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Autore: Alexa_02    19/10/2020    0 recensioni
Eveline Morgan ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare. È intelligente, bellissima, ha una famiglia ricca, una migliore amica stupenda e tutti i ragazzi che vuole. Al ritorno da una festa però, il destino le fa lo sgambetto e tutto ciò che pensava di possedere si dissolve. Al suo risveglio in ospedale, le cose non sono più come le ricordava.
Evie non è più come si ricordava.
È tutto cambiato, in lei c'è qualcosa che non va e la sua famiglia se ne rende subito conto. In casa e nelle loro vite perfette, non c'è più posto per il mostro che è diventata. Eveline viene così spedita al Campbell Accademy, una scuola per persone speciali che possono comprenderla e aiutarla. Sembra l'epilogo di una storia sfortuna ma, come scoprirà presto, la storia è appena cominciata.
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Chapter 4
 
Nate ed io entriamo in classe di chimica della magia leggermente in ritardo beccandoci un richiamo verbale. La professoressa Brooks sembra uscita da una pubblicità di qualche parco dei divertimenti. Ha i capelli blu, corti e riccioli, Gli occhi neri circondati da delle lunghissime ciglia verdi e indossa un camice bianco, che le fascia le curve alla perfezione. Se non fossi circondata da bestie ed esseri sovrannaturali molto probabilmente mi metterei anche a ridere, ma lei sembra perfettamente a suo agio ed esattamente nel suo ambiente. Ci assegna l'ultimo banco rimasto in prima fila e naturalmente ci mette in coppia insieme per il laboratorio.
«Come stavo dicendo prima di essere interrotta, io sono la professoressa Ivory Brooks e vi insegnerò a creare e utilizzare rimedi magici e pozioni di ogni tipo». Fisso le provette che ho davanti con aria confusa. La chimica che facevo al liceo ora mi sembra inutile. «L'utilizzo delle pozioni e degli incantesimi base è un'ottima arma per ogni essere, anche per chi non è una strega o un mago. Le nostre lezioni sono strettamente legate a quelle di Botanica e piante magiche. Tutti sapete che i corsi pomeridiani cominceranno la settimana prossima, così da avere il tempo di preparare le basi per poter collegare i due corsi». Batte le mani allegra. «Bene, ora cominceremo con qualche nozione di base».
Chimica della magia è molto più rilassante e meno incomprensibile di storia dell'occulto. La professoressa è più dolce e paziente e alla fine la materia è molto più simile alla chimica degli umani di quanto pensassi.
Nathan ed io ci dirigiamo verso la sala da pranzo in un religioso silenzio. Dopo il suo commento molto comprensivo ed empatico, ha smesso di parlarmi e di calcolarmi. Sembra completamente nel suo mondo e forse è meglio così, è dalla colazione che non mi lancia una frecciatina o un insulto.
Ci sediamo al nostro tavolo e ai lati di Leo.
«Come ti è sembrata la mattinata?» mi domanda frizzante.
Come mi è sembrata? La mia vita è un casino, sono bloccata in questo posto e non sembro essere la benvenuta e non capisco nulla di quello che i professori spiegano. «È andata bene» mormoro.
Lui sorride «Il primo giorno è duro per tutti, tra una settimana ti sembrerà tutto molto meno pesante».
Sto perdendo la mia bravura nel mentire. «È così evidente?».
«Hai l'aria di chi sta combattendo una battaglia interiore».
Oh, non ne hai idea. «Ho solo fame». Sì, questa non è una bugia.
Leo smette di farmi domande e si gira verso Nate. «Dicono che hai quasi fatto a botte con Maxwell stamattina per sederti vicino a Evie».
Lui sbuffa dal naso mentre mastica la pasta. «Lei non c'entra nulla» ribatte brusco «Lui faceva lo stronzo e sai quanto mi dà fastidio la sua faccia. Comunque, non ci siamo nemmeno sfiorati, solo qualche ringhio».
Leo scuote la testa scettico. «Per i corridoi dicono che vi siete battuti per stare con lei e che tu hai vinto».
«La gente dice un sacco di cazzate, Leo, dovresti saperlo. E poi perché mai mi sarei dovuto battere per lei?».
Il modo in cui pronuncia lei, come se fossi uno scarafaggio, mi fa arrabbiare e riapre una ferita fresca.
Una bestia pericolosa, aggressiva e senza umanità che porterà solo guai.
È tutto quello che ho sempre sospettato. Tutto quello che i miei genitori si sono sussurrati mentre pensavano che dormissi. È quello che sono, perché cercare di cambiare la realtà.
Quando il cameriere mi dà la mia borraccia piena di sangue, mi alzo e punto all'uscita della mensa.
«Evie?» mi chiama Leo «Dove vai? Eveline?».
Fingo di non sentire. Fingo che non importi. E me ne vado. Salgo di corsa fino alla mia stanza e mi ci chiudo dentro, sperando che la porta di legno lasci fuori le voci.


Resto sdraiata sul pavimento per diverse ore. Resto immobile e senza respirare, tanto non ne ho bisogno. Fisso la crepa sul soffitto e conto. Conto i secondi che riesco a far scorrere senza respirare, verso i duemila smetto di contare e chiudo gli occhi.
Verso le quattro mi rendo conto che ho una punizione da scontare e che sono anche un po' in ritardo. Scendo di corsa le scale e raggiungo il giardino dell'accademia. Cammino nell'erba, contro il vento freddo e verso il gruppo di ragazzi che si è radunato intorno al professor Coren. Lui alza la voce per sovrastare il soffiare del vento. «Oggi ci occupiamo del confine tra il nostro prato e il bosco. Se non lo sistemiamo regolarmente il bosco finirà per arrivare fino agli edifici. Vi dividerete a coppie e vi occuperete di una zona da sistemare, taglierete i rami secchi e strapperete le erbacce. Formate le coppie».
Resto ferma infondo al gruppo, se sono fortuna e siamo dispari riuscirò a stare sola.
Preferisco stare per conto mio.
Quando ognuno ha il suo compagno e si sta dirigendo verso una zona da bonificare, il professor Coren mi affianca. «Signorina Morgan, giusto?». Annuisco e afferro i guanti rovinati che mi sta porgendo. «Lei sistemerà le erbacce selvatiche insieme al signor Rover».
Mi irrigidisco e trattengo a stento un'imprecazione. Mi ero scordata di Nathan.
Mi rendo conto che è molto vicino quando il suo profumo viene trasportato dal vento verso di me. Odio terribilmente che al mio corpo piaccia.
Nate mi spunta vicino, afferra i guanti da lavoro e senza dire una parola si dirige verso una zona del bosco che sfiora il prato perfetto dell'accademia. Sbuffo sonoramente e lo seguo maledicendo la mia testardaggine.
Si accuccia vicino ad un albero secco, proprio come aveva fatto in corridoio, e comincia a strappare l'erba selvatica. Scivolo al suolo senza opporre resistenza, spero di farmi male ma l'unica cosa che sento è la solidità della terra contro i miei muscoli.
Delle risatine idiote attirano la mia attenzione. Due ragazze ridacchiano poco distanti da noi e ci fissano con insistenza. L'occhiataccia che gli regalo le fa smettere di ridere.
Mi metto a strappare l'erba con forza e velocità, voglio finire il prima possibile. Nathan fa lo stesso dalla sua parte dell'albero e ogni tanto mi osserva attraverso il ciuffo biondo.
Questa punizione è ridicola. Questo stupido posto è ridicolo. Voglio andarmene. Voglio che le cose cambino. Voglio...Cosa voglio?
«Evie». La voce di Nate mi arriva da molto lontano. «Così fai solo danni».
C'è qualcosa che non va, lo sento nell'aria e lo percepisco contro la pelle. È una sensazione sgradevole. Un presentimento che mi annuncia una catastrofe. Come se percepissi l'arrivo di uno tsunami, ma questo non è uno tsunami, è qualcosa di completamente diverso. Il vento soffia forte contro di noi. Troppo forte.
La sua mano bollente mi afferra il braccio gelido «Eveline».
Sobbalzo rientrando nella realtà e mi scontro con lo sguardo preoccupato di Nate. Dove la nostra pelle entra in contatto sento uno strano bruciore. Non provoca dolore. È come se le nostre cellule fossero entrate in contatto per la prima volta e stessero impazzendo. Il pizzicore mi risale il braccio come un serpente fino ad arrivare al petto. Una sensazione calda e rassicurante mi riempie il cuore facendomi tremare.
Nathan fissa il punto in cui la sua mano tocca il mio braccio sperduto come non mai. Sembra confuso e allo stesso tempo davanti alla realizzazione della sua vita. Vorrei che mi spiegasse ma quando mi guarda l’intensità nei suoi occhi mi fa allontanare con uno scatto. 
La sensazione si dissolve ma il vigore nel suo sguardo non sparisce. «Scusa» esala, facendosi ancora più distante.
Vorrei fermarlo e chiedere delle spiegazioni, ma sono troppo occupata ad origliare un'altra conversazione. Le due ragazze che prima ridacchiavano, bisbigliano e parlottano a voce bassissima. Se non avessi il super udito probabilmente non mi renderei nemmeno conto che sono circondata da altre persone, tanto il vento soffia forte. Ma quando percepisco le loro voci mi rendo conto che c'è una ragione a tutto questo vento: loro.
Le due streghe stanno facendo qualche sorta di incantesimo e lo stanno facendo a causa della presenza di Nate. Le loro voci mi risuonano nella scatola cranica come se avessero usato un megafono. «Ora vedrai che scena epica» sussurra una delle due «Dicono che quando si arrabbia cambia forma completamente».
«Muoviti con questo incantesimo, ci vuole più potenza se vuoi sradicare l'albero» le squittisce contro l'altra «Non vorrai far arrabbiare Natalie?».
A quella minaccia, la prima strega aumenta l'energia e la forza, il suo battito cardiaco aumenta con la stessa irruenza del vento. L'enorme albero sotto cui siamo accucciati scricchiola pericolosamente. I fogli nelle mani del professore si librano nell'aria e i guanti abbandonati nell'erba rotolano via. Branchi di nuvole si condensano sopra il bosco e nel cielo esplode un tuono assordante.
«Cosa...?» la voce di Nate sovrasta il vento.
La sensazione di una catastrofe imminente ricompare e questa volta è più intensa di prima. So che cosa succederà, devo solo impedire che accada.
Il secondo lampo colpisce in pieno il grosso albero e, prima che se ne renda conto, colpisco con forza il petto di Nate per allontanarlo e finisco nella traiettoria dell'arbusto sradicato. Copro istintivamente la testa e chiudo gli occhi. Il dolore è intenso e lancinante, ma è anche alquanto piacevole. Provare male mi ricorda che in qualche modo sono ancora viva, che posso ancora sentire. Non importa come, qualsiasi sensazione eviti la totale apatia è ben accetta.
L'enorme arbusto viene sbalzato via da una forza estranea e il mio corpo viene raccolto da terra. «Evie?» la voce di Nate è preoccupata e ansiosa. Le sue braccia mi stringono la schiena e le sue dita mi sfiorano la testa. È molto piacevole, molto più piacevole del dolore.
«Signorina Morgan, mi sente?» la voce del professor Coren mi riscuote. 
Apri gli occhi, Evie.
Non morirai oggi, non se io sono qui con te.

La voce che mi rimbomba in testa non è la mia, è famigliare ma non mi appartiene. È come un ricordo sbiadito di una vita passata. Cerco di ricordare, ma proprio non riesco a collocarlo.
Apri gli occhi, Eveline, ora.
Dischiudo le palpebre e la luce fioca mi infastidisce le iridi. La prima cosa che vedo sono gli occhi castani e preoccupati di Nate che mi fissano. Quando vede che sono sveglia e viva, si lascia scappare un sospiro di sollievo. È leggero e quasi impercettibile, ma io lo noto lo stesso. 
«Stai bene?» domanda. Ha una macchia di sangue sulla camicia, proprio vicino al colletto della divisa. 
«È la domanda più stupida del pianeta. Mi è appena caduto un albero enorme sulla testa, direi che benissimo non sto» mormoro infastidita.
Il professor Coren si sporge da dietro la spalla di Nathan. «Direi che il sarcasmo è rimasto completamente intatto» ridacchia «Signor Rover le dispiace accompagnare la signorina Morgan in infermeria, io devo scambiare due parole con la signorina Hill e la signorina Harrison» mormora lanciando un'occhiata di rimprovero verso le due streghe. Loro impallidiscono.
«Certo, professore» assicura Nate. Si alza di slancio e mi tiene stretta tra le braccia come se fossi una sposa o una principessa. Il cielo è tornato tranquillo e grigio come prima e gli studenti che si sono radunati intorno alla scena, ci guardano mentre ci dirigiamo verso la scuola.
 
 
«Perché lo hai fatto?» mi domanda Nate appoggiato al bordo del letto dell'infermeria con le braccia strette contro il petto muscoloso. Dopo avermi depositata sul lettino di carta con delicatezza si è subito posto ad una certa distanza. Mi fissa come un gufo imbronciato. «Perché mi hai spinto via?».
«Un grazie basterebbe» ribatto tamponando il taglio sulla fronte con un po’ di cotone.
«Grazie» mormora con forza «Ora dimmi il perché».
Sbuffo. «Non c'è nessun perché, ora smettila». Dove diavolo è finita l'infermiera?
Nate si avvicina lentamente, osservandomi con insistenza. «Chiunque si sarebbe fatto da parte, tu invece mi hai spinto via e ti sei presa il colpo».
«Senti» non ho la forza mentale per spiegargli i miei ragionamenti «Ho capito cosa stesse succedendo e ti ho tolto di mezzo, tutto qui. Dimenticalo».
«Non lo farò» sospira.
Prima che possa ribattere, l'infermiera entra nella stanza con un fascicolo con sopra il mio nome «Allora, Eveline Ruby Morgan. Diciassette anni, femmina, specialità...oh!» alza lo sguardo dal fascicolo e mi fissa impressionata «Non ho mai avuto nessuno come te, Eveline, quindi mi scuso per la mia ignoranza in merito alle tue capacità».
«Non importa» borbotto a disagio.
«Sono l'infermiera, Darleen» I suoi occhi viola mi ispezionano con cura «Hai preso una bella botta, caspita e pensare che le sessioni di lotta non sono ancora iniziate».
«Sessioni di lotta?».
Nate annuisce. «È una delle attività pomeridiane che comincia la prossima settimana. Li si combatte e si impara a difendersi».
«Barbarico» squittisce Darleen agitando le trecce grigie «Una lezione futile e disumana». Si allunga verso un carrellino di metallo e se lo tira vicino. Sopra ad esso sono depositati una serie di strumenti chirurgici e di liquidi colorati. «Allora cara, forse devo metterti dei punti sulla fronte. I lividi guariranno da soli e i graffi vanno disinfettati. Molto probabilmente hai il braccio rotto. Con cosa hai lottato?».
«Un albero molto grande» ribatto e alzo la mano quando afferra ago e filo «I punti non servono, le ferite si chiudono da sole. Cucirle fa solo fissare la cicatrice».
Lei li riappoggia sul carrellino. «Oh, certo, ne sai più tu di me sull'argomento. Di cosa hai bisogno per guarire?».
Merda. Come glielo dico senza che Nate lo senta? «Può chiedere in mensa, loro sanno cosa portarmi. Chieda di Harris» sussurro.
Lei annuisce con forza. «Vado subito. Nate, caro, tu disinfettale i tagli, sai come fare».
Darleen sparisce oltre la porta e Nathan si avvicina, prende un cotoncino e lo inzuppa di disinfettante. Con delicatezza, mi tampona i tagli e i graffi sul viso e sul collo. È la prima volta che mi sta così vicino di sua spontanea volontà. Con la mano sinistra mi inclina la testa secondo l'angolazione che gli è più comoda, mentre con la mano destra mi pulisce le ferite. Da vicino è anche più bello che da lontano. Gli occhi che mi erano sembrati neri, sono di un caldissimo color cioccolato e sul naso ha una spruzzata di lentiggini. Sul labbro inferiore ha una piccola cicatrice bianca che ha l'aria di essere il ricordo di una scazzottata.
Il suo corpo, così vicino al mio, mi rende nervosa. Chiudo gli occhi nel tentativo di pensare a qualcos’altro, ma faccio solo peggio. Il suo odore si mescola tra noi e il battito regolare del suo cuore mi rimbomba nelle orecchie. Dovrei dirgli di allontanarsi, che se mi sta così vicino mentre sono ferita e affamata potrebbe farsi male, ma proprio non ci riesco. Mi piace la sua vicinanza. 
«Scusa se ti sto facendo male, è più facile quando mi medico da solo» mormora di punto in bianco.
Non è per il dolore che ho chiuso gli occhi. «Non importa» farfuglio.
«Quando cominciano le lotte questo posto brulica di persone malconce» spiega «Non so di chi sia stata l'idea di farci combattere fra di noi, non è mai un bello spettacolo soprattutto se uno dei due non ha forza fisica».
Mi tremano le mani, la gola brucia e ho la testa che scoppia. Sento il mostro che spinge per uscire, ha fame ed è ferito, una combinazione assolutamente letale. I canini sbucano fuori, gli occhi cambiano colore e lo stomaco borbotta con forza. Allontano Nathan con una spinta vigorosa facendolo inciampare all'indietro. Si aggrappa alla scrivania dell'infermeria per non cadere e mi guarda confuso.
Il dolore mi si propaga attraverso la pelle, nelle ossa e nella testa. Lotto contro gli istinti più micidiali, lotto con tutte le mie forze perché la bestia non esca dall'armadio.
Darleen entra nell'ambulatorio come una furia tenendo in mano una grossa sacca di sangue. L'odore mi fa perdere completamente la testa. Gliele strappo di mano con forza e ci affondo i denti senza pensare. Lascio che il liquido caldo mi si riversi in gola e che il dolore che mi attraversa ogni nervo del corpo sparisca.
Ritrovo il controllo quando la sacca è vuota e il mio organismo comincia a guarire. Seduta sul pavimento di piastrelle bianche e completamente macchiata di sangue, ho paura di guardarli. Ho paura dei loro sguardi schifati. Ho paura di un ulteriore rifiuto. Lentamente alzo lo sguardo e incrocio il loro. Darleen mi osserva preoccupata, come per essere sicura che io stia bene. Nate invece sembra confuso e anche molto sorpreso. Non ha paura e questo mi dà la forza di alzarmi. Quando provo ad issarmi sulle braccia, il dolore lancinante dell'osso spezzato mi fa guaire. Entrambi si muovono prontamente per aiutarmi e riesco a tornare seduta sul lettino.
«Devo rimettere l'osso in asse per farlo guarire» mi comunica Darleen «Sei pronta?». Annuisco. «Nate, caro, aiutami a tenerla ferma». Nate mi tiene saldamente per le spalle mentre Darleen tira con forza il polso. Uno schiocco, seguito da un mio urlo e l'osso è di nuovo a posto.
Tra un'ora sarà già guarito.
«Bene, tesoro, abbiamo finito» mi accarezza i capelli «Ti consiglio di riposare. Quando starai bene e avrai voglia, vorrei farti alcune domande personali».
«Va bene» mugugno. Lei mi passa un fazzolettino umido indicandosi il mento. Devo essere tutta sporca di sangue, meraviglioso. Pulisco la bocca e tutto ciò che mi sembra appiccicoso, peccato non possa eliminare questa orribile sensazione di vulnerabilità che mi attanaglia lo stomaco.
 
Percorro il tragitto verso la mia stanza di corsa. Ignoro qualsiasi figura sfuocata entri nel mio campo visivo e punto al mio spazio personale. Mi richiudo la porta alle spalle e mi abbandono sul materasso.
Il mio segreto è andato.
Sfumato.
Sparito.
Nate ha messo in ordine i puntini e ha capito la verità. Dopo che mi ha aiutata a scendere dal lettino dell'infermeria, si è dileguato come se gli andassero a fuoco i vestiti. Quando lo dirà a Leo perderò l'unico amico che ero riuscita a farmi e mi ritroverò di nuovo sola. È una situazione a cui sto cercando di abituarmi, resterò sola per l'eternità, credo che sia questo il succo della mia maledizione. Bellezza, velocità, forza ma al prezzo di una vita spesa nella più totale solitudine. Lamentarsi non cambia la situazione, ma non mi sono cercata tutto questo, non l'ho chiesto io. Vorrei sapere chi ha deciso per me. Chi si è preso il diritto di decidere come avrei passato il resto della mia esistenza?
 
Spendo il resto del pomeriggio e della sera a crogiolarmi nell'autocommiserazione e nel mare di domande, che mi infesta la testa ormai da mesi. Mi infilo una tuta e mi raggomitolo nel letto. Chiudo gli occhi e aspetto che tutta questa ansia fluisca fuori dal mio corpo.
Un rimbombo assordante si dirama dal vetro della finestra. Salto così in alto che probabilmente sfioro il lampadario con la testa. La figura poco illuminata di Nate mi fissa mortificata da dietro il vetro. Scivolo fuori dal letto, spalanco le ante e lascio che l'aroma di bosco invada la stanza.
«Scusa» bisbiglia reggendosi contro la cornice «Non volevo spaventarti».
Lascio che scivoli all'interno e che si sieda sulla scrivania sgombra. «Cosa fai qui? Come sei arrivato?».
«Sono venuto a vedere come stavi, Leo era parecchio preoccupato. Mi ha assillato tutta la cena perché venissi a vedere se stavi bene» si sistema i capelli spettinati dal vento «Dopo le nove non ci è concesso di entrare nei dormitori delle ragazze e viceversa, così abbiamo scoperto che passando dal tetto puoi arrivare in qualsiasi stanza, ovviamente se sai dove vai». Fa un sorrisetto malizioso. «Leo non è molto atletico e per nulla sovrannaturale, così sono venuto io».
La sua figura così vicina mi rende nervosa, indietreggio e cerco un po' di spazio personale «Sto bene, ora puoi tornare in camera tua».
Sospira silenziosamente, come se si fosse aspettato una frase completamente diversa. «Sono anche venuto a portarti questo». Infila la mano nella tasca della giacca e tira fuori la borraccia nera. «Non sei venuta a cena, così ho...abbiamo chiesto al cameriere se potessimo portartelo noi. Sembra che tu ne abbia molto bisogno...».
La paura mi si riversa nello stomaco. Striscia. Mi paralizza. Nate regge una bottigliata di sangue tra le mani come se fosse del semplice caffè. Ha il mio segreto davanti al naso e non sembra minimamente schifato o spaventato.
Comprensione, vedo solo quella nel suo sguardo.
«Qualcosa non va?» chiede accigliato.
Scuoto la testa e afferro il contenitore. «No, tutto bene. Ora puoi andare». Non capisco perché non ha paura. Gli ho mostrato il mostro due volte e lui mi sta ancora a meno di un metro di distanza. O ha tendenze suicide o non ha ancora capito cosa ha davanti. In ogni caso non voglio saperlo, prima lo faccio uscire dalla mia vita, meglio è.
«Evie». Dice il mio nome in modo armonioso. «Non hai nulla di cui vergognarti».
«Pensi che mi vergogni? Davvero?». Mi scappa una risata strana. «La vergogna è l'ultimo dei sentimenti che provo in questo momento».
«Qual è il primo?».
«Paura e disgusto, un misto dei due».
Inclina la testa. «Hai paura di me?».
Stropiccio le maniche della maglietta, cercando di non perdere il controllo. «Paura di te? Oh no, credimi. L'unico che dovrebbe avere paura qui sei tu».
«Allora di cosa ti spaventa?».
Un trilione di cose. «Quello sguardo» lo indico «Quella curiosità che cerchi di celare, la voglia irrefrenabile di sapere. Forse non hai ancora capito o forse lo hai capito già da un pezzo, ma l'unica cosa che vuoi in questo momento è sapere se le tue ipotesi sono fondate e vuoi che sia io a confutarle».
Aggrotta la fronte visibilmente arrabbiato e i suoi occhi scuri brillano di un giallo radioso nella penombra della stanza. «È questo che pensi di me? Credi veramente che sia qui per giudicarti? Diavolo, Evie, sono esattamente come te! Non lo vedi?». Agli occhi gialli si uniscono delle lunghe zanne affilate, più peli di quanti qualcuno ne vorrebbe e delle aguzze unghie scure. Una persona normale indietreggerebbe davanti ad uno spettacolo simile, io invece sento l'impulso interiore di toccarlo. Allungo la mano verso il suo viso da mostro e Nate si scosta leggermente. La sensazione che provo quando mi guardo allo specchio non è la stessa che provo mentre guardo il vero viso di Nate. Lui è perfetto, lo era anche prima ma ora è come se fosse realmente lui. Non è un mostro, è semplicemente sé stesso. Bellissimo. 
«Ora lo vedi?» mormora «Siamo della stessa pasta, solo con qualche differenza». 
No, non siamo affatto uguali ma non voglio contestarlo, perciò annuisco. Lui torna il Nate senza peluria e scivola giù dal tavolo. Mi sfiora con incertezza la guancia, spostando una ciocca corvina. «Andiamo benissimo così come siamo, non hai nulla di cui vergognarti». I suoi capelli mi sfiorano la fronte mentre si avvicina. «Sei…tu sei…».
L’attrazione mi stringe le interiora e mi tira nella sua direzione. La pelle mi formicola tutta, ho lo stomaco sottosopra e, se non fossi sicura di essere morta, direi che il mio cuore sta battendo all'impazzata. Il mio sguardo viene attirato verso le sue labbra, come posseduto. Carnose, rosee e perfette. Succederebbe qualcosa di male se provassi a sentire di cosa sanno? Probabilmente lui si scanserebbe. Senza ombra di dubbio. Ma anche lui mi sta guardando e mi sta guardando affamato. Il suo battito cardiaco è accelerato, ne sono sicura, lo sento chiaramente. Però nel momento in cui prendo coraggio e mi sporgo verso di lui, qualcuno bussa alla porta. Ero così concentrata su Nathan che non l'ho sentito arrivare. Entrambi ci scostiamo rapidamente e Nate salta di nuovo fuori dalla finestra. Raggiungo la porta, dopo aver chiuso gli infissi, e la spalanco.
La preside Sheridan mi fissa radiosa e sorridente, come sempre. «Signorina Morgan» cinguetta. Non mi chiede di entrare, fa un passo in avanti e mi costringe ad indietreggiare. «Ho saputo della vicenda che è accaduta oggi durante la punizione e me ne rammarico» inclina la testa in una strana espressione dispiaciuta «È un fatto che le assicuro non si ripeterà, qui prendiamo molto seriamente il bullismo».
«Grazie, ma non c'è biso...».
«È d'obbligo invece! Il suo soggiorno qui deve essere il più piacevole possibile, quindi ho preso provvedimenti» spalanca leggermente gli occhi come se mi avesse vista veramente solo in quel momento «È andata in infermeria?». Annuisco. «Ottimo, spero si riprenda presto».
«Grazie» borbotto.
Lei sorride meccanica ed esce dalla stanza così com'è entrata.


 
Resto sdraiata sul pavimento circondata dai libri e dagli appunti. Cerco il più possibile di mettermi in pari e di approfondire la storia della mia specie. Quando mi scoppia la testa e sono stufa di ordinamenti e norme del sovrannaturale, decido che è ora di una pausa. Una doccia mi farà sentire di sicuro meglio. Raccolgo le cose che mi servono e zampetto fino al bagno delle donne. La porta è chiusa e quando provo ad abbassare la maniglia non si muove. La scuoto un paio di volte cercando di capire se è chiusa a chiave o se è semplicemente incastrata. Quando provo a tirare con più forza, la maniglia passa da color ferro a rosso acceso e diventa incandescente. Trattengo un gemito e la lascio andare di scatto. Sul palmo mi si forma una lunga bruciatura rossastra e terribilmente dolorosa. Come se non fossi già abbastanza malconcia. La maniglia torna lentamente del suo colore normale anche se non sono molto sicura di volerla toccare di nuovo. Sto per andarmene quando un piagnucolio sommesso mi attraversa la testa. Sospiri e singhiozzi mi arrivano dall'interno della stanza. Siccome adoro non farmi mai i fatti miei, afferro di nuovo la maglia ignorando il dolore lancinante e con una spallata finalmente riesco ad aprire la porta. Il trambusto interrompe il piagnucolio. Infilo la mano sotto l'acqua gelata e stringo i denti ingoiando il dolore. «C'è qualcuno?». Un respiro strozzato e un espiro agitato vengono prodotti all'interno di una delle docce centrali. Mi avvicino alla porta della doccia e aguzzo l'udito. «È tutto okay?».
La ragazza tira su con il naso e balbetta a bassa voce. «S-Sì».
Ci sono numerose ragioni per cui una ragazza si potrebbe chiudere nel bagno a piangere, non avendo voglia di indovinare vado subito al sodo. «Come mai sei chiusa qui dentro?». La risposta della ragazza è un silenzio misto ad un tenue pianto. «Non sono arrabbiata, davvero. Il tuo incantesimo, al meno credo sia un incantesimo, fa un male cane. Questa bruciatura sparirà, vero?». 
«Sei Eveline?» chiede in un sussurro.
«Sì» aggrotto la fronte. «Come lo sai?».
«Nessuno avrebbe aperto la porta, disobbedendo al regime di Natalie» mugola.
Ora è tutto più chiaro. Non si è nascosta, è stata chiusa dentro. Beh, potevo arrivarci. Nessuno l'avrebbe aiutata se non fossi arrivata io ad impicciarmi. L'empatia mi si diffonde dentro come un virus e mi fa fare domande stupide. «Come ti chiami?».
Lei tira su con il naso «Dhatri. Dhatri Kapoor».
«Perché non esci, Dhatri?».
Fa un sospiro. «Non ho nulla addosso».
Le faccio scivolare sopra la porta il mio accappatoio e il mio asciugamano. Dhatri sospira di piacere e smette di piangere. Quando è coperta apre lentamente la porta ed esce dal cubicolo della doccia. Si guarda intorno guardinga e cerca di sorridere. È più alta di me, ha la pelle color caramello, i capelli neri tagliati molto corti e due enormi e umidi occhi tra il marrone e il verde. È infreddolita e con le labbra che tendono al blu.
«Da quanto sei lì dentro?».
Si stringe nel mio accappatoio. «Che ore sono?».
«Le quattro e mezza».
Annuisce «cinque ore e mezza».
La rabbia mi risale le ossa e stuzzica il mostro. Nessuno può essere così cattivo. Vorrei mordere Natalie fino a farla dissanguare. «In quasi sei ore non sei riuscita ad asciugarti?».
Scuote la testa. «Hanno messo un incantesimo sul bagno, finché resto qui non riesco ad asciugarmi».
La rabbia monta come una meringa. Respiro con calma e cerco di non sguainare i canini. «Ti accompagno in camera, ti va?».
La scorto lungo il corridoio e fino alla porta. Prima di entrare, Dhatri mi stritola in un abbraccio da orso facendomi irrigidire. Ricambio in modo goffo e percependo ogni vena e ogni arteria sotto la sua pelle. Mi sussurra un grazie a mezza voce e poi entra in camera.   
 
 
Amo tremendamente osservare il sole che sorge lungo l'orizzonte. Il modo in cui il cielo si tinge di colore partendo dal nero più assoluto è assolutamente mozzafiato. In particolare, amo quel rosa chiaro che colora le nuvole poco prima che appaia il sole. Mi mette di ottimo umore e al contempo mi ricorda dolorosamente di Kim. Ogni volta che dormivamo insieme, lei mi faceva svegliare prima dell'alba solo per osservare il cielo. Ci sedevamo sul tetto di casa mia, lei scrutava in alto e io guardavo lei. I suoi capelli rosso fuoco mossi dal vento, il modo in cui mi sorrideva ogni volta che il sole faceva capolino tra le montagne e il modo in cui si mordeva il labbro ogni volta che ricambiavo il sorriso.
Kim.   
Il solo mi infastidisce nell'istante in cui mi colpisce il viso, socchiudo gli occhi e scivolo di nuovo nella mia stanza. Mentre indosso la mia divisa pruriginosa, un leggero trambusto attira l'attenzione del super udito. Finisco di abbottonare la camicia e spalanco la porta. Mi sporgo oltre lo stipite e sbircio in corridoio. La voce imbufalita di Natalie risale verso di me come una folata di vento tempestoso. «Come diavolo ha fatto ad uscire dal bagno!?».
Scivolo lungo le pareti e osservo la strega mentre si muove agitata e gesticola contro le sue amiche.
La coda di cavallo bionda si agita nervosa e gli occhi verdi scansionano le sue amiche con ferocia. «Come avete potuto commettere un errore simile?».
Le due ragazze, che ora riconosco come le due streghe che mi hanno tirato un albero addosso, si fanno più piccole e indietreggiano. La più minuta, quella con il caschetto biondo cenere, apre la bocca barcamenando una scusa. «La porta era sigillata da un incantesimo molto potente, nessuno avrebbe tenuto in mano la maniglia abbastanza a lungo da riuscire ad aprire la porta. Nemmeno un mannaro».   
Natalie scuote la mano rabbiosa e le ragazze saltano indietro. «Solo questo, Rosalyn? Avete messo un patetico blocco di fuoco sulla maniglia? Tamsin?».
L'altra strega, quella con la pelle color ebano e i lunghi capelli ricci, scuote rapidamente la testa. «Abbiamo anche impedito che si asciugasse, come hai detto tu».
Le luci al neon sfarfallano e un pungente odore di plastica bruciata si alza nell'aria. «Vediamo se il concetto entra finalmente in quelle vostre testoline bacate» fa un passo avanti in modo felino «Lo scopo della mia vita è fare in modo che ogni perdente capisca finalmente qual è il suo posto nel mondo. Quella sfigata è la prima della mia lista nera e se non volete finirci anche voi, andate a scoprire come diavolo ha fatto ad uscire dal bagno!». Le luci sfarfallano con più imponenza e l'odore di plastica bruciata si intensifica. «Sapete cosa succede quando mi arrabbio».
L'odore della paura delle due streghe mi arriva pungente alle narici e la pancia comincia a brontolare. Torno in camera prima che loro escano dal bagno. Finisco di indossare la divisa e scendo verso la mensa.
 
Trovo Leo ad aspettarmi al solito posto, sempre perso nei suoi pensieri. «Buongiorno» saluto affiancandolo contro la parete. Lui sobbalza e si stringe il petto. «Caspita se sei silenziosa!».
Ridacchio. «Sei tu che sei sul tuo pianeta, Leo».
«Mi hai beccato» ride arricciando il naso. «Comunque, buongiorno, hermosa». Camminiamo insieme all'interno della mensa e raggiungiamo il nostro tavolo. Quando siamo seduti, Leo si avventa sul pane imburrato come se non mangiasse da mesi. Notando la mia espressione preoccupata, cerca di sorridere e fa spallucce «Ho la fame nervosa».
«Cosa ti affligge?».
Lui spalma marmellata sopra il burro. «Ieri ho combinato un casino».
Ringrazio il cameriere che mi porge la mia borraccia di sangue. «Spiegati».
Prima che possa parlare, Nathan gli molla una pacca sonora sulla schiena e gli siede accanto. A Leo va di traverso il tramezzino e inizia tossire. «Oddio, amico, scusa» Nate gli passa il succo di frutta «Sai che non devi parlare con la bocca piena».
Smette di tossire e si pulisce la bocca sporca di marmellata. «Mi hai quasi spaccato due costole, altro che parlare con la bocca piena!».
Nata ridacchia. «Allora sei pronto per oggi pomeriggio?».
Leo sbianca e appoggia il panino sul piatto con aria afflitta. «Dovevi proprio ricordarmelo?».
«Cosa succede?» domando aspirando con forza dal beccuccio e giocherellando con dei cereali.
«Ti stavo dicendo che ieri ho fatto un casino». Annuisco. «TK Reed mi ha chiesto di aiutarlo con chimica della magia» butta fuori di colpo.
Lo osservo aspettando una spiegazione ulteriore ma lui mi fissa disperato. «Sai che sono una novellina, come mai questa cosa è così terrificante?».
Lui spalanca le braccia. «Perché io ho accettato!».
«Continuo a non capire».
Nathan gesticola addentando la mela. «TK è la cotta segreta, anche se non molto segreta, di Leo».
Annuisco. «Ora capisco. Perché hai accettato?».
Leo sbatte le mani sul tavolo «Lui se ne stava lì bello come il sole e parlava e io non stavo ascoltando nulla di quello che stava dicendo. Alla fine, mi ha detto: accetti?» si infila le dita tra i capelli spettinati «E se una ragazzo così ti fa una proposta tu non puoi non accettare!».
Nate annuisce. «Sono d'accordo, anche se non è affatto il mio tipo».
«Aspetta, se non lo stavi ascoltando come sai che gli devi dare ripetizioni?».
«Quando ho accettato, ha sorriso e ha detto che ci vedevamo oggi pomeriggio per cominciare le ripetizioni» spiega. «Ora cosa faccio?».
Inclino il sopracciglio. «Gli dai ripetizioni magari?».
Mi afferra il braccio e mi scuote. «Non posso! Proprio non posso!».
Respingo l'istinto di strattonare il braccio. «Perché no? Sei un genio in certe cose, di sicuro nei sai più di tutti noi messi insieme».
Mi scuote con più energia «Per te sembra una sciocchezza perché sei uno schianto e non ti agiti davanti alle persone belle. Lui è oltre la mia portata, è stupendo e ogni volta che lo guardo mi va in pappa il cervello».
Filo il braccio prima che mi scappi un morso. «Dagli buca».
Lui sospira. «Non dai buca all’uomo della tua vita».
Nathan trattiene il fiato. «Non ci credo». Lo scrutiamo e il suo sguardo è fisso oltre le nostre spalle. Ci giriamo verso l'entrata della mensa. Sulla soglia Dhatri fissa terrorizzata la mensa e la mensa fissa senza fiato lei.
   
 
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