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Autore: Nirvana_04    28/10/2020    4 recensioni
Reduci di una guerra non ancora finita, sopravvissuti di una generazione di ribaldi e avventurieri. Spiriti smarriti, anime rotte, corpi su cui la vita ha tatuato dolori e volti di fantasmi.
Una raccolta ricamata su solitudini e cicatrici.
1. Avanzi ~ Vorresti parlare, ma nel silenzio riconosci l’unica voce che ti è rimasta
2. Abbastanza ~ Lily è il veleno nei suoi respiri
3. Parlami nei sogni ~ Al ritmo di quei ricordi, tu danzi
4. Perdono, perdona ~ dieci macchie saltellano nell'aria
5. Resta sulla pelle ~ abbiamo rubato attimi di felicità al mondo
6. Rubare il silenzio ~ la paura… ha reso sordo il mondo
7. In fondo alla scatola ~ c’è la polvere che riveste ogni cosa
8. Inseguendo la tua assenza ~ Magari non mi ha riconosciuto
9. Mentre la neve cade ~ Non esiste più un posto dove nascondersi
10. Mi scorderò dei fiori d'angelo ~ «E tu dov’eri? Per chi combattevi?»
11. Infine, l'estate ~ Tu ricordi
12. In altrettanti modi ~ Brinderemo assieme, un giorno
13. Quell'abbraccio, alla fine del mondo ~ Va tutto bene, papà
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, James Potter, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Perdono, perdona

 



 
A Draco, il vento sulla faccia è sempre piaciuto. Una carezza, gli pare, di quelle che poi non lasciano alcun profumo addosso, solo una leggera impronta. D’autunno, quell’impronta ferisce…
«Santo cielo, di questo passo ci faranno accoppiare anche con gli elfi domestici.»…
…«Non esporti, Draco, fai soltanto quello che ti viene chiesto, andrà tutto bene, vieni.»…
…«Se non hai il coraggio di finirli, lasciali in cortile, ci penserò io.»…
…«Non lo so, giuro, non lo so! BASTA!»
…E non importa se gli procura dolore e se azzittisce ogni altro suono. Draco non vuole più ascoltare.
Per favore, vorrebbe urlare invece, perdono.
Trema, Draco, come quando da bambino, di notte, suo padre spegneva la luce e andava via – nel buio giocano i mostri. È una bufera la sua anima, rimorso che gorgoglia nella fredda luce dell’alba.
Sulla torre di astronomia, gli spettri tengono ben saldo il timone della barca squassata dalla tempesta – Draco ha sempre avuto paura degli spettri: aggrappato al parapetto, è costretto a guardare nell’abisso. Su un fondo di ossa disarticolate, teschi verdastri e mascelle coi denti snudati, c’è quel che resta della sua arroganza.
Ho tentato, davvero, ci ho provato, e non è più tanto certo di chi stia supplicando, se gli scheletri sotto di lui o le voci nella sua testa.
…«Tu non sei un assassino, Draco.»…
…«E tu, Draco? Farai da babysitter ai cuccioli?»…
…«Me ne sbatto di quello che pensi tu! Non prendo più ordini da te, Draco. Tu e il tuo papino siete finiti.»…
…«L’abbiamo trovata… l’abbiamo trovata… PER FAVORE!»
«Per favore!» supplica.
Ma non c’è nessuno.
A Draco, il vento sulla faccia è sempre piaciuto. Una carezza, gli pare, di quelle che asciugano le lacrime e incoraggiano ad aprire gli occhi. Guardare il sole sorgere fa paura, d’impulso si rifugia dietro una mano stretta a pugno. È una cosa sciocca, e dovrebbe vergognarsi. Non è più un bambino, ed è risaputo che i mostri non esistono – cinque sagome nere volano nell’aria.
Piano, un respiro alla volta, distende il palmo, spalanca gli occhi, accarezza il vento.
«Ho avuto paura» confessa arricciando le labbra, «ma ci ho provato» e rabbioso li spinge via, al di là del parapetto.
Cadono giù – i mostri dormono sotto terra – ai piedi di un orizzonte che tra le sue dita tese si frantuma.
 


 
A Hermione, le foglie tra i capelli hanno sempre divertito. Un solletico, sembrano, di quelli che sfidano a voltarsi, soltanto per scoprire che non c’è nessuno dietro, solo un tappeto di foglie. D’autunno, quel tappeto sanguina…
«Sporca Mezzosangue.»…
…«Tieni giù quel tuo testone, Granger.»…
…«Dimmi dove l’avete presa, parla! Crucio!»…
…«Sì… può darsi…»
…E non importa se riapre vecchie ferite e se scricchiola sotto i suoi piedi. Hermione non vuole più essere muta.
Sono sopravvissuta, vorrebbe gridare invece, non devo farmi perdonare per questo.
Batte i piedi, Hermione, come fa tutte le volte sull’uscio prima di entrare in casa – nel mondo la polvere sporca. Sono granelli finissimi le sue fragilità, rimpianti che si sciolgono, si stemperano, si fanno sera.
Lungo la banchina della stazione i ricordi si rincorrono spensierati nella luce obliqua del tramonto – Hermione ha imparato ad affrancarli, i ricordi: in bilico sull’ultima mattonella prima delle rotaie, annusa l’aria a occhi chiusi. In mezzo al profumo dell’erba, dei resti di carbone e a quello del cuoio, c’è l’odore del ferro, che lacera la pelle, scava la carne.
Ho lottato, continuo a farlo ogni giorno, eppure non riesco a sconfiggerli, e i pensieri sono una lacrima che la mente piange.
«Il Ministero della Magia ha avviato un’inchiesta sui cosiddetti “Nati Babbani”, per meglio comprendere come siano entrati in possesso di segreti magici.»…
…«Questa volta non sei stata all’altezza di te stessa, Hermione.»…
…«Ma sei diventata matta? Sei una strega sì o no?»…
…«Io… forse… sì.»
«Io sono una strega» afferma.
Ma non c’è nessuno.
A Hermione, le foglie tra i capelli hanno sempre divertito. Un solletico, sembrano, di quelli che scompigliano i pensieri e strappano una risata. Camminare in bilico tra il marciapiede e il solco delle rotaie fa paura, d’istinto allarga le braccia per non perdere l’equilibrio. È una cosa infantile, pericolosa. Non è mai stata imprudente lei, e lo sa che se cade la polvere le si attaccherà addosso – dieci macchie saltellano nell’aria.
Piano, un passo alla volta, ondeggia le braccia, dischiude le labbra, insegue il vento.
«Sono Nata Babbana» dichiara, ed è una verità dolce da esclamare in quel luogo, «ma appartengo a questo mondo pure io» e con un calcio sfrega la pietra, la gratta un po’ e qualcosa si solleva.
Sta lì – la polvere è d’oro quand’è colpita dai raggi – su binari vuoti che con lo sguardo percorre.



 

N.d.A.

Non so neanche perché lo sto a dire, visto che sono più che consapevole di non aver azzeccato manco mezza indicazione, comunque l'intento - fallito miseramente - era quello di scrivere seguendo questo prompt, regalatomi generosamente e forse con troppa fiducia da Mari Lace, durante l'attività Scrivimi del gruppo Caffè e Calderotti:
Prompt: Shiyoganai, "non c'è niente da fare", espressione del perdonare e perdonarsi. Spiega come sia concesso di sbagliare. Viene alla fine, quando quel che si poteva fare si è già fatto. (facoltativo; non devi necessariamente inserire la parola, basta il senso)
Personaggio: Luna Lovegood (!) (facoltativo)
Genere: Introspettivo (obbligatorio).
I personaggi si muovono nel post seconda guerra magica, e al contrario delle tre storie che la precedono, qui, qualsiasi distanza potevo inserire, l'ho inserita (ho usato il narratore in terza persona, i due momenti sono distiti e separati, anzi sono uno l'opposto dell'altro). Non ci sono interazioni, nessuno dei due sa che cosa l'altro sta facendo o pensando, eppure, in un modo diverso, entrambi ripensano allo stesso momento (tra i tanti che li tormentano, è l'unico che hanno in comune): la tortura di Hermione a Villa Malfoy per mano di Bellatrix Lestrange.
L'intento era quello di trasmettere attraverso Draco la ricerca del perdono: non solo per aver fallito nel suo perseguire gli ideali della famiglia, non solo per aver fallito il misero tentativo di proteggere Harry e i suoi amici, ma soprattutto perdono per le sue paure; attraverso Hermione, volevo trasmettere il bisogno di perdonarsi le incertezze e le fragilità, quel suo aver rincorso affannosamente l'approvazione del mondo magico.
Adesso non ricordo più tutte le cose che volevo dirvi, ce ne sarebbero un bel po', mi limito soltanto a dire che la frase "spegneva la luce e andava via" è tratto dalla canzone "Quella carezza della sera", da tutta una vita il mio personale tormento.
E basta, mi dileguo.
   
 
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