Iniziativa: Looktober 2020 di LandeDiFandom
Prompt: 16. Giacca a vento
Note: Questa volta è una Student/Teacher!AU (esattamente… sì, non mi faccio mancare nulla lol). Aidoneo ('Αϊδωνεύς, "l’invisibile") è sempre Ade, ma in una forma più arcaica. Buona lettura :)
14. Distrazioni
Aveva la testa altrove, non esistevano altre spiegazioni.
Forte vento, nuvoloni grigi, temperature al di sotto dei venti
gradi… E lei stava per uscire dall’edificio della
Facoltà di Scienze Naturali senza giacca.
Roba da matti, si rimproverò Persefone scuotendo la testa.
Il freddo aveva fatto in tempo ad entrarle nelle ossa prima che
realizzasse di averla dimenticata in aula, ma almeno la corsetta fatta
per tornare lì era riuscita a riscaldarla abbastanza.
In realtà, doveva ammetterlo con sé stessa, non
era del tutto colpa della propria sbadataggine. Certo, poteva anche
esserselo sognato – e solo gli dèi sapevano quanto
e cosa, come, chi, sognasse ogni notte –, eppure ci avrebbe
messo la mano sul fuoco.
Li conosceva, i suoi occhi. Aveva imparato a riconoscerli, sia
visivamente che istintivamente, e, se li aveva percepiti su di
sé mentre si allontanava alla fine della lezione, allora era
così. Allora lui la stava guardando davvero, di nuovo, e lei
era stupida.
Stupida. Stupida. Stupida.
Afferrò il pomello della porta dell’aula cercando
nel contatto con il freddo metallo la presa sulla realtà, la
rifocalizzazione dell’obiettivo.
La giacca. La giacca. La giacca.
Girò e tirò con decisione verso di sé,
soltanto per desiderare di non averlo mai fatto.
Imprecò a denti stretti, mordendosi la lingua per non
urlare. Tra tutte le persone che avrebbero potuto attardarsi, aveva
dovuto imbattersi nella peggiore. Se l’avesse saputo prima,
sarebbe tornata a casa anche correndo il rischio di prendersi una bella
influenza.
Persefone ce la mise tutta per far finta di niente, per fingere di non
aver aperto quella porta, di non essere davvero lì, ma il
suo professore di Mineralogia e Petrografia, il professor Aidoneo Ade,
l’aveva già notata.
«Ho dimenticato la giacca» annunciò,
rispondendo ad una questione non posta.
Sebbene la domanda si trovasse, in verità, nascosta dai suoi
occhi scuri, visibile in profondità e nella ruga della
fronte corrugata, nelle labbra sottili e imbronciate.
Oh, basta!
Persefone avanzò a passo di carica all’interno,
dirigendosi verso il proprio posto, mentre ignorava, o sforzandosi
quantomeno di ignorare, la sua presenza – di nuovo, i suoi
occhi che seguivano ogni sua mossa. Quei pochi secondi le bastarono per
ancheggiare sfacciatamente mentre saliva le scale dell’aula
ad anfiteatro.
Flirtavano. Era questo che facevano.
Entrambi giravano attorno all’altro senza mai fare una mossa,
come due leoni che si studiavano prima di contendersi la preda.
E quella fase di stallo durava da troppo, davvero troppo tempo.
La curiosità la stava mangiando viva e la voglia di perdersi
a contemplare i tratti marcati del suo viso, maturi, mascolini, era
altrettanta. E lui aveva messo gli occhiali da lettura. Quei dannati
occhiali che, insieme ai ricci nerissimi, alla barba corta e ai
completi scuri, gli donavano un’aria da poeta maledetto, cupa
e decadente.
Persefone stava ispezionando la fila in cui era stata seduta durante la
sua lezioni, l’ultima della giornata, soffermandosi sulle
sedute, il tavolato, il pavimento, con attenzione; o, almeno, era
quello che pensava lei dato che, distratta, andò a sbattere
la testa contro il ripiano in legno nel rialzarsi da terra.
«Ahi» sibilò, massaggiandosi il punto
dolorante.
Sperò che la sua capocciata fosse stata meno rumorosa di
quello che sembrava, altrimenti avrebbe fatto la figura della cretina.
Ade si schiarì la gola per attirare discretamente la sua
attenzione, ma lei era troppo presa dal darsi contro per farci caso.
«Signorina».
Al richiamo della sua voce composta, portò lo sguardo su di
lui, seduto alla cattedra, e arrossì imbarazzata. Avrebbe
tanto voluto guardare altrove, comportarsi da persona matura, meno da
ragazzina che gli sbavava dietro, eppure la forza magnetica delle sue
pupille color carbone era irresistibile.
Lentamente, lui alzò il braccio e lei seguì
l’indice che puntava all’attaccapanni.
L’attaccapanni vicino la porta.
Ah.
La sua giacca a vento era lì, bell’appesa e in
attesa di tornare a casa sulle sue spalle.
Adesso sì che avrebbe fatto meglio a sprofondare dalla
vergogna, a sparire da quell’aula, dall’ateneo, per
non farsi vedere mai più.
Persefone si portò una mano al viso e grugnì
contro il palmo. Stupida. Stupida. Stupida.
«Grazie» mormorò, recuperando un
po’ di contegno.
Tornò giù e gli passò accanto per
poter recuperare l’indumento.
A quel punto, Ade abbandonò i fogli e la penna sulla
cattedra e tolse gli occhiali, premendosi le dita sulle palpebre
chiuse, strofinando gli occhi stanchi, sospirando pesantemente. Doveva
mettere fine a quella storia, non potevano continuare a far finta di
niente.
«Ha organizzato appositamente questo teatrino?»
chiese più freddamente di quanto volesse intendere.
Persefone, giacca già indosso e pronta a lasciare
l’aula, lo fissò come se fosse impazzito.
«Cosa?» sussurrò lentamente, incredula.
«Questa dimenticanza» argomentò lui.
«È stata orchestrata perché sapeva di
trovarmi ancora qui?»
Persefone boccheggiò. «Ho dimenticato sul serio la
giacca! Cosa le viene in mente?!»
«Prima ha ancheggiato. Di proposito»
appuntò con ovvietà.
Lei roteò gli occhi, esasperata. «Ah, certo. Come
se non le fosse piaciuto guardarmi».
«Persefone» la richiamò, ed era una
delle rare volte in cui sentiva pronunciare dalla sua voce roca il
proprio nome.
Persefone scosse la testa. «È un ipocrita. Sta
dando la colpa a me delle sue debolezze!»
Ade si alzò dalla sedia marciando verso di lei.
«Lei non fa che provocarmi» la accusò,
puntandole contro il dito. «In classe, fuori,
ovunque».
Persefone gli diede le spalle, irritata, nervosa, esposta.
Perché lui, invece, non si scomponeva?
Ah, già. Lui era il professore, la persona matura in quella
stanza.
«Sa una cosa?» sbottò, tornando ad
affrontarlo. «Sì, è vero.
Sì, lo faccio. Lo faccio perché mi piace. E non
l’avrei mai fatto se avessi saputo di
infastidirla». Si passò una mano sul volto,
deglutendo il nodo alla gola. «Ma lei mi guarda anche quando
non faccio nulla. O pensa che quando una persona le parli sia normale
fissarle le labbra con desiderio?»
Ade incassò il colpo e, in un primo momento,
pensò di negare. D’altronde, che prove aveva lei?
Poteva essersi soltanto immaginata tutto. Bastava che glielo dicesse,
che la manipolasse con le parole, facendole credere di aver fatto tutto
da sola, o, al contrario, portarla a credere il peggio di lui.
Non c’era stato ancora nulla e, per questo, entrambi potevano
uscirne indenni.
Tuttavia, non era un bugiardo, né lei lo meritava.
«No» mormorò.
Persefone annuì. «Allora non mi accusi di
utilizzare questi giochetti per passare del tempo con lei da
sola».
Ade si accigliò. «Adesso sta mentendo. Vuole farmi
credere di essere davvero così distratta, quando
è una tra gli studenti più brillanti del corso?
Non è la prima volta che torna in aula con questa scusa,
dopo le mie lezioni».
Lei si morse il labbro inferiore, arrossendo colpevole.
«Be’, non credo ci sia alcun collegamento tra le
due cose, in ogni caso» imbastì.
«In ogni caso?» le fece eco lui.
Persefone asserì con la testa. «Sì, in
ogni caso. E, comunque, sono una persona parecchio distratta»
confessò. «Anche, e soprattutto, durante le sue
lezioni. È ovvio che poi dimentichi sempre
qualcosa».
Ade alzò entrambe le sopracciglia, sorpreso e intrigato
dalla spregiudicatezza che indossava con tanta innocenza.
«Immagino che sia incantata dalla monotonia della mia voce,
da come riesca a tenere sveglia l’attenzione degli
studenti» replicò con una punta di sarcasmo. Era
parecchio difficile credere di piacerle seriamente, quando sapeva di
non essere né bello, né aitante, né
giovane; quando lui era il professore meno amato e più
temuto da tutti e lei la sua studentessa sveglia e acuta.
Persefone sogghignò e gli si avvicinò.
«La sua voce è molto sexy, infatti»
rivelò in tono basso. «E, quando si appoggia alla
cattedra e incrocia gambe e braccia, mi fa venire certe cose in mente.
Anche quando disegna tutti quegli schemi alla lavagna, diciamo che la
mia attenzione viene calamitata altrove».
«Persefone». Ade cercò, nuovamente, di
rimproverarla, ma la voce gli uscì strozzata.
Annaspò in cerca d’aria, ma lei gli era troppo
vicina, così vicina che respirò il suo profumo,
il suo odore fresco. Così vicina che poteva toccarle quei
capelli chiari, quelle ciocche sfuggenti come lei, con cui lei amava
giocare distrattamente mentre gli lanciava certi sguardi; quei capelli
che immaginava di stringere in situazioni che accadevano solo di notte,
ad occhi chiusi, nel mondo dei sogni.
Persefone rise e sfuggì alle sue braccia allungate per
acciuffarla.
«Adesso che ho recuperato la giacca, non ho alcun motivo di
trattenermi» chiosò, allegra. «Giusto,
professore?» lo provocò con un occhiolino.
Ade negò con la testa e accennò verso la porta.
«Magari prima le spiego cosa non va nella sua ultima
relazione di laboratorio e, poi, forse, potrà tornare a
casa».
Persefone non era mai stata così felice di chiudersi in aula
a visionare un compito con il suo professore preferito.