotazione ed arrestandola sul nascere.

All’angelo erano state tarpate le ali in volo, ed in quanto tale, non ebbe più l’equilibrio sufficiente per reagire.

Padre e figlio ruggirono, inclinando le loro spade parallelamente al terreno e squarciando la carne di Uriel con due fendenti contrapposti. Lo Ying e lo Yang, due falci di luce che penetrarono i muscoli del giustiziere divino, mentre la sua voce saliva altissima fino al cielo.

Sembrava proprio lo stridio di un uccello ferito, ciò nonostante parve così agghiacciante da paralizzare le divinità ai loro posti.

 

La prima volta che Merlino aveva visto un umano ferire una divinità grazie al potere della Sefirot, aveva sorriso compiaciuto. Eppure, quando quella stessa visione si ripresentò davanti ai suoi occhi, c’era solo una maschera di panico sul suo viso.

Alle sue spalle, Gaia sudava freddo nella stessa identica maniera.

“Sta avvenendo davvero… davanti ai nostri occhi?!” Alle sole parole degli annunciatori, l’umanità prese fiato per poi lanciarsi nuovamente in un coro di esultazioni.

“Questi due cavalieri sono riusciti a sovrastare il più grande arcangelo di tutti i tempi, colui che era stato scelto per portare l’apocalisse e la fine del genere umano!”

Lacrime a fiume scorrevano da Morgana, la quale sventolava un fazzoletto all’aria, gridando: “Amori miei! Siete bellissimi!” come l’orgogliosa tifosa che era.

 

Ma mentre tutte le esultanze erano in corso, un fragore proveniente dal terreno per poco non ribaltò tutti gli spettatori giù dagli spalti. Si trattò di una vibrazione così potente da generare crepe lungo tutto il terreno del campo di battaglia, le quali risalirono persino sulle mura e minacciarono un’altra volta di incrinare la cupola protettiva.

Voci confuse si levarono, indagatorie, ma uno strano senso comune del pericolo indirizzò gli sguardi di tutti verso un unico punto.

“E quello cos’è?!” Domandò atterrito Adramelech, cercando risposta nel suo collega. Lo trovò completamente pallido e con gli occhi sbarrati.

Le labbra gli tremarono per qualche secondo, prima di mormorare: “È-È …”

Le due ferite sul corpo di Uriel si spalancarono come fauci sanguinanti, e dalle carni emersero sette protuberanze per formare un cerchio: quelle lunghe e piccole bocche pulsavano e vibravano perfettamente in sintonia con il sisma che martoriava l’arena.

Arthur e Mordred balzarono via preventivamente, e se non l’avessero fatto, l’esplosione di fiamme che seguì li avrebbe inceneriti sul posto. La voce di Uriel si elevò ancora, ma stavolta in un urlo selvaggio, accompagnato dal suono di sette trombe che squillavano e smuovevano il suolo.

“È l’Armageddon!” Concluse St.Peter, con lo sguardo di chi non nutriva più alcuna speranza.

Quando il bagliore accecante si dissolse, il corpo di Uriel era mutato nella sua nuova trasformazione.

Allo spadone avevano preso posto due anelli fiammeggianti che roteavano attorno a lui, generando un’aura sferica simile a vapore rosso sangue. Quell’emanazione si rivelò presto tutt’altro che incorporea, siccome si staccava a dense colate, come se gocciolasse, sciogliendo il terreno ad ogni stilla lavica. In cerchio levitavano ancora le sei ali, tramutate però in tentacoli incandescenti ancorati al terreno per sostenere quella mostruosità.

Il corpo dell’arcangelo, protetto da quella fortezza e macchina di morte, pareva poter controllare tutto ciò senza nemmeno doversi muovere, ed infatti l’espressione del suo viso era rilassata, ma cupa.

“Umani…” Disse, stavolta iniettando puro terrore nei due sfidanti.

“Le vostre lame non riusciranno più a toccarmi!”

Di fronte a quell’abominevole mostruosità, qualsiasi individuo, che fosse mortale o immortale, si sentì schiacciato da un’opprimente sensazione.

Mordred aveva la spada sguainata, ma tremava sia a causa del dolore, che di quella vista.

“Padre… e ora?”

Gocce di sudore scesero lungo i lati del volto di Arthur: “Ora…” a dirla tutta, stavano colando ai lati di una bocca tirata in un sorriso nervoso.

“Ora ci diamo da fare per non morire di nuovo!”

Ed afferrando la nuca del figlio, gli fece premere la fronte contro la sua. I loro cuori battevano forte, perché sapevano che il tempo gli era avverso in quella battaglia contro la morte stessa. Trascorse una manciata di secondi, durante i quali nessuno riuscì ad udire cosa si fossero detti, dopodiché i due ritornarono a guardare fissi il loro avversario.

Sorprendentemente, tutto ciò che fecero fu afferrare le loro spade per la lama e, imprimendo una forza mostruosa nelle braccia, le mandarono in frantumi.

I Cavalieri della Tavola Rotonda più di tutti gli altri umani impallidirono di fronte ad una tale folle scelta.

Ma non ci fu tempo per le spiegazioni, perché i due combattenti umani procedettero nel pestare il terreno con così tanta potenza da generare un’esplosione di polvere e detriti sul posto.

 

“Caricaaa!!”

Da quella nuvola saettò una figura, facendo rimbombare il fracasso della sua armatura ad ogni falcata.

“È Arthur!” Lo riconobbero gli umani, osservando così il Re Cavaliere caricare a testa bassa e disarmato ciò che era diventato l’arcangelo.

Uriel sogghignò sadico: “Stolto!”

Una pioggia di affondi incandescenti si abbatté sull’uomo, il quale tuttavia cambiò direzione prima di ritrovarsi impalato da quei tentacoli di fuoco. La sua idea a quanto pare non era mai stata mirare direttamente all’avversario, bensì aggirarlo, come infatti stava facendo.

Arrivandogli alle spalle in appena un secondo, osservò: - Sei decisamente più lento e prevedibile di prima, bestione! –

E saltò in avanti, mettendo mano al fodero quando fu arrivata a distanza di circa due metri dalla palla di magma che rivestiva Uriel.

“Ma come?! Non aveva forse distrutto la sua spada?” Sussultarono dagli spalti, increduli.

Eppure, qualcosa venne di fatto sfoderato dal fianco del re, e tracciò un arco nel cielo diretto verso il suo nemico.

“Pensi di cogliermi impreparato?! Ti ho già detto che non avreste potuto scalfirmi!” I denti affilati di Uriel formarono un sorriso da squalo, anche se ancora macchiato dall’icore dorato.

Ed infatti, come aveva pronosticato, la spada brandita da Arthur si sciolse al contatto con il suo scudo.

“C-Cosa?!”

Tuttavia, a dispetto di qualsiasi sua predizione, quell’arma non era né Caliburn, né Excalibur. Si trattava di una lama formata da rocce incastonate, attaccate all’elsa dell’originale spada del Re Cavaliere.

- Grazie, figliolo. - Pensò l’uomo, il quale aveva usufruito di una finta spada creata da ciottoli grazie alla Sefirot Keter del figlio.

E proprio a Mordred fu diretta l’attenzione di Uriel, quando lo avvertì ormai sopraggiunto sopra la sua testa con un salto. Il Cavaliere in Nero sollevò sopra la propria testa la spada, abbattendo un colpo dalla potenza micidiale verso il basso.

Tuttavia, anche Mordred sapeva che la sola forza della sua lama non sarebbe bastata a penetrare lo scudo di Uriel, e proprio per questo non aveva vanificato il suo tentativo: a ragion di ciò, il suo colpo non era indirizzato contro Uriel, bensì verso un oggetto sospeso in volo proprio tra lui e la barriera.

Quando esso venne scaraventato verso l’arcangelo grazie alla potenza del fendente, come un proiettile perforò lo strato bollente di magma che nulla poteva scalfire. E solo allora tutti compresero cosa fosse, perché incominciò a risplendere di luce dorata.

“È E-Excalibur?!”

La lama della spada leggendaria non era stata dunque impugnata da Mordred, il quale aveva preferito invece scagliarla con un colpo di Caliburn per trapassare la difesa di Uriel.

Contro ogni speranza umana, però, la traiettoria della lama fu facilmente intuita dall’angelo, il quale infatti la evitò con un semplice movimento del busto. Dopodiché senza nemmeno voltarsi dove la lama era stata spedita, mosse rapido un suo tentacolo di fuoco.

Questo si conficcò nel petto di Arthur, forando il centro della sua armatura come fosse burro e strappandogli un grido di dolore.

“Cosa credevi… di fare?” La cupola di lava si infranse, evaporando in bianchissimo fumo a causa dell’ingente danno subito. Tuttavia, l’angelo non pareva preoccuparsi di nulla, perché ora guardava con superiorità il suo avversario umano.

L’aveva bloccato nell’atto di trafiggerlo con la sola lama di Excalibur, recuperata grazie al passaggio del figlio, immortalando così la sua espressione in un connubio di sorpresa e sofferenza.

Poi diresse i suoi occhi verso Mordred, l’unico nemico rimastogli. Lo trovò intento a coprirsi il volto, così patetico tra le lacrime, pensò. Eppure, nel silenzio tombale che si era creato, non gli parve di sentire alcun singhiozzo.

“Ho fatto scacco al Re avversario, ecco tutto!” Gli rispose infine la voce di Arthur, così tuonante in quell’assenza di rumori da farlo trasalire.

Voltandosi di nuovo, si accorse di cosa non aveva fatto in tempo a vedere: al fianco del re cavaliere pendeva il fodero della spada leggendaria, il quale con la sua magia aveva reso la ferita inferta meno letale.

Eppure, si rassicurò l’angelo, aveva bloccato Arthur. Ovviamente poteva muovere ancora le braccia, ed infatti con queste stava puntando davanti a sé la lama di Excalibur.

-Perché me la punta contro?!- La mente di Uriel si affollò di dubbi e pensieri in così poco tempo -Non può di certo ferirmi, da quella distanza! E allora perché… ?-

E non poté fare a meno di fissare quella lama.

 

Il mito della spada Excalibur tende spesso ad essere inesatto. Come già si era scoperto, in pochi conoscevano che la vera magia fosse in fondo custodita solo dal suo fodero. Eppure, allo stesso modo, è un errore o un’inesattezza affermare che non risieda alcun potere magico nella sua lama.

Per questo motivo, quando l’acciaio si trasformò in pura luce ed investì l’occhio di Uriel, Merlino venne attraversato da un brivido. Il calore emanato dal centro dell’arena fu capace di risvegliarlo dall’intorpidimento della confusione, come se fosse stato un abbraccio familiare.

Uomini e dèi si coprirono gli occhi per evitare di rimanere abbagliati, mentre le loro voci confuse si levavano in protesta.

Ma intanto, proprio a fonte di tutta quella luce, Arthur sorrise a palpebre serrate.

-Hai abbassato la guardia dopo che credevi di avermi ucciso… e così hai focalizzato l’attenzione proprio dove volevo io.-

Ripensò a quanto avesse scoperto poco prima, semplicemente indirizzando la luce del sole sull’unico occhio di Uriel grazie al riflesso sulla sua spada.

-Come ho detto prima, hai un punto debole grande quanto casa in bella vista!-

E ora che la sua arma risplendeva di luce magica, non gli serviva la vista per esser certo della posizione del suo avversario. Serrò le dita attorno alla base della lama con così tanta forza da far prorompere le nocche bianche, mentre con un una singola sferzata recideva il tentacolo che lo ancorava al suolo, e poi sempre più in avanti. Oltre il limite dell’ultimo briciolo della sua forza.

Urlò fino a svuotarsi i polmoni. Per il suo regno, per suo figlio, per il bene dell’umanità.

REX… CALIBUR!!

In un tripudio di luci e rumori, un trionfante grido di amore esplose nell’arena, inondando chiunque.

Il magus si lasciò ricadere sulla sedia, sudando freddo: alle sue narici era stato portato l’odore dei fiori selvatici attorno al castello di Camelot. Pensò di rimando a Nimue.

Mordred, invece, riconobbe l’urlo di suo padre come tante volte l’aveva sentito in guerra, davanti a sé, mentre li guidava tutti verso la vittoria.

 

Quando il ronzio della voce di Arthur si dissolse nell’aria, chiunque spalancò di scatto le palpebre per assistere a quale nuovo mondo sarebbe apparso di fronte a loro. Anche gli annunciatori furono pronti a far squillare le loro gole secche per l’emozione.

Tuttavia, c’era ancora solo e soltanto luce.

 

Similmente all’incorrettezza sui poteri di Excalibur, sin dall’inizio di quello scontro era stato erroneamente dato credito ad un altro errore.

“Il mio nome… Uriy’el…” Quella voce risuonò come un coro di mille esplosioni rimbombanti, vibrando all’interno delle menti di tutti i presenti come un’infestazione.

“Può significare Fuoco di Dio… come Luce di Dio!”

Nessuno poté vederlo in quel momento, ma l’arcangelo aveva finalmente sollevato le ali a protezione del suo volto per mostrare nient’altro che la lucentezza di un sole. Al suo cospetto, Excalibur emanava appena la luminosità di una fioca candela sul punto di spegnersi.

“Quell’occhio e quelle ali servivano soltanto per limitare i miei poteri, contenendo questa luce divina.”

E quando tornò a rinchiudere il suo vero volto con le ali, come una crisalide, tutti poterono assistere a quanto fosse impotente Arthur, il Re Cavaliere.

In ginocchio, dopo aver fallito il suo colpo, guardava verso l’alto con occhi ciechi.

“Padre!” Urlò Mordred, sollevando una mano in direzione del suo genitore e muovendo i primi passi di una corsa disperata.

Il mondo intero stava collassando per l’umanità. Cuori infranti da cui nacquero lacrime calde, e voci singhiozzanti di pietà.

Le divinità, dal canto loro, non esultavano affatto. Osservavano solennemente quell’attimo immortalato nella storia dell’esistenza: la prova che non ci fossero confini alla forza di un essere divino, e che gli umani non potessero far nulla per ribaltare tale ordine.

Morgana ululò in lutto, mentre i Cavalieri della Tavola Rotonda si erano fatti rigidi come statue in armatura.

Gaia spalancò i suoi occhi, nei quali venne riflessa la vittoria in un vortice di gioia e soddisfazione.

L’umanità intera si irrigidì e strinse i denti, aspettando soltanto l’impatto fatale.

 

“Mi scusi… potrebbe non farlo, per favore?”

Dopo aver dissolto la sua forma Armageddon e aver rivelato, anche se solo per un istante, le sue vere sembianze, Uriel era provato oltre ogni limite mai sopportato in vita sua. Le troppe ferite che laceravano la sua carne e l’icore versato gravavano sul suo senso dell’equilibrio, sui suoi sensi, sui suoi riflessi e sulla lucidità dei suoi pensieri.

Per questo motivo, nel momento in cui una semplice umana gli si avvicinò alle spalle, non reagì come avrebbe fatto normalmente, ovvero eliminandola sul posto. Piuttosto, si voltò incuriosito a guardarla.

Sottò gli occhi increduli degli spettatori, e dei combattenti umani che non riuscivano a spiegarsi come se l’avessero potuta perdere di vista, Charlotte Corday era giunta al centro dell’arena.

La sua apparizione inaspettata fu abbastanza clamorosa da togliere le parole di bocca persino ai cancellieri al microfono, perché tanto non avrebbero saputo nemmeno descrivere cosa stesse avvenendo lì sotto.

“Cos- ?” Fece in tempo a mugugnare distrattamente Uriel.

Le Sefirot in dotazione ai dieci combattenti umani esaurivano il loro compito solo con la morte dello stesso, e per questo i poteri potevano essere usati anche fuori dallo scontro in cui era presunto dovessero venir usati.

Chesed, la Benevolenza, avrebbe per sempre celato l’intento omicida dell’Angelo dell’Assassinio.

Uriel vomitò altro sangue dorato quando spalancò la bocca in uno spasmo, riconoscendo il dolore più lancinante mai provato. Durò poco, almeno fin quando Charlotte non gli estrasse il coltello piantato nella sua gola con un gesto secco.

“Patetica…” L’icore colò a cascata dalla sua mascella troppo pesante per resistere alla forza di gravità.

“… inferiore… umana…”

E cadde. Quel colosso, pilastro che separava il piano degli dèi da quello degli uomini con tutta la sua distanza incolmabile, stramazzò al suolo nella fine più patetica ed anticlimatica che potesse meritarsi.

 

“Eeeh?!” Alitarono infine Adramelch e St.Peter, con uno sbuffo deluso quanto sorpreso.

Mordred rallentò la sua corsa fino ad arrestarsi del tutto, al fianco del padre. Guardò la ragazza macchiata d’oro, ancora persa con lo sguardo sul cadavere dell’arcangelo, e non trovò altre parole se non:

“E… adesso?”

Ma qualsiasi domanda, o risposta, venne presto sovrastata dalla folle risata di Merlino che traboccava dalla sua fauce dischiusa.

“Ce l’ho fatta!!”

 

 

Angolo Autore:

Welcome back, e finalmente aggiungerei!

Perdonate il ritardo, ma questo capitolo è stato il più lungo mai pubblicato della storia, ed in quanto tale ha richiesto assolutamente più attenzioni e tempo. Spero lo abbiate gradito almeno quanto me, dato che lo considero il mio preferito.

Allora, abbiamo la comparsa del vero Arthur che si riconcilia con il figlio e lo accompagna nella prima battaglia 2vs1 del Ragnarok. Sì, ormai avrete capito che dèi e umani se ne stanno fregando bellamente delle regole.

Tuttavia, anche se Arthur e Mordred sono stati sconfitti (onde evitare confusioni, Arthur non è morto), Charlotte ha ucciso Uriel e… Merlino esulta. Nel prossimo capitolo entriamo nel reame del decimo scontro, e finalmente capirete cosa passa per la mente del magus.

Ah, e comunque ho realizzato la cover art del quarto scontro, in occasione della sua pubblicazione in inglese. Vi ricordo che qui potete, semmai, seguire il server Discord: https://discord.gg/FHNr7A7
Alla prossima!

P.S: Avete capito chi è la figura ammantata, no?

   
 
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