Iniziativa: Looktober 2020 di LandeDiFandom
Prompt: 12. Calze a rete
Note: Il titolo è preso da Waiting for Superman di Daughtry. Buona lettura :)
11. Waiting for Superman
«Persefone?»
Ade faticò a credere ai propri occhi, ma più le
si avvicinava, più la luce dei lampioni e delle insegne
rendeva nitida la sua figura.
Era proprio la figlia di Demetra, vestita e truccata così
diversamente dal solito da renderla quasi una sconosciuta. Lo sguardo
cadde, infatti, sulle sue calze a rete, un indumento che non credeva
potesse appartenerle ma che, tuttavia, le davano un’aria
particolarmente trasgressiva, provocante e… Voleva
rimorchiare qualcuno, standosene lì fuori, in strada?
No, si rimbrottò. Niente gelosia non richiesta,
né pensieri fuorvianti prima del tempo.
«Ade?» lo riconobbe lei.
Allora, si concentrò sul suo viso, sugli occhi rossi e sulla
voce sottile, su tutti quegli indizi che preannunciavano qualcosa che
non gli sarebbe piaciuto.
«Cosa ci fai qui?» le chiese atono.
Erano almeno le due di notte, un orario impensabile per stare ancora in
giro, soprattutto per chi, come lei, aveva qualcuno che
l’attendeva a casa – sua madre.
«Aspetto». Persefone distolse lo sguardo, un
po’ stizzita.
E adesso cosa aveva detto di male?
«Non hai una bella cera» esternò.
Lei si voltò adirata. «Ma grazie! Che cosa vuoi?
Spifferare tutto a mia madre?»
«No, ragazzina» la redarguì,
infastidito. «Sono solo preoccupato per te. In mezzo alla
strada, a quest’ora della notte! Non credi che chiunque si
preoccuperebbe?»
Persefone sbatté le palpebre. «Sei
strano».
«Io?» Ade rimase interdetto. Di tutte le accuse che
poteva muovergli, giusto quella più assurda aveva scelto?
«Sì» confermò con un cenno.
«Chiunque mi avrebbe approcciata. Soprattutto gli omuncoli
della tua età».
«Oh, grazie» sibilò lui.
Incrociò le braccia al petto e buttò gli occhi al
cielo. «Allora penso che andrò da tua madre a
dirle cosa stai facendo».
«No!» esclamò, allarmata. «Ti
prego, non lo fare. Non è come credi»
sussurrò.
Ade non era di certo nato ieri e, soprattutto, voleva davvero capire:
Persefone sembrava un tipetto tranquillo e dal buon cuore…
Cosa stava combinando, allora?
«Ero a ballare. Dovevo vedermi con una persona, ma non
è andata come mi aspettavo. Si è fatto tardi e
così… Eccomi qui».
«Eccoti qui» ripeté lui, ancora
più basito.
«Sto aspettando un passaggio» gli spiegò
con enfasi.
«Un taxi?» la corresse.
«Non posso permettermi un taxi!» sbottò
lei come se fosse ovvio.
Ade non era certo di voler sentire altro. Gli stava per scoppiare la
testa: aveva bisogno di dormire.
«Senti, facciamo così: ti accompagno io a
casa» le propose.
Persefone sospirò un assenso. «Però,
non subito».
Non ebbe voglia di litigare con lei, o costringerla a seguirlo.
Così, si limitò a fare strada verso il luogo in
cui aveva parcheggiato.
***
Dal finestrino dell’automobile le luci della costa si
riflettevano sul mare scuro. Ade aveva scelto di imboccare
l’autostrada con quello scopo: se le serviva del tempo per
riflettere su chissà cosa, per chissà quale
motivo, allora l’infinita distesa di acqua salata che si
confondeva con il cielo notturno offriva la quiete desiderata.
Persefone sedeva scomposta: la testa affondata nelle spalle, era
appoggiata contro il vetro, con le gambe accavallate. Solo in quel
momento, a quella distanza e a causa dell’orlo
dell’abito che era salito, si accorse di alcuni buchi e
slabbrature sulle calze; poiché non sembravano essercene
altrove, Ade dedusse che non fossero voluti. La rabbia
l’aveva accecato per pochi secondi e, per calmarsi e non
pressarla con le domande, aveva stretto con forza il volante.
L’autoradio era accesa, così da avere qualcosa che
riempisse il silenzio, e brani dei Pink Floyd, Queen, Joan Jett, si
susseguirono. Lei non protestò la scelta della musica, o,
più probabilmente, non la stava neppure ascoltando.
«E, così,» attaccò,
d’un tratto. «ti piace il rock. Ti facevo
più un tipo da musica classica».
Ade ne fu sorpreso e alzò un angolo delle labbra.
«Mi piace un po’ di tutto: musica classica, rock,
pop…»
Persefone stirò la bocca in un’imitazione di
sorriso, approvando con un cenno. «Avevi un appuntamento con
una donna, vero?»
Lui si mosse a disagio per il veloce cambio di argomento, per la
domanda personale, senza staccare gli occhi dalla strada.
«Altrimenti, non mi spiego cosa ci facessi tu in giro a
quest’ora di notte» aggiunse.
La vera questione, ciò che gli premeva di più,
era sapere di lei. Per esempio, se dovesse andare a casa di qualcuno e
rompergli il muso – aveva il sentore di qualcosa di questo
genere. Ma, probabilmente, se rivelava qualcosa lui, sarebbe riuscito a
fare lo stesso con lei.
«Sì, avevo un appuntamento»
confermò.
Persefone schioccò la lingua sul palato, soddisfatta di
sé stessa per aver indovinato. «E lei
com’è? Una tipa da calze a rete?»
Il volto di Ade espresse una tale confusione da farla ridacchiare
leggera – ed era un bel passo avanti dalla malinconia che
sembrava pervaderla.
«Come dire…» cercò di
spiegarsi lei. «È folle? Audace? Oppure, al
contrario, è una che va in giro tutta in tiro con aria
sofisticata e da donna vissuta?»
«Quindi tu saresti un tipo audace?» le
domandò lui, incuriosito e indicando con il mento le calze
che indossava, sviando così la domanda.
Persefone scrollò le spalle. «Dipende. Stasera
volevo mandare un certo messaggio al ragazzo con cui sto uscendo, ma ha
deciso di mollarmi per una più grande».
Ade voleva chiederle quale fosse il “certo
messaggio” a cui si riferiva, ma non era sicuro che la
risposta gli sarebbe piaciuta e, decisamente, quella sera di Persefone
stava scoprendo un lato diverso, nascosto, quasi oscuro, ma che la
rendeva ancora più affascinante ai propri occhi.
No, era meglio indagare altrove.
«Nient’altro?» si arrischiò a
domandarle.
«Cosa?» Persefone lo adocchiò, indecisa.
«Hai le calze strappate». E dirlo a voce alta gli
parve peggio che pensarlo, sembrava stupido, sembrava qualcosa che non
doveva chiederle, che non aveva il diritto di chiederle.
La ragazza arrossì e cercò di abbassare il
vestito per coprirsi, ma, ormai che aveva visto tutto, era inutile.
«Non sei mio padre» brontolò sulla
difensiva.
Ade non si offese soltanto perché la percepì come
un paravento dietro al quale voleva nascondersi. E, poi, un
po’ aveva ragione: lui non aveva
l’autorità per porle questioni private.
Né replicare: già l’aveva fatto
all’inizio e il motivo era rimasto immutato.
Era preoccupato.
«Okay», si arrese lei con un sospiro.
«Quando Adone se n’è andato con Afrodite
– sì, proprio lei –, la pista da ballo
sembrava il posto giusto dove sfogarsi. Purtroppo, lì stanno
anche gli ubriachi e quelli che credono che tutte le ragazze muoiono
dietro a loro, così… Sai, balli un po’
con chi ti hai intorno e questo ha allungato troppo le mani».
Ade inchiodò e Persefone si sentì sbalzata in
avanti. Fortunatamente la frenata non era stata troppo brusca da farle
sbattere la testa contro il portaoggetti della macchina.
«Ma sei pazzo?!» urlò.
«Scusa» fu tutto ciò che
riuscì a dirle, mentre metteva di nuovo in moto.
«Scusa?!» ripeté lei, alterata.
«Sei stato fortunato che non ci sia stato nessuno dietro! Oh,
santi dèi!» Portò una mano alla fronte
e si lasciò andare contro il sedile.
«Non mi è piaciuto» borbottò
lui a denti stretti, riferendosi all’accaduto che lei aveva
raccontato.
Persefone colse. «Pensi che a me sia piaciuto?»
sbuffò, ironica. «No, ma non mi faccio prendere da
tendenze suicide! Comunque, mi sono difesa ma è riuscito a
rovinarmi le calze nuove, lo stronzo».
Bene, pensò Ade. Bene. Meglio così.
«Portami a casa, per favore» mormorò,
stanca.
«Se è per-» cercò di
giustificarsi lui, ma venne interrotto.
«No», lei scosse la testa. «No, ti ho
già rubato troppo tempo. Portami a casa».
Entrambi rimasero in silenzio per tutto il viaggio.
***
Davanti casa di Demetra, Persefone si liberò dalla cintura
di sicurezza e aprì la portiera per uscire, senza salutare,
né ringraziamenti.
Richiuse subito, rimproverandosi per quella maleducazione. Poteva
essere arrabbiata con Adone, con Afrodite, con il ragazzo che le aveva
strappato le calze, ma Ade era stato l’unico a preoccuparsi
per lei e ad assecondare i suoi capricci. Meritava più
dell’ingratitudine che gli stava mostrando.
«Grazie» sospirò, calmandosi.
«Ti ho costretto a scarrozzarmi in giro».
Ade la osservò ma non confermò, neppure la
smentì, e Persefone si sentì come una specie rara
di animale, una specie che lo incuriosiva e di cui sembrava voler
scoprire tutte le caratteristiche.
Ne fu deliziata e divertita.
«Non sono affari che mi riguardano»,
cominciò, mettendo le mani avanti, «ma se la donna
con cui sei stato oggi non ti fa venire voglia di dormirle accanto,
allora dovresti lasciar perdere» gli consigliò.
Lui continuò a fissarla negli occhi vispi, intrigato dal suo
acume.
«Chi ti dice che ho una storia con lei?» chiese,
infine.
Persefone sorrise, vittoriosa. «Non mi sembri il tipo da una
notte e via».
Messo così allo scoperto, Ade non ebbe modo di replicare, ma
soltanto di pensare a dove, come, lei avesse imparato a leggere le
persone, a leggere lui, così bene.
«Sei troppo buono» continuò Persefone,
accarezzandogli un lato del viso. «Però, in questo
modo, ti stai facendo del male. E ne fai anche a lei».
Ade la lasciò avvicinare e chiuse gli occhi, respirando il
profumo dei suoi capelli.
Se solo…
Ma non poteva.
Persefone lo baciò sulla guancia e uscì. Lo
salutò con un ultimo cenno della mano, prima di dargli le
spalle.
Ade la seguì con gli occhi finché non scomparve
dietro al portone di casa.