Capitolo
18
Le notizie del
mondo
esterno non avrebbero più dovuto turbare Sigyn. Avevano la
stessa evanescenza
dei sogni o delle fiabe: racconti da cui lei, nella tenebra in cui
viveva, era
stata esclusa. Kalfr non veniva a farle visita spesso, e quando
s’incapricciava
nel cercarla, lei faceva finta di essere altrove e con qualcun
altro. Uno
che non c’era e che avrebbe dovuto odiarla con ogni fibra del
suo essere, uno
che aveva inviato al Tempio così tanto oro da placare gli
Antenati offesi. Un
gesto compiuto non per devozione, ma per dimostrare
l’avidità degli spiriti
ingordi e ribadire la propria, sfacciata, supremazia.
Però,
la tosse secca e
persistente di Sigyn era svanita grazie alle vesti fatte con la lana
più calda
e soffice, agli stivaletti foderati internamente di pelliccia, alle
coperte spesse
e morbide che il principe di Asgard aveva preteso le fossero
consegnati. Ma
stringersi in un mantello confortevole, poter gettare un ciocco di
legno in più
nel camino della propria stanza, non scaldavano il cuore di Sigyn. Lui
non se
ne andava. La sua figura slanciata ed elastica continuava ad abitare i
suoi
pensieri con feroce puntualità; e la sua immagine,
impossibile da cancellare,
eppure, ogni giorno, più sfocata, non alleviava il suo
riposo. I sogni della Scintilla
erano frammenti di passato e di futuro in cui Loki Odinson non
compariva mai.
Era il grande assente e quell’assenza pareva
l’unica cosa tangibile rimasta di
lui. Prima di addormentarsi, sfinita, tentava di rievocarne le
fattezze, i
gesti, l’odore, il suono della voce. Com’era il
tono del dio degli inganni? Si
sforzava di tirarlo fuori dai ricordi, di stabilire la connessione in
grado di
restituirle la voce che sapeva essere stata ironica e pungente
– sì, ma come,
fino a che punto? – di fissare una frase
particolare o un modo di dire che
le avrebbero ridato, per un momento, Loki. Ma la voce è
ciò che con più
facilità si smarrisce, di chi perdiamo, e allora la fatica
che doveva compiere
per farla riemergere era doppia. Eppure, quando ci riusciva e la
memoria le
restituiva il tono arrochito e perennemente sarcastico
dell’Ase, dal buio risaliva
anche altro. Il modo di ridere scoprendo i denti, la piega corrugata
delle
sopracciglia quando era assorto nello studio di un testo difficile, il
modo in
cui accarezzava l’elsa di uno dei suoi pugnali per placare un
nervosismo
giudicato inopportuno, il gesto secco con cui immergeva la penna nella
boccetta
dell’inchiostro, la sfumatura leggermente cangiante che
assumevano i suoi occhi
chiarissimi di fronte al fuoco. Era Loki. Ricostruito o rievocato, non
aveva
importanza, così come non lo aveva il mondo, che
l’aveva perduta perché suo
padre si era comportato in modo sconsiderato. La Scintilla non poteva
sfuggire
al suo destino, che la voleva immolata per sempre alle tenebre, sposa,
qualunque cosa significasse, di ciò che di oscuro strisciava
sotto Yggdrasill,
il frassino sacro.
Sospirò
con forza:
ricordare Loki era il modo per cullarsi in un passato irripetibile e
disperato
e, solo col senno di poi, dolce. I giorni trascorsi ad Asgard, mentre
li
viveva, erano agitati da una giostra impazzita di eventi, dalle liti
che si
alternavano alle rappacificazioni, da segreti intricati e
irrisolvibili. Se
avesse potuto scegliere, Sigyn si sarebbe messa a selezionare con la
meticolosa
perizia di un gioielliere i momenti più belli e sereni: una
mattina in cui Loki
l’aveva portata al mercato fingendo di essere due persone
qualunque, una notte
insonne in biblioteca, trascorsa a leggere e degenerata
nell’Ase che raccontava
alcune delle sue avventure più divertenti vissute con Thor.
In mezzo a quei
ricordi che, pure, c’erano, si insinuavano, però, gli
altri: la meticolosa
messa a punto della grande impresa che doveva liberarla, la
terrificante notte
in cui avevano bussato alla porta del mercante, il grido
d’orrore che il dio
dell’inganno aveva cacciato quando era rimasto solo con la
creatura – o le
creature – che abitavano l’abisso. E gli incubi che
lo scuotevano e lui celava,
e quel cinismo, che si era fatto più cupo e adulto, perdendo
ogni traccia di
spavalderia giovanile.
Si
rigirò nel letto, insonne,
in un buio ormai totale. L’unico conforto fu, in qualche
momento imprecisato
tra l’oscurità e l’alba, quello in cui
tirò fuori dal nascondiglio il pezzo di
stoffa e il gioiello che conteneva. Lo infilò al dito un
istante, ne sfiorò la
pietra. Non lo toccava da mesi, dall’ultima visita che le
aveva fatto e fu per
questo che non si stupì, quando le dissero di una visita
proveniente da Asgard.
Le Norne, a volte, creavano simmetrie così perfette da
sembrare costruite ad
arte. Si avvicinò alla grata che la separava dal mondo, come
l’ultima volta,
con la vanesia consapevolezza di apparire meno miserabile di un tempo,
ma una
pena innominata le gravava petto: lui ora sapeva.
Quando sentì la voce
di Thor al posto di quella di Loki, però, il respiro le si
mozzò nella gola e
un sospetto, rapido e tremendo, calò su di lei.
“Sigyn,
sono venuto a portarti una notizia
tremenda,” iniziò il dio del tuono.
Alla scintilla
si ruppe
il cuore.
♥
Sigyn non amava
Loki. La
metteva a disagio il modo attento in cui la fissava, le sue battute
salaci, i
suoi passi svelti ed elastici, la tagliente sicurezza che permeava ogni
suo
gesto. Parlavano spesso in biblioteca. Ne erano i soli frequentatori
assidui ed
entrambi amavano inoltrarsi lungo i corridoi silenziosi e impregnati di
polvere
al tramonto o quando, ormai, era calata sera. L’ancella aveva
ammesso di
soffrire di una lieve forma d’insonnia e
l’ingannatore aveva stirato le labbra in
un ghigno sornione, interessato.
Di quel giorno,
Sigyn
ricordava la luce rossa che filtrava dalle finestre alte e strette, il
vento
che infuriava oltre le imposte. Il sole si inabissava nel mare,
trasformando il
cielo in un tripudio di azzurri e di sfumature d’arancio. E
forse in quella
stessa occasione, se la memoria non la confondeva, Balder si era messo
in testa
di chiederle se lei e il fratello fossero amici.
Sigyn aveva negato, ma interpellato
dall’ingenuo ragazzino, Loki, l’aveva smentita,
dichiarando, a sorpresa, che
gli era cara. Ma che aveva voluto mai dire, con quella parola? Erano
all’uscita
della biblioteca e Balder, che li attendeva sulle scale, si era rizzato
in
piedi, scrutandoli dubbioso. Non capiva perché
trascorressero così tanto in un
posto pieno di libri e, chissà come mai, gli era venuta in
mente quella domanda
tanto inconsueta. Volta a definire l’indefinibile,
l’impronunciabile – ma
questo, Sigyn, non era ancora disposta ad ammetterlo.
Nelle ore
seguenti,
mentre il vento portava cumuli di nuvole scure e minacciose sopra il
fiordo, l’ancella
si era detta che, forse, lei e il principe cadetto trascorrevano troppo
tempo
insieme. La sua educazione rigida e impostata giudicava ambigue e
pericolose le
ore trascorse in compagnia di un uomo nel pieno della giovinezza come
Loki. Lei
stessa doveva ammettere che il dispetto provato nei suoi confronti era
tinto
con una tale varietà di sfumature da rendere difficile
giudicare cosa provasse
nei suoi confronti. Una parte di lei lo odiava e disprezzava la sua
blanda corte,
l’altra s’infiammava ogni volta che lui spostava le
proprie attenzioni altrove.
Se osava accorciare le distanze tra loro, lo rimetteva immediatamente
al suo
posto, ma prima di addormentarsi si concedeva d’immaginarsi
accanto a lui, o
ripercorreva con la mente gli istanti in cui erano stati troppo vicini,
come
quando aveva assistito al rito e si era stordita o, prima ancora, sul
drakkar, dove,
colpevole un’onda, gli era finita, suo malgrado, tra le
braccia. Lo detestava
perché l’aveva strappata ai suoi affetti, ma gli
era segretamente grata per
averle detto di essere la Scintilla. Ammirava la sua spiccata
intelligenza,
così acuta e fulgida, ma disprezzava certi suoi
atteggiamenti meschini. Se, per
mostrarle una miniatura o una storia particolarmente interessante, le
chiedeva
di avvicinarsi a un libro o a una pergamena, lei lo assecondava con
sfacciata
circospezione, ma tremava se le loro teste o le mani erano vicine a
congiungersi. E se le prime settimane aveva bollato tutto
ciò come un effetto
della paura che le ispirava il dio degli inganni, ora non lo sapeva
più. Una
parte di lei, quella più nascosta e impulsiva, quella che
avrebbe voluto essere
portata via perché donna e non per via del suo essere
scintilla e osava
guardarsi allo specchio chiedendosi come lui la
vedeva, sperava che Loki
si spingesse oltre. Sfiorarsi le dita, la fronte,
le labbra, e poi
sentire l’odore della pelle di lui e scoprire le linee ben
fatte del suo corpo
slanciato e forte, fatto di muscoli sempre pronti a guizzare. Ma se il
principe
di Asgard avesse osato anche solo prenderle le mani e baciarla, lei
avrebbe
dovuto, necessariamente, scacciarlo, ricordandogli chi erano.
Dirle che era
cara e
farlo per rispondere a una domanda di Balder, però,
scardinava le certezze di
Sigyn: era una lusinga che solleticava la parte più
impulsiva di lei, quella
segretamente compiaciuta che Loki l’avesse notata per via del suo
bel vestito
rosso; l’Ase si rivelava, scoprendo le carte circa i suoi
interessi, oppure
mentiva per raggirarla, perché Loki non faceva mai nulla
spontaneamente o per
caso. Ogni sua battuta o azione era frutto di un lungo ragionamento, di
una
sfiancante analisi.
“Come
ti sono cara? In
che modo, perché?” lo affrontò qualche
giorno dopo. Sedevano vicini a un
banchetto cui Sigyn si era decisa a partecipare per affrontare la
questione. Il
mattino seguente, il principe sarebbe partito, assieme
all’immancabile
fratello, per una missione non ben precisata, riguardo cui lei non era
riuscita
a carpire nessuna informazione – e
perché avrebbe dovuto interessarle, del
resto?
Loki
stirò le labbra in
un ghigno perfido, osservando una coppia di danzatori che si esibiva
nell’ampia
sala. Erano agili e bravi, bellissimi da vedere. L’intesa che
li legava
suggeriva che il loro rapporto trascendesse il ballo e fosse fatto di
baci e
amplessi.
“Me lo
domandi nel posto
sbagliato, nell’occasione meno indicata,”
notò dopo aver sorseggiato un corno
d’idromele. “Io dico che è
perché non vuoi affrontare davvero
l’argomento,”
decise, risolvendosi a fissarla con quei suoi occhi fiammeggianti e
chiarissimi.
La danza,
sensuale e
forsennata, continuava in un tripudio di veli colorati fatti per
esaltare la
tonicità dei ballerini. Gli occhi di tutti i presenti erano
fissati sulla
coppia che si esibiva facendo sfoggio del proprio talento, e nessuno
colse la
tensione palpabile esistente tra Sigyn e Loki. Nemmeno loro ne erano
pienamente
consapevoli: erano presi nel vortice di un desiderio che li avrebbe
condotti
alla rovina, contro cui lottavano con forza e disperazione, ma invano.
Solo che
non ci credevano e, se qualcuno avesse predetto loro il futuro che li
attendeva, si sarebbero sdegnosamente rifiutati di crederci.
“A
volte mi tratti come
un ostaggio, altre no,” ammise Sigyn con
difficoltà, abbassando le ciglia nere.
Frigga le aveva fatto indossare dei gioielli di squisita fattura in
quantità;
spiccavano sul suo collo sempre scoperto, sull’abito candido,
ma le pareva
fossero troppo vistosi e da adulta.
L’ingannatore
si era preso
l’incarico di consegnarle personalmente un cofanetto
contenente le belle gioie prestate
dalla regina per lei. Tra questi, c’era un anello con una
pietra particolare,
dalla trasparenza rosea. Sigyn lo aveva indossato insieme agli altri,
ammirandone
in cuor suo la bellezza, stupendosi per la perfezione con cui le
calzava al dito.
Non notò l’attenzione con cui Loki
l’osservava mentre infilava il prezioso.
Sembrava una
sacerdotessa, più che un’ancella – era
la scintilla, e tutti i presenti
dovevano avere la percezione di trovarsi davanti a qualcosa di cui
Odino poteva
vantarsi, di una reliquia preziosa ceduta da un alleato infedele. Non
sapeva
d’essere bella, quella sera, perché solo Loki,
assuefatto al profumo della sua
pelle, sedotto dalle forme sinuose del suo corpo snello e sodo,
invidioso dei
gioielli che le sfioravano il seno e le si attorcigliavano lungo le
braccia e
le dita, ne era consapevole, come aveva precisa coscienza di come lei
svolgesse
la parte di una creatura rara e preziosa che dava spettacolo di
sé solo bevendo
e mangiando. Una scintilla ad Asgard, l’ultima di cui si
aveva traccia.
“Se
non fossi stata la
scintilla, ma una semplice ancella, ti avrei pretesa per me,”
esplose perfido. “Ti
avevo scelta per essere una schiava, o magari una concubina, ma forse
era già
la tua luce che mi attirava. Ho donato a Padre Tutto una veggente, ma
ho perso
il mio risarcimento,” concluse, col chiaro intento di ferirla
e di ridurla a
nient’altro se non a una prigioniera che avrebbe dovuto
scaldargli il letto. E
Sigyn impallidì ascoltando la brutalità del suo
pensiero, così come avvertì
sulla pelle il desiderio bruciante e il feroce fastidio che agitavano il
dio
degli inganni. La considerava preziosa, ma avrebbe preferito che non lo
fosse.
E la pensavano allo stesso modo, perché Sigyn sapeva che
sarebbe stata più
felice, se fosse rimasta una semplice ancella e lui non
l’avesse mai guardata. Non
avrebbe mai sentito né l’odore del mare
né quello, di cuoio e libri, della sua
pelle, ma non si può provare nostalgia per qualcosa che non
si è vissuto,
forse.
“Sfrontato,
arrogante e
sacrilego. Rimpiangi di non avermi umiliata e usata?”
“No,
non ci provare,”
l’avvertì Loki, chinandosi verso di lei fin quasi
a sfiorarle con le labbra i
capelli. L’ancella si tese, imponendosi di non respirare
né muoversi. “Non
parlare con me di sacrilegi,” proseguì
l’Ase. “È per rimediare alla follia di
uno, che il tuo destino ha finito per riguardarmi,” concesse.
Un bagliore
d’inconsueta ferocia saettò nello sguardo verde di
Loki. Aveva parlato a denti
stretti, tirando fuori assieme alla frase sibillina un’ironia
spietata che
Sigyn aveva ascoltato solo a Vanheim. Si voltò verso di lui
nonostante avesse
deciso di non farlo, trovandosi troppo vicina al suo bel viso affilato,
alla
bocca che ancora non era stata sfregiata da nessuna cicatrice.
“Che
mi nascondi? Che mi
nascondete tu e tuo Padre?” sibilò furiosa e
spaventata, afferrando il corno davanti
a lei e bagnandosi appena le labbra.
Ma Loki non le
rispose.
Avevano attirato l’attenzione di Thor e persino Odino si era
distratto dallo spettacolo
della danza per osservarli. Guardò la mano sottile e
adornata di gioielli che
reggeva il corno.
“Ti
sta d’incanto quest’anello.
Continua a fare sfoggio di te stessa, scintilla. Per questa sera ti ho
detto
abbastanza,” concluse, ritirandosi prima che il banchetto
fosse finito. Sigyn
lo vide accostarsi a Odino, bisbigliargli qualche frase. Il sovrano
ascoltò e
annuì e Loki scomparve tra le ombre, col suo passo nervoso e
sicuro.
Perché
si incontrarono,
quella notte? Avrebbe dovuto limitarsi a seguirlo con lo sguardo e
concentrarsi
sulla danza magnificamente eseguita, sugli ospiti vivaci che, troppo
spesso, la
scrutavano con curioso interesse. Invece, dopo un tempo che a lei
sembrò
infinito e che, in verità, non superava la
mezz’ora, Sigyn lamentò un capogiro
e finse di volersi ritirare nelle proprie stanze. Fu un errore. Lo
cercò in
biblioteca, nelle stalle, nell’armeria, certa che non fosse
andato a dormire.
L’ala dei suoi appartamenti era un’ombra nera che
si stagliava contro un cielo
color pece, privo persino delle stelle. Ne conosceva
l’ubicazione perché
Balder, con aria solenne, una volta le aveva indicato le finestre
della sua
stanza e quelle dei fratelli maggiori. E poi Loki dormiva poco, meno di
lei, e
certamente non si era allontanato dal banchetto per riposarsi. Non
seppe dirsi
perché raggiunse il tempio. Lo vide accanto al fuoco, chino
a studiare un
bassorilievo.
Figure
intrecciate
lottavano contro una creatura abissale e contorta, mostruosa. Loki
studiava
l’opera d’arte e Sigyn non vide l’accenno
di sorriso – triste, ma compiaciuto –
che gli piegò le labbra.
“Il
banchetto non ti
diverte più?” l’apostrofò
concedendole un’occhiata veloce.
“Sei
stato il solo a
dirmi che ero la scintilla,” iniziò Sigyn,
consapevole che non esistevano
parole giuste per introdurre il discorso. “Perché
ho la sensazione di non
sapere ancora tutta la verità?”
domandò, tormentando uno dei gioielli prestati
da Frigga, aspettandosi una smentita, pregando gli Antenati che Loki
scuotesse
la testa e ammettesse di aver detto una frase senza senso, di non
riferirsi a
niente in particolare.
Per un istante,
l’unico
rumore fu quello del fuoco che crepitava nel braciere.
“La
verità,” ripeté,
invece, l’Ase, accarezzando con le dita le figure scolpite
nella pietra. “La
verità è un concetto meno semplice da definire di
quanto non si creda.”
“Ogni
volta che mi
guardi, io non capisco cosa vedi,” ammise Sigyn. Il tono
cauto della sua voce
non si accordava al battito accelerato del cuore, il cui effetto
immediato era
visibile nel rossore che le imporporava le guance.
“No,”
la corresse
l’ingannatore rialzandosi. “No, io credo che tu
sappia benissimo cosa vedo.”
“Perché
la sera prima di
una missione importante, tu sei qui, nel Tempio dove prego tutti i
giorni, a
guardare un bassorilievo?” insistette. Si strinse nelle
spalle, perché l’aria
gelida della notte le pungeva il collo coperto solo dalle pesanti
collane.
“Mio
nonno, re Bor, lo
trafugò moltissimo tempo fa, al termine di una battaglia
sanguinosa,” le
raccontò Loki con un sorriso furbo. “Fu una
vittoria eclatante. Del palazzo da
cui lo fece togliere non rimase nulla, solo rovine. E
affinché a nessuno
venisse in mente di ricostruire ciò che lui aveva raso al
suolo, ordinò che sui
massi fumanti fosse sparso il sale,” concluse, sollevando il
mento con fierezza. “Ma
questo bassorilievo, cara Sigyn, non celebra solamente uno dei trionfi
della
mia gente. Parla di una storia e di un’usanza terribile, che
mio nonno vietò.”
L’ancella
fece per
avvicinarsi all’opera d’arte, che fino ad allora
non aveva mai notato. Erano
figure scolpite con estrema maestria e precisione. Un intreccio di
corpi mostruosi
e orribili circondava una fanciulla; altre figure maschili sembravano
voler
contrastare l’esercito di creature contorte, ma invano.
“Adesso
vieni via,” le ordinò
Loki, trascinandola per un braccio prima che potesse osservare una
seconda
volta il bassorilievo o cercare di attribuire alla composizione il suo
senso.
L’artista che lo aveva scolpito conosceva la storia che stava
narrando
attraverso la sua opera: a ogni figura rappresentata aveva donato
attributi specifici,
capaci di renderla riconoscibile a chiunque, lei compresa.
L’ingannatore
la condusse
via dal tempio, verso l’ala del palazzo dove lei dimorava,
senza mollare la
presa sul suo braccio, come se volesse o potesse scappare via. Ma Sigyn
non
tentava di fare nulla di tutto ciò, anzi. Ogni sua
attenzione era ancora convogliata
sul bassorilievo trafugato da Bor, sulle dita di Loki di cui sentiva la
pressione decisa sulla pelle.
La spinse dentro
la sua
camera, e fu solo allora che Sigyn trovò la forza di
impuntarsi e di
costringerlo a fermarsi. Bloccandosi, aveva fatto involontariamente in
modo che
fossero più vicini, che i loro respiri si incrociassero. E
quella vicinanza
infiammava entrambi.
“Tu mi
guardi come se non
fossi più qui. Come un fantasma. Con rimpianto,”
soffiò, con un sussurro
talmente basso che si chiese se l’avesse udita. “Al
mio posto penso che tu, che
chiunque, vorrebbe sapere la verità,” aggiunse.
Loki continuava
a tenerla
per il braccio, fissandola con i suoi occhi penetranti e freddissimi,
quasi
indignati, illuminati da un bagliore, tagliente come la lama di un
pugnale.
“È
rimpianto, Sigyn, sì.
Sono arrivato tardi,” ammise, stirando le labbra sottili in
un ghigno sbieco e
mesto, sfiorandole la guancia liscia e le labbra con le dita, come se
quel
contatto già troppo intimo potesse sostituire il bacio
proibito che non
potevano scambiarsi. L’ammirò per un momento, e
poi glielo disse. “Tuo padre ti
aveva già venduta, e io non trovo il modo per riscattarti.
La fanciulla nel
bassorilievo ha fatto la fine che farai tu.”
Allora Sigyn
colse il
senso dell’opera che aveva visto e comprese di averla
riconosciuta fin da
subito o che, con la spiegazione del dio dell’inganno, essa
appariva chiara e incontrovertibile.
Le mancò il respiro e sentì le mani farsi gelide,
le ginocchia incerte e molli.
Il cuore batteva così forte nel suo petto da ottunderle
l’udito. Forse Loki
pensò che stesse per svenire, perché le
circondò la vita con un braccio e
continuò a dirle cose che Sigyn non ascoltò.
Udì la propria voce, però, che,
incrinata e distante, negava.
“Tu
menti. Tu sei un
bugiardo. Nessuno farebbe questo a sua figlia.” Si
aggrappò alle strisce di
pelle che costituivano la sua corazza elastica e robusta, piantandogli
le
unghie addosso come avrebbe fatto una gatta infuriata. “Non
mio padre. Non la
mia famiglia. Loro mi amano e mi proteggono,” concluse,
sfogandosi contro il
corpo dell’Ase, diritto e immobile davanti a lei, come se
fosse sua, la colpa
di tutto. E in un certo qual modo distorto lo era, perché
Loki aveva sollevato
il vero di una realtà nauseabonda. Impassibile e, ora,
silenzioso, osservò il
suo disperarsi, rifiutandosi, però, di lasciarla andare. Di
quella notte, Sigyn
ricordò che non pianse. Si rifiutò fino
all’ultimo di lasciare che anche un
singolo singhiozzo trapelasse dalla sua gola a costo di farsi mancare
il
respiro. Ma poi, forse, la disperazione la tradì.
Il bacio giunse
inaspettato e sapeva di metallo.
Fu la
conseguenza
dell’abbraccio ferreo di Loki, di quel suo tenerla contro il
proprio petto
senza consolarla a parole, lui che conquistava e irretiva proprio con
la voce
alleati e avversari. Non ritenne sensato commentare in alcun modo,
evitando
persino di dirle ciò che Sigyn avrebbe scoperto solo diverse
settimane dopo –
che lui non aveva smesso di cercare un modo per salvarla – ma
a un tratto la
strinse più a sé e la baciò. Forse lo
fece perché rimase colpito dalle lacrime
trattenute sull’orlo delle ciglia, dalla voce spezzata che le
labbra,
fieramente, evitavano di trasformare in un singhiozzo, oppure
perché era
incapace di resistere ancora all’idea di averla tra le
braccia, disponibile e
incantevole e disperata, senza fare nulla. E allora la
baciò, si chinò fino ad
assaggiarle le labbra, e la Scintilla provò il brivido di un
contatto sui cui
aveva fantasticato fin da quando era bambina, ma che nella
realtà fu differente
– migliore e più intenso – di quanto
aveva immaginato. Loki Odinson aveva una
bocca perennemente piegata in un sorriso sghembo e beffardo, tagliente.
Le sue
labbra erano sottili, tanto che, quando rideva scoprendo i denti, la
parte
superiore quasi scompariva, ma nonostante ciò erano morbide
e dolci, premute
contro le sue. E nient’altro assomigliava a una bocca: non le
guance, non il
dorso della mano su cui, bambina, si esercitava con le sue sorelle
immaginando
un principe che le portasse via.
E
scoprì anche che un
bacio non giungeva mai da solo, ma era fatto di altri, che si
susseguivano gli
uni agli altri, assaggiando e lambendo e gustando. Sì, un
principe l’aveva
rapita e ora le sue labbra la accarezzavano con feroce insistenza,
annullando
il presente, sciogliendo il suo spirito sbigottito e trasformandolo in
qualcosa
di pulsante e vivo e liquido come non lo era mai stato.
L’aveva catturata e lei
era perduta – e intanto Loki la baciava e la ghermiva e
l’accarezzava finché
non riuscì a ritrovare se stessa e, con occhi scintillanti e
spaventati, rossa
in volto, l’allontanò.
“Hai
commesso un
sacrilegio terribile,” soffiò, fissandolo nella
penombra
Loki smise di
stringerla.
“Lo so.” Nella sua voce non c’era alcun
tipo di pentimento o di paura, anzi. Pareva
fiero e soddisfatto di averla baciata. Il suo sguardo brillante e
rapace
indicava come l’assaggio avuto non avesse fatto altro che
alimentare il fuoco
che lo corrodeva. Fiamme che condividevano, loro malgrado.
“Non
farlo mai più, non
osare farlo mai più.”
“Temi
che gli Antenati ti
tolgano il loro favore più di quanto non abbiano
già fatto? O hai provato qualcosa
che ti ha sorpresa?” insinuò,
perfido e trionfante.
Sigyn si morse
le labbra,
offesa e incapace di riportare alla normalità il battito del
suo cuore
impazzito. “Qualcosa che mi ha offesa e disgustata. Non
commettere atti
sacrileghi prima di una missione, Loki di Asgard. Nemmeno voi
Æsir siete
superiori a tutto.” Era una maledizione. Necessaria, come
necessario era stato
il dover mentire su cosa aveva provato: il dispetto era mescolato al
piacere così
intensamente da lasciarla sgomenta e colpevole.
L’ingannatore
la sfidò con lo sguardo e rise con
insolenza, buttando il capo all’indietro. Non credeva nei
cattivi auspici e le
minacce di una ragazza che aveva risposto ai suoi baci e si era sciolta
tra le
sue braccia gli sembravano dolci promesse. Si allontanò,
lasciandola sola nelle
sue stanze; non si sarebbero rivisti più per molte
settimane.
Il mattino
successivo,
Frigga mandò un’ancella a recuperare lo scrigno
con i gioielli prestati. Sigyn sorrise
appena, quando, poco dopo, la stessa donna tornò da lei,
dicendole con una
punta d’imbarazzo che l’anello d’oro
dalla pietra rosata non apparteneva alla
sovrana. Nascondendo la momentanea confusione, la scintilla riprese il
monile imputando
l’errore alla stanchezza. Ricordò che a portarle
la parure della regina era stato
Loki in persona, che spartiva i vari bottini di guerra insieme agli
altri
generali, scegliendo per sé i pezzi che più lo
aggradavano. Lo aveva fatto
anche recentemente: tutta Asgard aveva parlato del grande tesoro
conquistato
dagli Æsir. Rammentò che il principe aveva
commentato distrattamente che l’anello,
quell’anello, le donava. Per un momento,
fu sul punto di dare voce al
sospetto che le stringeva la gola: che si trattasse di un dono fatto
con l’inganno,
affinché lei non avesse modo di rifiutarlo. Un subdolo
trucco per metterla in
difficoltà. Ma poi pensò che il dio degli inganni
era partito quella mattina, e
non avrebbe potuto affrontarlo direttamente. Di più,
raccontando quella che era
una supposizione, avrebbe solo dato vita a un pettegolezzo da cui non
era certa
di uscire indenne e pulita. E Sigyn, cresciuta sotto una rigida morale,
temeva le
maldicenze e non desiderava stare al gioco del furbo principe, ammesso
che l’anello
provenisse da lui. Ringraziò più volte
l’ancella, scegliendo di tenersi
momentaneamente dentro dubbi e sospetti. Nella solitudine della sua
stanza,
rigirò tra le mani l’anello, chiedendosi se fosse,
in qualche modo, stregato.
Non amava Loki
perché aveva
distrutto senza pietà ogni sua certezza, speranza,
aspettativa. Si era macchiato
della colpa d’averla baciata e stretta a sé,
portandola sull’orlo di un
precipizio in cui non poteva gettarsi. Era stato bugiardo e sincero,
schietto e
ambiguo, subdolo e cristallino. Forse le aveva regalato un anello, ma
più
probabilmente era riuscito a intrappolarla in qualcosa di
più grande di lei, di
loro. Sì, Sigyn odiava Loki – lo decise quella
notte, la prima che trascorse ad
Asgard dopo che lui se ne fu andato, e lo detestò ancora di
più quando seppe,
pochi giorni dopo, che la sua maledizione si era avverata. Qualcosa,
nella
missione pericolosa e importante che il dio dell’inganno
stava affrontando con
suo fratello, era andato storto. Le Norne, forse istigate dagli
Antenati
offesi, avevano deciso di punire il figlio cadetto di Odino. Quando
Balder, con
le lacrime agli occhi, le disse che Loki era stato ferito e catturato
da una
feroce tribù, Sigyn pensò che qualsiasi cosa
fosse quel peso che le bloccò il
respiro e le fece tremare le ginocchia, non era amore. Forse si
trattava di uno
struggente senso di colpa, oppure di paura, perché anche lei
era colpevole di
fronte agli Antenati, ma no, non poteva essere amore. Solo che.
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori
del mio cuore,
Incredibilmente, sono
riuscita a postare entro le due settimane. Mi scuso per eventuali
refusi o
sviste, ma o posto adesso o mai più. Visto che la situazione
sta precipitando nuovamente,
mi auguro che queste mie righe possano risollevarvi e rendere
più lieto il coprifuoco.
Il mio lo migliorano senz’altro.
Ora, tutti si aspettavano
che Sigyn si fosse portata dietro il bracciale riparato da Loki, ma
ecco qua
che, pouf! Compare un anello. Lo avevo accennato anche qualche capitolo
fa,
nella scena con Sif, quando Loki prende un pezzo del tesoro per
sé. Ora, la domanda
è: è quell’anello? Qual è lo
scopo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, che
spero arriverà presto. Non ho idea di cosa
aggiornerò nelle prossime settimane
(ma potrebbe essere anche la prossima settimana, veramente, boh).
Potrei
aggiornare qualche vecchia long e persino sperimentare con storie
nuove. O magari
esce il 42 di Accordo ♥. Questo per dirvi di continuare a
seguirmi su fb o su
instagram ^^.
Ringrazio chi ha listato,
recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che
leggo tutti i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su
Ombre e
fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama
il canone.
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi
autorizzo a
ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui
né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale
per gli headcanon su
Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi
non è
uno scherzo.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
Shilyss