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Autore: Calime    12/10/2020    1 recensioni
[Modern!AU + Age gap]
1) Quel party che Ade voleva snobbare - Se avesse avuto parecchi anni di meno – magari fosse stato un suo coetaneo –, Ade sarebbe arrossito per la vergogna di essere stato smascherato.
7) Il segno - C’era di mezzo una donna. Ade aveva una donna, per forza.
11) Waiting for Superman - «Senti, facciamo così: ti accompagno io a casa» le propose.
12) Distrazioni - Certo, poteva anche esserselo sognato – e solo gli dèi sapevano quanto e cosa, come, chi, sognasse ogni notte –, eppure ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
20) Più prezioso dell'oro - «Non vi pagheranno il riscatto» mormorò, poi, mettendo in chiaro quello che, probabilmente, sapeva bene anche lui.
23) Una giovane e impulsiva stagista - Ade alzò un angolo delle labbra, divertito. «Non risale alla scorsa settimana la tua ultima ramanzina?»
24) Insonnia - «È ancora presto»
25) Popolarità - Fu un gemito strozzato e Persefone alzò gli occhi su Ade, allarmata.
26) Creare la giusta atmosfera - «Così è troppo semplice» sbuffò.
Raccolta di storie scritte per l'iniziativa del Looktober 2020 di LandeDiFandom.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Persefone
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Looktober 2020'
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Iniziativa: Looktober 2020 di LandeDiFandom
Prompt: 12. Calze a rete
Note: Il titolo è preso da Waiting for Superman di Daughtry. Buona lettura :)








11. Waiting for Superman




«Persefone?»
Ade faticò a credere ai propri occhi, ma più le si avvicinava, più la luce dei lampioni e delle insegne rendeva nitida la sua figura.
Era proprio la figlia di Demetra, vestita e truccata così diversamente dal solito da renderla quasi una sconosciuta. Lo sguardo cadde, infatti, sulle sue calze a rete, un indumento che non credeva potesse appartenerle ma che, tuttavia, le davano un’aria particolarmente trasgressiva, provocante e… Voleva rimorchiare qualcuno, standosene lì fuori, in strada?
No, si rimbrottò. Niente gelosia non richiesta, né pensieri fuorvianti prima del tempo.
«Ade?» lo riconobbe lei.
Allora, si concentrò sul suo viso, sugli occhi rossi e sulla voce sottile, su tutti quegli indizi che preannunciavano qualcosa che non gli sarebbe piaciuto.
«Cosa ci fai qui?» le chiese atono.
Erano almeno le due di notte, un orario impensabile per stare ancora in giro, soprattutto per chi, come lei, aveva qualcuno che l’attendeva a casa – sua madre.
«Aspetto». Persefone distolse lo sguardo, un po’ stizzita.
E adesso cosa aveva detto di male?
«Non hai una bella cera» esternò.
Lei si voltò adirata. «Ma grazie! Che cosa vuoi? Spifferare tutto a mia madre?»
«No, ragazzina» la redarguì, infastidito. «Sono solo preoccupato per te. In mezzo alla strada, a quest’ora della notte! Non credi che chiunque si preoccuperebbe?»
Persefone sbatté le palpebre. «Sei strano».
«Io?» Ade rimase interdetto. Di tutte le accuse che poteva muovergli, giusto quella più assurda aveva scelto?
«Sì» confermò con un cenno. «Chiunque mi avrebbe approcciata. Soprattutto gli omuncoli della tua età».
«Oh, grazie» sibilò lui. Incrociò le braccia al petto e buttò gli occhi al cielo. «Allora penso che andrò da tua madre a dirle cosa stai facendo».
«No!» esclamò, allarmata. «Ti prego, non lo fare. Non è come credi» sussurrò.
Ade non era di certo nato ieri e, soprattutto, voleva davvero capire: Persefone sembrava un tipetto tranquillo e dal buon cuore… Cosa stava combinando, allora?
«Ero a ballare. Dovevo vedermi con una persona, ma non è andata come mi aspettavo. Si è fatto tardi e così… Eccomi qui».
«Eccoti qui» ripeté lui, ancora più basito.
«Sto aspettando un passaggio» gli spiegò con enfasi.
«Un taxi?» la corresse.
«Non posso permettermi un taxi!» sbottò lei come se fosse ovvio.
Ade non era certo di voler sentire altro. Gli stava per scoppiare la testa: aveva bisogno di dormire.
«Senti, facciamo così: ti accompagno io a casa» le propose.
Persefone sospirò un assenso. «Però, non subito».
Non ebbe voglia di litigare con lei, o costringerla a seguirlo. Così, si limitò a fare strada verso il luogo in cui aveva parcheggiato.

***

Dal finestrino dell’automobile le luci della costa si riflettevano sul mare scuro. Ade aveva scelto di imboccare l’autostrada con quello scopo: se le serviva del tempo per riflettere su chissà cosa, per chissà quale motivo, allora l’infinita distesa di acqua salata che si confondeva con il cielo notturno offriva la quiete desiderata.
Persefone sedeva scomposta: la testa affondata nelle spalle, era appoggiata contro il vetro, con le gambe accavallate. Solo in quel momento, a quella distanza e a causa dell’orlo dell’abito che era salito, si accorse di alcuni buchi e slabbrature sulle calze; poiché non sembravano essercene altrove, Ade dedusse che non fossero voluti. La rabbia l’aveva accecato per pochi secondi e, per calmarsi e non pressarla con le domande, aveva stretto con forza il volante.
L’autoradio era accesa, così da avere qualcosa che riempisse il silenzio, e brani dei Pink Floyd, Queen, Joan Jett, si susseguirono. Lei non protestò la scelta della musica, o, più probabilmente, non la stava neppure ascoltando.
«E, così,» attaccò, d’un tratto. «ti piace il rock. Ti facevo più un tipo da musica classica».
Ade ne fu sorpreso e alzò un angolo delle labbra. «Mi piace un po’ di tutto: musica classica, rock, pop…»
Persefone stirò la bocca in un’imitazione di sorriso, approvando con un cenno. «Avevi un appuntamento con una donna, vero?»
Lui si mosse a disagio per il veloce cambio di argomento, per la domanda personale, senza staccare gli occhi dalla strada.
«Altrimenti, non mi spiego cosa ci facessi tu in giro a quest’ora di notte» aggiunse.
La vera questione, ciò che gli premeva di più, era sapere di lei. Per esempio, se dovesse andare a casa di qualcuno e rompergli il muso – aveva il sentore di qualcosa di questo genere. Ma, probabilmente, se rivelava qualcosa lui, sarebbe riuscito a fare lo stesso con lei.
«Sì, avevo un appuntamento» confermò.
Persefone schioccò la lingua sul palato, soddisfatta di sé stessa per aver indovinato. «E lei com’è? Una tipa da calze a rete?»
Il volto di Ade espresse una tale confusione da farla ridacchiare leggera – ed era un bel passo avanti dalla malinconia che sembrava pervaderla.
«Come dire…» cercò di spiegarsi lei. «È folle? Audace? Oppure, al contrario, è una che va in giro tutta in tiro con aria sofisticata e da donna vissuta?»
«Quindi tu saresti un tipo audace?» le domandò lui, incuriosito e indicando con il mento le calze che indossava, sviando così la domanda.
Persefone scrollò le spalle. «Dipende. Stasera volevo mandare un certo messaggio al ragazzo con cui sto uscendo, ma ha deciso di mollarmi per una più grande».
Ade voleva chiederle quale fosse il “certo messaggio” a cui si riferiva, ma non era sicuro che la risposta gli sarebbe piaciuta e, decisamente, quella sera di Persefone stava scoprendo un lato diverso, nascosto, quasi oscuro, ma che la rendeva ancora più affascinante ai propri occhi.
No, era meglio indagare altrove.
«Nient’altro?» si arrischiò a domandarle.
«Cosa?» Persefone lo adocchiò, indecisa.
«Hai le calze strappate». E dirlo a voce alta gli parve peggio che pensarlo, sembrava stupido, sembrava qualcosa che non doveva chiederle, che non aveva il diritto di chiederle.
La ragazza arrossì e cercò di abbassare il vestito per coprirsi, ma, ormai che aveva visto tutto, era inutile.
«Non sei mio padre» brontolò sulla difensiva.
Ade non si offese soltanto perché la percepì come un paravento dietro al quale voleva nascondersi. E, poi, un po’ aveva ragione: lui non aveva l’autorità per porle questioni private. Né replicare: già l’aveva fatto all’inizio e il motivo era rimasto immutato.
Era preoccupato.
«Okay», si arrese lei con un sospiro. «Quando Adone se n’è andato con Afrodite – sì, proprio lei –, la pista da ballo sembrava il posto giusto dove sfogarsi. Purtroppo, lì stanno anche gli ubriachi e quelli che credono che tutte le ragazze muoiono dietro a loro, così… Sai, balli un po’ con chi ti hai intorno e questo ha allungato troppo le mani».
Ade inchiodò e Persefone si sentì sbalzata in avanti. Fortunatamente la frenata non era stata troppo brusca da farle sbattere la testa contro il portaoggetti della macchina.
«Ma sei pazzo?!» urlò.
«Scusa» fu tutto ciò che riuscì a dirle, mentre metteva di nuovo in moto.
«Scusa?!» ripeté lei, alterata. «Sei stato fortunato che non ci sia stato nessuno dietro! Oh, santi dèi!» Portò una mano alla fronte e si lasciò andare contro il sedile.
«Non mi è piaciuto» borbottò lui a denti stretti, riferendosi all’accaduto che lei aveva raccontato.
Persefone colse. «Pensi che a me sia piaciuto?» sbuffò, ironica. «No, ma non mi faccio prendere da tendenze suicide! Comunque, mi sono difesa ma è riuscito a rovinarmi le calze nuove, lo stronzo».
Bene, pensò Ade. Bene. Meglio così.
«Portami a casa, per favore» mormorò, stanca.
«Se è per-» cercò di giustificarsi lui, ma venne interrotto.
«No», lei scosse la testa. «No, ti ho già rubato troppo tempo. Portami a casa».
Entrambi rimasero in silenzio per tutto il viaggio.

***

Davanti casa di Demetra, Persefone si liberò dalla cintura di sicurezza e aprì la portiera per uscire, senza salutare, né ringraziamenti.
Richiuse subito, rimproverandosi per quella maleducazione. Poteva essere arrabbiata con Adone, con Afrodite, con il ragazzo che le aveva strappato le calze, ma Ade era stato l’unico a preoccuparsi per lei e ad assecondare i suoi capricci. Meritava più dell’ingratitudine che gli stava mostrando.
«Grazie» sospirò, calmandosi. «Ti ho costretto a scarrozzarmi in giro».
Ade la osservò ma non confermò, neppure la smentì, e Persefone si sentì come una specie rara di animale, una specie che lo incuriosiva e di cui sembrava voler scoprire tutte le caratteristiche.
Ne fu deliziata e divertita.
«Non sono affari che mi riguardano», cominciò, mettendo le mani avanti, «ma se la donna con cui sei stato oggi non ti fa venire voglia di dormirle accanto, allora dovresti lasciar perdere» gli consigliò.
Lui continuò a fissarla negli occhi vispi, intrigato dal suo acume.
«Chi ti dice che ho una storia con lei?» chiese, infine.
Persefone sorrise, vittoriosa. «Non mi sembri il tipo da una notte e via».
Messo così allo scoperto, Ade non ebbe modo di replicare, ma soltanto di pensare a dove, come, lei avesse imparato a leggere le persone, a leggere lui, così bene.
«Sei troppo buono» continuò Persefone, accarezzandogli un lato del viso. «Però, in questo modo, ti stai facendo del male. E ne fai anche a lei».
Ade la lasciò avvicinare e chiuse gli occhi, respirando il profumo dei suoi capelli.
Se solo…
Ma non poteva.
Persefone lo baciò sulla guancia e uscì. Lo salutò con un ultimo cenno della mano, prima di dargli le spalle.
Ade la seguì con gli occhi finché non scomparve dietro al portone di casa.







   
 
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