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Autore: _Lightning_    16/10/2020    5 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Episodio 3
LA SPIA

Parte III

 




 
“Erano solo un souvenir, parola mia! Che kriff dovrei farmene di un mucchio di cristalli colorati?
Riprendeteveli pure: vorrà dire che avrò più posto nella stiva!”

— Bator, mercante Altoriano, durante un’ispezione Imperiale su Eriadu
poco prima di essere deportato nelle miniere di Kessel per contrabbando

 
 


 
Spazioporto di Kaha, Pianeta Awath, 9ABY
 
«E gli hai sparato?»

«Sì.»

Un battito di silenzio accompagnò quella conferma, e Cara si mosse appena sul sedile del copilota, ripiegando una gamba sotto di sé. Si chiese blandamente perché non si sentisse scioccata, ma la risposta non era celata abbastanza bene da poterla ignorare. Così come era difficile ignorare l’aura elettrica emanata dal Mandaloriano. Nella loro breve conoscenza, non poteva dire di averlo mai visto nervoso, ma adesso la tensione dei suoi muscoli contratti pareva increspare l’aria come fosse acqua.

«Avrei fatto lo stesso, probabilmente,» soffiò via quindi, fissando la striscia di stelle che s’intravedeva dalla bocca semichiusa dell’hangar.

Era strano vederle oltre il vetro, da fermi. Sembravano pronte a balzare in avanti per trasformarsi in scie luminose da un momento all’altro, nonostante la Crest fosse ben ancorata al suolo basaltico di Awath.

«Sì,» concordò di nuovo Mando, leggermente più roco del solito e col visore fisso sulla plancia di comando.

«Ma?» lo incalzò quindi, rivolgendosi verso di lui.

Non riusciva a dire se la stesse guardando di sottecchi o meno. Aveva le spalle incurvate, e il collo inclinato in una linea rigida.

«Ma non…» si interruppe, cogliendola di sorpresa con quell’esitazione non camuffata, poi sfruttò lo slancio di un sospiro profondo per gettare fuori il resto della frase: «… non è questa, la Via.»

Cara ebbe l’impressione che Mando stesse seguendo le linee di un discorso molto più ampio e a lei ignoto. Strinse le braccia al petto, incassando il mento contro il bordo della corazza mentre rifletteva su quell’ultima affermazione ben conosciuta, uno scudo di circostanza che il Mandaloriano sembrava porre tra sé stesso e tutto il resto per proteggere il suo mondo.

E in quel momento il suo mondo, già decimato da nemici che potevano annidarsi ovunque nella Galassia, si riduceva a lui e il Bambino, ed era racchiuso nello scafo della Razor Crest. L’esserino verde emise un lamento basso che attirò l’attenzione di Mando per un breve istante, per poi essere classificato come non allarmante. Cara indicò la culla con un cenno del mento oltre la spalla.

«Se fosse stato davvero un Imperiale che vi dava la caccia, a quest’ora ti staresti pentendo di non aver sparato.»

Mando sembrò trattenere l
’impulso di scuotere la testa, limitandosi a un impercettibile scatto laterale.

«Mi è stato insegnato a pensare e chiedere, prima di sparare. A fare il contrario solo se in pericolo.»

Cara gli rivolse un’occhiata interdetta. Quello che aveva appena sentito non suonava come un dettame logico, almeno non per un Mandaloriano.

«È quello che hai fatto.»

«Non ero in pericolo. E ho quasi ammazzato un...» s
’interruppe, stringendo i braccioli del sedile con nervosismo crescente. «... un potenziale alleato.»

Cara aumentò la stretta delle braccia incrociate. La sua spiegazione su chi fosse esattamente questo Scorch era stata a dir poco confusa. Un Clone, aveva detto, e un ex-Imperiale dalla fedeltà dubbia, ma, come adesso, sembrava girare costantemente attorno a una parola ben specifica per definirlo, rifiutandosi di pronunciarla: Mandaloriano.

T
irò la bocca in una smorfia incerta: lei, del popolo di Mandalore e dei suoi trascorsi, sapeva meno di niente, e ricordava solo vagamente i Cloni. Erano ricordi sbiaditi degli ultimi mesi di guerra e dei primi anni d’Impero, quando era troppo piccola per capire cosa fosse un’occupazione militare. Aveva comunque intuito che quel conflitto avesse colpito direttamente Mando, e che lui fosse stato abbastanza grande, all’epoca, da ricordarlo meglio di lei – il suo astio verso i droidi era un indizio lampante – ma non aveva idea di cosa ne pensasse dell’altra fazione in campo, degli uomini che, da quel poco che sapeva lei, erano stati spediti al macello.

«E adesso ci stai pensando,» constatò infine, evitando di approfondire la questione, di certo dolorosa per entrambi.

Il silenzio dell
altro suonò assenso. Cara reclinò la nuca contro il poggiatesta, schioccando sommessamente le labbra prima di parlare.

«A me, invece, hanno insegnato che quando si spara, si spara. Non si parla. Sinceramente, sono più contenta che tu abbia agito così, per il bene di tutti.»

Mando in tutta risposta tacque ancora, per poi alzarsi in un solo, determinato movimento accompagnato dal fruscio del mantello e delle giunture in cuoio dell’armatura che si piegavano. Le rivolse un cenno del casco indecifrabile, che lei volle vedere come un segno che stesse cercando di accogliere le sue parole – ma anche che la discussione, per il momento, era chiusa.

«Dovremmo muoverci,» annunciò infatti, di nuovo imperturbabile, avvicinandosi quindi alla culla del Bambino e accovacciandosi là davanti.

Rimase per qualche istante così, come se i due stessero intrattenendo una conversazione silenziosa – e per quanto ne sapeva lei, poteva anche essere così. Mando non le aveva ancora riferito alcun progresso sulla ricerca del luogo d’origine del Bambino, e giudicò inopportuno chiederglielo ora, prima di un lavoro e in un frangente così teso. Ma lo stato di turbamento in cui l’aveva trovato non lasciava presagire buone nuove, e sapeva che gliel
’avrebbe detto immediatamente. Si alzò a sua volta, sgranchendosi le spalle e rivolgendo un mezzo sorriso al piccolo quando ruotò il capo verso di lei.

«Dove ci aspetta il tuo contatto?»

«Nelle miniere di Kaha.»

«Un po’ vago. C’è un ologramma di taglia?»

«No, niente ologrammi. Non funziona così, in questo giro. Il localizzatore ci porterà dal richiedente,» affermò Mando, mettendo in vista il dispositivo lampeggiante. «Da lì in poi ci daranno istruzioni loro per la vera taglia.»

Cara annuì, ma serrò appena le labbra in un moto inquieto, a dispetto della pacatezza dell’altro. Non le era mai piaciuto entrare in territorio inesplorato, e doveva ancora venire del tutto a patti con l
’idea di essere ora una cacciatrice di taglie. Mando aveva individuato una taglia illegale lì su Awath, ed era sembrato inspiegabilmente incline ad accettarla rispetto a lavori più puliti, ma anche meno redditizi.

«Non è la prima volta, per me. So come muovermi,» le disse Mando, come leggendole nel pensiero, mentre si avviava alla scaletta che sprofondava sottocoperta.

Lo sguardo di Cara corse d’istinto al Bambino, subito seguito da quello di Mando. L’eco flebile di un versetto infantile risuonò nella cabina di pilotaggio.

«Non è nemmeno la seconda volta,» si limitò a dire Mando con, le sembrò, l’ombra di una reticenza mal camuffata.

Immaginava che non rivangasse volentieri il momento in cui era stato lui, a dare la caccia al Bambino. Il casco sparì oltre il boccaporto con un baluginio di beskar, seguito dal tonfo degli stivali corazzati contro il pavimento metallico della nave quando saltò gli ultimi gradini; Cara lo seguì a ruota, trovando il compagno già di fronte all’armadio pressurizzato delle armi.

«Gideon, o chi per lui, non assolderebbe cacciatori registrati nella Gilda, per trovarvi… così entri nel suo territorio,» si decise a commentare infine, dando voce ai suoi dubbi, ma non ottenne reazione. «Forse faresti meglio ad attenerti alle taglie legali, come su Zygerria e Altora.»

Mando tolse dal supporto il suo fidato fucile Amban, lo imbracciò verificandone l’allineamento e lo agganciò quindi alla fondina da schiena. Sembrò prendersi più tempo del solito per rispondere, mantenendosi nella zona più in ombra della stiva male illuminata.

«Non se dobbiamo lavorare insieme.»

Cara spostò impaziente il peso da un piede all’altro: si era aspettata una risposta simile.

«Karga mi ha inserito nel registro sotto falso nome. È improbabile che la Repubblica sia così interessata a me da mettersi a indagare. Non sono un pezzo grosso.»

«Preferisco non correre rischi,» replicò lui, in modo insolitamente sbrigativo, quasi brusco.

«Il fatto stesso di avermi contattata è un rischio, se credi davvero che vi stiano cercando.»

«Lo credo davvero,» sottolineò lui, voltandosi a guardarla quasi di scatto. «E so che è stato un rischio coinvolgerti.»

Cara attese il “ma” in arrivo, con la netta impressione che Mando fosse molto riluttante a pronunciarlo, per motivi che non riusciva a figurarsi. Se già normalmente era difficile leggerlo, adesso la sua cripticità le dava l’impressione di relazionarsi con una specie che si muoveva su uno spettro comunicativo molto diverso da quello umano. Era abbastanza sicura che Mando fosse un essere umano, ma non ne aveva la certezza assoluta: per quanto ne sapeva, sotto quel casco poteva esserci un Trandoshano insolitamente garbato e versato nel Basico.

Mando sistemò il blaster appeso alla cintura, indugiando sul calcio e serrando le dita su di esso in un’onda ritmica e cadenzata, poi rialzò il visore verso di lei.

«Ma ho bisogno di qualcuno che mi guardi le spalle.»

Cara abbassò per una frazione di secondo gli occhi, quasi percependo quelli di Mando che la fissavano direttamente da dietro il beskar. Non era tipo da sprecare parole per girare attorno ai fatti, né si era fatto problemi in passato nel chiedere aiuto a lei e a Kuiil, ma non si sarebbe mai aspettata un’ammissione di quel tipo. Le diede solo un’idea più chiara di quanto, davvero, fosse sul chi vive dopo l’incontro-scontro con quell’ex-Imperiale. Addirittura, spaventato. Iniziava a provare un’inquieta curiosità: da parte di qualcuno che aveva affrontato un mudhorn a mani nude, quell’atteggiamento non era rassicurante.

Ma decise comunque che il momento delle chiacchiere era finito: si piantò con decisione le mani sui fianchi, annuendo nel riportare lo sguardo fermo sul compagno.

«Tanto la mia “pensione” è finita da un pezzo,» asserì, gettando tra loro un mezzo sorriso mentre si avvicinava con una singola falcata allo schieramento di blaster di fronte a lei.

Socchiuse gli occhi, studiando uno ad uno i vari pezzi meticolosamente mantenuti. Mando le diede un colpetto sul gomito, in un goffo invito.

«Scegli quello che vuoi. Vado a sistemare il Bambino.»

«Starà bene, qui?»

L’esitazione da parte del Mandaloriano la indusse a voltarsi verso di lui, fermo con un piede puntato su un piolo della scaletta.

«Verrà con noi.»

Il fatto di schiudere la bocca al colmo della sorpresa sfuggì totalmente al controllo di Cara.

«Come, scusa?»

«Dove vado io, va lui,» concluse stoicamente Mando, sparendo nella cabina di pilotaggio senza un ulteriore commento.

Ma, nell’occhiata invisibile che le indirizzò poco prima di sparire oltre il boccaporto, Cara poté quasi cogliere un irremovibile “ho parlato”.
 
 
 
 
 
Miniere di Kaha, Pianeta Awath
 
Gli speeder sfrecciavano a rotta di collo nell’oscurità. Mando, di fronte a lei, veniva inghiottito ad ogni battito di ciglia dal buio, un’impressione frutto dell’alternanza tra luce e ombra creata dalle potenti lampade incassate a intervalli regolari nelle pareti del tunnel. Quell’intermittenza le ricordò in modo imprevisto le strade chiassose di Crevasse City, annidata nel canyon che le dava il nome e irrorata comunque dalle luci vivaci di locali, veicoli e lampioni. Strinse la presa sul manubrio e ruotò un polso, divorando il distacco tra lei e il Mandaloriano come se la velocità potesse sfilarle di testa quelle immagini.

Si affiancò all’altro speeder e colse uno scorcio del Bambino che, saldamente ancorato alla sua culla sul portapacchi, si godeva il vento sotterraneo con un sorriso estatico a far da raccordo tra le orecchie svolazzanti. Bastò a distrarla, come se qualcuno avesse passato una mano sul vetro appannato dei ricordi restituendole una visione limpida.

«Destra al prossimo bivio,» gracchiò Mando attraverso il comlink, e Cara s’inclinò di conseguenza sul sellino, assecondando la curva del tunnel in leggera pendenza.

Erano partiti da poco meno di una decina di minuti, e iniziava a prendere coscienza delle tonnellate e tonnellate di roccia, terra e salgemma compresse sopra la sua testa. I massicci puntellamenti in durasteel che costellavano l’arco del tunnel davano una relativa impressione di stabilità, ma non poteva dire di sentirsi a suo agio, soprattutto non dopo il claustrofobico incarico su Bespin. Almeno il ginocchio, dopo generosi impacchi di bacta, aveva smesso di dolerle... aveva l’impressione che la taglia corrente le avrebbe richiesto ogni briciolo d’energia.

«Cosa diceva il chit?» chiese, attraverso il comlink.

Un repulsorcraft da trasporto carico di sale grezzo comparve sulla loro traiettoria, e si divisero in sincrono per evitarlo, riaffiancandosi in un’onda controllata.

«Ricerca e recupero.»

A Cara scappò uno sbuffo sarcastico.

«È un vostro codice?»

«Di solito, in questo ambiente vuol dire “caccia e terminazione”
.»

«Almeno è un lavoro familiare,» commentò lei, un attimo prima che un lieve dosso del terreno facesse sobbalzare entrambi gli speeder; ripresero la traiettoria senza scarti, assecondando il dislivello. «Quasi spero che siano Imperiali in fuga

Mando si schiarì la voce in modo udibile, forse camuffando il suo cinico divertimento a quell’improbabile possibilità, senza esprimersi. Ma Cara sapeva che, su quel fronte, erano sulla stessa lunghezza d’onda. Dopo Nevarro, l’idea di piantare un colpo di blaster in un casco Imp si era fatta molto più allettante – ma dopo ciò che il compagno le aveva raccontato su quello Scorch, era ancor più convinta che il Mandaloriano avesse non poca tensione da scaricare. Meglio su delle vere teste di secchio che su potenziali malcapitati e alleati.

Proseguirono lungo l’ampio tunnel per ancora un paio di chilometri, e sulle pareti levigate iniziarono a far capolino delle spigolose formazioni di salgemma dalle tinte più bizzarre: dal verde smeraldo al turchese, dal giallo paglierino al violetto. I colori sfrecciavano in striature variopinte accanto a loro, sfumati dalla velocità: era come attraversare un arcobaleno solido e cangiante. Un’insegna lampeggiante in Aurebesh con due elettropicconi incrociati li avvisò di essere entrati nella zona mineraria attiva, ed entrambi ridussero la velocità per schivare i mezzi da trasporto e i minatori che sbucavano dai montacarichi, o in in cammino tra un sito d’estrazione e l’altro.

Mando chiuse svelto la culla e Cara s’incolonnò dietro di lui, lasciandogli la guida nello zigzagare tra i vari ostacoli, viventi e non, che si paravano dinanzi a loro. Il luccichio del salgemma rifrangeva i fari degli speeder, gettando brillii sulle pareti tempestate di cristalli salini. Il loro passaggio non destò troppa curiosità, ma la maggior parte degli sguardi si appuntò prevedibilmente sul Mandaloriano.

Dopo un paio di deviazioni dal percorso principale e altrettante svolte in tunnel secondari progressivamente più stretti e meno illuminati, si trovarono a percorrere a passo d’uomo un condotto quasi tubolare, con il soffitto sin troppo vicino alle loro teste; Cara si appiattì più che poté sul manubrio, invidiando per una volta l’elmo in beskar di Mando.

Sbucarono in quella che sembrava un’area di manutenzione o smistamento in disuso: due montacarichi mastodontici si aprivano su una parete altrimenti cieca, e dei macchinari di lavorazione erano stipati in un angolo, coperti da teloni in ceraplast macchiati di ruggine e verderame. Lampade sfarfallanti gettavano una luce asfittica, ingigantendo le asperità della roccia. Mando arrestò lo speeder nel mezzo dello spiazzo, scrutando con un palmo già sul blaster il localizzatore che lampeggiava rapido.

«Dovrebbe essere...» cominciò piano, continuando a sfruttare il comlink, ma un rumore ben conosciuto fece balzare entrambi giù dagli speeder ad armi spianate e puntate nella penombra, verso il clic di una sicura rimossa alle loro spalle.

Le bocche di una buona dozzina di blaster li fissarono di rimando, impugnati da altrettante sagome umanoidi – per lo più Verpine, a giudicare dalle loro silhouette contorte. Cara avvertì in Mando la stessa sorpresa che colse lei nel modo in cui fece scattare rapido la testa da un capo all’altro dell’ambiente, in cerca del punto d’origine dei nuovi arrivati. L’ombra appena accennata di una miriade di piccoli cunicoli che punteggiavano la parete a varie altezze diede loro risposta.

Mando, la canna del blaster ben allineata con la testa di un Rodiano più avanzato, sollevò lentamente il localizzatore, che adesso lampeggiava frenetico.

«Siamo la ditta di “ricerca e recupero
,» proruppe Cara, a sua volta senza abbassare l’arma.

Il Rodiano sotto tiro si fece più avanti, rivelando la pelle squamosa dai riflessi violacei e gli immensi occhi in cui nuotavano brillii simili a galassie. Si appuntarono fissamente sull’elmo del Mandaloriano e sembrarono scrutare a fondo il suo visore e la sua armatura, finché non si decise ad abbassare il blaster e rinfoderarlo, intimando lo stesso al resto dei suoi sgherri.

«C’è stato un malinteso,» disse poi, con voce nasale e lievemente stridula, riservando a lei e al suo tatuaggio da shock-trooper un’occhiata penetrante.

A loro volta rinfoderarono con circospezione le armi, anche se nessuno dei due schiodò il palmo dalla fondina. Non sapeva che tipo di “malinteso” intendesse, ma era un motivo in più per non abbassare la guardia.

«Zetz,» disse il Rodiano con una scrollata delle tozze antenne, e solo dopo qualche istante Cara realizzò che quello non era un qualche verso di derisione, ma il suo nome.

«Syn,» replicò pronta lei, mettendo a frutto l’identità fittizia e poco originale fornitale da Karga. Tanto valeva iniziare a farsi un nome. «E non siamo qui per i convenevoli,» aggiunse, quando Mando non accennò a intervenire né a voce né via comlink, intuendo che le stesse lasciando il volante nella trattativa.

«Bene. Anche noi abbiamo una certa urgenza,» concordò Zetz, storcendo la bocca a ventosa in quella che poteva essere una smorfia di disappunto.

Altre figure erano intanto emerse dall’ombra: i contorni filiformi dei Verpine si contorcevano appena nella luce fioca, dando la spiacevole impressione di un brulicare d’insetti. Gli occhi rossastri e inespressivi di un Duros li scrutavano cupi poco più dietro. Non si era aspettata di trovare un gruppo di trafficanti così nutrito là sotto: il contrabbando di sale cromatico di Kaha doveva essere redditizio.

«Accogliete sempre così gli ospiti?» commentò, mentre Zetz si avvicinava a uno dei montacarichi apparentemente fuori uso. 

Lei badò a non voltare mai le spalle né a lui né al resto della banda e Mando fece lo stesso, con la premura aggiuntiva di mantenersi nei pressi della culla sigillata.

«Solo alcuni,» le arrivò in risposta da uno dei Verpine, poco più di uno squittio minaccioso nell’ombra.

Non fu chiaro a chi dei due sistesse riferendo, ma Cara udì nel comlink il mezzo sospiro trattenuto di Mando, più rassegnato che irritato. Non diede comunque cenno di volersi attaccare a quella provocazione.

«I nostri affari richiedono prudenza,» disse invece Zetz in modo sorprendentemente conciliante, rivolgendosi a lei. «C’è un fuggitivo a piede libero, motivo per cui voi siete qui. E non è escluso che sia riuscito a chiamare rinforzi. Mi auguro che sia acqua passata,» aggiunse quindi dopo una breve pausa, indicando perentorio il tatuaggio dell’Alleanza sul suo volto.

Cara frenò l’istinto di portarsi una mano allo zigomo, in un gesto che sarebbe sembrato colpevole. Annotò come problematica l’acutezza del loro cliente: quel simbolo era così piccolo da essere scambiato solitamente per un neo.

«Più che passata. Ho dato da tempo le dimissioni,» scrollò le spalle lei con un brivido di fastidio, lieta di aver celato i marchi da shock-trooper sul braccio.

Zetz premette quindi il tasto di apertura porte, scatenando un mugghiare di ferro e ingranaggi inceppati in risposta; infilò le dita a ventosa nello spiraglio e fece seccamente forza, sbloccando del tutto la porta.

«Di qua,» li invitò con un cenno, salendo per primo; guardò poi il Duros. «Kobal, con me. Gli altri di guardia,» aggiunse, con un cenno ai cunicoli da cui erano apparsi, e il resto del gruppo si disperse come uno zampettante sciame d
insetti nei loro nidi.

Cara indirizzò un’occhiata discreta a Mando, fiutando quella che aveva tutta l’aria di essere una trappola, ma lui si stava già incamminando deciso verso il Rodiano, non lasciandole altra scelta se non imitarlo. D’altronde, era lui ad avere più esperienza in quel mondo di sotterfugi: se il tutto non sembrava losco ai suoi occhi, non aveva motivo di dubitarne.

«E là dentro cosa c’è?»

La voce di Kobal fu un raschiante brontolio di ghiaia, mentre accennava alla culla sospesa che aveva seguito silenziosa i passi di Mando. Quest’ultimo si voltò appena col busto, inquadrandolo nel visore.

«Un droide da ricognizione,» proferì piatto, guadagnandosi un grugnito incerto da Kobal e uno sguardo acuto da Zetz
.

Cara non poté evitare un repentino sguardo al Mandaloriano nel sentire quell’assurdità lasciare la sua bocca, e poco ci mancò che le scappasse un verso incredulo. Un droide. Di tutte le scuse plausibili...

«Niente droidi, ma reggimi il gioco,» le arrivò tramite il comlink, in un sussurro appena udibile e tinto da un’ironia fuori luogo.

«Sa essere irritante, lo teniamo disattivato finché non serve,» buttò lì lei gesticolando verso la culla, senza la minima incertezza a farle vibrare la voce.

Gli altri due
 non sembrarono interessati ad approfondire la cosa. Lei e Mando salirono a loro volta sul mezzo e Zets digitò il livello di destinazione sul tastierino, innescando il gemito di giunture e argani troppo vecchi per essere sicuri. Doveva essere una parte della miniera in parziale abbandono. Gli ingressi ai vari livelli iniziarono a scorrere come bocche spalancate dinanzi a loro man mano che s’immergevano nel sottosuolo. Le sovvenne che dovevano sentirsi molto sicuri di sé, se si arrischiavano a scendere con loro in numero pari, senza avvalersi del resto della banda. Inspirò a fondo.

«Ricerca e recupero di qualcuno, quindi,» proferì, dopo un paio di minuti di agonizzante discesa.

Zetz si riscosse senza un fremito.

«Esatto. Uno dei nostri. Almeno, finché non abbiamo capito che era un infiltrato nei nostri ranghi. Una spia

Quell’ultima parola scaturì come un sibilo dalle sue labbra tubolari.

«Per conto di chi?» chiese Cara, immaginando già una disputa tra bande rivali mentre il montacarichi sferragliava nelle viscere della miniera.

«Sospettiamo che fosse un agente della Repubblica,» rispose invece l’altro, rassettandosi il colletto dello smanicato in pelle chiara, come se il solo nominarla potesse averlo impolverato.

«Un agente della Repubblica per del semplice contrabbando di sale?» indagò Cara, con un’alzata insospettita di sopracciglia.

«Siete ingaggiati per risolvere il problema, non per fare domande,» scattò di colpo Kobal, affiancandosi al Rodiano; Mando lo imitò specularmente, già pronto allo scontro.

Si piazzò direttamente di fronte al Duros, più basso di lui di mezza testa a dispetto dell’elmo e della statura imponente. Cara serrò le labbra, in tensione, pronta a impugnare il blaster. La sensazione di essere womprat in trappola non stava aiutando i suoi nervi – e nemmeno quelli di Mando, a quanto pareva.

Zetz estese lateralmente un braccio, a trattenere il compagno più irruento. Bastò quel gesto a farlo indietreggiare, con una smorfia che gli disegnò rughe sul volto bluastro e privo di naso. Mando non mosse un muscolo. Si limitò a spostare l’attenzione verso quello che, ora senz’ombra di dubbio, era il capo. Il Rodiano ricambiò con uno sguardo sbieco che rese cupi i suoi occhi liquidi, in cui galleggiavano le fioche luci del montacarichi.

«La situazione è leggermente più complessa di una semplice operazione anti-traffico,» spiegò placido, abbassando il braccio e continuando a parlare in modo troppo forbito e pacato, per un criminale di basso rango. «Ma non vi servono i dettagli, per risolverla.»

Stavolta un ago gelido s’insinuò nella sua voce altrimenti gracidante, rendendola salda e dando a Cara conferma che fosse qualcuno avvezzo al comando. Non solo all’interno della sua piccola gang, ma anche, forse, durante la Guerra Galattica. Adesso le venne più facile riconoscere una diritta postura militare, oltre l
’abbigliamento tipico da contrabbandiere. Impossibile dire da che parte della barricata avesse servito, ma l’astio verso l’Alleanza la mise in guardia. Poteva avere radici molto più velenose del proprio.

«Il vantaggio del nostro lavoro è che non serve conoscere i perché,» lo ammansì, approntando un mezzo sorriso di circostanza.

Zetz annuì, sembrando soddisfatto.

Il montacarichi si arrestò in quel mentre con un sobbalzo cigolante, seguito dallo stridio delle porte che si schiudevano di nuovo a fatica, ostacolate dalla ruggine. Uscirono nell’aria stantia di un’anticamera simile a quella da cui erano partiti. Stavolta era illuminata alla meno peggio da faretti bluastri e fosforescenti che, riflettendosi sui pochi cristalli di sale delle pareti, le diedero l’inquietante impressione di essere sott’acqua. L’imbocco di tre tunnel si apriva sulla parete più lunga.

«Questo è un livello ancora in fase di perizia, perlopiù deserto,» annunciò Zetz, con un ampio gesto attorno a sé. «Pensiamo che la nostra talpa si sia rifugiata qua sotto, e che avesse qui il suo campo base per trasmettere informazioni all’esterno. I tunnel pericolanti sono segnati,» aggiunse, come notando il suo sguardo per nulla entusiasta, e indicò una grande X rossa a segnare la parete di uno dei tre ingressi.

Cara sbatté le palpebre, cercando di acclimatare gli occhi alla poca luce. Di bene in meglio, si ritrovò a pensare. Adocchiò un bancone con dell’attrezzatura da minatore, probabilmente lasciata a disposizione dei tecnici incaricati di ispezionare la miniera. Vi si accostò, identificando degli stick fluorescenti, un elettropiccone spento e dei congegni di rilevamento a infrarossi. Nessun comlink.

«C’è segnale per comunicare con l’esterno, così in basso?» chiese cautamente, ritenendo quella un’informazione lecita da esigere.

«In alcuni punti. Non pensavamo fosse possibile, così in basso,» rispose Zetz, fin troppo prontamente e vago al contempo.

«Si prospetta una caccia interessante,» commentò lei sarcastica, per poi voltarsi e tendere con decisione un palmo verso il Rodiano. 

Udì il lieve click di attivazione del comlink nell’orecchio, ma le arrivò solo una scarica di statico. A quanto pareva, quello non era uno dei punti in cui la ricezione era ottimale, anche a corto raggio. Scoccò un
’occhiata laterale a Mando, senza ovviamente riuscire a interpretare cosa avesse voluto dirle.

«Metà adesso, metà a lavoro concluso,» proseguì quindi nell’intento iniziale, notando l’occhiata che si scambiarono i due. «Problemi? Non possiamo esattamente squagliarcela coi crediti, quaggiù.»

«Opinabile,» replicò Zetz, lasciandole intendere che, forse, vi eravo più accessi a quel determinato livello, «ma improbabile. Cinquecento ora, cinquecento dopo.»

«Mille crediti,» sbottò Cara, trattenendo a malapena una risatina incredula. «Mille crediti per una caccia a un agente della Repubblica ottocento metri sottoterra? Per quella somma non prenderemmo neanche un ladro di nerf,» concluse, incrociando le braccia risoluta e pentendosi di non aver trattato immediatamente. 

Era abituata a dettare lei i prezzi: era il cliente a doversi adeguare, con al massimo uno sconto o un sovrapprezzo a seconda dell’incarico. Ma nel mondo delle taglie, sembrava non funzionare allo stesso modo, almeno al di fuori della Gilda. Quella presa di posizione sembrò scalfire l’imperturbabilità di Zetz, che aggrottò la fronte liscia, iridescente di violetti sotto le luci soffuse attorno a loro.

«Mille crediti sono più che sufficienti per stanare un porg in trappola,» sentenziò glaciale.

«O un rancor inferocito, per quanto ne sappiamo, visto che nessuno di voi vuole prendersi la briga di abbatterlo.»

La mano tozza di Kobal scivolò verso la fondina, spingendola a fare lo stesso.

Era pronta a risolvere la diatriba con metodi più diretti, ma non ne ebbe modo:

«Mille crediti e quello,» la anticipò infatti a sorpresa Mando, parlando per la prima volta e richiamando su di sé l’attenzione di tutti.

Una mano era allungata con noncuranza dietro la schiena, verso l’Amban, mentre l’indice libero era puntato verso il blaster a frammentazione Verpine che Kobal portava alla cintura. Zetz e il Duros si scambiarono uno sguardo, forse sorpresi dalla richiesta, o dal fatto che, a quanto pareva, fosse autorizzato a trattare il prezzo al pari di lei. O non propensi a sfidare la modalità disintegrazione di un Amban per una questione futile.

«Signore...» cominciò Kobal inclinando titubante la testa verso il Rodiano, ma questi troncò le sue proteste con un singolo sguardo e annuì secco in direzione di Mando:

«Accordato.»

Bastò un altro brusco cenno del capo, e Kobal, digrignando i denti, porse il pregiato blaster al Mandaloriano, che lo soppesò con gesti esperti prima di riporlo in una fondina da gamba libera.

«A patto che sia un lavoro rapido,» aggiunse Zetz, scrutando entrambi acutamente in volto – per quanto possibile.

«Lo sarà,» gli assicurò Cara, attivando uno degli stick luminescenti. Lo agganciò al fianco e ne lanciò un altro a Mando. «Non vedo l’ora di respirare aria pulita.»

Zetz non rispose, limitandosi a un’occhiata appuntita. Intimò a Kobal di rimanere là sotto, di guardia all’uscita, mentre lui risaliva ai livelli superiori. Sotto gli occhi rossastri e inquisitori del Duros, Mando scrutò l’ingresso di ciascuno dei tre tunnel, probabilmente aiutato dai filtri del visore per rilevare eventuali tracce, e finì col fermarsi dinanzi a quello pericolante. Le rivolse uno sguardo che, ne era certa, sotto al beskar doveva essere rassegnato.

«Ovviamente,» alzò le spalle lei, facendo strada e cercando di non pensare a quante probabilità ci fossero che uno dei sostegni cedesse.

Seguiti dalla culla imboccarono a passi guardinghi il cunicolo, accompagnati dallo sferragliare del montacarico che tornava verso la superficie. Dopo qualche decina di metri, quando furono lontani dalle orecchie e dagli occhi di Kobal, Mando scoperchiò la culla, permettendo al Bambino di prendere una boccata d’aria, non molto più fresca di quella che aveva respirato finora.

L’esserino sgranò ancor di più gli enormi occhi nel vedere un altro strato di buio oltre quello della culla, e si raggomitolò nella sua veste abbassando le orecchie con fare inquieto. Cara non poteva dargli torto. Mando rallentò appena il passo, dandogli di sfuggita un buffetto sul mento col dito, gesto che sembrò rassicurarlo un poco.

Il passaggio curvò a gomito, restringendosi e costringendoli a procedere a capo chino. Dopo qualche metro
 Mando ruppe il silenzio, mandando echi a infrangersi sulle pareti:

«Non te la stavi cavando male, prima.» 

Cara liberò un sospiro incredulo, realizzando solo allora il gioco del Mandaloriano... e trovando conferma di non aver contrattato così brillantemente.

«Infatti. Stavo per concludere la trattativa.»

«Certo,» si limitò a dire lui, loquace per i suoi standard e con un timbro di voce indefinibile.

Cara scosse la testa, per poi bloccarsi folgorata e rifilargli un’occhiata divertita.

«Te la stavi ridendo, vero?» sbottò, vedendo che non aggiungeva altro.

«No.»

La sua voce suonò leggermente più acuta e contratta del solito, tradendolo. Cara ridacchiò al posto suo, scuotendo rassegnata la testa, e trovò inaspettata conferma dei suoi sospetti nel sorriso improvviso del Bambino, come se fosse sintonizzato sull’umore del Mandaloriano.

Continuarono a sprofondare nell’oscurità della miniera, dissipata solo dal fievole lucore fluorescente degli stick, nient’altro che una fragile bolla azzurrina attorno a loro.

 
 
 

Note:
– Le miniere di sale descritte prendono ispirazione da un complesso minerario che ho avuto occasione di visitare in Germania (Salzbergwerk Merkers, in Turingia). Lì vi sono effettivamente dei giganteschi cristalli di sale, che vengono illuminati da giochi di luci colorate per creare effetti ottici e intrattenere i visitatori. Nella storia, i cristalli sono naturalmente colorati per aumentare l’effetto surreale dell’ambientazione. Per un input visivo made by me, cliccate qui.
– Crevasse City era una città su Alderaan, costruita sul fondo e lungo le pareti di un canyon.
Un Verpine-> qui. I Verpine sono noti per la fabbricazione delle omonime armi a frammentazione, silenziose e letali.
P.S. Punti bonus per chi individua la citazione a Il Buono, il Brutto e il Cattivo e quella a The Last of Us!

Note dell’Autrice:

Cari Lett– POSATE I FORCONI!
Sì, lo so che non aggiorno dall’alba dei tempi... sì, me ne dolgo e me ne pento, e avevo pure avuto la faccia tosta di chiudere lo scorso capitolo con un frizzantissimo "alla prossima settimana", seh. Se può consolarvi, almeno ho finito gli esami! Ora ci penserà la tesi a rubarmi il tempo...

Dunque, so che vi aspettavate dei lumi su Scorch, però c’è tempo e luogo per ogni cosa, ma non ora, come si suol dire, e ho strategicamente evitato il PoV Mando proprio per questo. Come ripeto ormai dall’inizio della storia, tutti i nodi verranno al pettine e... indovinate un po’, c’è una bella matassa proprio nel prossimo capitolo ;)

Per ora, godetevi un bel (?) PoV Cara, che mi era mancato scriverla ♥ Vi lascio dunque a chiedervi cosa caspiterina ci sia di così interessante nelle miniere di Kaha ;)

Grazie infinite alla mia Guascosa Miryel, a leila91, AMYpond88, Old Fashioned e LadyOfMischief per aver commentato assiduamente la storia qui su EFP, e a Black Flower per seguirla e commentarla su Wattpad ♥

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