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Autore: FalbaLove    03/11/2020    0 recensioni
Piccoli momenti della vita di Victoire Weasley e Teddy Lupin, per osservare (e spiare) il loro amore nascere e sbocciare accompagnato, ovviamente, da varie sfumature di capelli.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Arcobaleno
Due occhi azzurri come il cielo più limpido si soffermarono a guardare, compiaciuti e soddisfatti, il piccolo tavolino completamente imbandito di tazzine e piattini, ovviamente tutti in miniatura. A contorno di quella tavola imbandita vi erano i commensali: pupazzi dalle mille dimensioni, forme e colori erano ordinatamente disposti a semi cerchio. Dall’altra parte, come solo una perfetta padrona di casa sapeva fare, vi era una bambina dai lunghi capelli dorati ora legati in una perfetta treccia.
Victoire strofinò con soddisfazione le manine osservando come tutto fosse perfettamente al suo posto e si compiacque per il lavoro svolto. Poi, senza lasciare che un solo angolo della sua bocca rosea si abbassasse, si sistemò il vestitino lillà che tanto le piaceva indossare. Dietro di lei intanto forti risate e rumori di stoviglie sembravano non turbare affatto l’umore zuccherino e frizzante della bionda: Victoire osservò accigliata per alcuni secondi la tavola perfettamente imbandita da maman e il servizio (buono) di porcellana tirato fuori per quel pranzo in famiglia. Attentamente fissò le rose sapientemente dipinte sulla tazzina di caffè che zia Ginny aveva appena portato alla bocca: poi, quasi con smacco, osservò la plasticità delle sue e sospiro. Certo, non era proprio bello come quello di maman, ma tutti i suoi invitati sembravano sorridere gioiosi e forse, per quella volta, poteva farsi andare bene un servizio così pas cher: dopotutto aveva solo otto anni, aveva ancora tutto il tempo per procurarsi un servizio buono solo per le occasioni speciali.
-Un po’ di tè, Bon bon?- mormorò con voce affabile osservando il volto paffuto e buffo dell’ippopotamo rosa. Senza aspettare una risposta che mai sarebbe arrivata, versò con la sua teiera del liquido giallastro all’interno della tazzina. Poi, con sguardo soddisfatto, si risiedette sulla piccola seggiolina stando ben attenta a non spiegazzare la gonna del vestito e imitando le gestualità di maman.
-Harry, gradisci per caso ancora quelques biscuits? – mormorò Fleur porgendo elegantemente il vassoio di argento pieno zeppo di dolciumi di tutti i tipi. Victoire osservò ammirata quel suo gesto e poi, senza far sciupare il suo sorriso più gentile, si affrettò ad afferrare un piccolo vassoietto su cui erano stati adagiati, ovviamente ordinatamente, biscotti finti di tutti i tipi.
-Biscuits?- disse allegramente cercando di storpiare il suo tono di voce in modo tale che risultasse il più simile possibile a quello di maman. La scimmietta dalla gonna variopinta giustamente non rispose, ma questo non sembrò stroncare minimamente l’entusiasmo della piccola Weasley che adagiò alcuni dolciumi nel piccolo piattino.
-Spero ti piacciono, li ho fatti io ce matin- continuò tenendo l’orecchio ben teso in direzione del grande tavolo della sala da pranzo da dove provenivano quattro voci ben distinte. I suoi genitori, sorridenti e allegri, sedevano da una parte del tavolo parlando animatamente: dall’altro due sedie erano occupate dalla zia Ginny e dallo zio Harry. Victoire osservò con la coda dell’occhio il viso radioso della sua zia preferita per poi scendere sul bellissimo vestito color panna che indossava. Si morse il labbro pensando che sicuramente la zia non aveva niente da invidiare a maman e per un attimo si domandò se mai sarebbe diventata bella anche lei come loro due. Ancora assorta da quei pensieri rivolse un sorriso finto a Menthe, il pupazzo a forma di lucertola e dal capello a cilindro. Improvvisamente però la piccola Weasley percepì una presenza umana dietro di lei.
-Voglio Sucrée- tuonò una voce infantile e lagnosa: Victoire, sorpresa, si girò ad osservare la sua interlocutrice. Una bimba dalla lunga coda rossastra e dalle lentiggini evidenti la fissava con aria imbronciata: le braccia conserte e il nasino alla francese corrugato erano accompagnati da due occhi dal colore così simile al suo, ma decisamente più lucidi.
-No, Dominique. Ci sto giocando io ora- rispose con tono fermo e deciso la bionda ritornando poi ad asservare, con tono affabile, i suoi commensali.
-Ma io lo voglio, ora- continuò con voce sempre più rotta dal pianto la sorella. Victoire sospirò infastidita, ma continuò a non darle retta. Passarono alcuni secondi nel più completo silenzio fino a quando delle urla non attirarono l’attenzione di tutti quanti.
-Voglio Sucrée, dammi Sucrée!- gridò disperata la più piccola Weasley-Delacour cadendo sulle ginocchia e nascondendo il volto lentigginoso tra le mani così che solo la sua capigliatura lisci e rossa ondeggiasse a ritmo dei suoi sospiri.
-Dominique, ma p’tite, che cosa succede?- disse preoccupata sua madre alzandosi dal tavolo e dirigendosi verso la sua secondogenita che non accennava a smettere di piangere.
-È tutta colpa di Victoire, maman. Lei ha così tanti pupazzi con cui giocare e non vuole darmi Sucrée- esclamò a pieni polmoni la piccola peste mentre calde lacrime continuavano a scivolare veloci sul suo nasino alla francese.
-Oh, ma non c’è bisogno di farne una tragédie- sospirò Fleur che, ogni qual volta si preoccupava, perdeva il marcato accento francese che la caratterizzava.
-Ma io la voglio, maman. Io lo voglio!- urlò ancora più forte Dominique buttando le braccia al collo della madre. Gli occhi azzurri e severi delle Delacour si posarono sulla figura di Victoire.
-Victoire, saresti così gentile da prestare Sucrée a tua sorella?- domandò con un tono che la più grande sapeva benissimo non lasciasse repliche. Victoire arricciò il nasino corrucciando la fronte: i suoi occhi fissarono per alcuni secondi la figura in pieno pianto isterico di sua sorella e poi si soffermarono a fissare il commensale più vicino a lei. La capigliatura color arcobaleno di Sucrée, l’unicorno, brillò nelle sue iridi.
-Ma maman, è mio- brontolò cercando di ricacciare indietro le lacrime. Dopotutto aveva oramai otto anni e non era certo consono per una bambina come lei lasciarsi andare al pianto. Sua sorella però, appena cinquenne, non sembrava esserne d’accordo e aumentò ancora di più i sospiri contorcendosi sul petto della loro madre.
-Lo so, mon chèri, ma so anche che sei oramai una bambina grande e che lascerai volentieri Sucrée a tua sorella- ribatté la Delacour piegando le labbra sottili in un sorriso tirato. Victoire sospirò pesantemente mentre oramai gli occhi iniziavano a pizzicarle sempre di più: senza emettere alcun suono afferrò l’unicorno per la criniera e si diresse, silenziosa, in direzione di sua sorella che intanto non accennava a calmarsi. Si fermò a pochi passi da lei e diede una veloce occhiata in direzione della tavola imbandita. Suo padre le sorrise dolcemente annuendo impercettibilmente e a Victoire venne spontaneo bussare sulla spalla di Dominique.
-Tieni- mormorò a denti stretti mentre il viso pieno di moccio e lacrime di sua sorella finalmente lasciò il petto della madre. In un secondo l’espressione contratta dal dolore sparì dal volto della più piccola e al suo posto comparve un ghigno soddisfatto. Senza dire nulla strappò il pupazzo dalla sorella per poi correre fuori in giardino.
-Bravissima, mon amour, hai fatto un ottimo gesto- la ringraziò sua madre accarezzando dolcemente la sua guancia rosea prima di ritornare al tavolo degli adulti. Victoire rimase immobile mentre il chiacchiericcio a tavola ricominciò a riecheggiare per tutta la sala da pranzo: poi, facendo sempre più fatica a trattenere le lacrime, si rigirò verso la sua tavola imbandita. Ora che mancava un commensale, notò, trovava estremamente pacchiano il suo allestimento e in più era certa che i suoi ospiti non sorridessero più come prima. Strisciando i piedi ritornò verso la sua seggiola: se solo James non fosse rimasto a casa con i nonni a causa della febbre, che poi aveva attaccato ad Albus, ora lei non si ritroverebbe con una tavola così poco armonica e asimmetrica.
Ad un certo punto un forte urlo catturò nuovamente la sua attenzione.
-Oh, deve essersi svegliata- esclamò sua zia allontanando dalle ginocchia il tovagliolo e apprestandosi ad alzarsi. Suo marito, però, la precedette.
-Tranquilla Ginny, ci penso io- disse rivolgendole un dolce sorriso. Victoire osservò con occhi dolci e sognanti la galanteria e dolcezza con cui suo zio rivolgeva sempre alla moglie. Sospirò portando le mani sotto al mento e domandosi se anche lei avrebbe trovato mai un Principe Azzurro come era successo a sua mamma e la zia Ginny. La piccola Weasley-Delacour ne era sicura: lei non si sarebbe mai accontentata di un principe qualsiasi. Victoire voleva proprio il Principe Azzurro, con il cavallo e tutto annesso.
-Guardate chi si è svegliato- sussurrò teneramente il figlio di James Potter sollevando delicatamente dalla culla un piccolo fagottino di coperte: due manine rosse si sollevarono in pugnetti sventolandosi verso l’alto.
-Oh, c’est bellissima- esclamò sua madre fissando in estati la terza genita dei Potter. Victoire si alzò in punta di piedi per vedere meglio i pochi capelli rossi e spettinati del suo ennesimo cuginetto.
-Ha i tuoi stessi occhi, Ginny- aggiunse suo padre avvolgendo con un braccio sua moglie e regalandole un tenero bacio sulla guancia. La bionda Weasley scrutò sognante lo sguardo pieno di amore che i suoi due genitori si stavano scambiando sperando, sotto sotto, che la vista di Lily Luna non facesse venir loro la voglia di avere un terzo figlio. Al solo pensiero di avere una seconda sorella come Dominique, Victoire non riuscì a non trattenere un broncio bambinesco che mal si addiceva al tono adulto che inutilmente sfoggiava. Fissò per un’ultima volta i quattro adulti troppo presi dall’infante e decisa si diresse in direzione del cortile: i suoi piedini si susseguirono con passo stizzito mentre alcuni ciuffi biondi come il grano sfuggirono dalla sua treccia. Arricciò il naso fermandosi sulla soglia: sua sorella Dominique aveva già abbandonato Sucrée sull’erba e ora si divertiva a inseguire, senza successo, alcune farfalle. Sbuffando e barbottando si diresse in direzione del pupazzo ignorando completamente una terza figura, decisamente più grande di entrambe, appollaiata su un ramo del grosso salice piangente.
-No!- esclamò una voce stridula non appena la mano di Victoire si chiuse sulla chioma color arcobaleno dell’unicorno.
-Lascialo!- urlò con ancora più forza Dominique correndo a per di fiato verso di lei. La bionda scosse la testa quasi infastidita dalla presenza della rossa.
-Non ci stavi giocando e quindi me lo riprendo- disse con fare adulto, ma la mano paffuta di sua sorella si aggrappò con tutta le forze alla coda del pupazzo.
-Non è vero, ci stavo giocando!- pianse strattonandolo verso di sé, ma questa volta Victoire non avrebbe mollato così facilmente.
-Bugiarda, l’avevi abbandonato a terra e quindi ora me lo riprendo- sentenziò fulminando con lo sguardo quei occhi così simili ai suoi. Dominique batté a terra i piedi stizzita sgualcendo tutto il vestitino verde smeraldo che tanto metteva in risalto i suoi capelli rossastri.
-Ridammelo, ci stavo giocando- sbraitò a pieni polmoni facendo sgorgare quasi automatici dei grossi lacrimoni. Victoire però non badò a questi capricci e continuò a strattonare verso di sé il pupazzo tanto agognato. Poi, con un ultimo strattone, tirò con tutte le sue forze Sucrée verso di sé facendo perdere la presa alla bambina dai lunghi capelli che cadde sonoramente a terra. Intontita dalla caduta improvvisa una grossa smorfia di sofferenza si dipinse tra le lentiggini:
-Mamma!- gridò a pieni polmoni la sorella minore sbattendo infuriata i pugni sulla verde erba.
-Ce n’est pas possibile, cosa succede ora?- esclamò esasperata Fleur mentre i rumori dei suoi tacchi risuonarono sempre più vicini. Victoire si sforzò di far sparire il broncio dal suo visino e si limitò a scostare i biondi capelli dalla fronte.
-Oh mon amour, che è successo?- sibilò Fleur accorrendo in direzione della figlia che non la smetteva di urlare e di scalciare sul manto erboso.
-È stata Victoire, mi ha spinto per riprendersi Sucrée- si lagnò indicando con il dito la sorella maggiore. Lo sguardo severo e spazientito della Delacour fissò Victoire accogliendo tra le braccia la bambina urlante.
-Victoire!- esclamò arrabbiata Fleur serrando le labbra sottili: la piccola bambina bionda deglutì a fatica sentendo la paura aumentare di fronte al suo nome pronunciato in quel modo da sua madre. Però continuò a mantenere la presa ben salda su Sucrée.
-Non è vero, è caduta da sola!- provò a dire, ma la voce le tremò. Fleur intanto aveva preso in braccio Dominique e stava esaminando attentamente i suoi palmi leggermente escoriati.
-Hai superato il limite- la sgridò rivolgendole un ennesimo sguardo di piena disapprovazione. Un ghigno soddisfatto si dipinse sul volto pieno di lacrime e lentiggini della sorellina.
-Maman, ma io non ho fatto niente! Te lo giuro! Chiedi a Teddy, lui ha visto tutto- gridò perdendo il suo solito autocontrollo e indicando la capigliatura azzurra e brillante che per tutto quel tempo era rimasta in disparte a leggere uno spesso libro. Fleu però non seguì minimamente le parole della figlia più grande.
-Non mettere in mezzo gente che non c’entrano niente. Mi hai deluso molto, mademoiselle- tagliò corto strappandole dalle mani l’unicorno e rientrando in casa. Victoire, piena di rabbia e delusione, si lasciò cadere a terra: sua madre non le aveva creduto, ma la cosa che più la scottava era il fatto che avesse creduto senza battere ciglio a Dominique. Un senso di profonda tristezza attanagliò il suo piccolo cuore e si lasciò andare a un pianto disperato: ora non le importava più niente della tavola imbandita, dei pupazzi che l’aspettavano, di Sucrée e del comportarsi come se non avesse otto anni. Le calde lacrime scivolarono sulla sua pelle color porcellana mentre singhiozzi e sbuffi si fecero sempre più forti. Ad un certo punto però una figura si accucciò a pochi centimetri da lei.
-Non dovresti piangere, tanto non servirà a niente- mormorò Teddy con fare sicuro. Victoire si limitò a tirare su con il naso.
-Lo so che non è bello quando i fratelli minori ti rubano i giocattoli, ma se vuoi posso giocare io con te- continuò pacato e gentile mimando un sorriso sincero con le labbra. La collera e l’irritazione, però, avevano preso pieno sopravvento della piccola Weasley.
-Che ne sai tu di fratelli? James, Albus e Lily non sono tuoi fratelli! Tu hai solo tua nonna e io non voglio i tuoi consigli!- urlò a pieni polmoni mentre le lacrime, magicamente, smisero scivolare sulle sue guancie. Gli occhi marroni e buoni di Ted Remus Lupin la fissarono per alcuni secondi interdetti o tristi, Victoire non riuscì a percepire alcuna emozione, poi, silenziosamente, si alzò lasciandola sola. L’ultima cosa che la bambina vide furono i capelli del ragazzo non più azzurri accessi, ma di un grigio atipico.
Victoire abbassò lo sguardo, colpevole e affranta: le sue parole, brutte parole, ancora le risuonavano in testa. Sapeva benissimo la storia di Teddy e sapeva ancora meglio che quella frase appena pronunciata non la pensava veramente. Teddy non aveva alcun legame con lo zio Harry e la zia Ginny eppure non vi era stato secondo in cui Harry non gli avesse rivolto uno sguardo paterno o un abbraccio pieno di affetto. Tirò su con il naso mentre il labbro inferiore iniziò a tremarle: si sentiva una schiocca mademoiselle, ancora più schiocca dell’insopportabile Dominique e per un attimo ebbe paura che Teddy stesse piangendo tra le braccia dello zio Harry confessandogli tutte le brutte parole che lei gli aveva urlato. Le sue guance si dipinsero di rosso dalla vergogna mentre, a testa bassa, rientrò in casa. Camminò in religioso silenzio, nascondendo il volto dietro i capelli dorati, pronta a ricevere un’occhiata delusa da parte di suo padre e una sgridata completamente in francese da parte di sua madre. Quello che però la sorprese fu però di non sentire i singhiozzi di Lupin, ma degli urletti pieni di gioia. Timorosa si affacciò dallo stipite della porta e improvvisamente i suoi occhi brillarono: Teddy teneva con attenzione in braccio la piccola Lily Luna. La neonata rideva felice cercando di afferrare con le sue piccole dita i capelli del giovane che continuavano a cambiare colore. Gli adulti intanto li fissavano divertiti e inteneriti e perfino sua sorella, stringendo tra le grinfie Sucrée, aveva perso il broncio.
-Teddy- bisbigliò quasi con un cinguettio.
-Possiamo parlare?- sibilò ancora sottovoce senza alzare lo sguardo dalla vergogna. Il giovane Lupin lasciò tra le braccia di Ginny Lily e, prima si raggiungerla, scioccò un tenero bacio sulla guancia paffuta della neonata. Harry lo osservò con occhi intrisi di amore, lo stesso amore che suo padre le rivolgeva ogni sera prima di regalarle il bacio della buona notte.
-Scusami- bisbigliò con imbarazzo fissando con insistenza le sue ballerine piene di terra una volta che il giovane l’ebbe raggiunta.
-Tranquilla Victoire, lo so che quelle cose non le pensavi veramente- le rispose però con maturità il giovane. Victoire, sorpresa da questa sua risposta, alzò lo sguardo confusa: e li lasciò che i suoi innocenti occhi azzurri si rispecchiassero in quelli del suo amico d’infanzia. Un calore puro e casto le scaldò il petto, lo stesso calore che provoca una giovanile e innocente cotta.
-Davvero mi perdoni?- mormorò reprimendo un tremolio delle labbra e il suo interlocutore le sorrise allegramente.
-Se vuoi- disse prendendo una mano della bambina tra la sua.
-Posso giocare io con te- e i suoi capelli si dipinsero di un brillante arcobaleno, lo stesso che animava la criniera del tanto conteso Sucrée. E quel giorno Victoire capì che era molto più divertente giocare con Teddy rispetto che con Sucrée, nonostante fosse un unicorno e il suo pupazzo preferito, che mai si sarebbe lasciata sfuggire un compagno di gioco così prezioso e che forse non si sarebbe accontentata neanche di un Principe Azzurro: lei voleva un Principe Arcobaleno, ma per sua fortuna l’aveva già trovato.
   
 
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