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Autore: Calime    16/10/2020    1 recensioni
[Modern!AU + Age gap]
1) Quel party che Ade voleva snobbare - Se avesse avuto parecchi anni di meno – magari fosse stato un suo coetaneo –, Ade sarebbe arrossito per la vergogna di essere stato smascherato.
7) Il segno - C’era di mezzo una donna. Ade aveva una donna, per forza.
11) Waiting for Superman - «Senti, facciamo così: ti accompagno io a casa» le propose.
12) Distrazioni - Certo, poteva anche esserselo sognato – e solo gli dèi sapevano quanto e cosa, come, chi, sognasse ogni notte –, eppure ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
20) Più prezioso dell'oro - «Non vi pagheranno il riscatto» mormorò, poi, mettendo in chiaro quello che, probabilmente, sapeva bene anche lui.
23) Una giovane e impulsiva stagista - Ade alzò un angolo delle labbra, divertito. «Non risale alla scorsa settimana la tua ultima ramanzina?»
24) Insonnia - «È ancora presto»
25) Popolarità - Fu un gemito strozzato e Persefone alzò gli occhi su Ade, allarmata.
26) Creare la giusta atmosfera - «Così è troppo semplice» sbuffò.
Raccolta di storie scritte per l'iniziativa del Looktober 2020 di LandeDiFandom.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Persefone
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Looktober 2020'
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Iniziativa: Looktober 2020 di LandeDiFandom
Prompt: 16. Giacca a vento
Note: Questa volta è una Student/Teacher!AU (esattamente… sì, non mi faccio mancare nulla lol). Aidoneo ('Αϊδωνεύς, "l’invisibile") è sempre Ade, ma in una forma più arcaica. Buona lettura :)








14. Distrazioni




Aveva la testa altrove, non esistevano altre spiegazioni.
Forte vento, nuvoloni grigi, temperature al di sotto dei venti gradi… E lei stava per uscire dall’edificio della Facoltà di Scienze Naturali senza giacca.
Roba da matti, si rimproverò Persefone scuotendo la testa. Il freddo aveva fatto in tempo ad entrarle nelle ossa prima che realizzasse di averla dimenticata in aula, ma almeno la corsetta fatta per tornare lì era riuscita a riscaldarla abbastanza.
In realtà, doveva ammetterlo con sé stessa, non era del tutto colpa della propria sbadataggine. Certo, poteva anche esserselo sognato – e solo gli dèi sapevano quanto e cosa, come, chi, sognasse ogni notte –, eppure ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Li conosceva, i suoi occhi. Aveva imparato a riconoscerli, sia visivamente che istintivamente, e, se li aveva percepiti su di sé mentre si allontanava alla fine della lezione, allora era così. Allora lui la stava guardando davvero, di nuovo, e lei era stupida.
Stupida. Stupida. Stupida.
Afferrò il pomello della porta dell’aula cercando nel contatto con il freddo metallo la presa sulla realtà, la rifocalizzazione dell’obiettivo.
La giacca. La giacca. La giacca.
Girò e tirò con decisione verso di sé, soltanto per desiderare di non averlo mai fatto.
Imprecò a denti stretti, mordendosi la lingua per non urlare. Tra tutte le persone che avrebbero potuto attardarsi, aveva dovuto imbattersi nella peggiore. Se l’avesse saputo prima, sarebbe tornata a casa anche correndo il rischio di prendersi una bella influenza.
Persefone ce la mise tutta per far finta di niente, per fingere di non aver aperto quella porta, di non essere davvero lì, ma il suo professore di Mineralogia e Petrografia, il professor Aidoneo Ade, l’aveva già notata.
«Ho dimenticato la giacca» annunciò, rispondendo ad una questione non posta.
Sebbene la domanda si trovasse, in verità, nascosta dai suoi occhi scuri, visibile in profondità e nella ruga della fronte corrugata, nelle labbra sottili e imbronciate.
Oh, basta!
Persefone avanzò a passo di carica all’interno, dirigendosi verso il proprio posto, mentre ignorava, o sforzandosi quantomeno di ignorare, la sua presenza – di nuovo, i suoi occhi che seguivano ogni sua mossa. Quei pochi secondi le bastarono per ancheggiare sfacciatamente mentre saliva le scale dell’aula ad anfiteatro.
Flirtavano. Era questo che facevano.
Entrambi giravano attorno all’altro senza mai fare una mossa, come due leoni che si studiavano prima di contendersi la preda.
E quella fase di stallo durava da troppo, davvero troppo tempo.
La curiosità la stava mangiando viva e la voglia di perdersi a contemplare i tratti marcati del suo viso, maturi, mascolini, era altrettanta. E lui aveva messo gli occhiali da lettura. Quei dannati occhiali che, insieme ai ricci nerissimi, alla barba corta e ai completi scuri, gli donavano un’aria da poeta maledetto, cupa e decadente.
Persefone stava ispezionando la fila in cui era stata seduta durante la sua lezioni, l’ultima della giornata, soffermandosi sulle sedute, il tavolato, il pavimento, con attenzione; o, almeno, era quello che pensava lei dato che, distratta, andò a sbattere la testa contro il ripiano in legno nel rialzarsi da terra.
«Ahi» sibilò, massaggiandosi il punto dolorante.
Sperò che la sua capocciata fosse stata meno rumorosa di quello che sembrava, altrimenti avrebbe fatto la figura della cretina.
Ade si schiarì la gola per attirare discretamente la sua attenzione, ma lei era troppo presa dal darsi contro per farci caso.
«Signorina».
Al richiamo della sua voce composta, portò lo sguardo su di lui, seduto alla cattedra, e arrossì imbarazzata. Avrebbe tanto voluto guardare altrove, comportarsi da persona matura, meno da ragazzina che gli sbavava dietro, eppure la forza magnetica delle sue pupille color carbone era irresistibile.
Lentamente, lui alzò il braccio e lei seguì l’indice che puntava all’attaccapanni.
L’attaccapanni vicino la porta.
Ah.
La sua giacca a vento era lì, bell’appesa e in attesa di tornare a casa sulle sue spalle.
Adesso sì che avrebbe fatto meglio a sprofondare dalla vergogna, a sparire da quell’aula, dall’ateneo, per non farsi vedere mai più.
Persefone si portò una mano al viso e grugnì contro il palmo. Stupida. Stupida. Stupida.
«Grazie» mormorò, recuperando un po’ di contegno.
Tornò giù e gli passò accanto per poter recuperare l’indumento.
A quel punto, Ade abbandonò i fogli e la penna sulla cattedra e tolse gli occhiali, premendosi le dita sulle palpebre chiuse, strofinando gli occhi stanchi, sospirando pesantemente. Doveva mettere fine a quella storia, non potevano continuare a far finta di niente.
«Ha organizzato appositamente questo teatrino?» chiese più freddamente di quanto volesse intendere.
Persefone, giacca già indosso e pronta a lasciare l’aula, lo fissò come se fosse impazzito.
«Cosa?» sussurrò lentamente, incredula.
«Questa dimenticanza» argomentò lui. «È stata orchestrata perché sapeva di trovarmi ancora qui?»
Persefone boccheggiò. «Ho dimenticato sul serio la giacca! Cosa le viene in mente?!»
«Prima ha ancheggiato. Di proposito» appuntò con ovvietà.
Lei roteò gli occhi, esasperata. «Ah, certo. Come se non le fosse piaciuto guardarmi».
«Persefone» la richiamò, ed era una delle rare volte in cui sentiva pronunciare dalla sua voce roca il proprio nome.
Persefone scosse la testa. «È un ipocrita. Sta dando la colpa a me delle sue debolezze!»
Ade si alzò dalla sedia marciando verso di lei.
«Lei non fa che provocarmi» la accusò, puntandole contro il dito. «In classe, fuori, ovunque».
Persefone gli diede le spalle, irritata, nervosa, esposta. Perché lui, invece, non si scomponeva?
Ah, già. Lui era il professore, la persona matura in quella stanza.
«Sa una cosa?» sbottò, tornando ad affrontarlo. «Sì, è vero. Sì, lo faccio. Lo faccio perché mi piace. E non l’avrei mai fatto se avessi saputo di infastidirla». Si passò una mano sul volto, deglutendo il nodo alla gola. «Ma lei mi guarda anche quando non faccio nulla. O pensa che quando una persona le parli sia normale fissarle le labbra con desiderio?»
Ade incassò il colpo e, in un primo momento, pensò di negare. D’altronde, che prove aveva lei? Poteva essersi soltanto immaginata tutto. Bastava che glielo dicesse, che la manipolasse con le parole, facendole credere di aver fatto tutto da sola, o, al contrario, portarla a credere il peggio di lui.
Non c’era stato ancora nulla e, per questo, entrambi potevano uscirne indenni.
Tuttavia, non era un bugiardo, né lei lo meritava.
«No» mormorò.
Persefone annuì. «Allora non mi accusi di utilizzare questi giochetti per passare del tempo con lei da sola».
Ade si accigliò. «Adesso sta mentendo. Vuole farmi credere di essere davvero così distratta, quando è una tra gli studenti più brillanti del corso? Non è la prima volta che torna in aula con questa scusa, dopo le mie lezioni».
Lei si morse il labbro inferiore, arrossendo colpevole. «Be’, non credo ci sia alcun collegamento tra le due cose, in ogni caso» imbastì.
«In ogni caso?» le fece eco lui.
Persefone asserì con la testa. «Sì, in ogni caso. E, comunque, sono una persona parecchio distratta» confessò. «Anche, e soprattutto, durante le sue lezioni. È ovvio che poi dimentichi sempre qualcosa».
Ade alzò entrambe le sopracciglia, sorpreso e intrigato dalla spregiudicatezza che indossava con tanta innocenza.
«Immagino che sia incantata dalla monotonia della mia voce, da come riesca a tenere sveglia l’attenzione degli studenti» replicò con una punta di sarcasmo. Era parecchio difficile credere di piacerle seriamente, quando sapeva di non essere né bello, né aitante, né giovane; quando lui era il professore meno amato e più temuto da tutti e lei la sua studentessa sveglia e acuta.
Persefone sogghignò e gli si avvicinò. «La sua voce è molto sexy, infatti» rivelò in tono basso. «E, quando si appoggia alla cattedra e incrocia gambe e braccia, mi fa venire certe cose in mente. Anche quando disegna tutti quegli schemi alla lavagna, diciamo che la mia attenzione viene calamitata altrove».
«Persefone». Ade cercò, nuovamente, di rimproverarla, ma la voce gli uscì strozzata.
Annaspò in cerca d’aria, ma lei gli era troppo vicina, così vicina che respirò il suo profumo, il suo odore fresco. Così vicina che poteva toccarle quei capelli chiari, quelle ciocche sfuggenti come lei, con cui lei amava giocare distrattamente mentre gli lanciava certi sguardi; quei capelli che immaginava di stringere in situazioni che accadevano solo di notte, ad occhi chiusi, nel mondo dei sogni.
Persefone rise e sfuggì alle sue braccia allungate per acciuffarla.
«Adesso che ho recuperato la giacca, non ho alcun motivo di trattenermi» chiosò, allegra. «Giusto, professore?» lo provocò con un occhiolino.
Ade negò con la testa e accennò verso la porta. «Magari prima le spiego cosa non va nella sua ultima relazione di laboratorio e, poi, forse, potrà tornare a casa».
Persefone non era mai stata così felice di chiudersi in aula a visionare un compito con il suo professore preferito.







   
 
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