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Autore: VigilanzaCostante    02/11/2020    3 recensioni
Qualche anno fa ho letto Mr Gwyn di Alessandro Baricco, e mi sono chiesta: come deve essere dipingere delle persone con le parole? E da lì ho iniziato a comporre dei ritratti di alcune persone della mia vita. Le ho guardate, osservate, poi ho iniziato a intingere il pennello nel colore e accanirmi sulla tela.
Questi ritratti sono diventati dei regali, per compleanni, partenze, ricorrenze. Ho eliminato i doni materiali e ho detto così alle persone che le vedevo, che le capivo, che c’ero.
Decido di pubblicarle, mettendole in mano a un pubblico che non conosce nessuno di loro, per vedere se i ritratti che ho scritto suscitano qualcosa anche a uno spettatore casuale. Ecco qui un piccolo museo di persone, potete guardarle, conoscerle, affezionarvi, criticarle. Vediamo se in qualche modo, con questi colori, riesco a raggiungere anche voi.
[I ritratti non sono legati tra loro, si possono leggere nell’ordine che preferite!]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Valeria


La sera davanti allo specchio si guardava e non si vedeva, le labbra colorate di un rosso acceso, gli occhi che cambiavano tonalità davanti alla luce bluastra delle lampadine. Erano lenti e meccanici i movimenti che seguivano, tirava fuori le salviette e flebilmente le passava su tutta la faccia. Portavano via quello strato di colore che non le apparteneva, quel catrame che sembrava farla più bella, darle un tono diverso. In realtà lo sapeva che le sue labbra carnose non avevano bisogno del rossetto per essere guardate, che la tristezza dei suoi occhi non sarebbe scomparsa con un po' di mascara.
Valeria era una persona autoconsapevole. Sapeva benissimo che effetto faceva sulle persone e quale parola le avrebbe stregate. Era consapevole di saper modellare, stringere, cambiare. Entrava dentro alle persone con una maestria che pareva involontaria, se lo fosse o meno non lo scopriremo mai.
A quel punto spegneva la luce del bagno, si spostava nella sua camera e scivolava nel letto per concedersi quella mezz'oretta di pace.
Era raro che riuscisse a mettersi in pausa, tutto correva e tutto scappava, le macchine la superavano veloci la mattina e lei non si lasciava intimidire dalla frenesia del mondo. Si adattava in modo abile allo scorrere delle cose, senza lasciarsi spaventare. Ma una volta a letto dopo un'intera giornata di finti convenevoli, ritrovava in sè stessa il proprio interlocutore.
Si chiedeva quando sarebbe scoppiata, quando sarebbe arrivata al suo culmine, all'apice del suo dolore. Quando si sarebbe stufata di tutte le mani che l'accarezzavano e cercavano di attirarla a sè, quando la pesantezza dei loro animi l'avrebbe fatta rovinosamente cadere a terra. Non si dava delle risposte eppure con quegli interrogativi si addormentava. Sonni profondi e senza incubi, riuscivano a farle dimenticare chi era e cosa la preoccupava.
Valeria un tempo sapeva parlare, stregare, incantare. Se è ancora in grado di farlo non credo di saperlo, piano piano si è allontanata dalla vita e da tutti gli amici che credeva di avere.
È stato un addio di quelli silenziosi, un allontanarsi passo dopo passo, traballando sulle punte.
A volte l'ho vista, era indaffarata nel suo lavoro, eppure si è fermata un attimo per parlarmi. Gli occhi azzurri erano dipinti di una malinconia nuova, era difficile guardarla fisso. Le mani parevano rovinate, tremavano mentre mi sorrideva in modo dolce.
Un tempo Valeria era un'affilatrice di coltelli, i suoi sorrisi sapevano comunicarti la sensazione giusta, il tono della sua voce era accompagnato dal solito pizzico d‘ironia. Ora Valeria ha deposto le armi, nascosto i suoi assi nella manica. Sembra fragile come un castello di carta in una giornata ventosa, la finestra aperta che fa entrare il gelo dell'inverno.
L'avrei voluta tanto abbracciare, dirle che non l'ho dimenticata e che solo perchè ha tentato di sparire non significa che abbia cessato di esistere.
Si sentiva sola, Valeria e questa era la prova che l'amore non aggiusta tutto, non ti cura. Nonostante faccia vibrare il cuore e ti mantenga viva.
Di cosa aveva bisogno? Forse di partire e ricominciare da zero, prendere il primo volo low cost con un giornaletto di gossip appoggiato sulle gambe. Forse un nuovo nome, una nuova identità. Forse avrebbe buttato quelle felpe larghe e sfatte per indossare dei sentimenti migliori, meno malati, meno stanchi, meno contornati da occhiaie scure e labbra martoriate.
Forse avrebbe messo piede in una città che la valorizzasse, che la facesse sentire una tra tanti, sconosciuta, anonima. Forse aveva proprio bisogno di sentirsi ordinaria, dannarsi per l'università da scegliere, ridere davanti a uno dei tanti programmi tv,  mangiare patatine scadenti davanti a uno spritz bianco fatto male.
Invece sentiva lo spessore della sua anima tra le dita, consapevole, troppo consapevole del suo essere. Essere triste, essere malinconica, essere vera e allo stesso tempo finta ai loro sporchi occhi. E la delusione che le lasciavano le persone diventava insopportabile, la schifava, la faceva arrabbiare.
Quando ci mettevano a capire quello che lei si aspettava? Perchè non si accorgevano, non capivano, criticavano la sua solitudine?
Allora rimetteva quel rossetto rosso, l'ombretto sugli occhi, smetteva di stare dietro alla frenesia del mondo e si lasciava alle spalle tutto il resto.
Che corrano gli altri, che se ne vadano, lei rimaneva ferma, mano nella mano con il suo grande amore: sé stessa.
Valeria era un'affilatrice di coltelli, ora è solo un po' più stanca, un po' più spenta, forse carica di dolore e nessuno a cui poterlo manifestare.
Valeria, dolce Valeria, matta Valeria, grande Valeria.
Ti sei murata in un castello di cristallo, ora puoi uscire, non avere paura. Sei pronta ad affrontare il mondo, non è cambiato da quando te ne sei andata, ma se vuoi puoi provare a cambiarlo tu.
 
   
 
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