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Autore: Mahlerlucia    19/10/2020    3 recensioni
Ho imparato che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato.
Il mondo non si ferma, aspettando che tu lo ripari.
(Paulo Coelho)
[Kuroo x Kenma || KuroKen]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale
Rating: Arancione
Avvertimenti: Lime, Missing moment
Personaggi: Tetsurou Kuroo, Kenma Kozume
Pairing: #KuroKen
Tipo di coppia: Yao
i
 


Third year boy
 



Il soffitto sembrava inesorabilmente fissarlo come a volersi imporre sulla sua incurabile pigrizia che da tempo si muoveva in perfetta simbiosi con un inguaribile senso d’inadeguatezza. Giusto per non smentirsi mai, aveva trascorso l’ennesima notte con gli occhi sbarrati di fronte ad uno schermo dentro al quale era riuscito a sconfiggere chiunque gli capitasse a tiro arrivando sino al livello finale, quello in cui avrebbe dovuto ricomporre tutti gli indizi raccolti in seguito al superamento di ben ventiquattro quadri.
Le sue occhiaie quella mattina ricoprivano la metà delle sue guance, ma non lo avrebbero mai disturbato quanto l’idea di doversi alzare per andare a scuola e incontrare bipedi della sua stessa specie che avrebbero di sicuro trovato una scusa qualunque per cercare di conversare con lui: i compiti – c’erano compiti? Porca… sì! Gli esercizi di algebra! – il pranzo, le pulizie, la palestra, la pallavolo.
La pallavolo... chi me lo ha fatto fare... Chi!

Non avrebbe mai potuto immaginare che il terzo anno da trascorrere tra le aule e i corridoi della Metropolitan Nekoma High sarebbe stato persino più arduo di quella prima frazione da totale sprovveduto, visto e considerato che si trovava ad un passo dal termine di un percorso che lo avrebbe dovuto vedere quanto meno “abituato” a certi ritmi e a determinate situazioni. Al contrario, a mano a mano che i giorni passavano riusciva con sempre maggiore fatica ad evitare di sentire un senso di vuoto misto a solitudine che gl’impediva di restare sereno persino mentre si dedicava ai suoi videogiochi prediletti.

Come ti è venuto in mente chiedermi davanti a tutti di diventare il nuovo capitano?
Come ho potuto accettare sotto l’effetto inattaccabile di quel sorriso con cui mi hai trascinato dentro ad ogni tua cazzata?

Una leggera brezza avvolgeva quella tiepida giornata di metà autunno, mentre con passo indeciso Kenma Kozume si dirigeva verso la fermata della metropolitana. Uno youtuber che seguiva da tempo stava parlando da oltre mezzora delle mosse infallibili di alcuni personaggi di un recente gioco della Namco che doveva ancora provare, un picchiaduro stile Tekken, ma dai toni decisamente più i-tech. Non si trattava esattamente del genere di realtà virtuale per cui impazziva, ma qualunque scemenza sarebbe andata ugualmente bene pur di non fargli avvertire l’assenza di chi, ogni mattina, soleva sedersi al tuo fianco senza mai smettere di tenerlo d’occhio, allo scopo di rimproverarlo in maniera bonaria, scrutandolo quasi al pari di un padre che non riusciva a smettere di osservare il proprio figlio mentre questo continua a fare di testa sua.
Erano solo poche fermate su di un’unica linea, ma da quando non aveva più nessuno con cui chiacchierare –chiacchierare, io?! – quel tragitto da pendolare sembrava davvero non finire mai, costringendolo, di tanto in tanto, a concentrarsi sulla rappresentanza umana che lo circondava; cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno, specie in frangenti in cui si sarebbe sentito sicuramente più tutelato.

Incontrare Tora nei dintorni del cortile sull’entrata non era mai stato un bene, dato che non aveva ancora imparato altro modo per potersi avvicinare a lui se non quello di urlare il suo nome a squarciagola o appioppargli soprannomi che avrebbero fatto rabbrividire chiunque.
Kenma aveva sempre pensato che non tutti meritassero di essere considerati senpai per il semplice fatto di aver raggiunto un certo grado scolastico; Tora rappresentava questa sua idea ancor più di quanto non lo avesse già fatto Tetsurou l’anno precedente. E ce ne voleva!

Le lezioni trascorsero con la solita noia mortale che si trascinavano da casa gli stessi insegnanti ogni singolo giorno; fortuna che era riuscito a raffazzonare i compiti di matematica nell’ora di letteratura, approfittando della palese miopia del professor Yoshima. Ricevette anche un apprezzamento dall’insegnante al momento della consegna, come se averli svolti solo una mezzora prima li avesse resi più interessanti rispetto a quelli dei compagni. Entrambi sapevano ed entrambi avevano deciso di fingere che fosse tutto nella norma, per il quieto vivere.
Durante la ricreazione aveva ricevuto per e-mail un invito per recarsi all’open-day di un’università telematica consigliatagli anche da suo padre. Peccato che non avesse nemmeno una facoltà di suo interesse.
Aprì Instagram ritrovandosi sotto il naso chi aveva perso la consuetudine di farsi sentire come un tempo, accompagnato dal suo amico d’infanzia dal quale sembrava invece non riuscire a staccarsi nemmeno sotto tortura. Avevano entrambi imboccato la strada degli studi universitari, per quanto tutti sapessero che Bokuto avesse brillantemente superato il provino per entrare a far parte di una rinomata squadra di seconda divisione di Ōsaka. Il like di Akaashi era scontato quanto quello di Shouyou. Un po’ più indigesto gli risultò quello di quel Tsukishima dalla simpatia inesistente.
Chiuse i social all’istante per infilarsi nuovamente gli auricolari. Quel pomeriggio stesso sarebbe passato a comprare il picchiaduro di cui sentiva assoluta necessità. Lui che si faceva remore persino a cercare la paletta per le mosche in piena estate, sostenendo che il loro ronzio fosse meno fastidioso di almeno l’ottanta percento delle voci umane che lo circondavano quotidianamente.
 
 
***
 

“Kozume-san, cosa consigli per la prossima partita contro la Karasuno?”

Di restare a casa sotto le coperte e guardarla comodamente dal tablet!
Non poteva di certo permettersi di rispondergli a quel modo, specie da quando gli era stato cucito addosso quel ruolo da capitano che non aveva la minima idea di come gestire in maniera credibile. Le matricole e gli altri kōhai che lo conoscevano già dall’anno precedente – tra i quali lo stesso Lev – si fidavano ciecamente di lui e del suo fiuto infallibile quando si trattava di scovare i punti deboli degli avversari. Vi erano dei momenti in cui tutti quei ragazzi che lo fissavano dall’alto verso il basso sembravano pendere completamente dalle sue labbra, da quelle poche parole che era spesso costretto a proferire nel goffo tentativo di motivare la sua squadra, nell’assurda pretesa di poter assomigliare un minimo a quel leader carismatico che aveva terminato il suo percorso scolastico in quella stessa palestra giusto qualche mese prima.

“Ecco...”

Il problema principale risiedeva proprio nel fatto che non aveva consigli concreti da dare, specie quando si trattava dei suoi avversari più acerrimi. Era soprannominato il “cervello della squadra” dall’anno precedente, ma non aveva mai avuto la pazienza e la meticolosità necessarie per aggiornare lo schedario che si era creato per inserire tutte le caratteristiche di ogni singolo giocatore appartenente alle squadre contro le quali avrebbe dovuto giocare. Quando capitava, chiedeva qualche appunto ad Akaashi; ma da quando quest’ultimo gli aveva consigliato di considerare la sua personale visione del gioco a discapito di quella altrui capì quanto in realtà lo stesse gentilmente invitando ad alzare il sedere per andare a studiarsi ogni singola partita da sé. O almeno quella era stata la sua magra interpretazione.

Lev continuava a fissarlo con quel suo sorriso colmo di spontaneità, ma allo stesso tempo ridicolo come poche altre cose al mondo. Kenma si sentiva osservato e giudicato, così come in debito di una risposta che in quel momento non riusciva a mettere assieme dandole una parvenza di rilevanza. Scostò gli occhi da quello sguardo che non lo avrebbe mollato sino a nuovo ordine, e iniziò a fissare il soffitto senza una reale motivazione. Posò due dita sul mento corrucciato e finse di pensare a chissà quale diavoleria filosofica. In realtà gli balenò per la mente che il suo abbonamento semestrale al servizio a domicilio di Game Stop sarebbe terminato quello stesso week-end.
Cosa cazzo mi viene in mente in un momento del genere? Kenma, svegliati!

“... Lev, devi solo impegnarti. Poco importa quanto siano forti e imprevedibili gli altri.”

Era riuscito a mettere insieme ben due frasi che pulsavano di reminiscenze di egemonia, per quanto avrebbe volentieri fatto a meno di qualunque forma di potere gli fosse mai stato concesso all’infuori dei suoi adorati contesti irreali.
Notò all’istante il volto del russo illuminarsi in maniera concitata, quasi avesse appena assistito ad un discorso del suo presidente in diretta mondiale. Strinse il pugno e lo sollevò al cielo, come se la sua esagerata statura non gli permettesse già di sovrastarlo al pari di una giraffa che si affianca ad un pulcino bagnato.

“Hai ragione, capitano. Sai, non ci avevo mai pensato... è inutile stare ad impazzire sui pro e i contro degli avversari. Ognuno di noi dovrebbe focalizzarsi sulle proprie qualità e... cercare sempre di dare il meglio. Proprio come mi aveva detto Kuroo-san lo scorso anno!”

Kuroo-san.
Prima o poi quel nome sarebbe venuto fuori. Sarebbe stato praticamente inevitabile all’interno di quello che per ben tre lunghi anni era stato il suo spazio vitale, un territorio di cui conosceva odori e dettagli, fatto di persone che lo frequentavano e di numerose necessità al riguardo. Per quanto tendesse a fingere estrema superficialità in molti dei suoi atteggiamenti e attraverso le pessime battute che non riusciva a trattenere nemmeno a pagarlo, non si faceva mai sfuggire il benché minimo dettaglio.
Kenma ancora non poteva quantificare il numero di volte in cui gli aveva sottratto la console per evitare che si perdesse all’interno dei suoi abissi simulati su schermo mentre avrebbe dovuto prestare attenzione al campo e alle indicazioni del mister. Gli aveva ribadito più volte che lo faceva solo ed esclusivamente per il suo bene, inducendolo a sentirsi come un tabagista che aveva deciso da tempo di provare esaltanti esperienze che potevano andare ben oltre la semplice nicotina.

Si limitò ad annuire, ma più con l’intento di tagliare corto con quella conversazione che per reale approvazione rispetto a ciò che era stato detto. Cercò il solito elastico nero che teneva in una delle enormi tasche della tuta per legarsi quei capelli che nell’ultimo periodo si era ostinato a lasciar crescere, infischiandosene persino di quella ricrescita che oramai lo aveva quasi completamente riportato al suo colore naturale.
Seguì con la coda dell’occhio Yamamoto mentre cercava di attirare l’attenzione dell’unica ragazza del primo anno che aveva deciso di candidarsi come manager di una squadra che fino ad allora ne aveva tranquillamente fatto a meno. Peccato che lei non lo considerasse minimamente, lanciando spesso e volentieri sorrisi e sguardi languidi a quel capitano che di uscire con l’ultima arrivata non ne voleva proprio sapere.

“Michiko-kun... hai visto che bella schiacciata ho effettuato?”

Neanche Bokuto si riduce tanto quando vuole attirare l'attenzione.
Di contro la ragazza gli sorrideva appena, socchiudendo gli occhi e muovendo il collo in maniera da far ondeggiare i suoi lunghi capelli castani. Kenma non ne aveva mai capito il senso, se non quello di farsi in qualche modo notare. Sperava in cuor suo che non stesse insistendo proprio con lui.
Shibayama si presentò in palestra con la solita mezzora di ritardo, reduce dal corso di recupero di fisica, materia che da sempre gli era stata indigesta e per la quale avrebbe dovuto recuperare diverse prove andate male nel corso del primo anno.

“Scusatemi per il ritardo. Vado a prepararmi e sarò subito disponibile. Oggi ho avuto la prova finale di recupero e sto incrociando pure le dita dei piedi nella speranza che sia andata bene... Kozume-san, scusami.”

Doveva ammettere che la battuta sui piedi era riuscita a strappargli un mezzo sorriso, ma non avrebbe mai voluto che la cosa trapelasse più del dovuto. Un inchino completo con tanto di espressione contrita gli era parso sin troppo, tanto che si limitò ad alzare il pollice per fargli intendere che – per quel che gl’importava – era tutto a posto.
Non che non fosse interessato alle vicissitudini dei suoi compagni di squadra, sia chiaro. Semplicemente non era in grado di aprirsi appieno alle loro richieste, alla stima che riponevano in lui, al rispetto che sentivano nei suoi riguardi per il solo fatto di avere un ruolo, di essere un senpai senza nemmeno aver capito cosa avesse fatto di tanto speciale per diventarlo.
Una semplice questione anagrafica non può fare così tanta differenza...

Ogni giorno gli allenamenti scorrevano nella sua mente con la stessa routine, con le consuete regole da ricordare, con i monologhi da team chef che non riusciva a concludere se non fissando a lungo il linoleum ambrato che ricopriva l’intera area del rettangolo di gioco, adocchiando il grande orologio appeso sopra l’uscita di sicurezza.
Mister Nekomata non perdeva mai occasione per domandargli se stesse bene, se avesse notizie di Kuroo, così come di Yaku e di Kai. La risposta era sempre affermativa, ma priva di qualunque forma di approfondimento.
La verità era che l’unico che sentiva – con frequenza sempre più ridotta – era Tetsurou e che, per ciò che concerneva la sua salute psico-fisica, preferiva avvalersi della facoltà di stringersi in sé stesso, infognato nella rassegnazione di non poter essere davvero compreso da nessuno.
Fortunatamente l’anziano allenatore non aveva la consuetudine di insistere più del dovuto, nonostante sapesse bene che alcune questioni quotidiane non erano affatto facili da affrontare per un ragazzo dal temperamento chiuso e riservato come quello di Kozume. Da quando era rimasto privo di quella guida capace di condurlo ovunque, anche opponendosi alla sua stessa volontà, appariva ancor più smarrito di quanto non lo avesse già dimostrato in passato. Difatti le sue domande non erano casuali; di certo le sue risposte sarebbero state sempre quelle, mai utili per scovare realmente nel profondo del suo animo ferito.

“Kozume-san, che ne dici di andare a cenare tutti assieme al nuovo Izakaya che hanno aperto appena fuori Nerima?”

Di nuovo i grandi occhi verdi e sottili di Haiba lo stavano fissando con un’allegria dalla provenienza a lui ignota; nel corso di alcune giornate particolarmente negative era arrivato persino a domandarsi se almeno una volta nella vita lui avrebbe mai potuto trasmettere la stessa serenità a qualcuno. Ma questo era un dubbio che si poneva con ancora maggiore enfasi in tutte le occasioni in cui si ritrovava a trascorrere del tempo con Shouyu. Era impossibile non innamorarsi a prima vista dell’esuberanza che caratterizzava da sempre la mascotte della squadra dei corvi di Sendai, metaforicamente parlando... e non solo.

“Ma figurati se Pudding Head si degna di passare qualche ora lontano dalla sua Play. Non scherziamo.”

“Tora, sei talmente antiquato da usare ancora il termine ‘Play’. E per la cronaca, i miei capelli sono tornati quasi completamente scuri.”

“Certo, altrimenti come potresti tentare d’imitare Kuroo-san? Ti piacerebbe essere un capitano che vale almeno la metà di quanto valeva lui, non è vero?!”

Shibayama e Inuoka si scambiarono diverse occhiate titubanti per capire se fosse il caso o meno d’intervenire in difesa di chi, in fondo, non aveva fatto nulla di male per meritarsi quella disapprovazione pubblica. D’altronde, per nessuno dei membri della Nekoma era mai stato un segreto il fatto che Taketora non avesse mai completamente accettato la decisione di Kuroo e del mister di eleggere Kenma come nuovo capitano. L’ace aveva chiesto dei chiarimenti a tal proposito, ma le risposte che aveva ricevuto non lo avevano mai soddisfatto appieno. Nemmeno il paragone con Tanaka lo aveva consolato, dato che non era di certo il suo punto di riferimento principale.

“Sei ingiusto, Yamamoto-san. Cosa c’entrano i capelli con il valore delle persone? Nessuno sarà mai come Kuroo-san perché siamo tutti diversi. Ed è giusto così.”

Oh, sta’ zitto Lev. Non mi costringere a darti ragione o, peggio ancora... a doverti ringraziare.
L’occhiataccia che gli fu riservata da colui che osò contraddire non lo turbò particolarmente, per quanto si trattasse comunque di un compagno di squadra e di un senpai a cui doveva rispetto. In realtà quello non sarebbe mai mancato da parte sua, ma d’altro canto non gli sarebbe affatto dispiaciuto sapere che questo tipo di devozione potesse manifestarsi con una certa reciprocità, com’era giusto che fosse all’interno di casi come il loro.   
Rispose con un sorriso la cui unica intenzione era quella di smorzare toni che non avrebbe voluto vedere andare oltre.
Reazione che si spense nell’attimo in cui notò il suo capitano infilarsi gli auricolari già perfettamente collegati alla sua piccola Psp.

“Comunque non riesco a venire con voi. Ho delle dirette da seguire e non so per quanto ne avrò. Ti ringrazio comunque per l’invito, Lev.”

Ecco, mi è toccato comunque ringraziarlo. Lo sapevo!

“Ah, ehm... figurati. È un peccato, ma se hai le tue faccende da sbrigare non insisterò, Kozume-san.”

Kenma, puoi chiamarmi anche solo Kenma.
Ma non ebbe la volontà di dirglielo, considerando che il giorno dopo sarebbe tornato nuovamente a chiamarlo per cognome, da bravo kōhai quale era sempre stato.
 
 
***
 

Entrò in casa tentando di non farsi sentire. Non doveva essere poi un’impresa tanto ardua dato che suo padre era immerso nella visione del notiziario della sera mentre sua madre armeggiava con una frusta e una padella nell’angolo cottura che si trovava dalla parte opposta. Si avviò in direzione delle scale con l’intento di andare rapidamente a rintanarsi in camera sua quando il mazzo di chiavi che aveva in mano scivolò sull’asse di legno che ricopriva il primo gradino, generando un rumore secco che riuscì ad attirare l’attenzione di entrambi i presenti.

“Oh Kenma, sei tu. Mi è preso un colpo quando ho sentito quel rumore...”

“Scusa, mi sono cadute le chiavi.”

“Non ti preoccupare. Piuttosto, è quasi pronta la cena. Scendi appena puoi.”

Le omelette non mi piacciono e lo sai.
Ancora una volta si limitò ad annuire, lanciando una rapida occhiata a suo padre che nel frattempo aveva iniziato ad apparecchiare e lo salutava da lontano con la mano, neanche fossero in stazione pronti a separarsi definitivamente su di un treno in partenza per chissà quale stramba destinazione.
Contraccambiò velocemente quel convenevole dai toni infantili, per poi risalire sino al corridoio del piano superiore. Aveva già lanciato lo zaino sul letto e pigiato il tasto di accensione del suo laptop quando si accorse che sua madre si era palesata sulla porta facendolo quasi sussultare per la sorpresa.

“Tesoro, domani prendo appuntamento dal parrucchiere?”

Questa volta non riuscì a nascondere il tedio che quell’assurda richiesta gli stava arrecando da qualche settimana a quella parte. Sollevò il viso in direzione del lampadario a forma di astronave con fare scocciato, per poi voltarsi di scatto, quasi come a voler fermare sul tempo quella ramanzina che oramai aveva imparato a menadito.

“Mamma, ti ho già detto che non ho alcuna intenzione di tagliarli o di sistemare la tinta. Va bene così.”

La signora Kozume, da sempre patita dell’ordine e della precisione, sospirò con fare esageratamente affranto. Appena mezz’ora prima aveva terminato una lunga discussione col marito incentrata sui cambiamenti che aveva notato in Kenma nell’ultimo periodo, soprattutto da quando aveva iniziato il fatidico terzo anno. Era sempre più assente, ancor più limitato nel suo piccolo mondo virtuale; regredito a quello stato embrionale che aveva prolungato quasi fino al termine della scuola primaria, periodo in cui – fortunatamente – aveva conosciuto quell’anima buona di Kuroo.

“Eh va bene, come vuoi. Ah, dimenticavo! Ha telefonato Tetsurou. Ha detto che non riesce a mettersi in contatto con te. Come mai?”

Bravo, Kuroo! Oltre ad essere stronzo sei pure bugiardo!
 
 

 
Enfolding your love in my heart
By the dawn I'll become
The road keeps us apart
For some time I'll be gone…










 

Angolo dell’autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia mini-long! :)

Quest’anno per una serie di motivi personali non riesco a stare dietro al ritmo del #Writober, per cui ho deciso di virare su una mini-long #KuroKen che mi frullava in testa da un po’ di tempo. In totale sono previsti tre capitoli dai toni un po’ “accesi”, dato che i nostri due micetti hanno un po’ di cose lasciate in sospeso da dover assolutamente chiarire.

Primo capitolo. Angry Kitty Kenma.
Questo capitolo è una sorta di prologo che vede il nostro Little Pudding alle prese con i suoi doveri di senpai e capitano al terzo anno di liceo. Chiaramente per lui le cose non sono affatto semplici sia per questioni caratteriali e “fobiche” che per la mancanza di quel “sostegno” a cui si era aggrappato con tutto sé stesso nel corso degli anni precedenti. E chi ha letto il manga sa bene che non si tratta solo del “periodo Nekoma”, dato che i due erano vicini di casa e amici sin da bambini.
Ma perché il nostro KodzuKen è così affranto dall’atteggiamento del suo ex capitano? E perché quest’ultimo è diventato un po’ meno presente nella sua vita? So cosa state pensando... ma quello non sarà il fulcro di tutto! Stay tuned! ;)

Il titolo riprende quello della canzone ‘Keep your heart broken’ dei The Rasmus. Al termine del capitolo ne ho riportato la prima strofa.
Il testo è scritto in terza persona e al tempo passato.

Grazie a tutti coloro che passeranno di qua! **

Al prossimo capitolo,

Mahlerlucia
 
 
 

 
   
 
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