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Autore: Emmastory    01/11/2020    3 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
Capitolo XVII 
 
Ali spezzate 
 
Non riuscivo a crederci. Era appena successo, quella tragedia era davanti ai miei occhi, eppure non riuscivo a crederci. Mia sorella Sky, l’unica che si fosse davvero presa cura di me prima dell’arrivo di Eliza nelle nostre vite, ancora distesa su quel letto come una bambola ormai dimenticata, con gli occhi chiusi e il respiro lieve di chi lottava per restare in vita. “No, no! Dolce Dea, no!” pensai, restandole vicina e stringendole forte il polso, mentre il suo cuore batteva appena e nel silenzio non udivo che i suoi rantoli. Non parole, solo lamenti, tristi e purtroppo fallimentari tentativi di comunicare con me. “Sky, ti prego, risparmia le forze. Starai meglio, te lo prometto.” Le ripetei, restandole accanto e riprovando quell’incantesimo per l’ennesima volta. Una magia di base, nulla di troppo complicato, che per fortuna, o forse grazie all’intervento di qualcuno più in alto di me, funzionò ancora una volta. Forse il Dio in cui Chris ed io credevamo, forse la Dea a cui mi ero già rivolta, non lo sapevo con certezza, ma nonostante tutto fui grata, e alzando gli occhi a un cielo azzurro e così limpido da sembrare irreale, mormorai e dimostrai la mia gioia, che solo pochi istanti più tardi, si spense come una candela. “Kia...” udii a malapena, sconvolta. “Sì, Sky, sono qui. Andrà tutto bene, davvero. È il mio turno di prendermi cura di te, d’accordo?” risposi al suo indirizzo, sentendo gli occhi dolere e bruciare a causa di un pianto che avrei soltanto voluto liberare. Più veloci dei miei pensieri, alcune lacrime mi rigarono di nuovo il volto, e troppo triste per reagire, le lasciai scorrere. “Aiutami... ti... ti prego.” Tentò di nuovo Sky, ormai senza forze. Annuendo, mi rialzai da terra, e non perdendo altro tempo, riaprii la porta della stanza. Non uscii, ma rimanendo ferma e inerme, rivolta verso il corridoio di casa ancora deserto, mi decisi. Disperata, urlai con quanto fiato avessi in gola, e finalmente, dopo quelle che mi parvero ore, un suono diverso da quello della mia voce. Passi, passi umani e animali insieme, che in breve rivelarono la presenza di Christopher e Cosmo. Willow non si vedeva, ma non ci badai. Forse si era spaventata ed era corsa a nascondersi, ma qualunque fosse la verità su di lei, ci avrei pensato più tardi. Al momento avevo ben altro di cui preoccuparmi, e il motivo della mia preoccupazione era ancora lì. Sempre su quel letto, ora sdraiata in modo più dignitoso dato che l’avevo aiutata, ma sempre in quello stato di pietosa semicoscienza. Era viva, mi aveva parlato, sapevo che era viva, ma più il tempo passava, meno ne avevamo per agire. “Kia, santo cielo, che è successo?” non poté evitare di chiedermi Christopher, allarmato. “Non lo so! Ero venuta a parlarle e scusarmi per stamattina, è così che l’ho trovata!” replicai, non badando al tono che usai nel parlare, già nervosa e divorata dall’ansia. Alle mie parole, Chris non rispose, e pregandomi di farmi da parte con un gesto della mano, avanzò poco oltre la soglia della stanza. Lento, le prese la mano, controllando il segno con occhio attento e critico, e nella sua quiete, nessuna vera risposta. Ricordavo di averlo visto fare qualcosa di molto simile proprio con me, anni prima, quando ancora ci stavamo conoscendo e i miei allenamenti erano prove semplici e basilari. Nulla di difficile, al tempo, per una fata alle prime armi, e a giudicare dall’espressione che aveva dipinta in volto, un misto di serietà, rabbia e dolore, nulla, purtroppo, che potesse fare per aiutarla. Seppur paralizzata dal terrore, mi sforzai di avanzare a mia volta, e non appena fui abbastanza vicina da sfiorarlo, mi gettai fra le sue braccia. “Chris, starà bene? Per favore, dimmi che starà bene.” implorai, ancora una volta sul punto di piangere e con la voce che minacciava di spezzarsi con ogni parola. Colta alla sprovvista, liberai un colpo di tosse frutto di quel pianto, poi, aggrappata a una speranza, tornai a guardarlo. “Mi dispiace, Kia. Solo il tempo potrà dire se si sveglierà o meno.” Mi rispose, sincero e tristemente privo di altre parole d’incoraggiamento. Spaventata, sentii il cuore perdere un battito e un nodo attanagliarmi la gola, e andando alla ricerca di conforto, mi strinsi ancora a lui. Piansi fra le sue braccia, parlando con me stessa e tempestandogli nel mentre il petto di pugni. Non reagì, quindi forse non gli feci alcun male, o forse lasciava che mi sfogassi. Che poteva fare? Era il mio protettore, non il suo, e per quanto avesse voluto, non poteva intervenire direttamente. Lo conoscevo, era triste almeno tanto quanto me, glielo leggevo negli occhi, e tristissima, non riuscii a smettere di piangere, neanche quando, stanca delle mie stesse emozioni, mi sforzai e staccai da lui. “Kaleia, se può farti stare meglio...” balbettò poco dopo, distrutto dalla mia vista in quello stato. Con il volto contratto in una maschera di tristezza, non osai più incrociare il suo sguardo, e voltandomi, mi rifiutai di osservare anche la mia immagine riflessa nello specchio. Com’era successo? Come? Perché non avevo provato prima a riparare il nostro legame? Domande che mi ponevo rifugiandomi nei miei pensieri, e che con i pugni chiusi e stretti fin quasi a conficcarmi le unghie nei palmi delle mani e farmi male, ascoltai incessantemente, incolpandomi da sola. Mi sentivo una stupida. Prima non mi ero accorta della sua sofferenza, poi ero arrivata troppo tardi, e ora sembrava non esserci più nulla da fare. Distrutta, diedi ancora una volta sfogo a quel pianto ininterrotto, e nel silenzio, udii qualcosa. Provando pena per me, anche Cosmo si era avvicinato, e seduto al mio fianco, mugolava tristemente. “Non piangere, o lo farò anch’io.” Sembrava dire, guardandomi con i suoi profondi occhi azzurri come i miei. Rinfrancata, dal suo gesto, sorrisi appena, e respirando a fondo, gli regalai una carezza. “Sto bene, Cosmo, non preoccuparti.” Gli dissi, mentendo e sapendo di mentire. Non mi piaceva, ed era vero, ma allo stesso tempo non volevo tediarlo con quel problema, e quasi annuendo, infatti, l’Arylu mi lasciò da sola, muovendosi invece verso il letto di Sky. Sempre lì, sempre lei, sempre apparentemente priva di sensi. Pareva dormire, ma non era addormentata, e nonostante guardarla mi facesse male al cuore, non potevo lasciarla lì a soffrire. “Cosa, Chris?” Provai finalmente a chiedere, con un barlume di ragione nella mente traviata dalla sofferenza del momento. “Le ho trovato della polvere magica addosso, e non è sua. Hai tentato di aiutarla?” spiegò, per poi guardarmi e azzardare quella domanda. Legittima, data la sua assenza sulla scena fino a pochi momenti prima, ma che data la situazione, mi diede sui nervi. “Cosa? Certo che ho provato ad aiutarla, è mia sorella, che domande fai?” sbottai, inviperita. “Domande da protettore serio, Kia. Esattamente ciò che mi è stato insegnato ad essere.” Veloce e decisa, una risposta che non mi aspettai, e davanti alla quale, abbassai la testa, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. “Scusami, Chris, non volevo.” Biascicai, sinceramente dispiaciuta. Che stava succedendo? Perché litigavamo? In genere non succedeva se non in rari casi e per questioni molto più frivole, ma perché ora sembrava che volessimo attaccarci e ucciderci a vicenda? Non lo sapevo, ma volevo capire. Era per caso colpa delle voci? Mi stavano forse controllando? La loro influenza era davvero così potente su di me? Scuotendo la testa, sperai come sempre di scacciarle ancora, e in quell’istante, rieccone una. “Non durerà, debole fata. Il tuo duro lavoro non porterà a nulla, sai? Arrenditi, prima che sia tardi.” Parole, sussurri che ascoltai senza capire, che nella mia testa esplosero all’istante, fredde e inquietanti come gli spiriti da cui provenivano. Frastornata, mi presi la testa fra le mani, e barcollando leggermente, rischiai di cadere. Per mia fortuna, Chris fu lì per sostenermi, e non cercando che la sua protezione, mi crogiolai nel suo abbraccio. In breve, il calore di quel contatto mi aiutò a dimenticare il freddo, e seppur confusa come non mai, scelsi di ritornare al presente, affrontando la realtà e ciò che ora avevamo davanti. Mia sorella e il suo corpo esanime, ma per pura sfortuna, nessuna idea sul da farsi. “Christopher, che sta succedendo? Non può restare lì in eterno. È svenuta, forse ferita, o peggio...” ebbi appena la forza e il coraggio di dire, per poi scivolare nel silenzio in attesa di una sua risposta. Al momento non importava quale, mi interessava solo ottenerla, avere assieme ad essa la soluzione anche temporanea a quest’enigma, così da provare a risolverlo e dormire finalmente sonni più tranquilli. Attorno a noi il tempo sembrava essersi fermato, ma la fioca luce che filtrava nella stanza tanto oscura mi permise di capire che era ancora mattina, e aprendo la finestra, scoprii che c’era il sole. Caldo, splendente, quasi gioioso, sembrava prendersi gioco di noi. Irritata, spostai la tenda, e posando di nuovo gli occhi su mia sorella, cercai e strinsi la mano di Christopher. Lasciandomi fare, lui tornò a guardarmi, poi annuì con decisione. “Esci e chiama Xavros, Kia. Se tutto va bene, dovremmo essere in tempo.” Mi disse, facendo suonare quella frase come l’ordine di un potente monarca. In quel momento, avevo mille domande, ma limitandomi ad annuire, decisi di star zitta e fare ciò che mi era stato chiesto. Veloce, corsi fuori, e giunta fra l’erba, inspirai a fondo per calmarmi. L’incanto che avevo in mente era diventato facile solo grazie al tempo e alla pratica, e ormai pronta e concentrata, strinsi forte il mio ciondolo in un pugno chiuso. Quasi avesse vita propria, il gioiello prese subito a brillare di una luce verde e intensa, e solo pochi istanti più tardi, quando riaprii gli occhi tenuti chiusi fino a quel momento, eccolo. Xavros. Il maestoso unicorno che ormai non vedevo da tanto, troppo tempo, con il manto bianco e un fiore come simbolo appena sotto la pelle, a simboleggiare il suo legame con la natura. Alla sua vista, sorrisi, e approfittando della porta ancora aperta, richiamai a me anche Christopher, sperando vivamente che riuscisse a sentirmi. Incerta sul da farsi, pregai il cavallo di aspettare con un cenno della mano, e tornando in casa, lo rividi. Ancora fermo e inerme in quella stanza, intento a vegliare sul corpo di Sky. Deciso ma delicato al tempo stesso, s’impegnò per sollevarla, e volendo soltanto aiutare, feci di nuovo ricorso alla magia. Anche in quel caso, una già usata, figlia di un giorno in cui, sfidando la strega Zaria e il suo volere, avevo deciso di aiutare sua figlia Marisa, adagiandola dolcemente su un giaciglio più comodo del pavimento di casa sua. Colpita, la donna mi aveva ringraziata, e quasi ignorando la sua gratitudine, mi ero limitata a spiegarle che agivo per il bene della mia amica. Era stato allora che avevo pensato che forse, nel profondo del suo cuore, quella donna non fosse poi così malvagia, salvo poi cambiare ancora idea nel vederla perdere completamente il senno alla sola menzione della mia attesa e dei miei futuri figli. Se ben ricordavo, non avevo sue notizie da allora, e ad essere sincera, andava più che bene. Il mio obiettivo principale ora era il benessere di Sky, e me ne sarei assicurata personalmente, non lasciando, assieme a Christopher, nulla d’intentato. Di lì a poco, la decisione fu unanime. Sky aveva bisogno d’aiuto, e in fretta, e se appellarmi alle magie di una strega era fuori discussione, occorreva tentare con le ninfe. Grazie al cielo la loro grotta non era lontana, e il viaggio a cavallo avrebbe reso tutto molto più veloce, ma fu allora che li ricordai. Darius e Delia, i miei bambini. Con chi lasciarli in quella situazione così delicata? Erano ancora piccoli, sempre più vicini alla loro prima trasformazione, e fortunatamente già abituati al mondo oltre le loro lanterne. Sapevo che portarli fuori quando Christopher ed uscivamo era una buona idea, poiché per i figli di noi fate funzionava proprio così. La loro essenza doveva prima abituarsi al mondo esterno, poi al corpo che l’avrebbe contenuta, e che io non riuscivo a smettere d’immaginare. Passavo ore a fantasticare su di loro, su come sarebbero cresciuti, sugli elementi che avrebbero avuto, ma soprattutto, chi dei due sarebbe somigliato a chi. A quel solo pensiero, sorrisi a me stessa, e giunta in camera da letto, mi mossi piano per non svegliarli. A quanto sembrava avevano il sonno pesante, e data la situazione, non era che un bene. Sky era mia sorella, loro prima babysitter, e forse dormendo, persi nei loro sogni, non avrebbero visto né si sarebbero accorti dello stato in cui versava. “Bene, buona idea. Non potevamo lasciarli qui.” Commentò Christopher, vedendomi tornare nella camera degli ospiti, o meglio, di Sky. Reggendo le due lanterne, annuì appena, e stringendogli la mano, iniziai a camminare con lui. In breve, ci ritrovammo davanti alla porta di casa già aperta, e in un’istante, un’altra decisione fu maturata e presa. “Tu spicca il volo, io prenderò il cavallo. E pensa ai bambini.” Si limitò a dirmi Christopher, serio come mai l’avevo visto. Agendo d’istinto, spiegai e battei le ali, e pochi istanti più tardi, mi ritrovai intenta a solcare i cieli. Come al solito, non toccavo altezze inimmaginabili, ovvio, ma dal mio nuovo punto di vista, Christopher, Xavros e Cosmo mi apparivano quasi minuscoli, ma nonostante questo, ben distinti. Concentrata sul mio volo, avevo rinchiuso i miei piccoli in due magiche bolle protettive simili a sapone, così che se fosse successo qualcosa, o mi fossi distratta, non si sarebbero fatti alcun male. Abbassando lo sguardo, seguii lo stesso percorso del mio amato, dell’unicorno e del nostro Arylu, e dopo poco, all’arrivo a Eltaria del pomeriggio, finalmente, eccoci. Davanti a noi solo la grotta delle ninfe, e al suo interno, le uniche creature magiche che avrebbero potuto offrirci la benché minima possibilità di salvezza. Giunta a destinazione, scesi in picchiata, e lentamente, rallentai, finché un soffio d’aria non ingentilì il mio atterraggio. Di nuovo vicina a Christopher, cercai la sua mano, e con Cosmo e Xavros al seguito, entrammo. Placido e tranquillo, l’unicorno trasportava Sky come un carico prezioso, e orgogliosa di lui, gli regalai un sorriso. “Grazie dell’aiuto, bello.” Gli sussurrai, contenta. Per tutta risposta, lui batté uno zoccolo per terra, poi scivolò nel silenzio. Il suo personale modo di rispondermi senza nitrire, davanti al quale, già grata, non mossi foglia. “È permesso?” tentai poco dopo, ritrovandomi improvvisamente inghiottita dal buio. Come unica risposta, soltanto una battuta di silenzio, interrotto però dal ruggito di una bestia. Colta alla sprovvista, indietreggiai all’istante bloccandomi sul posto, per poi calmarmi quando l’intera grotta s’illuminò della luce prodotta da un breve respiro di fuoco. Voltandomi, scoprii che ad emetterlo era stata Blaze, la madre drago conosciuta solo poco tempo prima durante quello che per Lunie era come stato un rito di passaggio, e che accortasi della mia presenza, aveva deciso a suo modo di accogliermi. Rinfrancata, riuscii a calmarmi, e dopo altri istanti di quiete, riprovai. “Aster? Amelie? Dove siete?” chiesi soltanto, la mia voce un'eco contro le pareti di roccia. “Siamo qui, Kaleia. Tutte pronte a darti udienza.” Rispose una voce, che ben presto ricordai appartenere alla seconda. “Come sapete del nostro arrivo?” azzardò poco dopo Christopher, confuso. “Noi ninfe siamo le prime ad avvertire gli squilibri di questo mondo naturale, protettore caro.” Replicò la ninfa, tranquilla ma sicura di sé stessa. “Capisco, Amelie, speriamo solo che riusciate ad aiutarci. Non è per me, ma per mia sorella.” Spiegai, riprendendo la parola. Da allora in poi, fu questione di soli istanti, e uscendo dall'ombra in cui si nascondeva, la cara ninfa si presentò a noi. Guardandola, notai che Aster la seguiva in silenzio, e che come Amelie stessa, anche lei non era cambiata di una virgola, e anzi, era sempre la solita. Pelle color dell'erba, capelli castani intrecciati di fiori. Sorridendole, la salutai brevemente con la mano, e notando i miei due piccoli, lei sembrò illuminarsi. Felicissima, aprì e chiuse qualche volta le mani, come a farmi capire in qualche modo che avrebbe voluto stringerli e abbracciarli. Capendo al volo, annuii, ma al mio fianco, Christopher smorzò, seppur nolente, il suo entusiasmo. Non era il momento di pensare a quei neonati, adesso. Almeno per ora, una Sky ancora incosciente aveva la massima importanza. Preoccupata, ricontrollai il suo battito, sospirando nello scoprire che era meno debole di prima. “Bene.” Pensai. “La mia magia l’ha aiutata.” Silenziosa, mi limitai a parlare con me stessa, distratta poi dalla voce di Amelie e dal suo eco in tutta la caverna. “Diteci, ragazzi. Cosa le è successo?” chiese, colpita e forse intristita da quel suo così pietoso stato. Annuendo lentamente, provai a parlare, ma all’improvviso sentii di avere la lingua impastata, e in quell’istante, un altro breve e lieve rantolo. Preoccupata quanto e forse più di me, Aster le si avvicinò per controllarla sotto muto consiglio della cugina, e solo allora, la risposta che tanto aspettavo e speravo di ottenere. “Buone notizie, è ancora viva, e avete fatto bene a portarla qui così velocemente.” A quelle parole, quasi piansi di gioia, e abbracciando Christopher, mi godetti qualche prezioso istante del suo calore. “Chris, amore, ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati in tempo!” gli sussurrai sulle labbra, come preludio di un bacio che aspettai solo di ricevere. Sorridendo, lui fu ben felice di accontentarmi, e in quell’istante ci stringemmo l’uno all’altra, sollevati e finalmente più tranquilli. “Vi ringraziamo sin d’ora, ma c’è qualcosa che possiate fare per lei?” azzardò il mio amato, staccandosi da me e tornando di colpo a farsi serio. “Certo, Christopher. I suoi sono sintomi comuni a una perdita di fiducia. Quando accade, una fata non riesce ad andare avanti, il suo corpo non regge, e lo svenimento è spesso la sua unica reazione. Voi fate siete creature sorprendenti, Kia, ma la vostra parte umana è resistente. Anche per questo è ancora con noi, sai?” quella la spiegazione di Amelie, complicata ma facile da seguire, a seguito della quale, annuii. “Successe anche a me, e ricordo bene che fui aiutata da mia madre, l’unica donna oltre a mia sorella e a Chris a credere in me. Al tempo ci eravamo allontanati, e mi sono sentita persa proprio come dici, fino al suo arrivo.” Raccontai, memore di quella che in circostanze diverse avrebbe potuto essere, di sicuro lenta e straziante, la mia dipartita. Al solo pensiero, un brivido mi scosse, e agendo d’istinto ma con calma, già decisa sul da farsi, Amelie mosse appena una mano, e levitando, l’esanime corpo di mia sorella si mosse nell’aria. Attonita, rimasi a guardare senza riuscire a proferire parola, sospirando di sollievo quando vidi la ninfa adagiarla delicatamente su un letto di foglie, e poi chiudendo il pugno, in una protettiva bolla di magia simile a quella che ero riuscita a creare poco prima. Confuso e curioso, Cosmo si avvicinò per indagare, ma non appena il suo naso sfiorò la bolla, un moto d’aria lo scagliò indietro. Pronto, reagì abbastanza in fretta da non farsi alcun male, e scivolando sulla roccia, quasi perse l’equilibrio. “Cosmo!” chiamai, sorpresa. “Non preoccuparti, Kia. Ora è sotto nostra custodia, e la bolla la sta proteggendo, andrà tutto bene.” In quel preciso istante, la voce di Aster mi riportò alla realtà, e sospirando ancora, cercai e incontrai lo sguardo di sua cugina. “Sì, ma adesso? Si riprenderà?” non potei evitare di chiedere, con il pensiero sempre fisso sulla povera Sky. “Kaleia, questo non possiamo dirtelo, o almeno non ora, ma sappi che solo un vero atto di fiducia guarirà il suo essere e le sue ali spezzate.” Un discorso che ascoltai senza interrompere, che con l’arrivo della sera mi fece piangere, ma che, confortata dalla presenza di Cosmo, Christopher e dei bambini, riuscii a mandar giù come un boccone aspro e amaro, sicura che mia sorella, la forte e fragile dama dei venti, ce l’avrebbe fatta, rialzandosi da quel letto di foglie con le proprie forze, e assieme a quelle, altre nuove energie.  
 
 
Buonasera a tutti, cari lettori! Appena dopo Halloween, dopo varie mancanze di tempo e ispirazione, nonchè una lite con il wifi, stasera, a voi questo diciassettesimo capitolo, tanto lungo quanto emotivo. Spero che vi sia piaciuto, e che riusciate a mantenere viva la speranza mentre il destino di Sky sembra appeso a un filo. Grazie di tutto il vostro supporto, e al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)
   
 
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