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Autore: Alexa_02    19/10/2020    0 recensioni
Eveline Morgan ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare. È intelligente, bellissima, ha una famiglia ricca, una migliore amica stupenda e tutti i ragazzi che vuole. Al ritorno da una festa però, il destino le fa lo sgambetto e tutto ciò che pensava di possedere si dissolve. Al suo risveglio in ospedale, le cose non sono più come le ricordava.
Evie non è più come si ricordava.
È tutto cambiato, in lei c'è qualcosa che non va e la sua famiglia se ne rende subito conto. In casa e nelle loro vite perfette, non c'è più posto per il mostro che è diventata. Eveline viene così spedita al Campbell Accademy, una scuola per persone speciali che possono comprenderla e aiutarla. Sembra l'epilogo di una storia sfortuna ma, come scoprirà presto, la storia è appena cominciata.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Chapter 3
 
 
Mi rigiro tra le dita l’oggetto luccicante che Kester ci ha dato. «Cos’è?» domando verso Leo.
«È il corrispettivo di una nota nel mondo sovrannaturale» mi spiega «Lo chiamano Fagiolo Inseguitore».
«Perché non ci ha dato un foglietto come fanno i professori normali?».
Nathan sbuffa e si rimette a mangiare. «Perché è Kester ed un dannato sadico».
Leo mi prende il fagiolo dalla mano. «È incantato in modo che tu non possa fare altro che scontare la tua ramanzina».
Glielo tolgo di mano e lo appoggio sul tavolo. «Che gran perdita di tempo».
Il fagiolo tremola e con un sonoro fischio si duplica. «Ma che diavolo?».
Leo stringe i denti. «Non hai intenzione di andare dalla preside, vero?».
«Come lo sai?». Il dannato fagiolo fischia di nuovo e si duplica ancora. E poi di nuovo. «Perché il tavolo si sta riempiendo di fagioli?».
«Continuerà così finché non deciderai che andrai dalla preside» mormora Leo «Te l’ho detto, è fatto in modo che tu non possa fare altrimenti. Verrai sommersa se non ci vai».
«D’accordo. D’accordo, ci vado». Alla mia sincera ammissione, il fagiolo smette di figliare. Tutti quelli che si sono formati si uniscono, formandone uno grosso come un pugno.
Leo mi guarda dispiaciuto. «Così la preside sa quanto ci hai messo a fare la cosa giusta». Carino. Davvero carino. Questo posto diventa ogni secondo sempre di più una pagliacciata con i fiocchi.
Nate giocherella con il suo minuscolo fagiolo. «Ho sentito che un ragazzo è stato sommerso fino a soffocare nella sua stanza».
Leo scuote la testa. «Questa è una leggenda bella e buona».
Non sento il loro dibattito sul tipo finito sotto la valanga di Fagioli Inseguitori, perché il mio cervello si ingrippa su un altro pensiero.
Un pensiero che mi scava un buco enorme in mezzo al petto.
Sono sola e in trappola.
 
L’ufficio della preside è sontuoso e ricco di ninnoli. Lei siede corrucciata su una poltrona di pelle verde scuro, davanti ad una scrivania di legno di cedro. Il pavimento fatto di parquet è parzialmente coperto da tappeti color avorio, le librerie che appoggiano contro i muri sembrano infinite e sono piene di volumi spessi e polverosi. Un centinaio di palle di vetro con la neve sono sparse per tutta la stanza ed ognuna raffigura una scena differente.
Kester ci deposita davanti alla preside con una sonora spinta. Lei alza lo sguardo dai fogli su cui sta scrivendo e ci osserva sorpresa. «A cosa devo questo onore?» domanda guardando l’uomo. Lui fa schioccare la lingua schifato. «La signorina Morgan non indossa la divisa, mentre il signor Rover si è seduto a tavola nel bel mezzo del secondo» lui scuote la testa «E successivamente hanno quasi scatenato una rissa».
«Non è assolutamente vero» sospiro.
La preside alza la mano «Eveline, per favore, parla quando interpellata».
Sbuffo con forza e mi agito dondolandomi da un piede all’altro. Tutta questa storia è ridicola. Questo stupido posto è ridicolo. Così come le sue stupide regole. La rabbia e la tristezza si mescolano facendomi tremolare. Tengo le redini con due mani, cercando di non lasciare che le sensazioni che mi scorrono dentro liberino il mostro.
Nate mi lancia un’occhiata da sopra la spalla e scuote la testa.
«La nostra meravigliosa accademia ha delle precise regole per una ragione: mantenere l’armonia e l’efficienza. Infrangerle significa creare il caos e questa è una cosa che non posso sopportare» raddrizza una delle sue palle di vetro «Nathan ormai sei abbonato al mio ufficio, ma da te Eveline mi aspettavo molto di più. Nathan sai gli orari da anni e non hai nessuna giustificazione per il tuo ritardo». Lui apre la bocca per ribattere ma la Sheridan alza di nuovo la mano per zittirlo. «Sono sicura che Abigayle ti abbia detto di mettere la divisa, Eveline, perché non la indossi?» provo a parlare ma zittisce anche me «Domani pomeriggio, dopo le lezioni, vi aspetto entrambi in punizione» scribacchia su un paio di fogli e ce li passa «Ora fuori di qui, ho un sacco di cose da fare».
Ci liquida con un gesto della mano e Kester ci sbatte letteralmente fuori dalla porta.
In corridoio stringo i fogli tra le mani che non smettono di tremare. Controllati, Evie. Non possiamo perdere la calma davanti a lui. 
«Non dirmi che non sei mai stata nei guai prima» borbotta Nathan guardandomi le mani. Sento la testa sempre più in fiamme e la sua voce irritante non mi sta aiutando. «Ti muovi con quest’aria di sufficienza e snob e poi tremi come una foglia dopo una leggera ramanzina. Davvero patetico».
Bastano due parole a farmi perdere la testa. Il mostro spinge la ragazzina impaurita nell’armadio e prende il controllo del corpo. Ringhio con forza e prima che lui se ne renda conto gli salto addosso facendolo cadere rovinosamente a terra. Gli siedo sull’addome e gli afferro il bavero della camicia. Nathan spalanca gli occhi spaventato e deglutisce a vuoto. Dal suo corpo si alza una nuvola di paura, che mi fa venire l’acquolina. Sento il battito della sua giugulare nelle orecchie.
So dove mordere per ottenere lo spruzzo di sangue migliore.
So dove la pelle è meno spessa e dove le vene sono più grandi.
So dove si trova il punto esatto che devo tranciare per ucciderlo.
Mi basterebbe affondare i denti nella sua carne e questa sensazione di bruciore sparirebbe all’istante. La voglia di sangue batte qualsiasi istinto umano mi si scateni dentro.
Nathan è del tutto congelato, mi fissa senza fiato e non prova nemmeno a lottare. Non farebbe differenza, non potrebbe spostarmi neanche se ci provasse. Una volta che perdo il controllo, solo io posso fermarmi. È successo lo stesso subito dopo il mio risveglio dall'incidente e la sera che sono tornata a casa. Serve tutta la forza di volontà che ho in corpo per farmi smettere o semplicemente qualcosa che mi ricordi che quello che sto per fare è disumano.
Il terrore che gli leggo in faccia funziona come una doccia fredda. Devo sembrargli un mostro orrendo e quando vedo il mio riflesso specchiato nelle sue pupille dilatate ne ho la conferma. Vedo una pazza che mi guarda di rimando con i canini sguainati e gli occhi completamente neri. Mi rendo conto di ciò che sto facendo e riesco finalmente a riafferrare il timone di questa barca di pazzi. Rotolo sul pavimento di marmo e mi allontano il più possibile da lui strisciando contro il tappeto antico. Scappo lungo il corridoio, lasciando Nate sbigottito e ancora steso per terra.
Una volta in camera, spalanco la finestra e salto giù verso il bosco che circonda l’accademia.
 
 
Vago per la vegetazione fitta e rigogliosa finché il sole non comincia a levarsi a fianco delle montagne. Passare la notte all’aperto è sempre meraviglioso, soprattutto se ti trovi in un bosco pieno di bestiole spaventate che scappano se provi ad inseguirle. L’odore della selvaggina mi rende decisamente euforica. La prima cosa che ho fatto dopo essere saltata giù dalla finestra è stata la ricerca di qualcosa da sbranare. Un povero cervo, ignaro del nuovo predatore arrivato nel suo territorio, non ha avuto scampo. Bere sangue caldo e ancora vivo è una sensazione completamente diversa rispetto a quella che mi scatena il sangue dell’ospedale. Il sangue umano però ha una marcia in più, riesce a saziarmi a livelli che il sangue animale non raggiungerà mai. Mi dispiace ma non ho intenzione di uccidere nessuno. Anche se sono diventata un mostro non significa che mi debba comportare come tale.  
Dopo la nottata tra gli arbusti e il fango sono completamente sporca. Ho foglie e rametti tra i capelli e i vestiti pieni di macchie di terra e sangue. Mi arrampico con agilità lungo la parete dell’edificio e con una spinta mi infilo nella mia camera attraverso la finestra. Appoggio il sedere sulla scrivania e chiudo gli infissi. Mi stiracchio come un gatto e massaggio i muscoli delle gambe.
Mi rendo conto in che stato pietoso mi trovo e decido di darmi una ripulita. Appoggio l’orecchio contro la porta di legno e chiudo gli occhi. Non percepisco rumori ne voci. Via libera. Afferro l’accappatoio grigio dato dall’accademia, il beauty e zampetto fino ai bagni. I servizi in comune per le donne sono di un terrificante rosa porcellino. I muri e i pavimenti sono ricoperti di piastrelle lisce e sul soffitto bianco sono appese delle luci al neon che sfarfallano leggermente. La stanza è molto ampia, sulla parete di sinistra sono posizionati diversi lavandini di ceramica bianca e degli specchietti quadrati. Sulla parete di destra sono collocate dieci docce fatte di piastrelle chiuse da delle porte di plastica con la serratura. Sull’ultima parete libera sono disposti sette cubicoli contenenti dei water.
Scelgo l’ultima doccia, quella più piccola e meno luminosa, e mi ci infilo dentro. Appendo l’asciugamano al gancio sulla porta insieme al beauty e apro il getto d’acqua. Sciacquo via il sangue secco, le foglie e tutte le macchie fango. Lavo via le tracce del mio lato selvaggio e torno pulita e profumata come prima. Mi avvolgo nell’accappatoio, mi fermo davanti ad un lavandino per lavarmi i denti e poi me ne torno in camera.
Asciugo i capelli e controvoglia indosso l’uniforme. La gonna è un po’ troppo lunga per i miei gusti, la camicia mi stringe nella zona seno e la cravatta è molto più scomoda di quello che sembra. Infilo gli anfibi, butto la giacca gialla nello zaino e mi avvio verso la mensa.
Mi sento così stupida vestita come la massa che un paio di volte mi giro per tornare in camera, ma poi ripenso alla punizione che mi sono beccata e quindi mi costringo ad arrivare alla mensa.
Appoggiato di fianco alla porta a doppio battente vedo Leo che giocherella con collanina di metallo che gli spunta dalla camicia. La noto prima che possa rinfilarla sotto la stoffa. È un’ovale d’argento decorato con un basso rilievo, quel tipo di collana in cui puoi infilarci una foto minuscola. Appena mi vede, si stacca dal muro e mi regala un sorrisone, mostrando le fossette ai lati del sorriso. «Buongiorno, hermosa» apre la porta e mi fa segno di entrare.
Gli sorrido «Buongiorno, Leo». Entriamo insieme nella stanza e raggiungiamo il tavolo della sera precedente. Appena appoggio il sedere sulla sedia, lo stesso cameriere del giorno prima mi appoggia davanti la borraccia nera piena di sangue. Gli faccio un sorriso per ringraziarlo e lui annuisce e si dilegua. Leo spalma su un panino del burro e della marmellata di more e lo addenta con gusto. «So cos’è successo ieri sera» mormora con la bocca piena. Mi irrigidisco di colpo e smetto di bere. Nathan ha fatto la spia? Ha raccontato a Leo che razza di mostro sono? Lo fisso aspettando che continui ma lui si limita a masticare la colazione con aria assonnata. Gli afferro il braccio con un po’ troppa irruenza «Cosa ti ha detto Nathan?».
Mi guarda confuso e scuote la testa «Nulla, solo che la preside vi ha puniti entrambi per una stupidaggine e che non vi ha lasciato aprire bocca. Tutto qui». Allento la presa e gli lascio andare il braccio. Leo se lo massaggia «Ahi, sei davvero forte».
«Scusa» bofonchio e ricomincio a bere la mia colazione.
«È successo qualcos’altro?» domanda «Sai, Nate sa essere parecchio scorbutico quando vuole». 
Scuoto la testa. Non voglio che Leo sappia cosa sono. Quando i miei genitori hanno capito cosa fossi diventata, lo sguardo con cui mi hanno sempre guardata è cambiato irrimediabilmente. Ora vedono solo il mostro e un mostro non può avere amici.
Presa dall’ansia, mi metto a spalmare della marmellata sul pane e a spiluccarne qualche pezzetto. Tanto per dare l’idea di stare mangiando, come ieri sera.
Nathan balza sulla sedia accanto a Leo e gli dà una pacca sulla spalla. «Ehi, amico» afferra una mela e la addenta con irruenza. Non mi saluta e non mi rivolge nemmeno uno sguardo. Non ha detto nulla a Leo e non riesco a capire se è un buon segno o uno brutto. Forse vuole sganciare la bomba nel momento migliore. 
Leo nota la tensione tra di noi e comincia ad agitarsi sulla sedia e a puzzare. Tentando di smorzare l’atmosfera, Leo azzarda un discorso leggero «Allora, Evie, in che corsi ti hanno messa?».
Mi acciglio, tiro fuori il foglio degli orari e glielo passo. Lui lo scruta con attenzione e poi sorride «Hai i corsi umani praticamente quasi tutti avanzati, come me. Mentre i corsi speciali sono gli stessi di quelli di Nate».
Lui sospira sonoramente e molto platealmente.
«Hai qualcosa da dire?» chiedo piccata.
«No, tesoro» ribatte con ancora la bocca piena.  
«Sei sempre così maleducato o devo sentirmi onorata per questo trattamento di favore?».
Si pulisce la bocca con la mano. «Non ti agitare dolcezza, io sono sempre così».
«Lo sospettavo» mormoro.
«Lo stereotipo che i mannari siamo incivili e animaleschi è completamente errato. Molti di loro sono molto educati» si intromette Leo, estremamente a disagio.
«Mannari?» chiedo confusa. «Come lupi mannari?».
«Sei proprio una novellina» ribatte Nate schifato.
Leo mi tira per il braccio facendomi girare «Vedi, gli scimmioni della squadra di football e di hockey sono dei lupi mannari, così come quasi ogni giocatore di una qualsiasi squadra. Sono molto fisici e rumorosi, ma soprattutto agiscono in branco. Un lupo è forte quanto il suo branco».
Guardo Nate che mastica. «Tu cosa sei? Un porco mannaro?».
«Divertente» mugugna sarcastico Nathan «Per tua informazione, tesoro, sono un lupo mannaro».
«E come mai non sei con il tuo branco?» chiedo.
Lui sussulta e abbassa lo sguardo sul piatto. Capisco di aver toccato un nervo scoperto perché la sua espressione strafottente è scomparsa e non sembra in vena di ribattere. Mi sento subito in colpa, quell’espressione triste non gli dona proprio.
Leo da una pacca sulla spalla dell’amico e gli sorride affettuoso. «Ti accorgerai presto, Evie, che se non sei fatto con lo stampino qui non hai molti amici. Nate e io formiamo un branco a parte».
Chissà come mai lo sospettavo. «Le cose omologate non sono mai state il mio genere» asserisco tornando a concentrandomi sulla mia borraccia.
Al suono della campanella, Nate sparisce e Leo e io ci dirigiamo in classe insieme.
 
La prima lezione della giornata è letteratura e la passerò insieme a Leo. Non mi dispiace affatto, sono sempre stata brava con le parole, sempre se si tratta di letteratura delle persone normali.
Leo mi guida fino agli armadietti e mi aiuta a cercare il mio. Sorprendentemente, lo troviamo subito. Inserisco la combinazione e tiro fuori i libri che mi servono per la giornata. All'interno sono collocati anche diversi raccoglitori, quaderni e materiale vario di cancelleria.
«Puoi decorare l'interno come preferisci, l'importante è che fuori resti uguale a tutti gli altri» spiega mentre riempio l'astuccio grigio dell'accademia con penne e matite «Stai attenta a non tentare di aprirne un altro pensando che sia il tuo, le streghe ci fanno sempre degli incantesimi di protezione» si gratta la nuca con aria sofferente «Credimi, fanno davvero male».
Una volta che ho riempito lo zaino, anche quello grigio, ci dirigiamo verso l'aula di letteratura. «All'accademia ti insegnano le principali materie umane, come matematica e letteratura, e le materie che ti serviranno per sopravvivere alla tua vita soprannaturale» mi informa mentre camminiamo.
«Speravo di potermi liberare di matematica» borbotto.
Leo ridacchia «No, mi dispiace, quella c'è in qualsiasi scuola. Però la professoressa Ruben è davvero simpatica, è una fata del fuoco».
«Anche tu segui le strane materie soprannaturali?» domando mentre ci accomodiamo al banco.
Leo annuisce «Alcune sì, quelle specifiche per ogni creatura non le faccio. Nel mentre mi occupo dei lavoretti che questa vecchia accademia richiede».
Ci zittiamo nel momento in cui il professore entra in classe avvolto da una strana nuvola di fumo. Fa una bizzarra piroetta facendo volteggiare la tunica color salmone e si accomoda alla cattedra. «Buongiorno, classe» trilla con allegria «Benvenuti al corso avanzato di letteratura. Molti di voi già mi conoscono, ma per quelli nuovi, io sono il professor Felix Norton» fa una specie di inchino e sorride mostrando troppi denti. Ha i capelli biondo chiaro lunghi fino alle spalle e con le punte nere arricciolate. Ha gli occhi verde smeraldo incorniciate da lunghe ciglia dorate. È assolutamente e completamente assurdo, ma allo stesso tempo quello strano stile gli sta molto bene.
«Per quelli di voi che non lo sanno, io sono uno stregone e durante la mia lezione vige la regola che nessuno può usare i proprio poteri» mette in chiaro «Qui impariamo la letteratura come in ogni parte del mondo ed l'unica cosa su cui dovrete concentrarvi» si arrotola intorno ad un dito una ciocca di capelli «Ogni settimana affronteremo un testo diverso ed esigo che voi lo leggiate e che facciate gli esercizi che vi assegno. Non accetto giustificazioni» si alza in piedi e comincia a scrivere sulla lavagna «Inizieremo il programma da Sir Walter Scott e da una delle sue opere più famose, Ivanhoe. Qualcuno sa dirmi qualcosa a riguardo?».
L'ora di letteratura vola. Il professor Norton è incoraggiante e molto interessato al parere dei suoi studenti. Non rimprovera mai chi azzarda una risposta e aiuta tutti a riflettere sul testo in modi completamente diversi da quelli a cui ero abituata. A fine lezione distribuisce delle fotocopie del libro che dobbiamo analizzare e ci assegna i compiti per la lezione successiva. 
Leo mi scorta fino all'aula di biologia delle creature sovrannaturali che è la seconda lezione della giornata. Davanti alla porta mi fa un cenno con la mano. «Ti vengo a prendere a lezione finita» mi comunica.
La paura mi stringe le viscere. «Aspetta, non segui questo corso?».
Mi guarda dispiaciuto «Seguo quello avanzato, però in classe troverai Nate».
E questo dovrebbe essere un punto a favore? «Non credo di voler entrare».
Leo mi accarezza la spalla comprensivo. «Non ti preoccupare, è una delle lezioni più interessanti e il professor Coren è veramente bravo. Ti passerà in un attimo».
Annuisco con poca convinzione. Leo sorride. «Ci vediamo dopo». Si allontana lungo il corridoio lasciandomi sola e indifesa. Il mio primo istinto è quello di scappare. Potrei correre di nuovo nel bosco, nessuno se ne accorgerebbe, ma la vocina testarda nella mia testa mi dice di entrare in classe. Se posso aprire una macchina come una scatoletta di tonno posso anche sopravvivere ad una lezione da sola.
Varco velocemente la soglia e mi siedo al primo banco vuoto che vedo. Tiro fuori il mio libro e aspetto l'arrivo del professore fissando l'immagine in copertina. Uno strano odore di cane bagnato mi avvolge e la sedia accanto alla mia si muove, quando qualcuno ci si accomoda sopra. Mi giro lentamente e un energumeno avvolto da una giacca da football entra nel mio campo visivo. Il ragazzo si passa una mano tra i capelli castani, strategicamente spettinati, e mi lancia un'occhiata allusiva con gli occhi color erba. La giacca della squadra gli fascia le spalle enormi e lo fa sembrare più grosso di quanto non sia già. Stira le lunghe gambe verso di me e inclina la testa «Sono Raymond Maxwell» si passa la lingua sui denti perfetti «Ma tu puoi chiamarmi Ray, dolcezza» si inclina verso di me e l'odore di cane bagnato si intensifica «E tu chi sei splendore?».
I suoi modi da dongiovanni mi fanno ridere, vorrei dirgli che i tipi come lui me li mangio a colazione ma questa sua pagliacciata mi sta divertendo da morire.
«Davvero non sai chi sono io?» chiedo avvicinando la mia faccia alla sua. Ray si muove impercettibilmente in avanti, il suo battito cardiaco aumenta e l'odore di cane si mischia all'odore di sudore. «Un po' mi deludi, Raymond Maxwell».
Non avendo più la situazione in pugno, la sicurezza di Ray vacilla e l'aria da tipaccio spavaldo si opacizza. «Beh, certo che lo so. Sei la ragazza nuova».
Patetico. «Ah, sì? E qual è il mio nome?».
Vedo il vuoto nei suoi occhi. «Ecco...».
«Eveline. Si chiama Eveline. Ora che il tuo patetico tentativo di approccio si è dissolto perché non ti alzi, Maxwell, quella è la mia sedia» la voce infastidita di Nate rimbomba alle spalle di Ray. L'energumeno si gira con rabbia e fulmina Nathan con lo sguardo. «Cosa ti fa pensare che questa sia la tua sedia, Rover?».
Nate ringhia, letteralmente. «Forse perché io so il suo nome e perché lei di sicuro non vuole sedere di fianco ad un imbecille».
Ray si alza e sovrasta Nathan di almeno dieci centimetri in altezza e di venti in larghezza. «E cosa ti fa pensare che lei voglia sedere con una mezzasega senza branco come te?».
L'odore che emanano mi fa venire fame. È come se sapessi che dalla lotta uno dei due rimarrebbe ferito e indifeso e io potessi approfittarne. È una sensazione sgradevole.
Gli occhi di Nate passano dal marrone caldo e dolce, al giallo freddo e rabbioso nel giro di un secondo. I due cominciano a ringhiare come due lupi affamati e la classe intera si zittisce in attesa della rissa.
«Smettetela subito!» strepita il professor Coren dalla soglia della porta «Signor Maxwell si vada a sedere vicino al signor White». Ray prova a protestare ma il professore gli lancia un'occhiataccia che lo fa ubbidire. «Signor Rover si sieda vicino alla signorina Morgan ed eviti di creare guai. Se vi becco di nuovo pronti per una rissa, vi faccio stare in punizione per un mese». Il professore ha i capelli scuri un po' brizzolati, gli occhi nocciola gentili e un paio di occhiali scuri che gli danno l'aria di uno che sa ogni cosa. 
Nate si siede sulla sedia accanto alla mia e tira fuori il suo libro. Il suo odore è molto diverso rispetto a quello di Raymond. Sa di bosco e di qualcosa di speziato. Stranamente, mi piace un sacco.
Il professore Coren appoggia le sue cose sulla cattedra e si presenta alla classe. «Sono il professor Isaia Coren e sono qui per insegnarvi la biologia di tutte le creature sovrannaturali che abitano o hanno abitato questa terra» si sistema la camicia bianca «Le regole della scuola valgono anche nella mia aula. Parlate solo se interpellati, non disturbate e non usate le vostre abilità durante le mie ore. Il vostro compagno di banco sarà anche il vostro compagno nei progetti di studio, quindi spero abbiate scelto con cura». Oh, diamine. Non l'ho scelto io il mio compagno, posso cambiare?
«Niente cambi e niente scambi. Le decisioni che prendete nella vita spesso sono definitive, quindi dovete fare i conti con le conseguenze». La veridicità in questa frase mi colpisce in faccia. È proprio vero che una decisione possa cambiarti completamente la vita, io ne sono la prova vivente. Beh, più o meno vivente. 


L'ora del professor Coren passa veloce come mi aveva detto Leo. La materia è incredibilmente interessante e lui è molto bravo a spiegare. Nathan si distrae per tutto il tempo. Tamburella con la penna, mordicchia la matita e sbatacchia il piede contro la gamba del tavolo. Tutti i suoni che produce mi fanno impazzire e mi distraggono dalla lezione. Vorrei incollargli le mani al banco, oppure dargli un bel pugno in faccia, qualsiasi cosa lo faccia smettere.
L'ora successiva di matematica scorre rapida e Leo mi tiene molta più compagnia di Nate. La professoressa Ruben è una fata del fuoco davvero bellissima. Ha i capelli color borgogna, gli occhi quasi arancioni e delle enormi e luminose ali rosse. Ogni volta che le muove mi sembra di sentire lo scoppiettio di un falò.
Leo mi accompagna a storia dell'occulto e mi abbandona di nuovo. Questa volta entro in classe senza pensarci due volte e cerco di nuovo un banco libero. Appoggio lo zaino sulla sedia per evitare che qualcuno ripeta la scenetta di due ore prima. Evidentemente, la mia tattica non funziona, perché Nate lo tira su, lo butta a terra e si stravacca sulla sedia come se nulla fosse.
«Accomodati pure» borbotto sarcastica.
«Già fatto, tesoro, grazie» ribatte con un sorrisino.
Sistemo lo zaino che lui ha maltrattato. «Non sembra di averti invitato a sederti».
«Infatti non lo hai fatto».
«Allora perché ti sei seduto qui?». Non lo voglio di nuovo vicino, fa troppi rumori che mi infastidiscono.
«Perché mi andava» ribatte piatto, alzando le spalle.
«Senti, non c'è bisogno che ti siedi qui perché ti senti in qualche modo costretto. Noi non ci piacciamo e va bene così, perciò perché non cambi sedia?». Spero di essere stata abbastanza chiara, non lo voglio qui, soprattutto se lo fa per carità.
Appoggia una mano sullo schienale della mia sedia e una sul banco davanti al mio petto. Si china in avanti, sovrastandomi con il suo corpo, di punto in bianco stranamente imponente. «Ascoltami attentamente, tesoro». Il suo profumo muschiato mi avvolge e l'odore di menta che arriva dalla sua cicca mi fa concentrare sulla sua bocca. «Non mi siedo qui perché mi fai pena o per chissà quale altra ragione». È così vicino che un ciuffo ribelle dei suoi capelli mi sfiora la fronte. «Leo è il mio migliore amico, mi ha chiesto di farti compagnia e così sto facendo. Quando ti troverai nuovi amici e capirai che noi non facciamo per te, sparirò, promesso». Si fa più vicino e il mio organismo si infiamma. La sensazione che percepisco quando un bel ragazzo si avvicina viene moltiplicata per cento. Ma il problema è che non so se il mio corpo fa così perché Nate è oggettivamente attraente o perché il mostro vorrebbe mangiarlo. «Però fino a quel momento dovrai sopportarmi». Un brivido mi attraversa e meccanicamente mi sporgo in avanti verso le sue labbra. Nathan nota il movimento e si mette a ridacchiare ritornando verso la sua parte di banco. Gongola del fatto che ero pronta a baciarlo. Non credo però che sarebbe contento di sapere che una parte di me si è fatta avanti per mordere, non per baciare.
La professoressa entra in aula sbattendo la porta e chiudendo contemporaneamente tutte le finestre. La classe cala nel buio più totale e alcune ragazze si lasciano scappare degli squittii spaventati. Personalmente l'oscurità non mi spaventa, i miei occhi da mostro vedono benissimo al buio. La professoressa muove le mani a scatti e un proiettore sgangherato cigola fino al centro della stanza e un telo bianco si srotola contro la lavagna. Sono sbucati completamente dal nulla, prima dell'arrivo della professoressa non c'erano.
La donna muove di nuovo le mani e il proiettore si accende con uno strano scoppiettio. La luce giallognola illumina il corridoio tra i banchi e la lavagna davanti alla quale si è posizionata lei. Quando viene irradiata dalla luce capisco che forse era meglio se rimanevamo al buio. La professoressa Wright è proprio orrenda. Ha i capelli bianchi e pagliosi legati alla base della nuca in uno chignon, gli occhi marroni, freddi e aggressivi circondati da un ventaglio di rughe. Ha un vestito verde e pesante sovrastato da una mantella più scura. Mi sorprende non vederle indossare uno strano capello a punta. Sembra la versione femminile di Kester.
«Questo è il corso di storia dell'occulto» la sua voce sembra il suono delle unghie contro la lavagna «Io sono la professoressa Wright e sono qui per condividere con voi il mio immenso sapere. Se non vi interessa potete andarvene, se avente intenzione di dormire sulla sedia potete andarvene». Si muove per la stanza, rigida e con le mani sui fianchi. «Se pensate di essere obbligati a restare vi sbagliate di grosso». I suoi occhi glaciali mi si inchiodano addosso e lei mi si pianta davanti. «Se pensate di essere minimamente speciali e che per voi le regole non valgono, avete proprio sbagliato a capire». Mi guarda con disprezzo arricciando il naso. So che sta fissando me, il banco dietro è vuoto. «Qui dovrete faticare come tutti, nessuno escluso». Se crede di intimidirmi ha sbagliato a capire. Non è la prima volta che qualcuno mi guarda in quel modo e non sarà di certo l'ultima. Mi lancia un'ultima occhiataccia di disdegno e finalmente torna alla cattedra. Batte le mani due volte e sui nostri banchi appare un volume pesante e polveroso. «Questo è il testo che dovrete studiare come se fosse sacro, assimilate ciò che vi insegno e potrete dire di sapere veramente qualcosa di importante». Fa ondeggiare le dita della mano destra e il proiettore mostra la prima immagine. «Come avrete capito, io non disdegno l'utilizzo delle abilità durante le ore di lezione. Sentitevi liberi di usare ciò che il mondo vi ha donato, non nascondete le vostre capacità, almeno non qui». La classe borbotta eccitata. «Bene. Aprite il libro a pagina otto e cominciamo».  
 
La lezione è lunga, pesante e satura di argomenti di cui non ho mai sentito parlare. Dovrei alzare la mano e chiedere dei chiarimenti, ma ogni volta che mi muovo la professoressa mi guarda disgustata. Quindi fingo di capire e resto in silenzio. Al suono della campanella mi alzo velocemente e raduno le mie cose. Quando faccio per andarmene la strega mi chiama. «Morgan. Signorina Morgan». Mi fermo in mezzo alla classe e lentamente mi giro. La donna mi fa segno di avvicinarmi muovendo l'indice. «Venga qui». La raggiungo lentamente e tenendomi ad una certa distanza. La professoressa si alza, gira intorno alla cattedra e mi sovrasta con la sua figura snella e slanciata. «Mi sembrava alquanto distratta durante la lezione, signorina Morgan. Come ho detto all'inizio, i fannulloni non sono bene accetti nella mia classe».
Stringo le mani intorno al libro per evitare di mettergliele addosso. «Ero molto attenta, signora, ma non avendo mai trattato questi argomenti mi sono trovata un po' spaesata in alcuni punti».
Schiocca la lingua e sbuffa spazientita. «E di chi è la colpa?».
Sospetto vivamente che sia mia, ma non ho intenzione di darle questa soddisfazione.
Lei prende il mio silenzio come un'ammissione di colpa. «Senta, signorina Morgan, quando la preside ha deciso di ammetterla all'accademia non ha chiesto minimamente il nostro parere e questa cosa non mi va affatto giù». Giocherella con gli anelli e mi fissa dritta negli occhi. «Non credo che farla venire qui sia stata un'idea intelligente. È una bestia pericolosa, aggressiva e senza umanità che porterà solo guai, così come hanno fatto i suoi predecessori». Stringo i denti con forza e i canini mi graffiano le gengive. «Non mi interessa cosa dice la preside, molto presto capirà che questo non è il luogo adatto a lei e andrà tra la sua sporca gente». La mia gente? Cosa diavolo significa? La professoressa interpreta la mia espressione confusa. «Non lo sa. Ovviamente non lo sa, la preside non glielo avrà detto per paura di farla scappare a gambe levate. Sono contenta che viva nell'ignoranza e quello che si merita». Stringo così forte il libro che inizia a scricchiolare. Mi osserva inclinando la testa come se si aspettasse di vedere saltare fuori la bestia. Mi dispiace, non le darò questo piacere.
Sbuffa delusa. «In ogni caso, finché resterà qui, esigo che stia attenta durante le mie lezione». Schiocca le dita e dei tomi compaiono sul tavolo «Legga questi per la prossima lezione, così potrà mettersi almeno un po' in pari». Mi scaccia come se fossi una mosca. «Ora vada via, la sua presenza mi sta infastidendo».
Esco dalla classe praticamente volando e mi chiudo la porta alle spalle con un botto. Lancio i suoi stupidi tomi contro il muro, insieme allo zaino e a tutto il suo contenuto. Un ringhio di frustrazione mi nasce dalla base della gola e si irradia per il corridoio. La parete contro cui ho lanciato le mie cose si crepa e l'intonaco si stacca.
Che giornata infernale.
«Evie?» la voce di Leo vacilla «Stai bene? Cosa voleva?». Mi giro e lui e Nate mi fissano confusi e preoccupati. Bene, ho appena fatto la pazza davanti agli unici amici che mi sono fatta.
Leo si avvicina, si china e raccoglie i libri che ho scaraventato al suolo. «La Wright sa essere un osso duro alcune volte, ma è una donna brillante e molto colta». Non mi è sembrata molto colta mentre mi dava della bestia. «Qualsiasi cosa ti abbia detto sono sicuro che non fosse stimolato dalla cattiveria».
Nate sbuffa. «Sei troppo gentile con le persone, Leo. Non sempre sono quello che sembrano». Il suo sguardo stranamente comprensivo mi sorprende. Che abbia sentito? Ma come? Probabilmente i lupi mannari hanno un super udito, come il mio.
Leo è gentile perché lui è solo un umano e cerca sempre di vedere il buono nelle persone.
«Stai bene?» mi domanda dolcemente mentre cerca di radunare le mie cose.
«Alla grande» mento «Andate in classe, non voglio che facciate tardi».
«Non se ne parla» ribatte Leo.
«Leo vai in classe» si intromette Nate «Se fai tardi ad un corso finisci nei guai e tu non ci finisci mai. La aiuto io, tanto abbiamo un'altra lezione insieme». Si china anche lui sul pavimento e comincia a raccogliere dei fogli. Gli dà un colpetto sulla spalla «Vai, tranquillo».
Leo mi guarda in attesa di una risposta e io annuisco d'accordo. Non voglio che faccia tardi. «Va bene» acconsente «Ci vediamo a pranzo».
Si allontana lasciandoci in ginocchio sul pavimento di marmo e completamente soli.
«Mi dispiace» borbotta infilando i fogli nel mio zaino «Per quello che ha detto».
«Hai sentito» esalo.
«Era difficile da ignorare, il rumore dei tuoi denti che scricchiolavano dalla rabbia ha attirato la mia attenzione» mormora.
Raccolgo i tomi e mi alzo insieme a Nate. «Non importa».
Ci dirigiamo verso l'aula a passo svelto. «Dovrebbe invece».
 
   
 
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