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Autore: shilyss    24/10/2020    8 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 18

 

 

Le notizie del mondo esterno non avrebbero più dovuto turbare Sigyn. Avevano la stessa evanescenza dei sogni o delle fiabe: racconti da cui lei, nella tenebra in cui viveva, era stata esclusa. Kalfr non veniva a farle visita spesso, e quando s’incapricciava nel cercarla, lei faceva finta di essere altrove e con qualcun altro. Uno che non c’era e che avrebbe dovuto odiarla con ogni fibra del suo essere, uno che aveva inviato al Tempio così tanto oro da placare gli Antenati offesi. Un gesto compiuto non per devozione, ma per dimostrare l’avidità degli spiriti ingordi e ribadire la propria, sfacciata, supremazia.

Però, la tosse secca e persistente di Sigyn era svanita grazie alle vesti fatte con la lana più calda e soffice, agli stivaletti foderati internamente di pelliccia, alle coperte spesse e morbide che il principe di Asgard aveva preteso le fossero consegnati. Ma stringersi in un mantello confortevole, poter gettare un ciocco di legno in più nel camino della propria stanza, non scaldavano il cuore di Sigyn. Lui non se ne andava. La sua figura slanciata ed elastica continuava ad abitare i suoi pensieri con feroce puntualità; e la sua immagine, impossibile da cancellare, eppure, ogni giorno, più sfocata, non alleviava il suo riposo. I sogni della Scintilla erano frammenti di passato e di futuro in cui Loki Odinson non compariva mai. Era il grande assente e quell’assenza pareva l’unica cosa tangibile rimasta di lui. Prima di addormentarsi, sfinita, tentava di rievocarne le fattezze, i gesti, l’odore, il suono della voce. Com’era il tono del dio degli inganni? Si sforzava di tirarlo fuori dai ricordi, di stabilire la connessione in grado di restituirle la voce che sapeva essere stata ironica e pungente – sì, ma come, fino a che punto? – di fissare una frase particolare o un modo di dire che le avrebbero ridato, per un momento, Loki. Ma la voce è ciò che con più facilità si smarrisce, di chi perdiamo, e allora la fatica che doveva compiere per farla riemergere era doppia. Eppure, quando ci riusciva e la memoria le restituiva il tono arrochito e perennemente sarcastico dell’Ase, dal buio risaliva anche altro. Il modo di ridere scoprendo i denti, la piega corrugata delle sopracciglia quando era assorto nello studio di un testo difficile, il modo in cui accarezzava l’elsa di uno dei suoi pugnali per placare un nervosismo giudicato inopportuno, il gesto secco con cui immergeva la penna nella boccetta dell’inchiostro, la sfumatura leggermente cangiante che assumevano i suoi occhi chiarissimi di fronte al fuoco. Era Loki. Ricostruito o rievocato, non aveva importanza, così come non lo aveva il mondo, che l’aveva perduta perché suo padre si era comportato in modo sconsiderato. La Scintilla non poteva sfuggire al suo destino, che la voleva immolata per sempre alle tenebre, sposa, qualunque cosa significasse, di ciò che di oscuro strisciava sotto Yggdrasill, il frassino sacro.

Sospirò con forza: ricordare Loki era il modo per cullarsi in un passato irripetibile e disperato e, solo col senno di poi, dolce. I giorni trascorsi ad Asgard, mentre li viveva, erano agitati da una giostra impazzita di eventi, dalle liti che si alternavano alle rappacificazioni, da segreti intricati e irrisolvibili. Se avesse potuto scegliere, Sigyn si sarebbe messa a selezionare con la meticolosa perizia di un gioielliere i momenti più belli e sereni: una mattina in cui Loki l’aveva portata al mercato fingendo di essere due persone qualunque, una notte insonne in biblioteca, trascorsa a leggere e degenerata nell’Ase che raccontava alcune delle sue avventure più divertenti vissute con Thor. In mezzo a quei ricordi che, pure, c’erano, si insinuavano, però, gli altri: la meticolosa messa a punto della grande impresa che doveva liberarla, la terrificante notte in cui avevano bussato alla porta del mercante, il grido d’orrore che il dio dell’inganno aveva cacciato quando era rimasto solo con la creatura – o le creature – che abitavano l’abisso. E gli incubi che lo scuotevano e lui celava, e quel cinismo, che si era fatto più cupo e adulto, perdendo ogni traccia di spavalderia giovanile.

 

Si rigirò nel letto, insonne, in un buio ormai totale. L’unico conforto fu, in qualche momento imprecisato tra l’oscurità e l’alba, quello in cui tirò fuori dal nascondiglio il pezzo di stoffa e il gioiello che conteneva. Lo infilò al dito un istante, ne sfiorò la pietra. Non lo toccava da mesi, dall’ultima visita che le aveva fatto e fu per questo che non si stupì, quando le dissero di una visita proveniente da Asgard. Le Norne, a volte, creavano simmetrie così perfette da sembrare costruite ad arte. Si avvicinò alla grata che la separava dal mondo, come l’ultima volta, con la vanesia consapevolezza di apparire meno miserabile di un tempo, ma una pena innominata le gravava petto: lui ora sapeva. Quando sentì la voce di Thor al posto di quella di Loki, però, il respiro le si mozzò nella gola e un sospetto, rapido e tremendo, calò su di lei.

 “Sigyn, sono venuto a portarti una notizia tremenda,” iniziò il dio del tuono.

Alla scintilla si ruppe il cuore.

 

Sigyn non amava Loki. La metteva a disagio il modo attento in cui la fissava, le sue battute salaci, i suoi passi svelti ed elastici, la tagliente sicurezza che permeava ogni suo gesto. Parlavano spesso in biblioteca. Ne erano i soli frequentatori assidui ed entrambi amavano inoltrarsi lungo i corridoi silenziosi e impregnati di polvere al tramonto o quando, ormai, era calata sera. L’ancella aveva ammesso di soffrire di una lieve forma d’insonnia e l’ingannatore aveva stirato le labbra in un ghigno sornione, interessato.

 

Di quel giorno, Sigyn ricordava la luce rossa che filtrava dalle finestre alte e strette, il vento che infuriava oltre le imposte. Il sole si inabissava nel mare, trasformando il cielo in un tripudio di azzurri e di sfumature d’arancio. E forse in quella stessa occasione, se la memoria non la confondeva, Balder si era messo in testa di chiederle se lei e il fratello fossero amici. Sigyn aveva negato, ma interpellato dall’ingenuo ragazzino, Loki, l’aveva smentita, dichiarando, a sorpresa, che gli era cara. Ma che aveva voluto mai dire, con quella parola? Erano all’uscita della biblioteca e Balder, che li attendeva sulle scale, si era rizzato in piedi, scrutandoli dubbioso. Non capiva perché trascorressero così tanto in un posto pieno di libri e, chissà come mai, gli era venuta in mente quella domanda tanto inconsueta. Volta a definire l’indefinibile, l’impronunciabile – ma questo, Sigyn, non era ancora disposta ad ammetterlo.

 

Nelle ore seguenti, mentre il vento portava cumuli di nuvole scure e minacciose sopra il fiordo, l’ancella si era detta che, forse, lei e il principe cadetto trascorrevano troppo tempo insieme. La sua educazione rigida e impostata giudicava ambigue e pericolose le ore trascorse in compagnia di un uomo nel pieno della giovinezza come Loki. Lei stessa doveva ammettere che il dispetto provato nei suoi confronti era tinto con una tale varietà di sfumature da rendere difficile giudicare cosa provasse nei suoi confronti. Una parte di lei lo odiava e disprezzava la sua blanda corte, l’altra s’infiammava ogni volta che lui spostava le proprie attenzioni altrove. Se osava accorciare le distanze tra loro, lo rimetteva immediatamente al suo posto, ma prima di addormentarsi si concedeva d’immaginarsi accanto a lui, o ripercorreva con la mente gli istanti in cui erano stati troppo vicini, come quando aveva assistito al rito e si era stordita o, prima ancora, sul drakkar, dove, colpevole un’onda, gli era finita, suo malgrado, tra le braccia. Lo detestava perché l’aveva strappata ai suoi affetti, ma gli era segretamente grata per averle detto di essere la Scintilla. Ammirava la sua spiccata intelligenza, così acuta e fulgida, ma disprezzava certi suoi atteggiamenti meschini. Se, per mostrarle una miniatura o una storia particolarmente interessante, le chiedeva di avvicinarsi a un libro o a una pergamena, lei lo assecondava con sfacciata circospezione, ma tremava se le loro teste o le mani erano vicine a congiungersi. E se le prime settimane aveva bollato tutto ciò come un effetto della paura che le ispirava il dio degli inganni, ora non lo sapeva più. Una parte di lei, quella più nascosta e impulsiva, quella che avrebbe voluto essere portata via perché donna e non per via del suo essere scintilla e osava guardarsi allo specchio chiedendosi come lui la vedeva, sperava che Loki si spingesse oltre. Sfiorarsi le dita, la fronte, le labbra, e poi sentire l’odore della pelle di lui e scoprire le linee ben fatte del suo corpo slanciato e forte, fatto di muscoli sempre pronti a guizzare. Ma se il principe di Asgard avesse osato anche solo prenderle le mani e baciarla, lei avrebbe dovuto, necessariamente, scacciarlo, ricordandogli chi erano.

 

Dirle che era cara e farlo per rispondere a una domanda di Balder, però, scardinava le certezze di Sigyn: era una lusinga che solleticava la parte più impulsiva di lei, quella segretamente compiaciuta che Loki l’avesse notata per via del suo bel vestito rosso; l’Ase si rivelava, scoprendo le carte circa i suoi interessi, oppure mentiva per raggirarla, perché Loki non faceva mai nulla spontaneamente o per caso. Ogni sua battuta o azione era frutto di un lungo ragionamento, di una sfiancante analisi.

“Come ti sono cara? In che modo, perché?” lo affrontò qualche giorno dopo. Sedevano vicini a un banchetto cui Sigyn si era decisa a partecipare per affrontare la questione. Il mattino seguente, il principe sarebbe partito, assieme all’immancabile fratello, per una missione non ben precisata, riguardo cui lei non era riuscita a carpire nessuna informazione – e perché avrebbe dovuto interessarle, del resto?

Loki stirò le labbra in un ghigno perfido, osservando una coppia di danzatori che si esibiva nell’ampia sala. Erano agili e bravi, bellissimi da vedere. L’intesa che li legava suggeriva che il loro rapporto trascendesse il ballo e fosse fatto di baci e amplessi.

“Me lo domandi nel posto sbagliato, nell’occasione meno indicata,” notò dopo aver sorseggiato un corno d’idromele. “Io dico che è perché non vuoi affrontare davvero l’argomento,” decise, risolvendosi a fissarla con quei suoi occhi fiammeggianti e chiarissimi.

La danza, sensuale e forsennata, continuava in un tripudio di veli colorati fatti per esaltare la tonicità dei ballerini. Gli occhi di tutti i presenti erano fissati sulla coppia che si esibiva facendo sfoggio del proprio talento, e nessuno colse la tensione palpabile esistente tra Sigyn e Loki. Nemmeno loro ne erano pienamente consapevoli: erano presi nel vortice di un desiderio che li avrebbe condotti alla rovina, contro cui lottavano con forza e disperazione, ma invano. Solo che non ci credevano e, se qualcuno avesse predetto loro il futuro che li attendeva, si sarebbero sdegnosamente rifiutati di crederci.

“A volte mi tratti come un ostaggio, altre no,” ammise Sigyn con difficoltà, abbassando le ciglia nere. Frigga le aveva fatto indossare dei gioielli di squisita fattura in quantità; spiccavano sul suo collo sempre scoperto, sull’abito candido, ma le pareva fossero troppo vistosi e da adulta.

L’ingannatore si era preso l’incarico di consegnarle personalmente un cofanetto contenente le belle gioie prestate dalla regina per lei. Tra questi, c’era un anello con una pietra particolare, dalla trasparenza rosea. Sigyn lo aveva indossato insieme agli altri, ammirandone in cuor suo la bellezza, stupendosi per la perfezione con cui le calzava al dito. Non notò l’attenzione con cui Loki l’osservava mentre infilava il prezioso.

Sembrava una sacerdotessa, più che un’ancella – era la scintilla, e tutti i presenti dovevano avere la percezione di trovarsi davanti a qualcosa di cui Odino poteva vantarsi, di una reliquia preziosa ceduta da un alleato infedele. Non sapeva d’essere bella, quella sera, perché solo Loki, assuefatto al profumo della sua pelle, sedotto dalle forme sinuose del suo corpo snello e sodo, invidioso dei gioielli che le sfioravano il seno e le si attorcigliavano lungo le braccia e le dita, ne era consapevole, come aveva precisa coscienza di come lei svolgesse la parte di una creatura rara e preziosa che dava spettacolo di sé solo bevendo e mangiando. Una scintilla ad Asgard, l’ultima di cui si aveva traccia.

“Se non fossi stata la scintilla, ma una semplice ancella, ti avrei pretesa per me,” esplose perfido. “Ti avevo scelta per essere una schiava, o magari una concubina, ma forse era già la tua luce che mi attirava. Ho donato a Padre Tutto una veggente, ma ho perso il mio risarcimento,” concluse, col chiaro intento di ferirla e di ridurla a nient’altro se non a una prigioniera che avrebbe dovuto scaldargli il letto. E Sigyn impallidì ascoltando la brutalità del suo pensiero, così come avvertì sulla pelle il desiderio bruciante e il feroce fastidio che agitavano il dio degli inganni. La considerava preziosa, ma avrebbe preferito che non lo fosse. E la pensavano allo stesso modo, perché Sigyn sapeva che sarebbe stata più felice, se fosse rimasta una semplice ancella e lui non l’avesse mai guardata. Non avrebbe mai sentito né l’odore del mare né quello, di cuoio e libri, della sua pelle, ma non si può provare nostalgia per qualcosa che non si è vissuto, forse.

“Sfrontato, arrogante e sacrilego. Rimpiangi di non avermi umiliata e usata?”

“No, non ci provare,” l’avvertì Loki, chinandosi verso di lei fin quasi a sfiorarle con le labbra i capelli. L’ancella si tese, imponendosi di non respirare né muoversi. “Non parlare con me di sacrilegi,” proseguì l’Ase. “È per rimediare alla follia di uno, che il tuo destino ha finito per riguardarmi,” concesse. Un bagliore d’inconsueta ferocia saettò nello sguardo verde di Loki. Aveva parlato a denti stretti, tirando fuori assieme alla frase sibillina un’ironia spietata che Sigyn aveva ascoltato solo a Vanheim. Si voltò verso di lui nonostante avesse deciso di non farlo, trovandosi troppo vicina al suo bel viso affilato, alla bocca che ancora non era stata sfregiata da nessuna cicatrice.

“Che mi nascondi? Che mi nascondete tu e tuo Padre?” sibilò furiosa e spaventata, afferrando il corno davanti a lei e bagnandosi appena le labbra.

Ma Loki non le rispose. Avevano attirato l’attenzione di Thor e persino Odino si era distratto dallo spettacolo della danza per osservarli. Guardò la mano sottile e adornata di gioielli che reggeva il corno.

“Ti sta d’incanto quest’anello. Continua a fare sfoggio di te stessa, scintilla. Per questa sera ti ho detto abbastanza,” concluse, ritirandosi prima che il banchetto fosse finito. Sigyn lo vide accostarsi a Odino, bisbigliargli qualche frase. Il sovrano ascoltò e annuì e Loki scomparve tra le ombre, col suo passo nervoso e sicuro.

 

Perché si incontrarono, quella notte? Avrebbe dovuto limitarsi a seguirlo con lo sguardo e concentrarsi sulla danza magnificamente eseguita, sugli ospiti vivaci che, troppo spesso, la scrutavano con curioso interesse. Invece, dopo un tempo che a lei sembrò infinito e che, in verità, non superava la mezz’ora, Sigyn lamentò un capogiro e finse di volersi ritirare nelle proprie stanze. Fu un errore. Lo cercò in biblioteca, nelle stalle, nell’armeria, certa che non fosse andato a dormire. L’ala dei suoi appartamenti era un’ombra nera che si stagliava contro un cielo color pece, privo persino delle stelle. Ne conosceva l’ubicazione perché Balder, con aria solenne, una volta le aveva indicato le finestre della sua stanza e quelle dei fratelli maggiori. E poi Loki dormiva poco, meno di lei, e certamente non si era allontanato dal banchetto per riposarsi. Non seppe dirsi perché raggiunse il tempio. Lo vide accanto al fuoco, chino a studiare un bassorilievo.

Figure intrecciate lottavano contro una creatura abissale e contorta, mostruosa. Loki studiava l’opera d’arte e Sigyn non vide l’accenno di sorriso – triste, ma compiaciuto – che gli piegò le labbra.

“Il banchetto non ti diverte più?” l’apostrofò concedendole un’occhiata veloce.

“Sei stato il solo a dirmi che ero la scintilla,” iniziò Sigyn, consapevole che non esistevano parole giuste per introdurre il discorso. “Perché ho la sensazione di non sapere ancora tutta la verità?” domandò, tormentando uno dei gioielli prestati da Frigga, aspettandosi una smentita, pregando gli Antenati che Loki scuotesse la testa e ammettesse di aver detto una frase senza senso, di non riferirsi a niente in particolare.

Per un istante, l’unico rumore fu quello del fuoco che crepitava nel braciere.

“La verità,” ripeté, invece, l’Ase, accarezzando con le dita le figure scolpite nella pietra. “La verità è un concetto meno semplice da definire di quanto non si creda.”

“Ogni volta che mi guardi, io non capisco cosa vedi,” ammise Sigyn. Il tono cauto della sua voce non si accordava al battito accelerato del cuore, il cui effetto immediato era visibile nel rossore che le imporporava le guance.

“No,” la corresse l’ingannatore rialzandosi. “No, io credo che tu sappia benissimo cosa vedo.”

“Perché la sera prima di una missione importante, tu sei qui, nel Tempio dove prego tutti i giorni, a guardare un bassorilievo?” insistette. Si strinse nelle spalle, perché l’aria gelida della notte le pungeva il collo coperto solo dalle pesanti collane.

“Mio nonno, re Bor, lo trafugò moltissimo tempo fa, al termine di una battaglia sanguinosa,” le raccontò Loki con un sorriso furbo. “Fu una vittoria eclatante. Del palazzo da cui lo fece togliere non rimase nulla, solo rovine. E affinché a nessuno venisse in mente di ricostruire ciò che lui aveva raso al suolo, ordinò che sui massi fumanti fosse sparso il sale,” concluse, sollevando il mento con fierezza. “Ma questo bassorilievo, cara Sigyn, non celebra solamente uno dei trionfi della mia gente. Parla di una storia e di un’usanza terribile, che mio nonno vietò.”

L’ancella fece per avvicinarsi all’opera d’arte, che fino ad allora non aveva mai notato. Erano figure scolpite con estrema maestria e precisione. Un intreccio di corpi mostruosi e orribili circondava una fanciulla; altre figure maschili sembravano voler contrastare l’esercito di creature contorte, ma invano.

“Adesso vieni via,” le ordinò Loki, trascinandola per un braccio prima che potesse osservare una seconda volta il bassorilievo o cercare di attribuire alla composizione il suo senso. L’artista che lo aveva scolpito conosceva la storia che stava narrando attraverso la sua opera: a ogni figura rappresentata aveva donato attributi specifici, capaci di renderla riconoscibile a chiunque, lei compresa.

L’ingannatore la condusse via dal tempio, verso l’ala del palazzo dove lei dimorava, senza mollare la presa sul suo braccio, come se volesse o potesse scappare via. Ma Sigyn non tentava di fare nulla di tutto ciò, anzi. Ogni sua attenzione era ancora convogliata sul bassorilievo trafugato da Bor, sulle dita di Loki di cui sentiva la pressione decisa sulla pelle.

La spinse dentro la sua camera, e fu solo allora che Sigyn trovò la forza di impuntarsi e di costringerlo a fermarsi. Bloccandosi, aveva fatto involontariamente in modo che fossero più vicini, che i loro respiri si incrociassero. E quella vicinanza infiammava entrambi.

“Tu mi guardi come se non fossi più qui. Come un fantasma. Con rimpianto,” soffiò, con un sussurro talmente basso che si chiese se l’avesse udita. “Al mio posto penso che tu, che chiunque, vorrebbe sapere la verità,” aggiunse.

Loki continuava a tenerla per il braccio, fissandola con i suoi occhi penetranti e freddissimi, quasi indignati, illuminati da un bagliore, tagliente come la lama di un pugnale.

“È rimpianto, Sigyn, sì. Sono arrivato tardi,” ammise, stirando le labbra sottili in un ghigno sbieco e mesto, sfiorandole la guancia liscia e le labbra con le dita, come se quel contatto già troppo intimo potesse sostituire il bacio proibito che non potevano scambiarsi. L’ammirò per un momento, e poi glielo disse. “Tuo padre ti aveva già venduta, e io non trovo il modo per riscattarti. La fanciulla nel bassorilievo ha fatto la fine che farai tu.”

Allora Sigyn colse il senso dell’opera che aveva visto e comprese di averla riconosciuta fin da subito o che, con la spiegazione del dio dell’inganno, essa appariva chiara e incontrovertibile. Le mancò il respiro e sentì le mani farsi gelide, le ginocchia incerte e molli. Il cuore batteva così forte nel suo petto da ottunderle l’udito. Forse Loki pensò che stesse per svenire, perché le circondò la vita con un braccio e continuò a dirle cose che Sigyn non ascoltò. Udì la propria voce, però, che, incrinata e distante, negava.

“Tu menti. Tu sei un bugiardo. Nessuno farebbe questo a sua figlia.” Si aggrappò alle strisce di pelle che costituivano la sua corazza elastica e robusta, piantandogli le unghie addosso come avrebbe fatto una gatta infuriata. “Non mio padre. Non la mia famiglia. Loro mi amano e mi proteggono,” concluse, sfogandosi contro il corpo dell’Ase, diritto e immobile davanti a lei, come se fosse sua, la colpa di tutto. E in un certo qual modo distorto lo era, perché Loki aveva sollevato il vero di una realtà nauseabonda. Impassibile e, ora, silenzioso, osservò il suo disperarsi, rifiutandosi, però, di lasciarla andare. Di quella notte, Sigyn ricordò che non pianse. Si rifiutò fino all’ultimo di lasciare che anche un singolo singhiozzo trapelasse dalla sua gola a costo di farsi mancare il respiro. Ma poi, forse, la disperazione la tradì.

Il bacio giunse inaspettato e sapeva di metallo.

Fu la conseguenza dell’abbraccio ferreo di Loki, di quel suo tenerla contro il proprio petto senza consolarla a parole, lui che conquistava e irretiva proprio con la voce alleati e avversari. Non ritenne sensato commentare in alcun modo, evitando persino di dirle ciò che Sigyn avrebbe scoperto solo diverse settimane dopo – che lui non aveva smesso di cercare un modo per salvarla – ma a un tratto la strinse più a sé e la baciò. Forse lo fece perché rimase colpito dalle lacrime trattenute sull’orlo delle ciglia, dalla voce spezzata che le labbra, fieramente, evitavano di trasformare in un singhiozzo, oppure perché era incapace di resistere ancora all’idea di averla tra le braccia, disponibile e incantevole e disperata, senza fare nulla. E allora la baciò, si chinò fino ad assaggiarle le labbra, e la Scintilla provò il brivido di un contatto sui cui aveva fantasticato fin da quando era bambina, ma che nella realtà fu differente – migliore e più intenso – di quanto aveva immaginato. Loki Odinson aveva una bocca perennemente piegata in un sorriso sghembo e beffardo, tagliente. Le sue labbra erano sottili, tanto che, quando rideva scoprendo i denti, la parte superiore quasi scompariva, ma nonostante ciò erano morbide e dolci, premute contro le sue. E nient’altro assomigliava a una bocca: non le guance, non il dorso della mano su cui, bambina, si esercitava con le sue sorelle immaginando un principe che le portasse via.

E scoprì anche che un bacio non giungeva mai da solo, ma era fatto di altri, che si susseguivano gli uni agli altri, assaggiando e lambendo e gustando. Sì, un principe l’aveva rapita e ora le sue labbra la accarezzavano con feroce insistenza, annullando il presente, sciogliendo il suo spirito sbigottito e trasformandolo in qualcosa di pulsante e vivo e liquido come non lo era mai stato. L’aveva catturata e lei era perduta – e intanto Loki la baciava e la ghermiva e l’accarezzava finché non riuscì a ritrovare se stessa e, con occhi scintillanti e spaventati, rossa in volto, l’allontanò.

“Hai commesso un sacrilegio terribile,” soffiò, fissandolo nella penombra

Loki smise di stringerla. “Lo so.” Nella sua voce non c’era alcun tipo di pentimento o di paura, anzi. Pareva fiero e soddisfatto di averla baciata. Il suo sguardo brillante e rapace indicava come l’assaggio avuto non avesse fatto altro che alimentare il fuoco che lo corrodeva. Fiamme che condividevano, loro malgrado.

“Non farlo mai più, non osare farlo mai più.”

“Temi che gli Antenati ti tolgano il loro favore più di quanto non abbiano già fatto? O hai provato qualcosa che ti ha sorpresa?” insinuò, perfido e trionfante.

Sigyn si morse le labbra, offesa e incapace di riportare alla normalità il battito del suo cuore impazzito. “Qualcosa che mi ha offesa e disgustata. Non commettere atti sacrileghi prima di una missione, Loki di Asgard. Nemmeno voi Æsir siete superiori a tutto.” Era una maledizione. Necessaria, come necessario era stato il dover mentire su cosa aveva provato: il dispetto era mescolato al piacere così intensamente da lasciarla sgomenta e colpevole.

 L’ingannatore la sfidò con lo sguardo e rise con insolenza, buttando il capo all’indietro. Non credeva nei cattivi auspici e le minacce di una ragazza che aveva risposto ai suoi baci e si era sciolta tra le sue braccia gli sembravano dolci promesse. Si allontanò, lasciandola sola nelle sue stanze; non si sarebbero rivisti più per molte settimane.

 

Il mattino successivo, Frigga mandò un’ancella a recuperare lo scrigno con i gioielli prestati. Sigyn sorrise appena, quando, poco dopo, la stessa donna tornò da lei, dicendole con una punta d’imbarazzo che l’anello d’oro dalla pietra rosata non apparteneva alla sovrana. Nascondendo la momentanea confusione, la scintilla riprese il monile imputando l’errore alla stanchezza. Ricordò che a portarle la parure della regina era stato Loki in persona, che spartiva i vari bottini di guerra insieme agli altri generali, scegliendo per sé i pezzi che più lo aggradavano. Lo aveva fatto anche recentemente: tutta Asgard aveva parlato del grande tesoro conquistato dagli Æsir. Rammentò che il principe aveva commentato distrattamente che l’anello, quell’anello, le donava. Per un momento, fu sul punto di dare voce al sospetto che le stringeva la gola: che si trattasse di un dono fatto con l’inganno, affinché lei non avesse modo di rifiutarlo. Un subdolo trucco per metterla in difficoltà. Ma poi pensò che il dio degli inganni era partito quella mattina, e non avrebbe potuto affrontarlo direttamente. Di più, raccontando quella che era una supposizione, avrebbe solo dato vita a un pettegolezzo da cui non era certa di uscire indenne e pulita. E Sigyn, cresciuta sotto una rigida morale, temeva le maldicenze e non desiderava stare al gioco del furbo principe, ammesso che l’anello provenisse da lui. Ringraziò più volte l’ancella, scegliendo di tenersi momentaneamente dentro dubbi e sospetti. Nella solitudine della sua stanza, rigirò tra le mani l’anello, chiedendosi se fosse, in qualche modo, stregato.

 

Non amava Loki perché aveva distrutto senza pietà ogni sua certezza, speranza, aspettativa. Si era macchiato della colpa d’averla baciata e stretta a sé, portandola sull’orlo di un precipizio in cui non poteva gettarsi. Era stato bugiardo e sincero, schietto e ambiguo, subdolo e cristallino. Forse le aveva regalato un anello, ma più probabilmente era riuscito a intrappolarla in qualcosa di più grande di lei, di loro. Sì, Sigyn odiava Loki – lo decise quella notte, la prima che trascorse ad Asgard dopo che lui se ne fu andato, e lo detestò ancora di più quando seppe, pochi giorni dopo, che la sua maledizione si era avverata. Qualcosa, nella missione pericolosa e importante che il dio dell’inganno stava affrontando con suo fratello, era andato storto. Le Norne, forse istigate dagli Antenati offesi, avevano deciso di punire il figlio cadetto di Odino. Quando Balder, con le lacrime agli occhi, le disse che Loki era stato ferito e catturato da una feroce tribù, Sigyn pensò che qualsiasi cosa fosse quel peso che le bloccò il respiro e le fece tremare le ginocchia, non era amore. Forse si trattava di uno struggente senso di colpa, oppure di paura, perché anche lei era colpevole di fronte agli Antenati, ma no, non poteva essere amore. Solo che.

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,

Incredibilmente, sono riuscita a postare entro le due settimane. Mi scuso per eventuali refusi o sviste, ma o posto adesso o mai più. Visto che la situazione sta precipitando nuovamente, mi auguro che queste mie righe possano risollevarvi e rendere più lieto il coprifuoco. Il mio lo migliorano senz’altro.

 

Ora, tutti si aspettavano che Sigyn si fosse portata dietro il bracciale riparato da Loki, ma ecco qua che, pouf! Compare un anello. Lo avevo accennato anche qualche capitolo fa, nella scena con Sif, quando Loki prende un pezzo del tesoro per sé. Ora, la domanda è: è quell’anello? Qual è lo scopo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, che spero arriverà presto. Non ho idea di cosa aggiornerò nelle prossime settimane (ma potrebbe essere anche la prossima settimana, veramente, boh). Potrei aggiornare qualche vecchia long e persino sperimentare con storie nuove. O magari esce il 42 di Accordo ♥. Questo per dirvi di continuare a seguirmi su fb o su instagram ^^.

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss

   
 
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