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Autore: amirarcieri    09/10/2020    0 recensioni
Verso la rotta del Nuovo Mondo, ma distante abbastanza da distanziarsene, si trova un'isola che prende il nome di Fourteenth Mark.
Qui alberga una leggenda che l'ha resa famosa e sopratutto meta della maggior parte delle flotte di pirati in cerca di rari tesori: si racconta che vent'anni prima a sopraggiungervi fu un pirata fuggiasco e che questo seppellì in qualche angolo occulto dell'isola uno tra i più potenti frutti del mare esistenti.
Ma quanto di vero c'è in questa storia? Di che frutto del mare si tratta?
E se qualcuno l'avesse già trovato e lo tenesse tutto per se? E perché ai possessori dei frutti del mare è vietato mettere piede sull'isola?
Ace e la sui ciurma dei Pirati di Picche approderanno qui durante una delle loro tante traversate verso il Nuovo Mondo. Riusciranno a trovare il leggendario frutto del mare? Cosa ne faranno? Ma, se forse, magari invece di un frutto del mare aggiungeranno solamente un nuovo membro al loro equipaggio?
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Piccola parentesi/consiglio [Per scrivere questo capitolo ho ascoltato la seguente canzone

quindi potete ascoltarla mentre lo leggete o non farlo affatto. Era solo per farvi sapere. Tutto qui]
Bene, detto questo, vi auguro una buona lettura.

 


PERFECTLY BLUE

 

Capitolo Cinque

 

La verità sul frutto Chiostro Chiostro finalmente svelata”.

 

 

 

Ayako vegetava sul pavimento di una cella logora e penosa che minacciava di inghiottirla in una lenta agonia di oscurità.
Ma anche in tutto quel deprimente putridume, Ayako, riuscì a trovare la luce interiore atta a farla vagare nel labirinto mentale colmo dei suoi ricordi più luminosamente felici:

 

[Erano le tre del pomeriggio e due amici sedevano a metà altezza della scalinata del poeta.
Di quindici anni ciascuno, se ne stavano muti come pesci, a lasciarsi ispirare il cuore dalla musicalità infinita prodotta dalla civiltà di mare e la panoramica frontale.
Per quel giorno e ore, nessuno avrebbe potuto disturbarli, nonostante il posto fosse sede di visite turistiche ricorrenti.
«Akira, come chiameremo la nostra ciurma di pirati?» gli aveva chiesto lei ad un certo punto, voltandosi verso l’amico. Lui la guardò con i suoi magnifici occhi perfettamente blu che a contatto con la luce del sole sembravano gocce cangianti d’acqua marina, ed esordire con.
«Che ne dici di “Pirati del cuore”?» Ayako storse il naso come se gli fosse andato sotto alla narice un pelo di coniglio.
«E’ un nome troppo comune e scontato. Sono stra sicura che ci sarà una ciurma che presto o tardi lo assumerà»
«Tu dici?» Akira glielo chiese con un sorriso guascone.
Poi lentamente, la piacevole brezza marina eterea gli smosse la chioma castano dorato, rendendone le ciocche il liscio piumaggio di un'aquila in volo.
«Si. Ne sono stra convinta» fece lei saccente.
«Allora...» Akira, portò l’indice e il medio sotto il mento per rendere ancora più irresistibile il suo fascino intellettuale.
«Sai una cosa? Non pensiamoci adesso. Quando avremo la nostra nave e ciurma pronti per salpare, sono “stra” sicuro che il suo nome ci nascerà automaticamente tra le labbra non appena li vedremo»
«Roger» accettò lei. Akira si tirò su in piedi, allungando galantemente la mano per aiutare l’amica ad alzasi.
Lei la prese, ma aspettò un attimo prima di darsi lo slancio in avanti.
Aveva da porgli una domanda fondamentale.
«Akira, noi, ci vorremo per sempre bene vero?» la risposta soddisfacente del ragazzo si palesò dapprima, in un enorme, accecante raggio di sole.
«Si, io e te, saremo insieme per sempre» Ayako ne ricalcò il sorriso estendendone la grandezza. Quindi dopo essersi issata sulle gambe, si tuffò sul petto dell’amico. per appoggiarsene sulla spalla e nutrirsi di quell'affetto inesauribile di cui andavano parlando con tanta vanagloria]

 

Senza che lei se ne rendesse conto una lacrima le rigò fugacemente il voltò, bagnandoli le labbra di un retrogusto salato.
«Ti voglio bene, Akira. Te ne vorrò sempre. Sarai per sempre con me Akira. Vivrai e ti porterò in eterno dentro di me» promise singhiozzando.
Si era data quel giorno di scadenza per farlo. A sei anni dalla morte di Akira, Ayako aveva finalmente concesso a se stessa di piangere.
A prendere e lasciarsi prendere a cazzotti dal dolore.
Di accettare il lutto.
Di farsi manipolare a bocconi dalla rabbia.
Perché Ayako sapeva che quel momento l’avrebbe raggiunta, ma era anche convinta che non ci sarebbe stata una replica.
Ayako si concedeva quell’unico momento di debolezza, una volta sola per commemorare la memoria dell’amico ed esiliare lontano da lei l’ammasso di fobie più croniche di cui era subissata la sua mente.
Si vincolava in silenzio a non versare nessun’altra lacrima, perché nessun’altra lacrima avrebbe bagnato il suo viso sfregiato, anche quando l’assenza di Akira gli avrebbe dilaniato il petto come una Katana affilata.
Proprio quando le lacrime abbondavano di dose, occludendogli le vie respiratorie, un altro inesorabile ricordo fece galleggiare i suoi ricordi a quell’attimo struggentemente infausto.

 

[Stava diluviando in maniera così estenuante e tumultuosa da non concedere ai due amici di potersi guardare adeguatamente negli occhi.
Il ragazzo era in condizioni precarie a penzoloni nel vuoto di un dirupo. Il suo corpo era bagnato fradicio, la sua voce argentina talvolta veniva sovrastata dai roboanti echi dei tuoni, ma il suo mirabile viso non tradiva alcun accenno di paura o arresa.
I suoi occhi perfettamente blu sorridevano felici che l’ultima cosa che avrebbero ammirato sarebbe stato il volto della persona che più amava al mondo.
Il ragazzo si sentiva esaudito di quella visione perché sapeva che lei avrebbe ereditato pienamente la sua volontà.
La ragazza, inversamente da lui, piangeva a dirotto e serrava la mano dell’amico con un’espressione supplicante nelle pupille.
Il ragazzo, però sapeva che era ormai questione di secondi prima che le braccia dell’amica raggiungesse il limite di resistenza fisica, avvertiva che quella stretta fragile e scivolosa era destinata a sciogliersi, per questo aveva urgenza di parlarle con il cuore in mano, affinché lei potesse essere in grado di capire e reagire.
«Ayako, so che ti costa tanto, ma devi ascoltarmi» le disse quasi sgolandosi.
«Ascoltami, devi promettermi che lo proteggerai. Fingi che sia il mio cuore e proteggilo anche a costo della tua vita. Non devi permettere per nessun motivo al mondo che cada nelle mani abbiette di mio padre. Deve essere solo tuo. Tuo e di nessun altro. Hai sprecato mille giorni e notti per trovarlo e te lo meriti. E se per caso qualcuno di giusto vorrà reclamarlo, allora dovrai sfidarlo a duello per decidere chi dovrà mangiarlo» le fece promettere. Ayako scosse vigorosamente la testa fradicia.
Accanto a lei, uno scrigno di legno di sei centimetri circa, conteneva il tesoro che le loro giovani e intelligenti menti erano riusciti a disseppellire con un’incredula eccitazione.
«Akira, pe – perché mi dici questo, Io...non posso, ti già detto che io...non posso..non voglio...» balbettò lei in mezzo al torrente di lacrime.
E nel frattempo, La presa cominciò ad allentarsi progressivamente.
«Ayako, non dubitare mai di te stessa perché io so che tu diventerai una donna straordinaria. La più eroica e gentile che possa esserci in questo mondo. Tu non riesci ancora a vederti, ma io ho sempre visto la donna che sarai. Amati come ci siamo amati noi. In fondo tu mi hai salvato più volte di quante ho fatto io con te e tu possa immaginare. Mi hai dato una famiglia con cui sorridere e crescere. Mi hai offerto la tua casa per dormire e risollevato l’animo quando stavo da schifo. Tu mi hai mostrato la purezza dell’amore senza alcuna pretesa egoistica in cambio, e di questo ti sono grato più che mai. Sei stata la mia luce, grazie Ayako» a quel punto la ragazza andò fuori di se perché comprese che epilogo del discorso voleva giungere l’amico – fratello.
«Sta zitto. Non voglio sentirti. Noi cresceremo insieme, tu me l’hai promesso. Noi solcheremo i mari, recluteremo una ciurma di tutto rispetto e avremo mille avventure di cui parleremo con orgoglio nella vecchia ai nostri nipotini. Ti prego Akira, non puoi lasciarmi, me l’hai promesso. Il mio sogno senza di te non ha senso. Dobbiamo realizzarlo insieme» Ayako ebbe un violento sfogo di pianto che fece allentare repentinamente la stretta delle mani. Akira era ormai oscillante a pochi centimetri dalla sua fine.
«Ti prego, non lasciarmi. Anche tu sei stato la mia luce» gli confessò mentre la fiumana di lacrime perseguiva a straripare dai suoi occhi.
«Fidati tu di me, arriverà qualcuno tra non molto e ci soccorrerà. Nasconderemo il tesoro in un posto sicuro e torneremo a parlare del nostro meraviglioso futuro. Insieme»
«Lo faremo, io sarò sempre al tuo fianco Ayako. Non ti ho mentito, Noi saremo sempre insieme» le disse con un bel sorriso angelico dipinto sulle labbra, e proprio allora, la stretta degli amici si disunì, facendolo sfracellare la sua vita nell’oscurità più avviluppante.
«AKIRA» Ayako si inclinò pericolosamente al margine del precipizio in un avventato tentativo di riafferrarlo.
Quel suo urlò graffò l’aria tempestosa sotto forma di eco ricorrente.
Poi, si udì solamente il velenoso fruscio del vento e il riversarsi ininterrotto della pioggia sulla terra come a voler nascondere le infinite lacrime di quella ragazza, ormai rimasta sola con un tesoro inestimabile per amico. ]

 

«Perdonami, Akira. non sono così forte. Ti ho deluso. Perdonami, perché non ho mantenuto la promessa e tra un po’ potremo rincontrarci» Ayako sapeva che quelli sarebbero stati i suoi ultimi attimi di vita, se tutto sarebbe degenerato e lei non avrebbe altra scelta che di lottare, per questo li dedicava a una delle persone che per lei possedevano il valore del mondo intero.
La stavano torturando con la tattica dell'isolamento. Lasciarla lì, abbandonata a se stessa con le orecchie riversate dal silenzio incombente che faceva male e le imponeva a parlare ai fantasmi del tuo passato a lungo repressi, pensavano che l’avrebbe portata a cantare facilmente in cambio di un sorso d’acqua o la perfino negoziare la sua libertà.
Ma erano così ingenuamente fiduciosi da non pensare che lei, si sarebbe morsa persino la lingua pur di non rivelare il suo segreto a lungo custodito nei recessi dalla vasta sua mente.
Dieci minuti dopo, i Marine mandati a prelevarla dalla cella si avviarono a raggiungerla. I loro passi erano a tal punto rustici e rumorosi da allertare immediatamente i nervi di Ayako.
Il suo collo si drizzò istantaneamente. Le orecchie che le fischiavano per il troppo essere stata a contatto con il silenzio, gli suoi occhi inebetiti che misero a fuoco per un efficiente attimo le sagome ignote di fronte a lei.
Uno soldato aveva una massa muscolosa notevole con il pizzetto castano compatto sul mento, lo sguardo malevolo e il capello e la divisa da marine accoppiati.
L’altro possedeva una capigliatura vaporosamente riccia, indossava la divisa da marine smanicata che mostrava un fisichino allenato, ma a differenza del suo partner di ronda, lo sguardo era più docile e i suoi modi meno rozzi.
«Forza alzati» le ordinò scorbuticamente Mr. soldato dai muscoli di ferro. La prese così sgarbatamente per il gomito da farla trovare alzata in piedi anche senza la sua volontà.
Mentre scorrevano lungo il corridoio spoglio, Ayako non si chiese dove erano diretti o cosa le avrebbero fatto.
Voleva stipare tutte le forze di cui disponeva correntemente, in modo da sovraccaricarsene e lasciarle esplodere di faccia al suo obbiettivo finale.
I segugi Marine, la scortarono per un breve tratto, poi si fermarono davanti una porta di legno verniciata di un fresco blu mare.
Il Marine più gentile, batté sulla superficie legnosa per due volte. Poco dopo si sentì un grezzo “avanti” del tenente.
Con accanita cafonaggine, i Marine presero la ragazza per il cozzo e la gettarono in ginocchia al cospetto del tenente come se lui detenesse l’autorità di poterla giustiziare con un colpo secco al cuore lì e subito.
La camera lussuosa del Marine sbrilluccicava di un sanguinario rosso e un pretenzioso oro.
Quadri di navi dei Marine – Marine stessi - spopolavano per le pareti, una scrivania in legno massiccio occupava la parte destra della stanza con tutte le cianfrusaglie e pile di documenti che un tenente della Marina accumulava negli anni, la parte sinistra invece appariva scarna eccetto che per una porta finestra, che diede ad Ayako una speranza d’uscita.
Si, una speranza d’uscita, se questa non avesse avuto il pensiero costante dell’incentivare l’apertura delle ferite e quindi l’impossibilità di muoversi agilmente.
«E’ la fine. Sono con le mani legate davvero. Se le ferite si riaprono, sono davvero spacciata» pensò Ayako risentendone parecchio di quella caduta.
Ma ormai poco gli importava di avere le ore contate, e proprio per questo si sarebbe permessa il lusso di togliersi due o tre sassolini dalla scarpa.
«Anche se...» nella sua testa costituita da una rigenerazione di pensieri incessante, capitombolava sempre la travolgente aspettativa dell’illusione di sua sorella che era riuscita a raggruppare il soccorso dei famigerati pirati di Picche.
«Oh, ma cosa abbiamo qui?» il tenente la fomentò con un sorriso aspido, quando fu a pochi millimetri di distanza.
«Le manette non erano necessarie. Ti ho già detto che non ho mangiato nessun frutto» sputò lei indignata, facendo un limpido riferimento ai ceppi di agalmatolite che tenevano congiunti e immobili i suoi polsi.
Il tenente fece un veloce cenno di capo per acconsentire alla sua richiesta.
I suoi tirapiedi tirarono fuori la chiave, poi ruotandola per due volte dentro la fessura delle manette, le liberarono i polsi indolenziti.
Per tutto il tempo della procedura, lei aveva trovato la sfacciataggine di non abbassare mai lo sguardo da lui, mentre il tenente si piegava sulle ginocchia, poggiando un braccio sulla gambe e allungava l’altro per incastrare l’indice della mano chiusa sotto il suo mento.
«Ma l’hai trovato. Ho mi sbaglio?» la forzò a parlare. Ayako sigillò letteralmente le labbra.
«Non fare giochetti con me, ragazzina. Se non l’hai capito, questa è l’ultima occasione che ti concedo» gli ultimò con infamia. Ayako riuscì a farsi spuntare un sorriso sprezzante.
«La sua è una messinscena. Sta palesemente mentendo. Io sono l’unica che può portarlo al frutto, gli servo per questo non mi ucciderà mai.» un’incolmabile intuizione grattò ancora una volta i pensieri della ragazza.
«Perché non riesco a togliermi dalla testa la speranza che presto qualcuno verrà a salvarmi?» congetturò quel mero desiderio che proprio non riusciva e voleva lasciare andare.
«Forse è solo la famigerata speranza inconscia alla quale tutti ci aggrappiamo per rendere meno doloroso ciò che ci attende, ma...se non mi sbagliassi, se non mi sbagliassi e fosse così...e potessi perdere dell’altro tempo...» rimuginò mordendosi a sangue le labbra.
«Ragazzina, non ignorarmi, se non vuoi farmi incazzare già da adesso» la mise sull’attenti costringendola a guardarlo fisso.
«Dimmi dove hai nascosto il frutto Chiostro Chiostro e non costringermi a ripetermi» scandì ogni parola talmente a rilento che persino il più ottuso degli uomini avrebbe colto al colo il messaggio nascosto.
«Mai» replicò lei cinica. Temeva la sua incoercibile reazione, ma doveva stringere i denti e affrontarlo a viso scoperto, mostrandosi rigorosamente inamovibile, non spaventata come una bambina davanti a un abnorme re dei mari.
«Stupida donna, qual è il tuo problema? Perché ti ostini tanto a non dirmi il tuo segreto?» persa la ragione e pazienza, il generale gli diede un furibondo calcio nella pancia, che la fece rotolare qualche centimetro più in là.
Con della stremata fatica, Ayako si ritiro sui gomiti, e sputò un grumo di sangue.
«Fa male» si disse Ayako.
Il dolore fisico faceva orribilmente male, a tal punto da farti svenire, ma quando vedevi morire una delle persone che amavi davanti ai tuoi occhi, quando realizzavi che non l’avresti potuta mai più riabbracciare, quando la tua anima veniva scheggiata da una cicatrice irremovibile, allora, era lì che il dolore fisico diveniva soltanto un po’ sopportabile.
«CONFESSA!» le comandò in un cagnesco veemente.
La voce altisonante, così piena di se, ma tetramente amorfa del tenente, le diedero la volontà di sollevarsi sui palmi instabili e di trafiggerlo con uno sguardo indomitamente spartano.
Dinanzi a quella guardata aguzza che lei le rivolse, il tenente indietreggiò spaventato come se la ragazza possedesse la facoltà di usufruire del raro Haki del re imperatore con cui solo pochi eletti nascevano.
«Non è possibile. Tu, non puoi. Si, può sapere chi sei tu davvero?» le chiese in preda ad un snaturante panico.
Ayako però non aprì bocca.
Allungando una mano tramenante verso di lui, gli arpionò rudemente l’avambraccio per attivare il suo speciale potere empatico e lasciarsi costellare le iridi dorate da delle mistiche pagliuzze danzanti.
«Egoismo, cupidigia, ossessione, ipocrisia, empietà, superbia.» pronunciò come se stesse formulando un incantesimo. Non stava accadendo niente. Non si era alzato alcun vento invisibile intorno alla sua chioma riccia. Nessuna evanescenza inconsistente lo stava trascinando a se.
Erano solo la sua mano avvinghiata serratamente al suo avambraccio e quel suo sguardo velato, insostenibile da guardare, a dargli i brividi.
«Cosa mi stai facendo? Che razza di potere è mai questo?» Le domandò il tenente a cui cominciava a ballonzolare la mascella per il terrore.
«Sto leggendo dentro di te. La tua anima è putrida di sentimenti aberranti, non è rimasto neanche un goccio di umanità o luce in lei» la mano sinistra di Ayako lasciò la presa, ricadendogli smorta sul fianco.
«Uno come te non potrà mai farmi infrangere la promessa che ho fatto ad Akira. La proteggerò ad ogni costo» si sgolò, imponendosene mediante una voce alta sei volte la sua. Quella promessa era l’unica cosa che la teneva ancora legata a lui e non l’avrebbe mai tradito mai, anche a costo della sua stesa vita.
«Ci tieni così tanto a raggiungerlo?» le chiese retoricamente, assestandogli un altro calcio che la fece ritrovare a pancia in giù sul pavimento.
«Bene, ti accontenterò subito» le diede un ultimatum tramite l'estrazione del fianco destro della frusta e uno sguardo sanguinario nelle pupille serpentesche.
«Buon viaggio, stupida donna e salutami tanto mio figlio» le auspicò con il braccio sollevato in alto per caricare la potenza della frustata.
Ayako strizzò furiosamente le palpebre, pronta a sentire la schiena spazzarsi a contatto con quell’oggetto sadico, e quando il colpo atroce arrivò, lei non ebbe nemmeno il tempo di provarne dolore, perché era stato talmente violento da fargli perdere i sensi non qualche attimo dopo.
Di conseguenza a quello, Ayako tornò cosciente per due o tre volte cogliendo con il senso dell’udito frammenti di dialoghi scollegati tra di loro.
Nel primo caso avvertì una vampa di calore dirompente che razionalizzò come la presenza di Ace nei paraggi e il Marine che
Oh adesso, capisco. Te la stai lavorando per arrivare al frutto. Mi congratulo con te. Un comportamento da vero pirata”
Nel secondo, ripresa conoscenza per dei temporanei secondi, riconobbe la voce agitata del medico Deuce dire Dobbiamo medicarla immediatamente, Ace. Ho questa volta non supererà la sera”.
La terza e ultima volta in cui la sua coscienza si ridestò, a raggiungerla fu il pianto commiserato della madre e la sorellina che speravano nella sua salvezza.
Ayako rimase prima di coscienza per quasi una settimana, mostrando stati reattivi al dolore e gli spasmi muscolari.
Nel quinto giorno di incoscienza Ayako si agitò più del solito nel letto scandendo un sussurrato «Ace, io posso guarirti» nel delirio del sonno e la febbre.
A sentire quelle parole così ardentemente empatiche, Gli occhi di Deuce andarono a inchiodarsi su quelli del suo capitano, che sul volto aveva solidificato non uno sguardo diffidente, né restio, ma aveva scritto chiaro in faccia quanto quelle parole giungessero al suo orecchio come scorrettamente irrispettose.
Altri tre giorni passarono e in mezzo a tutti quei sogni deliranti in cui era finita, in uno dove era avvolta da ogni angolazione dal tepore di una luce estremamente accecante, a raggiungerla fu la voce che più gli stava a cuore.

Vivi Ayako” le disse con tenera premura.
Ormai per te è tempo di fare salpare il tuo cuore verso nuove avventure.” aggiunse quindi incorporeo.
«Akira» pronunciò lei sentendo un groppo in gola. Ayako percepiva la forte presenza dell’amico di fianco a lei, malgrado udisse la voce come distante mille galassie di pianeti.
Il bel tempo per te è ormai arrivato. Devi vivere, Ayako e andare dove ti porta il vento. Segui la sua voce come se fosse la mia e non potrai mai smarrirti in un sentiero fallace” approdò perciò al fondamento del suo insigne discorso, rendendo la sua voce sempre più febbrile, fino a renderla insussistente.
«No, Akira. Aspetta. Io, devo...chiederti, tante cose...Akira, per favore...non andare» si affrettò a proferire lei gettandosi in avanti verso la vibrazioni prodotte dalla sua voce, ma ciò che ne ricavò fu solo di precipitare oltre quegli abbaglianti fasci di luce, risvegliandosi gradualmente nella sussistenza ininterrotta del presente.
Quando le sue palpebre ripresero a sbattere e la sua vista ad assorbire le figure colorate che la circondavano, la baraonda di voci commosse e urlanti, le portò uno scampanellante mal di testa nel cervello.
«Ayako, puoi parlare?» le chiese quella che riconobbe a malapena come la voce di Deuce.
«S – si?» Ayako pose la domanda anche a se stessa così testare le sue attuali condizioni.
«Sai chi sei?» Deuce prosegui con il copione prassi da dottore.
«Si. Ayako» rispose basica.
«Perfetto. E dove ti trovi?»
«Nella mia stanza?» replicò lei raccattando il tono più acidamente cristallino che poteva.
«Ah, evviva la sorellina sta bene» esultò la sorellina con l’intento di gettarsene addosso per abbracciarla, ma fu presa in tempo dal padre che la bloccò a mezz’aria. La piccoletta perciò cominciò a dimenare piedi e gambe come se stesse avendo lezioni preparatorie di nuoto.
«Cos...cosa è successo?» domandò ai presenti portandosi la mano alla testa per il forte capogiro avuto.
«Come ci sono arrivata qui? Che ne è stato del tenente? E...quei miei sogni deliranti, erano davvero deliranti?» ragionò repentinamente, ma la sua mente era troppo debilitata e frastornata per poter riesumare impeccabilmente l’ordine cronologico degli avvenimenti accaduti.
«Lasciamo le indiscrezioni a dopo. Adesso devo visitarti, cara Ayako» le disse autorevole Deuce, chiedendo agli altri di lasciarli soli.
Il medico - scrittore fece un controllo accuratamente impeccabile delle condizioni fisiche e celebrali della ragazza, stabilendo che nonostante il prolungato risveglio, stesse subendo una prodigiosa guarigione.
Durante l’accertamento medico, però, Ayako seppe proprio tenere la lingua a posto.
«Quindi cosa è successo? Ricordo di essere stata colpita dalla frusta del tenente, ma poi da i miei ricordi diventano confusi e storpiati» nel provare a unire la testa cominciò a pulsargli ferocemente.
«Non sforzarti, Ayako. Sei ancora convalescente» gli suggerì con la tonalità paziente, ma allo stesso tempo di ammonizione della sua professione.
«D’accordo però tu mi dici cosa è successo comunque. No stress. Ascolterò solamente» davanti a quella insistenza Deuce non poté che sorridere eccitato perché la sua testardaggine eguagliava quella del suo capitano.
Perciò, il medico – scrittore riprese a fare la sua visita, fornendogli al contempo anche quei dettagli di avvenimenti di cui lei non aveva consapevolezza ed utili ad agganciare i frammenti dei flashback raccolti dalla sua mente.
«Quando siamo piombati nella stanza ti abbiamo trovata senza sensi in un pozza di sangue ed Ace è andato fuori di testa immediatamente. Il Marine ha cominciato a fargli accuse insensate come di non essere un uomo migliore di lui perché si era avvicinato a te per arrivare al Chiostro Chiostro. Ace però gli ha risposto che era un pirata e i pirati per etichetta fanno quello che gli pare senza dare conto a nessuno» Deuce non stava mentendo, perché nei contenuti assimilato dalla memoria di Ayako, quello era vividamente presente.
Oh adesso, capisco. Te la stai lavorando per arrivare al frutto. Mi congratulo con te. Un comportamento da vero pirata”. Ayako poté quindi distendere i nervi e restare a credere a tutto quello che le sarebbe stato raccontato.
«La situazione come puoi immaginare si è surriscaldata facilmente, ma Ace ha avuto la meglio, lasciandolo stramazzato al suolo»
«Quindi lui è….»
«Si, Ace se n’è sbarazzato. E finalmente anche l’isola che ne era vittima. Il giorno dopo una nave della Marina è venuta a prelevarlo e penso che marcirà nelle segrete del carcere che merita, quindi penso che fra qualche giorno arriverà il suo sostituto» Ayako fu satura di soddisfazione riguardo il resoconto impeccabile dei fatti di Deuce, ma sentiva che c’era ancora un buco mentale che gli appariva incomprensibilmente sfocato. Era come se fosse qualcosa di vitale importanza da dover ricordare con ogni grammo di ostinazione racimolata. E più si sforzava, più quel qualcosa, rischiava di sbiadirsi fino a cancellarsi dalla sua memoria, quindi essere irrecuperabile.
«Cos’è? Ricorda, Ayako. Sforzati di ricordare» ma l’unica cosa che riuscì a ricavarne fu un gravissimo mal di testa.
Fino a che Deuce.
«Adesso posso farti una domanda io?» si permise a interrogarla perché sopra ogni cosa c'era un secondo mistero che la sua curiosità bramava di scoprire.
«Certo» Ayako deglutì a vuoto, agitandosi sotto la pelle.
«Durante il tuo stato di incoscienza hai delirato più volte, ma una frase ci ha colpito più di tutte. “Ace io posso guarirti”» ripeté la testuale frase pronunciata da lei in quel inaspettato momento.
«Quella frase ci ha spiazzato per una serie di motivi e come capirai ci risulta parecchio incomprensibile. A cosa si riferiva, Ayako?»
«Io….» Ayako, si sentì messa sotto pressione e violata nell'orgoglio.
Molto probabilmente, durante la settimana di febbre alta, la sua guardia si era abbassata talmente tanto da fargli confessare i suoi sentimenti e pensieri più intimi. Però fornirgli una spiegazione era di suo obbligo.
Non solo perché lui la trattava da sua pari con sincerità, ma anche perché gli avevano salvato la vita già due volte.
«Io non so esattamente cosa sia, ma è una specie di potere con il quale sono nata»
«Che genere di potere?» le domandò Deuce terribilmente affascinato dalla cosa. Ayako spiegò sulla bocca un mezzo sorriso sbilenco e allungò la mano verso di lui.
«Lascia che te lo mostri» gli disse poggiandola sul suo polso. Così la ragazza ripeté l’azione precedentemente compiuta nel salotto del tenente, con la sola differenza che chiuse le palpebre, esercitò una stretta delicata e si vietò di usare un tono iracondo.

“Felicità, passione, amore. Vergogna, rabbia, Risentimento, speranza, ambizione, rifiuto, paura, gioia e preoccupazione“ enumerò con voce addolcita.
In mezzo a quelle fantastiliardi emozioni, focalizzò ancora “eccitazione, desiderio, attrazione” ma evitò di esporli per non mettere in uno strano imbarazzo entrambi.

«Come? Cosa hai fatto?» le chiese il ragazzo a occhi sbarrati.
«Io posso leggere l’anima delle persone. Percepire ogni emozione e sentimento che questa ha immagazzinato dal momento della nascita fino a quello in cui la tocco. Ma posso anche eseguire una sostituzione. Assorbire un loro sentimento dannoso e donargliene uno benevolo»
«E l’anima di Ace, è messa così male?» Deuce sapeva che Ace nascondeva un dolore considerevole all’ombra di quei suoi sorrisi pieni di vita, però non immaginava fosse nocivo a tal punto da spingere qualcuno con un potere simile a condividerne una gravosa parte.
«Al contrario. È la più luminosa e gentile che io abbia mai letto, ma c'è un ombra tenue di dolore tossico che tende ad oscurarne un parziale frammento» Ayako usò la metafora dell’eclissi solare per fargli comprendere il complesso esempio: durante il processo di eclissi solare, la luna compiva uno spostamento parallelo alla terra e la luminosa stella di fuoco, oscurandone un sostanzioso spicchio, ma non per questo il sole smetteva di emanare la sua abbagliante luce. Anzi la contornava con l’eguale intensità, rendendo quel fenomeno astronomico ancor più suggestivo davanti agli occhi di chi lo stava ad ammirare.
Lo stesso procedimento avveniva con l’anima e il dolore tossico di Ace.
Quella spiegazione fu sufficiente a far comprendere a Deuce in che stato perenne e reale fosse l’animo del suo capitano, ma quello che attualmente si stava chiedendo era «Ayako, sarebbe davvero disposta a compiere un gesto tanto nobile per lui?» il ragazzo avrebbe voluto tanto chiederglielo, ma non se la sentiva di metterla concretamente a disagio.
E poi la risposta si era già formata tramite il suo stesso arguto sorriso.
«Questa ragazza non smetterà mai di sorprendermi. È proprio come lui. Straordinaria e imprevedibile»
Dopo aver riposto il suo equipaggio medico, il ragazzo fu quindi per concedere ad Ayako un altro po’ di riposo, tuttavia non prima di sentirsi dire da Ayako che di non riferire niente ad Ace riguardo il suo potere e che se proprio avesse dovuto, se ne sarebbe incaricata lei stessa di parlargliene.
La sera si festeggiò la cacciata del viscido essere fino all’alba.
Benché Ayako fosse stato consentito di fare il minimo indispensabile – no alcolici o movimenti azzardati - trovo il suo bel angolo di divertimento tra risate argentine e siparietti di umoristi ubriachi.
Il giorno dopo, la prima cosa che Ayako fece fu di aprire il suo famoso cassetto in cui teneva nascoste sotto a due voluminosi tomi le taglie dei pirati più famigerati, ma anche, tra l’altro, una chiave nascosta dentro uno dei due insospettati tomi.
Il dover scavare un vano segreto dalla forma rettangolare all’interno delle sue pagine, le aveva spezzato il cuore, eppure si era rivelato un nascondiglio impeccabile.
Eccetto i lettori accaniti, i libri venivano calcolati di striscio dalla maggior parte delle persone e di conseguenza, ancora più in estinzione ne era quindi diventata l’azione di afferrarli per sfogliarli. La chiave infatti era stata al sicuro in tutti quegli anni come se fosse in una cassaforte di ferro cifrata.
«Ormai è giunto il momento. Devo disseppellirlo e fare ciò che Akira mi ha chiesto» ragionò sollevando la chiave argentata all’altezza delle pupille.
Quando Ayako raggiunse gli altri, li ringraziò pressapoco per una ventina di volte e informò cosa avesse in mente di fare quel pomeriggio, i pirati la guardarono con dissenso, tuttavia non declinarono i suoi programmi.
Solo su una cosa Deuce fu irremovibile: non avrebbe dovuto fare sforzi fisici inutili, e vuoi che per raggiungere il dirupo della memoria doveva stremare il corpo a prescindere, la ragazza avrebbe dovuto scendere al compromesso di essere portata in braccio da uno degli erculei maschioni della ciurma.
A candidarsi fu Ace, che se la caricò in spalla non subito dopo senza alcuna difficoltà.
In groppa alle spalle scottanti quanto piacevoli di Ace, Ayako si sentiva tremendamente a disagio, ma il ragazzo si pianto sulle labbra una dei suoi mega calorosi sorrisoni dicendogli che per lui era roba da niente.
La comitiva quindi ripercorse tutto l’itinerario fatto in precedenza, senza soste, né novelle al riguardo. E con un membro in meno del gruppo.
La sorellina – principessina – non aveva potuto unirsi a loro causa intoppo divieto dei genitori.
Una volta giunti nuovamente in cima al dirupo della memoria, quindi dinanzi alla tomba del tanto amato amico della ragazza, Ace le fece ritoccare terra con i piedi per lasciargliela raggiungere.
Il silenzio che compose quei minuti fu indefinibile.
Ayako, stava davanti alla tomba di Akira senza mostrare l’iniziativa di voler aprire un discorso.
Reduce di quella faticosa e terribile settimana, si godeva la libertà filantropica di non essere più braccata da un nemico potente.
Adesso poteva concedersi il lusso di condurre dei noiosissimi e caratteristici superflui giorni come quelli di una ragazza dozzinale. 
Adesso poteva concentrarsi sui suoi progetti futuri, lasciati in sospeso da ormai troppo tempo.
Adesso era arrivato il momento di affrontare un altro tema delicato della sua vita verso il quale nessuna volontà e parola di addio sarebbe stata bastante per separarsene.
E proprio allora, si decise a narrare i completi fatti riconducenti a sei anni fa.
La ragazza raccontò loro a era iniziato tutto come un sollazzo utopistico tra ragazzi, che li faceva sentire invincibili ed emancipati allo stesso modo di una ciurma di pirati navigata, ma che poco alla volta, tentativo dopo tentativo, si erano inimmaginabilmente avvicinati alla probabilità di un disseppellimento del tesoro che neanche loro avevano pronosticato.
E se pur la paura gli aveva divorato il respiro, il bisogno di proseguire verso il sentiero mentale prestabilito dalla lapalissiana deduzione dei ragazzi, era riuscita a sopprimerla.
Poi si arenò all’istante tanto sofferto e infine approdò al mistero che ancora oggi stregava e stuzzicava l’interesse sia degli abitanti, che i cercatori o pirati in visita all’isola.
Ayako, fece un’altra pausa.
Il venticello innocuo scostava le chiome dei ragazzi facendolo sembrare un funerale commemorativo a un uomo d’onere.
Quel momento silenziosa agiatezza, fu trinciato dalla voce placida di Deuce.
«Ayako» la chiamò perciò questo.
«Devo proprio chiedertelo» si dilungò  interpellandola con incertezza.
«Il tesoro è stato davvero sepolto in quest’isola da quel famoso pirata fuggiasco?»
«Si» sillabò lei asettica.
«E tu ed Akira l’avete trovato?»
«Si» rispose tracciandosi un sorriso nostalgico sulle labbra come tutte le volte che sentiva il nome dell’amico.
«E dove si trova adesso?»
«Dove l’avete nascosto tu e Akira?» riformulò la frase per renderla meno equivocabile.
«E’ qui, proprio davanti a noi, vero?» disse Ace improvvisamente, scioccando i presenti, tranne Ayako.
Il modo competente e risoluto con cui lo affermò, fece sembrare quell’enigma irrisolto, un qualcosa di puerile cognizione.
«Come? Come fai a saperlo, Ace?» lo interrogò Deuce sconvolto non solo dal che il frutto fosse stato sempre davanti ai loro occhi, ma che Ace fosse riuscito a capirlo con una naturalezza impareggiabile.
«Ho solo pensato che ci fosse un’altra ragione più vincolante che la portava a venire qui ogni giorno. E poteva essere solo una»
«Veniva qui per assicurarsi che il tesoro si trovasse ancora dove l’aveva nascosto» seguendo filo logico e accurato dei suoi pensieri.
«Si, il vostro capitano ha ragione» Ayako confermò la teoria di Ace con le pupille mestamente vacue.
«Il frutto è sempre stato custodito nell’unico posto in cui nessuno l’avrebbe mai cercato.
Quello più scontano, ma impensabile e perciò sicuro di tutti. Per tutto questo tempo, il tesoro è sempre rimasto con il suo secondo legittimo proprietario che l’ha ritrovato» confessò, emozionandosi al dover svelare quel suo peculiare segreto che per tutti quegli anni aveva gelosamente protetto.
Detto quello Ayako si inginocchio sul terreno roccioso, pronta a disseppellirlo.
Ma non potendo sforzarsi fisicamente, fece scavare una precisa porzione di terra vicino alla tomba e dopo dodici forzute vangate, Rey toccò qualcosa di duro.
Già inginocchiata lì davanti alla fossa, la ragazza raccolse l'oggetto legnoso e bombato nella sua parte superiore.
Nel rivederlo Ayako provò emozioni contrastanti come il risentimento, ma anche un’immensa tristezza e del benefico sollievo che quasi la fece ritrovare in lacrime.
Senza rendersene neanche conto, la ragazza si ritrovò a stringerlo sul suo seno, sentendo montare un groppo in gola.
«Akira» disse nostalgicamente, provando un sapore insipido sulla lingua. Poi si ricompose immediatamente, prendendo la chiave dalla borsa per girarla due volte nella serratura dello scrigno e quindi voltandosi verso gli altri.
«Ciurma» gli disse facendo emergere sulle labbra un sorriso più accecante della stella infuocata in cielo.
«Vi presento il frutto. Questo è il famigerato “Chiostro, Chiostro”» esponendo il frutto agli occhi smaniosamente eccitati dei pirati, ora tutti ammassati davanti alla ragazza in un unica bobina di braccia e gambe umane.
Il frutto aveva una forma parzialmente arrotondata che lo faceva somigliare ad una mela e la tipica fantasia a chiocciola dei frutti del mare, ma a differenziarlo dal succoso frutto - come il resto degli altri - erano l’evidente colore ardesia e le strisce orizzontali che ricordavano quelle di un foglio di quaderno a righe.
«E’ pazzesco» commentò Skull con per occhi due stelle.
«Devo dire che dal vivo rende meglio che su una pagina di libro» Mihar fece diede un parere più professionale.
«Perché non l’hai mangiato?» mentre Deuce si affidò al pratico.
«Io e Akira abbiamo fatto una promessa. Il frutto è di mia legittima proprietà perché l’ho trovato, ma se mai qualcuno lo reclamerà prima che io ne assuma i poteri, allora dovrà sfidarmi e vincere in un duello contro di me»
«E’ un compromesso intrigante» la cosa stimolò Deuce come se ci stesse pensando seriamente. E forse lo stava già programmando di fare a sedi opportune.
Ayako gli sorrise con una curva tremolante ed entusiasta.
Fu per mettersi in piedi da sola, ma Ace gli offri la mano per aiutarla ad alzarsi e quando lei la prese per issarsi, il ricordo di tutte le volte che Akira aveva compiuto lo stesso galante gesto, le investì la mente. Ma non fu tanto quello a scioccarla, quanto ciò che uscì in seguito dalla bocca mega sorridente del ragazzo.
«Unisciti a noi. Diventa un membro ufficiale della mia ciurma e solca i mari sotto la bandiera dei pirati di Picche» le propose a bruciapelo, senza interrompere il contatto saldo delle loro mani, quasi a dirgli che la reputava straordinaria a tal punto, da reclamarla fermamente nella sua ciurma di pirati.
«Siii! Miss! Vieni con noi» tripudiò con un grosso coro il resto dei pirati.
«Anche perché ormai, per quanto vale per me, io ti reputo un membro effettivo della nostra ciurma già da un pezzo» la esaltò intrepido Deuce.
A quella inaspettata richiesta, un monito di angoscia impedì alla ragazza di rispondere adeguatamente.
«Io...io...» incespicò per ritrovare il respiro smarrito.
«Io, non lo so» e dicendolo chiuse bruscamente lo scrigno come il discorso sottostante.



NOTE AUTRICE: Ma guardate un po' sono tornata con il quinto Capitolo dopo secoli? Ere? Comunque sorvolando su questo siete felici di poter leggere un nuovo capitolo della FF?
So che non si è visto lo scontro tra Ace e il tenente, ma volevo che fosse così il capitolo. E non preoccupatevi perché ci saranno tantissimi scontri già preveduti dalla mia mente a passo con le avventure dei pirati di Picche.
Che ne pensate di Ayako? Vi piace sempre di più o di meno? E del suo potere? Ora è chiaro che tipo di Haki sia no? Certo non ho inventato chissà che, ma l’idea che possa percepire le emozioni degli altri mi sembra una cosa figa.
Beh, pensate che accetterà la proposta di Ace? E Deuce la sfiderà a duello? Se e si chi vincerà?
Io sto amando molto scrivere questa FF e spero che sia di vostro gradimento in egual modo.
Beh, alla prossima, e ringrazio chi mi ha aggiunto alle varie opzioni di scelta, chi lo farà e chi legge silenziosamente.
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Alla prossima. Ciao, ciao.

 

 

 

   
 
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