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Autore: Moriko_    11/11/2020    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
gD2oHls

Legami fraterni.

{Tre anni | Aoi's side}

 

 

BGM: N U A G E S - Distant

 

 

 

[12 Marzo, un anno dopo. Nakahara, prefettura di Gifu.]

 

La giornata era iniziata male per la piccola Yukiko.

Si era svegliata con un grande mal di stomaco, seguito da un forte senso di nausea; la piccola non era riuscita a fare colazione e subito si era rimessa sotto le coperte. Il termometro con il quale sua mamma Yumi le aveva misurato la febbre segnava trentasette e mezzo: una temperatura non molto alta, ma che aveva portato il genitore alla ferrea decisione di non farla andare a scuola. Nel vederla così spossata, per sua madre Yumi il riposo e un’ottima tisana rigeneratrice sarebbero state la soluzione migliore per rimetterla presto in forze.

Dal suo lettino, ogni tanto la piccola rivolgeva lo sguardo verso la finestra e dava un’occhiata stanca al panorama che circondava il borgo. A Nakahara sembrava una giornata splendida, come tutte le altre di un inizio di primavera eccezionalmente caldo: i raggi del sole facevano brillare ancora di più le cime delle montagne ricoperte di neve, mentre gli uccellini cinguettavano come se fossero stati in festa.

A Yukiko vennero le lacrime agli occhi: quel giorno avrebbe preferito uscire di casa a giocare con i suoi amichetti o andare in giro per il paese con la sua adorata nonna; invece si era ritrovata a casa con l’influenza. Come tutti i bambini della sua età era molto triste per il fatto di non riuscire nemmeno ad alzarsi dal letto: avrebbe voluto passeggiare sotto i cedri rossi che decoravano il centro cittadino, o correre presso il ruscello che attraversava il paese e sentire la brezza primaverile che dolcemente sfiorava le sue guance. Purtroppo per quanto la sua ostinazione la stesse spingendo a sforzarsi almeno a rizzare la sua schiena, Yukiko dovette accontentarsi: l’influenza aveva prosciugato tutte le sue forze, facendo in modo che tutto ciò che aveva appena immaginato per quel giorno sarebbe rimasto solo un piacevole sogno.

Con questi mogi pensieri la bambina chiuse lentamente gli occhi, e si addormentò.

 

Chi, invece, sembrava avere molte più energie del solito era il piccolo Shingo. Quello che stava per iniziare era un giorno speciale per lui: quello del suo terzo compleanno; un giorno molto bello, ricco di felicità, che avrebbe trascorso giocando con i suoi genitori, la nonna e la sua amata sorellina quando sarebbe tornata da scuola.

Almeno, questo era ciò che lui pensava di fare. Quando aveva aperto gli occhi nella stanza che condivideva con Yukiko, era ancora completamente ignaro del fatto che in realtà i suoi programmi non sarebbero andati proprio come aveva immaginato nei giorni precedenti.

In quella cucina dove stava per finire la sua colazione Shingo era seduto su una piccola sedia, accanto ad un basso tavolino che suo padre aveva costruito quando era nata Yukiko e adatto proprio per i bambini come lui; davanti a sé vi era un piattino con ciò che rimaneva del kabocha[1] e una piccola borraccia in legno con il beccuccio ancora pieno d’acqua. Il bambino pigiava mesto nel piatto le bacchette che aveva appena imparato ad utilizzare, ma in quel momento sembrava che anche a lui si fosse chiuso lo stomaco.

Sua madre gli aveva appena detto che Yukiko sarebbe rimasta a casa per tutto il giorno, e all’inizio Shingo aveva fatto i salti di gioia: il piccolo voleva a tutti i costi tornare dalla sorellina e giocare con lei, ovviamente dopo aver finito di fare colazione. Tuttavia il suo stato di euforia si era attenuato non appena la mamma gli aveva rivelato il motivo per il quale Yukiko non sarebbe andata a scuola: con molta probabilità aveva preso l’influenza e doveva restare a riposo. Anche per il suo compleanno il piccolo, infatti, pensava di poter giocare con la sua adorata sorellina insieme all’orsacchiotto Riku, riabbracciare sua nonna Atsuko e il suo papà, impegnati nel loro lavoro per buona parte della giornata ma che alla fine di essa gli avrebbero portato dei doni stupendi.

Shingo aveva immaginato così la sua lunga festa, tra regali e giochi divertenti da fare insieme, soprattutto con Yukiko che, però, si era ammalata proprio quel giorno. Nonostante quella notizia che l’aveva portato ad un iniziale momento di smarrimento, Shingo non si era perso d’animo: era vero che la sorellina non poteva uscire dalla sua cameretta, ma per un po’ avrebbe potuto essere lui a farle compagnia con il gioco.

Sempre dopo la colazione, come gli avrebbe detto sua madre.

Shingo spostò il piccolo tavolo in avanti e si alzò; raggiunse la mamma e le afferrò il grembiule per tirarlo a sé. «Mamma, non ho più fame. Voglio andare dalla sorellina!»

Yumi rivolse lo sguardo verso il piatto che aveva lasciato suo figlio: aveva quasi finito tutta la colazione ma non sapeva se lui avesse svuotato tutta la piccola borraccia. Difatti in quel momento la donna era indaffarata tra i fornelli: stava preparando una calda tisana di camomilla e malva per alleviare il senso di nausea e il mal di stomaco che aveva avuto sua figlia e, anche se di tanto in tanto lanciava un’occhiata verso il secondogenito, il suo sguardo era sempre ben concentrato sul piano cottura.

«Hai bevuto l’acqua?» gli chiese Yumi con dolcezza.

Il piccolo non le mentì. «No, mamma.»

«Allora prima finisci l’acqua e poi torna qui.»

Shingo fece come la sua mamma gli aveva chiesto. Sebbene fosse un bambino vivace, dava sempre retta a sua madre quando erano da soli ma in realtà, in quel momento, il vero motivo che lo aveva spinto a bere era il fatto che aveva iniziato ad avere sete: quel kabocha che aveva mangiato era molto dolce, e presto sentì il bisogno di bere acqua. Molta acqua, al punto da svuotare il contenuto della borraccia tutto d’un colpo.

«Ah!» disse Shingo, asciugandosi sorridente la bocca con il dorso della mano. Subito tornò da sua madre e tirò nuovamente il suo grembiule. «Bevuta tutta!» esclamò entusiasta, per poi aggiungere: «Andiamo dalla sorellina?»

«Aspetta,» rispose Yumi con molta pazienza, mentre spense il bollitore e afferrò il manico per versarne il contenuto in una piccola tazza di legno. «Finisco di preparare questa buona medicina per lei, e ci andiamo subito...»

Shingo mise il broncio e strattonò il grembiule. «Dai, ora!»

«Solo un attimo: prima devo finire qui, altrimenti tua sorella non guarirà mai...»

«No-o! Ora!»

Yumi posò il bollitore sul piano cottura, guardando il suo riflesso nella tisana che ora era nella tazza di Yukiko. Diede un profondo sospiro, perfettamente consapevole che era difficile smuovere suo figlio quando si intestardiva su una cosa che voleva fare a tutti i costi. Lo guardò e, chinatasi su di lui, gli diede un delicato buffetto sulla guancia. «Torna a sederti: ti prometto che farò in un baleno!»

Seppur con tristezza, Shingo annuì. Si sedette, girando leggermente la sediolina nella direzione di sua madre, fece un respiro profondo e aspettò... o, meglio, cercò di aspettare il più possibile: per quanto si sforzasse, il piccolo non riusciva proprio a stare fermo. Iniziò a dondolare le gambe, sempre più velocemente, fino a quando non diede qualche colpo al piede del piccolo tavolo che era ancora al suo fianco.

«Shingo, smettila,» lo rimproverò Yumi con dolcezza, mentre continuò a filtrare la tisana che aveva preparato nella tazza. «Così ti fai male.»

«Uffa.» Il piccolo incrociò le braccia, mettendo il broncio. «Mi annoio! Voglio andare dalla sorellina...»

«Ed io ti dico che devi avere pazienza,» rispose la donna, avvicinandosi a lui. Gli accarezzò le guance, lo guardò negli occhi e aggiunse: «So che oggi è il tuo compleanno e sei felice per questo, però dobbiamo cercare di risolvere il problema di Yukiko. Deve guarire, altrimenti non potrà giocare con te... capisci?»

«Ma oggi guarirà?»

La mamma alzò gli occhi verso il soffitto, portandosi un indice sotto il mento. Era certa che l’influenza di sua figlia non sarebbe passata in un giorno, ma voleva essere ottimista: Shingo e Yukiko avrebbero trascorso insieme quel giorno, uniti più che mai. Anche lei, come il suo secondogenito, voleva che quel giorno fosse il più possibile perfetto, senza anche solo un piccolo accenno di negatività che potesse sconvolgere i preparativi. «Ce la metteremo tutta... però tu devi stare buono buono qui, ancora per un po’. Se ti fai male e la sorellina guarisce, come farete a giocare insieme?»

Shingo annuì, ma era ancora triste. In fondo sua madre aveva ragione: lui non poteva permettersi di farsi male, così come sua sorella Yukiko non poteva permettersi di restare a letto per tutto il giorno. Sua madre tornò ai fornelli per finire di preparare la tisana, mentre il piccolo cercò di resistere a quella adrenalinica tentazione che stava animando il suo cuore - per quel poco che poteva, perché dopo qualche secondo tornò a mostrare segni di movimento, iniziando a dondolare la testa e canticchiando una canzone con parole inventate.

Trascorsero altri minuti che a Shingo sembravano infiniti, mentre Yumi iniziò a mescolare gli ingredienti nella tazza: su quelle che per lei erano piacevoli note che provenivano dalla bocca di suo figlio, la donna aggiunse un bicchierino di alloro che aveva preparato prima di bollire la tisana, svuotandolo del tutto. Posò la tazza su un piccolo vassoio di legno che aveva preso dalla credenza e la portò da suo figlio, che nel frattempo stava continuando a cantare.

«Su, vieni. Portiamo la medicina a Yukiko.»

L’umore di Shingo cambiò d’un tratto. Le sue piccole orecchie avevano appena sentito la frase che avevano sbloccato la sua vivacità da quelle “catene” che la tenevano prigioniera: si alzò di colpo in piedi, rischiando di urtare il vassoio che sua madre stava reggendo in mano - e che sarebbe certamente finito a terra se non fosse stato per la destrezza di Yumi - e non esitò a mostrare subito la sua gioia.

«Sì!» Il piccolo si avvicinò alla mamma, e lanciò un’occhiata al vassoio con la tazza ancora fumante. Allungò le braccia verso di esso: ci teneva molto a portare lui quel vassoio. «Posso tenere la medicina, mamma?»

«Ora no, Shingo. La tazza scotta molto: se la tisana cade sulle tue mani rischi di farti la bua.»

«Uuuuh...»

«Ma non preoccuparti: il tempo di salire le scale e la portiamo insieme. Ora andiamo: Yukiko ci sta aspettando.»

Shingo annuì e, in silenzio, seguì la mamma. Insieme salirono le scale che portavano al primo piano, dove c’erano le stanze dei vari inquilini: sulla sinistra, quella dei genitori e il bagno; sulla destra, dopo un lungo corridoio nel quale si aprivano alcune piccole finestre, lo studio dove Susumu lavorava quando non era al lavoro e, di fronte ad esso, quattro scalini in legno portavano ad un piano rialzato, dove era collocata la cameretta dei due piccoli. La stanza che Yukiko e Shingo condividevano ogni giorno era stata ricavata dalla mansarda: chi aveva progettato quella casa per Yumi e Susumu - il padre di quest’ultimo - l’aveva immaginata come piacevole rifugio dal resto del mondo, e quando si erano sposati la coppia aveva pensato di collocare proprio lì la cameretta del loro futuro bambino, riservando per loro una delle stanze del primo piano. Per come era stata progettata, era quella più bella del primo piano: vi era una grande finestra che sovrastava il tetto, mostrando ogni minuto la volta celeste in tutto il suo splendore, in tutte le stagioni, mentre di fronte alla porta d’ingresso vi era una finestra a balcone, posta vicino al letto della piccola Yukiko.

Era proprio lì che si stava dirigendo Yumi che stava reggendo il vassoio dai manici, mentre Shingo la stava aiutando a portarlo con una salda presa su uno dei due lati lunghi, dando le spalle a sua madre. Non appena quest’ultima aprì la porta della cameretta dei figli, Shingo non ci pensò due volte a mollare il vassoio e precipitarsi come un lampo verso il letto dove Yukiko stava riposando.

«Sorellina, sorellina!» esclamò il piccolo, scuotendo le lenzuola. «Bevi subito la medicina, e poi giochiamo!»

«Aspetta,» disse Yumi, avvicinandosi anche lei al letto e appoggiando il vassoio sul comodino che era di fianco. «Devi dare il tempo alla medicina di fare effetto, ma di solito ci impiega molto tempo... ora tua sorella non può giocare: vedi come non sta bene?»

«Sì, ma perché? Non può giocare dal letto?»

«Deve prima riposarsi, altrimenti la medicina non fa effetto.»

«E perché?»

«Perché la medicina funziona proprio con il riposo. Se Yukiko si riposa, può tornare a giocare presto. Forse anche oggi...»

«Oggi?»

«Però non subito, bisogna sempre aspettare,» sussurrò la donna, mentre accarezzò la fronte di sua figlia. Scottava ancora di più, così Yumi prese la pezzuola che la copriva e, immergendola in un catino accanto al letto con l’acqua ancora fredda, la rimise sulla fronte. «E, per come scotta la sua fronte... ha la febbre. Per ora ha bisogno di stare a letto.»

«Uffa...»

Shingo sbuffò di nuovo, spazientito. Aveva atteso fin troppo, per la poca pazienza di bambino che aveva. La giornata era iniziata da poco, ma era certo di una cosa: aveva appena aggiunto un acerrimo nemico nella lista dei cattivi da sconfiggere, e in qualsiasi modo ci sarebbe riuscito. Quel nemico aveva un nome ben preciso: si chiamava “febbre”.

«Febbre cattiva!» esclamò Shingo, stringendo sempre più i suoi piccoli pugni e sbattendo i piedi come segno di protesta. «Lascia la sorellina, hai capito? Se no ti faccio la bua!»

Sua madre trattenne le risate e, avvicinando il suo volto a quello di sua figlia, le sussurrò dolcemente: «Yukiko, la medicina è pronta...»

Al suono di quella voce la bambina aprì a stento gli occhietti stanchi e, con l’aiuto della mamma, si sforzò di bere la tisana che le aveva dato. Aveva ancora mal di stomaco ma, nonostante ciò, riuscì a finire l’infuso senza rigettarlo.

«Brava,» le disse sua madre, accarezzandole prima la guancia e poi la testa. «Ora riposati, presto ti sentirai meglio.»

«Sì, mamma...» Yukiko rivolse lo sguardo verso il fratello che le era accanto, e sussurrò con un triste sorriso: «Scusami, fratellino... oggi non posso giocare con te...»

Shingo iniziò a frignare: quella frase era stata l’ennesima conferma che non poteva divertirsi subito con sua sorella, per tutto il giorno. «Ma uffa! Io voglio giocare con te! Perché non dici alla febbre di andare via?»

La mamma si inginocchiò verso di lui e lo prese per mano. «Io ho un’idea migliore: vieni con me...»

Yumi si alzò in piedi e condusse il figlio verso la scrivania di Yukiko. Al di sopra di essa correvano alcune piccole mensole da parete, progettate da Susumu a mò di libreria; da una di esse la donna prese un libro e si accomodò vicino al letto della piccola, facendo sedere Shingo sulle sue ginocchia. «Vedi?» disse, aprendo il libro che aveva in mano. «Anche questo è un gioco che possiamo fare con lei... le raccontiamo una favola, così sarà felice.»

Shingo continuò ad avere gli occhi lucidi per la tristezza, ma accolse di buon grado la sua richiesta: avrebbe fatto volentieri qualunque cosa pur di rallegrare Yukiko. «Sì...» mormorò, e come la sorella rivolse lo sguardo verso sua madre, pronto ad ascoltarla.

Sulla copertina del libro che Yumi aveva preso vi era un'illustrazione di una fitta foresta che si affacciava su un ruscello dove, in primo piano, vi era una pianta dai piccoli fiori rosa. La donna aprì il libro e iniziò a raccontare, mentre Shingo la seguiva osservando le varie immagini che c'erano all'interno.

«C’era una volta un ragazzino molto vivace. Correva per tutto il giorno su e giù per il villaggio dove abitava insieme alla sua famiglia, senza fermarsi mai...»

«Mamma, sono io!» urlò il piccolo, indicando la figura del fanciullo che vi era ritratto proprio mentre correva per una strada che portava ad un gruppo di case di paglia e legno.

Quel piccolo villaggio era molto simile al quartiere dove Shingo abitava con la sua famiglia... in altre parole, sembrava rievocare la stessa Nakahara. Il fanciullo protagonista della storia, invece, assomigliava proprio a Shingo: stessa corporatura, capelli neri e arruffati, occhi grandi e profondi come la notte; per questo motivo il piccino stava seguendo la storia di quel minuto protagonista con grande attenzione perché si immedesimava perfettamente in lui, e di quel racconto non voleva perdersi nemmeno un singolo dettaglio.

Sua madre sorrise, prima di proseguire: «Un bel giorno cadde una tremenda maledizione su tutto il villaggio e le persone che lo abitavano. Vi era un giovane stregone che abitava in cima ad una montagna così alta, che perforava le nuvole bianche con la sua punta: pensa che era talmente alta che dal villaggio nessuno riusciva a vedere la cima, e nessuno era mai riuscito a scalarla tutta...»

«Cos’è una maledizione, mamma?»

«È una magia molto brutta che fa stare male le persone. Un po’ come sta facendo la febbre con la sorellina...»

Shingo rivolse lo sguardo verso Yukiko, che in quel momento aveva gli occhi socchiusi. «Se è come la febbre... non mi piace! Ma perché lo stregone ha fatto questa magia?»

«Perché odiava alcune persone che abitavano proprio in quel villaggio.»

«E perché? Hanno fatto i cattivi con lui?»

«È nato sulla cima di quella montagna, e fin da bambino non gli era permesso di uscire dalla casa per scendere al villaggio e giocare con gli altri. Sai perché? Perché era diverso dagli altri: dalla vita in giù aveva il fisico di un cavallo, con delle zampe e una coda che uscivano fuori dai pantaloncini che indossava sempre. Guarda: proprio come qui!»

Yumi indicò sul libro la figura dello stregone, ritratta da bambino; poi indicò subito quella della pagina accanto, che mostrava quel bambino davvero singolare in mezzo ad un gruppo di ragazzini. «Un giorno il suo papà, che viveva con lui, si era allontanato da quella casa, e così il futuro stregone ne aveva approfittato per scendere al villaggio. Prima di arrivare, però, aveva incontrato questi ragazzini... e lui voleva tanto fare amicizia con loro, ma essi lo avevano subito preso in giro per la sua diversità e addirittura gli avevano tirato delle pietre per allontanarlo. Lui tornò a casa piangendo, e da quel giorno il suo papà gli insegnò tutto ciò che sapeva, dicendogli che un giorno avrebbe potuto usare i suoi poteri contro quei ragazzini. Il bambino faceva spesso dei pasticci, ma non vedeva l’ora di riuscire a usare i suoi poteri contro chi gli aveva fatto del male. Trascorsero tanti e tanti anni... e lo stregone, rimasto senza il suo papà, si sentiva pronto per la sua vendetta: attraverso una potente sfera di cristallo cercò quei ragazzini che l’avevano preso in giro e li trovò cresciuti, che abitavano proprio in quel vicino villaggio. Così non ci pensò due volte prima di scagliare la sua potente maledizione, che finì per colpire non solo loro ma anche gli altri abitanti: tutti caddero in un profondo sonno dal quale non si risvegliarono mai più.»

«Ma... ma poverini! Gli altri non erano cattivi!»

«È vero: lo stregone è stato molto maldestro... anche questa volta!»

Shingo alzò lo sguardo verso la mamma, molto dubbioso e un po’ indignato. Di tutta quella storia aveva capito che c’era un villaggio, uno stregone che era stato preso in giro e una maledizione che per sbaglio aveva colpito anche persone innocenti... ma che fine aveva fatto quel bambino che gli assomigliava così tanto e di cui a malapena era stato fatto un accenno all’inizio della storia?

«E... ed io?»

«“Io” cosa?»

«Sì: io! Questo bimbo!» e il piccino mostrò la pagina che c’era prima della scena dello stregone, indicando il fanciullo che correva nel villaggio.

Yumi sorrise e rispose: «Non ci siamo dimenticati di lui, tranquillo. Infatti...» e voltò nuovamente la pagina del libro, «quando lo stregone aveva lanciato la maledizione, quel ragazzino non si trovava al villaggio. Era in una foresta, che giocava spensierato con gli uccellini che, ad un tratto, fuggirono via spaventati: il ragazzino non riusciva a spiegarsi perché fossero andati via, così decise di tornare al villaggio. Giunto là, il poveretto fece quell’incredibile scoperta: erano tutti a terra, che dormivano placidamente e non si svegliavano in alcun modo, né se li scuotevi, né se buttavi addosso a loro dell’acqua fredda. Arrivato a casa, scoprì che anche i suoi genitori erano stati colpiti dalla maledizione, ed egli scoppiò a piangere perché non sapeva come fare per risvegliarli da quel sonno profondo. Si sentiva solo, molto solo...»

Shingo tornò a guardare la sorella, che nel frattempo sembrava essersi addormentata. Scese dalle ginocchia della mamma e si avvicinò al letto, iniziando a singhiozzare nel vederla così assente, senza nemmeno le forze per riuscire a restare sveglia e giocare con lui. «E se... e se anche la sorellina è stata colpita dall’incantesimo dello stregone... cosa facciamo, mamma?»

Yumi gli tornò accanto e con le dita gli asciugò le lacrime. «Lo sai: la favola non è finita... vuoi sapere cosa ha fatto questo ragazzino?»

Il piccino annuì, anche se non smetteva di singhiozzare. «Voglio... voglio saperlo, mamma... la sorellina deve guarire!»

Yumi lo prese in braccio e, cullandolo, proseguì con la storia. La conosceva a memoria, perché era la stessa favola che più volte aveva raccontato a sua figlia quando era molto piccola: Yukiko amava molto quella storia, e quando aveva l’età di suo fratello non aveva mai esitato a chiedere alla mamma se poteva raccontargliela.

«Sai che anche lo stregone era molto triste?»

«Anche se è stato cattivo?»

«Già. Quando ha visto che la maledizione aveva colpito tutti, aveva provato a rimettere a posto perché non voleva fare del male anche agli altri... ma non ci era riuscito, e per questo anche lui aveva iniziato a piangere. Aveva provato di tutto, anche a leggere i libri che il suo papà aveva lasciato a casa, ma niente da fare: qualunque cosa provasse, non riusciva ad invertire l’incantesimo. Ma, ad un certo punto...»

«Ad un certo punto?»

«Ad un certo punto, lo stregone aveva trovato un piccolo libro sul quale vi era riportata una pozione molto speciale. Questa pozione aveva il potere di riportare tutto com’era prima, e funzionava su qualunque cosa: era fatta con una pianta molto particolare, dai piccoli fiori rosa... ma c’era un problema: questa pianta cresceva in un luogo dove lo stregone non poteva andare.»

«E dove?»

«Il villaggio si trovava nei pressi di un lago, dove nell’altra sponda vi era una terra ricca di fiori e di animali che non esistevano da nessun’altra parte: vi era una barriera a proteggerla, e gli unici che potevano oltrepassarla erano persone dal cuore puro, che non avevano mai fatto del male a nessuno. Così lo stregone non poteva andarci, e con l’intero villaggio sotto l’effetto della maledizione non sapeva a chi chiedere aiuto.

«Nel frattempo il ragazzino si era allontanato dalla sua dimora ed era uscito dal villaggio. Ancora con le lacrime agli occhi aveva iniziato a correre, correre e correre ancora, senza accorgersi che aveva iniziato a percorrere la montagna dello stregone: il freddo sempre più crescente e il vento non l’avevano fermato, ma quando aveva sbattuto contro un’invisibile muro che lo stregone stesso aveva creato aveva iniziato ad accorgersi che si trovava in un luogo che non conosceva. Non appena aveva alzato la testa, egli aveva visto da lontano una grande dimora avvolta da nubi molto grigie, mentre intorno a lui la terra era aspra: le piante erano spoglie di foglie e fiori, e solo i corvi stavano dominando quel territorio così silenzioso e freddo. Il ragazzino, incuriosito, non si scoraggiò e provò più volte ad oltrepassare la barriera... ma niente da fare: per quante volte ci provasse, non ci riusciva.»

Intanto Shingo era rimasto in silenzio. Caso strano, quella storia gli stava facendo lo stesso effetto di una ninna nanna: lo aveva tranquillizzato. In più, il piccolo era curioso di sapere se il protagonista di quella storia aveva incontrato lo stregone e, soprattutto, in che modo era riuscito a salvare i suoi genitori e gli altri abitanti del villaggio dal malefico sortilegio.

Se Shingo avesse trovato una soluzione simile a quella indicata dalla storia, Yukiko sarebbe tornata presto ad essere la bambina gioiosa e allegra di sempre... e lui non vedeva l’ora che finalmente giungesse quel momento.

 

 

 

Qualche minuto dopo, madre e figlio erano tornati al piano terra. Mentre Yumi stava raccontando la favola a Shingo, Yukiko si era nuovamente addormentata; per questo motivo la donna aveva convinto Shingo a seguirla di nuovo, per lasciare che la sorella riposasse tranquilla e fare in modo che recuperasse al più presto le energie perse con la febbre. Il piccolo non era molto d’accordo, ma era riuscito a convincersi quando sua madre gli aveva detto che solo così sarebbe tornata presto a giocare con lui.

Mentre Yumi era intenta a preparare il pranzo nella cucina, Shingo si trovava nel vicino soggiorno e giocava con un colorato trenino di legno, dono della nonna per il suo secondo compleanno. Era stata lei la creatrice di quel piccolo gioco e a Shingo era piaciuto fin da subito, al punto che ci giocava per ore senza mai stancarsi e senza pensare ad altro.

«Ciuf ciuf! E ora...» esclamò il piccolo, facendo salire il trenino su una piccola pista che aveva creato con le costruzioni, «tenetevi forte, si parte!»

Il bambino fece sobbalzare il trenino sulle costruzioni, per poi rimetterlo a terra dall’altra parte nei pressi di una piccola casetta in legno. «Arrivati!» disse, e subito tirò un grande sospiro di soddisfazione. Poi si alzò, lasciando i giochi riversi sul pavimento, e si avvicinò alla porta del balcone che dava sul giardino curato dai suoi genitori: l’altalena con la quale i piccoli Aoi erano soliti giocare oscillava al movimento del lieve vento che spirava nell’area, così come le rigogliose piante che decoravano quell’angolo della casa.

Shingo iniziò a pensare e ripensare a quella favola che la mamma gli aveva raccontato poco prima, e si lasciò subito trasportare dall’immaginazione man mano che il suo sguardo si addentrava in quel piccolo angolo verde: di fronte ai suoi occhi, lentamente quello che sembrava essere solo un giardino con un orticello si trasformò nel cortile dove il ragazzino protagonista della storia giocava allegro e spensierato, così come il panorama che circondava la sua casa divenne il villaggio dove lo stregone aveva lanciato la maledizione. Shingo non ci pensò due volte ad avvicinarsi alla porta d’ingresso e ad afferrare la maniglia, che si abbassò con un cigolio; a quel suono sua madre si affacciò dalla cucina, e lo vide mentre stava mettendo piede sulla soglia d’ingresso.

«Dove stai andando?»

«A giocare!» rispose il piccolo con la sua solita allegria.

Yumi lo lasciò fare, perché il suo bambino era solito uscire dal soggiorno per recarsi in quel giardino, sotto i suoi occhi vigili dalla finestra della cucina che dava dall’altra parte; tuttavia, allo stesso tempo la donna era incurante del fatto che, in realtà, al suo Shingo stava frullando per la mente un’idea che lo avrebbe messo nei guai... probabilmente.

Devo trovare quella pianta, così la sorellina guarirà in fretta!

Questo era ciò che Shingo stava pensando in quel momento: non appena entrambi i suoi piedi appoggiarono sull’erba del giardino, il bambino iniziò a cercare tra le piante dell’orto, con gli occhi ben attenti a scrutare una certa pianta dai fiori rosa che avrebbe potuto guarire Yukiko dalla febbre. Shingo sapeva bene che quell’orto conteneva anche delle erbe medicinali perché più volte aveva visto sua madre recarsi in quell’angolo per prendere alcune foglie che usava per le sue tisane e, anche se era ancora molto piccolo per capire quali fossero quelle che servivano per le sue speciali bevande, pensò di trovare qualcosa già in quel punto della casa.

Ma all’inizio la ricerca sembrò andare a vuoto. Le piante erano diverse tra loro, distinguendosi per le forme e i colori, ma nessuna di esse aveva quei fiori rosa del libro della favola, anzi: nessuna di esse aveva proprio dei fiori rosa. «Uffa,» borbottò Shingo, mentre voltò le spalle all’orticello e iniziò a fare il giro della casa, sempre più desideroso di trovare quella pianta miracolosa.

Dalla finestra della cucina Yumi lo seguì con lo sguardo, finché suo figlio non scomparve dal suo raggio visivo. Chissà cosa sta cercando... pensò la donna con curiosità e, spenti i fornelli, stette per uscire dalla cucina per raggiungere il piccolo e capire il perché di quel suo atteggiamento così insolitamente silenzioso e assorto, quando ad un tratto squillò il telefono che si trovava all’angolo della porta che confinava con il soggiorno.

«Pronto?»

Da quel punto Yumi non poteva più controllare suo figlio, perché le due aperture di luce - la finestra della cucina e il balcone del soggiorno - erano così distanti da lei al punto da non riuscire a vedere il giardino nella sua interezza: a causa della sua statura, Shingo arrivava a malapena alla cima della porzione delle mura che passavano al di sotto della finestra e del balcone, per cui Yumi non riusciva a vederlo a meno che non fosse stata nelle immediate vicinanze di quelle due aperture verso il loro giardino. Sarebbe stato un guaio, soprattutto perché dall’altra parte della cornetta c’era una sua amica di vecchia data che si era trasferita a Yokohama, con la quale Yumi non si vedeva da molto tempo.

La donna provò a sorridere e ad iniziare un’allegra conversazione con quell’amica, ma non voleva essere scortese con lei interrompendola in continuazione per dare un’occhiata a suo figlio che stava gironzolando per l’esterno della casa. Per fortuna l’abitazione e il giardino erano circondati da muretti abbastanza alti per i suoi figli e un cancello che Shingo non era ancora in grado di aprire; tuttavia la sua preoccupazione cresceva di minuto in minuto. Yumi arrivò anche al punto di fare capolino dalla porta per aguzzare lo sguardo verso il balcone del soggiorno o verso la finestra della cucina, ma il filo che collegava la cornetta all’apparecchio era molto corto, e con esso non riusciva ad allontanarsi da quel punto.

Questo telefono non sta più bene qui! - aveva pensato con un po’ di nervosismo, mentre intrecciava il dito lungo il filo. Dobbiamo spostarlo, decisamente!

 

Intanto Shingo continuò la sua esplorazione lungo il giardino della sua casa. Fiancheggiò i muretti che circondavano l’abitazione, passando nella zona dell’altalena che si trovava nei pressi dell’orticello, fino ad arrivare ad un albero di olivo ancora piccolo ma dal tronco già robusto: lo avevano piantato i suoi genitori prima ancora che lui nascesse, e con le fronde stava sfiorando la parte alta del muro. A Shingo piaceva molto perché ogni volta che lo vedeva il desiderio di arrampicarsi per arrivare in alto era sempre più forte, ma essendo ancora piccolo non riusciva nemmeno a scalare il tronco senza cadere a terra.

Nonostante il tronco fosse pieno di piccoli fiori bianchi, non vi era traccia di quella misteriosa pianta nemmeno su quell’albero... ma uno dei suoi rami che oltrepassava la cima del muretto era proteso verso il cielo, e con il suo essere così solitario e distaccato dagli altri suoi simili quasi sembrava indicare al bambino la strada da seguire. In quel momento Shingo si ricordò che anche nella favola il protagonista aveva seguito un ramo di un albero secolare per giungere al lago dove, nell’altra sponda, vi era quel magico luogo dove avrebbe trovato ciò che stava cercando.

 

«E lo stregone gli disse, indicando un punto del paesaggio che stava osservando: “Vedi laggiù? Dall’altra parte di quel lago vi è un luogo molto magico, con animali e piante che nessuno ha mai visto... un luogo fantastico!”

Il ragazzino aguzzò la vista e subito capì cosa lo stregone gli stesse indicando: era una zona del lago che non si vedeva dal villaggio, perché era molto lontana e ricoperta da una rigogliosa vegetazione, ma che si distingueva dagli altri per il suo essere colma di piccole fulgenti luci che si radunavano nella zona centrale; nessuno gli aveva mai parlato di quel luogo, né qualcuno dei suoi amici lo conosceva.

“Dici quello?” gli chiese, indicando anche lui quel luogo a lui misterioso.

“Sì,” rispose lo stregone. “Laggiù c’è una pianta miracolosa dai piccoli fiori rosa che ha il potere di annullare qualsiasi maledizione. Tuttavia... sai perché nessuno del villaggio si è mai spinto fin laggiù per prenderla?”

Il ragazzino spalancò gli occhi. Sembrava che quello stregone fosse al corrente di tutto ciò che accadeva nel suo villaggio, al contrario di lui che quasi non sapeva nulla, nonostante fosse sempre curioso e attento a qualsiasi novità. Scosse la testa e stette ben attento alle parole dello stregone, che nel notare la sua inconsapevolezza proseguì: “Perché quel luogo è protetto da una barriera magica, come quella dove prima ti sei scontrato e che protegge la mia dimora... ma si dice che solo i puri di cuore possono attraversarla e così essere ospiti di quel territorio.”

“Cos’è un puro di cuore?” chiese il ragazzino.

“Un puro di cuore è una persona che non ha ancora fatto nulla di male. Per esempio, io non sono un puro di cuore perché ho lanciato una maledizione che ha colpito anche persone innocenti... ma tu sì, lo sento. Sento che puoi farcela e recuperare quella pianta miracolosa.”

Lo stregone gli mise una mano sulla spalla e gli disse: “Se dovessi perderti, un grande albero ti indicherà la via con il suo ramo solitario. Ora vai, verso quel luogo!”

Il ragazzino annuì e iniziò a correre verso la valle, inoltrandosi nuovamente nella foresta che separava la dimora dello stregone dal suo villaggio. Arrivato sulle sponde del lago notò una barca a remi che avrebbe potuto utilizzare per il suo viaggio, ma da lì non aveva idea della direzione che doveva seguire: il lago era grande, e l’altra sponda che era così lontana era ricca di alberi rigogliosi che gli impedivano di distinguere il luogo magico dagli altri. Si guardò intorno e ad un tratto vide un albero dal robusto tronco con uno dei rami che si distaccava dagli altri, l’unico a protendersi sullo specchio del lago. Il ragazzino si ricordò delle parole dello stregone e, salito sulla barca, iniziò a remare nella direzione indicata da quel ramo solitario...»

 

«Io sono un puro di cuore!» esclamò il piccolo, continuando ad osservare quel ramo penzolante sulla cima del muretto. «Io sono bravo... e troverò quella pianta!»

Shingo stette per uscire dal cancello principale, pensando di riuscire ad aprirlo ma, com’era prevedibile, quel cancello era rigorosamente chiuso. «Uffa...» mormorò il piccolo dopo aver preso le sbarre per scuoterle più volte. «E ora cosa faccio?»

Tornò verso l’abitazione dove udì la voce di sua madre che stava parlando con qualcuno e, affacciatosi alla finestra della cucina, la vide di spalle con la cornetta all’orecchio che ogni tanto ripeteva la parola “Akiko”. Il piccolo inclinò leggermente la testa e più volte provò a chiamare la mamma, che alla fine si voltò e gli sorrise: lei portò l’indice alle labbra, indicandogli di restare il più possibile in silenzio.

«Non ti sei fatto male?» gli chiese, allontanando velocemente la cornetta dal volto.

«No, mamma...»

Poi lei gli voltò nuovamente le spalle e continuò la conversazione; a quel punto Shingo decise di proseguire il suo cammino, cercando un modo per uscire dal perimetro del suo giardino. Sebbene avesse solo tre anni, sapeva già che sua madre non gli avrebbe mai permesso di uscire di casa per andare in giro da solo per Nakahara e i suoi dintorni: qualche giorno prima aveva provato a scavalcare il muretto che circondava l’abitazione, ma era stato subito visto e rimproverato proprio da sua madre.

«Per fortuna che sei ancora così piccolo e non ce la fai... ma te lo dico già da adesso: non mettere piede fuori di casa senza di me o papà, d’accordo?»

«Io non sono piccolo,» borbottò Shingo di fronte a quel ricordo, tornando a gironzolare intorno ai muretti che recintavano il giardino. Ad un tratto vide un piccolo cancello in legno, che con il suo colore quasi si mimetizzava proprio con il muro che lo costeggiava: quello era un accesso che suo nonno Haruo, il padre di suo padre, aveva messo proprio in quel punto per connettere il giardino ad un’area che lui aveva pensato per gli animali, ma che di fatto gli Aoi non avevano mai utilizzato.

Incuriosito, il piccolo appoggiò la mano sullo steccato e provò a spingerlo verso l’esterno: con sua grande sorpresa il cancello si mosse. Shingo si voltò intorno prima di proseguire, per vedere se sua madre lo avesse raggiunto oppure no; accertatosi che non fosse così, spinse completamente il cancello per entrare in quell’area della casa che ancora non conosceva. Cercando di non fare rumore chiuse il cancello dietro di sé, e iniziò a percorrere i muretti che circondavano la sua casa, questa volta dall’altra parte. Ad un certo punto Shingo si accorse di essere arrivato nei pressi dell’ingresso principale, non appena i suoi occhi videro il grande viale che passava davanti all’abitazione.

Si strofinò più volte gli occhi, che iniziarono a brillare per la gioia: era riuscito ad uscire di casa, da solo!

Il primo grande ostacolo era stato superato. Ora bisognava pensare al resto: continuare la ricerca di quella pianta miracolosa che avrebbe guarito Yukiko dalla febbre, seguendo la direzione indicata dal ramo d’ulivo che era ben visibile anche dal punto dove il piccolo si trovava.

Così Shingo riprese subito il suo cammino. Per fortuna conosceva bene il quartiere dove abitava, grazie a sua nonna che spesso portava lui e Yukiko in lunghe passeggiate, per cui pensava che non si sarebbe mai perso; passo dopo passo il bambino percorse la strada che portava ad un ruscello poco distante da casa sua, dove trascorreva interi pomeriggi con la nonna ad ammirare i pesci che guizzavano nelle acque cristalline e di tanto in tanto facevano capolino verso di lui con improvvisi salti dal fondale rivestito da piccole pietre tonde e squadrate.

Giunto in quella zona il piccolo si voltò intorno, concentrandosi su qualsiasi dettaglio che la zona offriva. Come nelle altre volte, anche quel giorno non vi erano persone o bambini oltre a lui: in quel momento Shingo era completamente solo, tra gli alberi secolari che erano cresciuti lungo il corso d’acqua e che facevano ombra con i loro rami ricoperti di foglie che ondeggiavano per il lieve vento, su quel terreno erboso dove stavano poggiando i suoi piedi e che aveva una piccola pendenza verso gli immediati pressi del ruscello.

«Stai cercando qualcosa, piccolino?»

Quella voce improvvisa lo fece sobbalzare. Shingo si voltò e vide di fronte a sé un anziano signore: costui era vestito con una divisa completamente nera, che si reggeva ad un bastone di legno, dalle rughe profonde che avevano iniziato a segnare il suo pallido viso.

Il bambino aprì la bocca per la sorpresa, perché quella persona che lo stava accogliendo con un sorriso... sembrava proprio lo stregone della storia che gli aveva appena raccontato sua madre!

 

«Il ragazzino, incuriosito, non si scoraggiò e provò più volte ad oltrepassare la barriera... ma niente da fare: per quante volte ci provasse, non ci riusciva. “Dannazione!” urlò con grande rabbia. “Perché non riesco a passare di qui? Scommetto che è opera dello stregone malvagio che si trova in cima a questa montagna... e penso che sia anche colpa sua se mamma e papà non si svegliano più!”

In tutti i modi provò a sfondare quella barriera: con le sue spalle, lanciando sassi e tronchi di albero contro di essa, ma non riuscì nemmeno a scalfirla. Si sedette, incrociò le braccia e, chinato il capo, tornò a piangere perché voleva dare una bella lezione a quello stregone... ma, ad un tratto, una voce profonda come il buio della notte richiamò la sua attenzione.

“Ehi, tu: che cosa vorresti fare alla mia barriera? Lo sai che non si distruggono le cose degli altri?”

Il ragazzino alzò la testa... e vide che c’era un’altra persona di fronte a lui: aveva le vesti dello stesso nero dei corvi che si trovavano sui rami degli alberi di quel territorio, e teneva in mano un bastone di colore marrone, ricavato dal tronco di un albero. Era lo stregone, lo stesso che aveva lanciato la maledizione sull’intero villaggio...

Capendo subito chi gli stesse rivolgendo la parola, il ragazzino scattò verso di lui con molta rabbia, ma lo stregone riuscì a bloccarlo battendo una sola volta la punta del bastone al suolo.

“Perché vuoi farmi del male?” gli chiese l’uomo dalle vesti corvine. “Non ti conosco, né ti ho fatto nulla di male... perché mi tratti così?”»

 

Shingo lanciò un urlo di stupore e cadde con il sedere a terra, indicando l’anziano che gli era dinanzi. «T-Tu... s-sei lo stregone!» balbettò il piccolo.

L’altro gli si avvicinò ridendo e gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi. «Magari fossi uno stregone! Mi servirebbero dei poteri per tornare a camminare come si deve; invece eccomi qui, che zoppico come non mai!»

Lo sguardo fraterno di quell’uomo rasserenò l’animo di Shingo, che dopo un attimo di esitazione si decise ad afferrare quella mano che gli era stata offerta. Il piccino si rialzò in piedi e, dopo aver scosso la polvere dai pantaloncini che stava indossando, gli chiese: «Allora chi sei?»

«Sono il guardiano della riserva naturale di Nakahara, piccolino,» gli rispose l’anziano che, non appena lo guardò meglio, aggiunse: «Tu, invece... non sarai per caso il figlio di Aoi Susumu? Assomigli un sacco al tuo papà quando era un bambino come te!»

Shingo spalancò gli occhi, perché mai avrebbe immaginato di incontrare qualcuno che conoscesse suo padre nell’avventura della ricerca della pianta miracolosa. Recuperò il suo solito sorriso a trentadue denti e chinò leggermente la schiena per presentarsi, come gli aveva insegnato la mamma. «Io sono Aoi Shingo, ojiisan![2] Il mio papà si chiama Susumu!»

In risposta a quell’affermazione l’anziano gli arruffò i capelli. «Certo, piccolino: si vede che sei proprio suo figlio! Ma, dimmi: cosa ci fai qui tutto solo? Ti sei perso?»

Shingo scosse la testa. «No, sto cercando una pianta rosa: puoi aiutarmi, ojiisan

«Una pianta... rosa...»

L’uomo si portò un dito sul mento, ricordandosi se avesse mai visto una pianta simile a quella che il bambino stava cercando. L’unica cosa che in quel momento gli sembrava molto simile era l’albero di ciliegio, che però si trovava in un punto molto lontano da quello nel quale i due si trovavano: la porta d’ingresso del tempio shintoista di Gifu, che nel periodo primaverile era ricoperto dai rami in fiore dei ciliegi lì presenti. Poi si ricordò anche dei spettacolari ciliegi bianchi del lungofiume di Shinsakai, nella vicina città di Kakamigahara, ma anche quelli erano molto distanti...

Ad un tratto al guardiano tornò alla memoria un fiore dai petali rosa che si trovava nella riserva naturale e subito pensò che, forse, anche quella sarebbe potuta andare bene per il piccolo, che non era ancora esperto di piante e non aveva specificato quale gli servisse per la sua ricerca. Prese per mano Shingo e gli disse: «Vieni con me: conosco un posto dove puoi trovare ciò che stai cercando.»

 

«Il bambino giunse così dall’altra parte del lago, e scese dalla barca che l’aveva portato fin laggiù. Provò ad inoltrarsi nella foresta che lo stava accogliendo, ma subito capì che lo stregone aveva ragione: anche lì c’era una barriera impenetrabile che gli impediva di entrare, sorvegliata da un possente cavaliere dall'armatura color rosso come lo stop dei semafori. Ma il ragazzino non si arrese: era “un puro di cuore”, e sapeva che proprio i puri di cuore come lui ce l’avrebbero fatta...»

Quando arrivò all’ingresso della riserva naturale insieme all’anziano guardiano, Shingo si ricordò di quella parte della storia. L’ampio cancello che ogni giorno accoglieva i visitatori era chiuso a chiave, allo stesso modo in cui lo era quello della piccola casa del bambino, e quest’ultimo capì subito che non sarebbe mai riuscito a entrare da solo.

Shingo si aggrappò alle sbarre ed esclamò: «Per favore, aprite! È un’emergenza!»

Il guardiano trattenne le risate di fronte a quella scena. Quel bambino era pieno d’energie, e sembrava così testardo nel voler cercare una pianta rosa: egli non conosceva ancora il motivo di tanta ostinazione, ma da quel poco che stava vedendo sentiva che il piccolo ci teneva molto a trovare proprio quella.

«Se aspetti un attimo...» disse serenamente l’anziano, frugando nella tasca interna del giubbotto che stava indossando per poi estrarre una chiave scintillante, «ti aiuto anche ad aprire questa bella porta!»

Alla vista della chiave Shingo spalancò gli occhi e dopo qualche secondo di silenzio, mentre osservava il guardiano infilare e ruotare la chiave nella serratura, alzò la mano destra. «Lo so, lo so! La risposta è “gli occhi”, giusto?»

«Gli occhi?»

«Sì! Le due finestre che di giorno sono aperte e di notte chiuse... sono gli occhi!»

Il guardiano lo guardò piuttosto sorpreso, ma decise di stare al suo gioco e annuì con un sincero sorriso. Il piccolo infatti si era ricordato di quella parte della storia dove il ragazzino, per oltrepassare la magica barriera invisibile, doveva prima rispondere correttamente ad un indovinello. Era vero: il protagonista era un puro di cuore e ciò gli avrebbe permesso di superare quell’ostacolo, ma il cavaliere dall’armatura cremisi che sorvegliava l’accesso aveva deciso di rivolgergli un indovinello all'apparenza difficile da risolvere, per vedere se lui fosse stato realmente degno di accedere a quel luogo misterioso.

Non appena l’anziano guardiano aprì il cancello, Shingo si fiondò all’interno della riserva naturale. A nulla erano valsi i richiami dell’uomo che, nonostante provò ad inseguirlo e ad arrestare la sua corsa, in un attimo vide svanire il bambino tra i mille alberi che popolavano quella zona: se fosse stato al massimo delle sue forze lo avrebbe fermato con facilità, ma quel giorno le sue gambe non volevano sapere di collaborare.

«E ora dove si sarà cacciato?» pensò il guardiano, grattandosi la fronte.

 

«Il cavaliere sovrastava il ragazzino con la sua statura: sembrava essere alto come un albero secolare, ed era robusto come una grande roccia. Non appena vide il ragazzino si chinò verso di lui e disse: “Tu chi sei? Lo sai che qui non può entrare nessuno?”

“Sì,” rispose il ragazzino, che non si lasciò intimorire dalla stazza di quella figura imponente. “Ti prego, lasciami entrare: il mio villaggio è sotto l'effetto di una potente maledizione... e solo qui posso trovare la medicina per salvare tutti!”

Il cavaliere scrutò attentamente il ragazzino senza proferir parola. Poi si tolse l’elmo, sorrise e disse: “D’accordo: si vede che sei sincero e non sei qui per farci del male. Puoi passare, ma ad una condizione.”

“Quale?”

“Prima rispondi a questa domanda: cosa sono quelle due finestre che di giorno sono aperte e di notte sono chiuse? Se sai rispondere bene, ti lascio proseguire.”

Il ragazzino esitò a rispondere, e più volte ragionò sulla risposta da dare al cavaliere. Ad un tratto spalancò gli occhi ed esclamò: “Lo so, lo so! Sono gli occhi, giusto?”

“Gli occhi? Sei sicuro?”

“Sì! Sono due e di giorno sono aperti perché siamo svegli, mentre di notte no perché dormiamo!”

Il possente cavaliere annuì, e si fece da parte per far passare il ragazzino. Anche se quest’ultimo non poteva accorgersene, l’invisibile barriera che proteggeva il magico luogo svanì nel nulla, e a quel punto il cavaliere disse: “La risposta è corretta, ora puoi andare. Benvenuto nel nostro mondo, sono certo che troverai ciò che stai cercando.”

Il ragazzino lo ringraziò di cuore e si addentrò in quel misterioso territorio. Non appena alzò gli occhi per guardarsi intorno, si accorse che quel luogo era davvero bello: ricco di alberi e piante di qualunque forma e altezza, dai fiori dai mille colori e dagli animali fantastici, mai visti da nessun’altra parte. Per il ragazzino sembrava di essere stato catapultato in un vero e proprio paradiso, e più volte si strofinò gli occhi prima di capire che tutto ciò che stava vedendo era reale. Egli tornò a camminare, guardando attentamente ogni angolo di quella zona per trovare la pianta che stava cercando...»

... proprio come stava facendo il piccolo Shingo in quel momento. Nel caso del bambino, però, la ricerca sembrava essere più semplice di quella del protagonista della storia: mentre quest’ultimo era circondato da piante dai mille colori, quindi per lui non era facile individuare quella giusta in quell’arcobaleno della natura, invece il territorio nel quale si trovava Shingo era predominato dal colore verde, e poche erano le piante sulle quali iniziavano a schiudersi dei fiori colorati. Ma, a dispetto della grande semplicità di quella ricerca, sembrava non esserci traccia proprio della pianta miracolosa dai fiorellini rosa.

Shingo camminava ed esplorava senza mai fermarsi, ma non riusciva a trovare ciò che stava cercando, e dopo tanto girovagare si sedette ormai stanco su una piccola roccia, sospirando e tirando su il naso. Non riusciva a credere che la sua ricerca si stesse concludendo con un nulla di fatto, mentre per il protagonista era andata a finire bene, nonostante la sua grande difficoltà. Eppure il guardiano lo aveva assicurato: da qualche parte in quella riserva c’era questa pianta miracolosa, per cui doveva esistere... giusto?

Quel simpatico uomo non gli aveva mentito... giusto?

Egli sembrava sincero quando gli aveva assicurato che avrebbe trovato quella pianta, per cui non avrebbe mai detto una bugia solo per prenderlo in giro... giusto?

«Ojiisan...»

Lacrime copiose iniziarono a scendere dagli occhi neri di Shingo, mentre il bambino tornò a voltarsi intorno, alla ricerca di quella figura a lui familiare che aveva lasciato all’ingresso di quella zona senza nemmeno salutarlo, così entusiasta di trovare finalmente la pianta miracolosa. Shingo afferrò un sasso che si trovava a terra e lo scagliò contro il tronco di un albero che gli era dinanzi, urlando «Non è giusto!» con un tale impeto da far fuggire qualche uccellino che stava facendo la sua consueta passeggiata alla ricerca di cibo, tra l’erba e i rametti che ricoprivano il terreno della riserva naturale.

Il sasso rimbalzò contro il tronco per poi toccare il suolo, mentre il piccino nascose la testa tra le ginocchia e continuò a singhiozzare. In quel momento le orecchie di Shingo udirono un rumore di lenti passi alle sue spalle, che di tanto in tanto spezzavano i piccoli rami che si trovavano a terra; quando alzò la testa vide un grande fiore rosa che penzolava davanti ai suoi occhi.

Shingo non sapeva se fosse un miraggio, ma fugò ogni dubbio quando si voltò e alle sue spalle vide l’anziano guardiano che reggeva proprio quel fiore in mano: era molto simile a quelli che il piccolo aveva visto sulla copertina del libro della storia... ma rispetto ad essi era molto più grande. Solo allora i suoi occhi si illuminarono di gioia, e Shingo pensò che da quel fiore avrebbe potuto ricavarci non una, ma cento pozioni che avrebbero potuto salvare chiunque dalla febbre che stava affliggendo la sua amata sorellina!

«Perché sei andato via? Ti sei perso l’angolo delle camelie!» disse il guardiano, sfiorando la guancia del piccolo con il fiore che aveva in mano. Glielo diede e, indicandolo, gli chiese: «Ti piace? Si chiama “camelia”, e la chiamano “la rosa del Giappone”...»

«Ca... camelia?»

«Hai visto? È un fiore bellissimo... uno dei più belli che esistono nel mondo. E ora ti mostro il giardino delle camelie... sempre se non vorresti scappare di nuovo! Sei davvero un gran furbetto, sai?»

Shingo annuì in silenzio e, mano nella mano, seguì il guardiano. Ogni tanto annusò il fiore che aveva in mano: non sembrava emettere alcun profumo, e gli sembrò strano perché tutte le piante e i fiori che si trovavano nel suo giardino avevano un odore ben distinto. Il dolce odore del tiglio, quello più concentrato della menta... persino quello forte dell’erba bagnata dalla pioggia: ogni pianta del giardino della sua abitazione aveva un odore ben preciso, per cui Shingo pensava che non potessero esistere piante che non emanassero particolari profumi; non era così per quella camelia, che si differenziava dalle altre proprio per il suo essere meravigliosa ma dal profumo sconosciuto. Forse, era proprio per questa sua caratteristica che la camelia avrebbe aiutato sua sorella a guarire dalla febbre.

Il piccolo sorrise, tenendo ben stretto il fiore che aveva in mano, e spalancò gli occhi dallo stupore non appena mise piede in una zona di quella riserva che non aveva ancora attraversato con le sue gambe.

«Siamo arrivati!» esclamò il guardiano.

Di fronte a loro vi era un giardino ricco di camelie, che dai suoi occhi di bambino a Shingo sembrò immenso: in ogni angolo vi erano fiori dai molti colori, da quelli bianchi a quelli rosa, fino ad arrivare a quelli picchiettati da lunghe o brevi fasce rosacee.

Shingo lasciò la mano del guardiano e, sempre più incredulo, camminò lungo il roseto, sfiorando con le dita i fiori che sporgevano verso di lui: gli sembrava di essere capitato proprio in quel magico mondo della storia, che come il ragazzino stava incantando anche lui.

Incredulo per ciò che stava vedendo, il bambino saltò di felicità quando fu certo che non stesse vivendo un miraggio. Era stato davvero fortunato: aveva trovato il luogo magico nel quale solo i puri di cuore potevano entrare, e proprio lì aveva trovato la pianta miracolosa che stava cercando.

Non era un sogno: ce l’aveva fatta per davvero! Ora non gli restava altro se non tornare a casa e preparare la magica pozione che avrebbe risvegliato sua sorella nel torpore che la teneva prigioniera.

«Evviva! La mia sorellina guarirà!»

 

 

 

Il guardiano suonò al campanello dell’abitazione degli Aoi, mentre Shingo tenne la testa bassa. Il piccino, infatti, stava già immaginando la reazione della madre che - nella sua immaginazione - lo avrebbe sgridato per il fatto che lui fosse uscito di casa senza nemmeno avvisarla; allo stesso tempo, tuttavia, era certo che sua madre lo avrebbe accolto con un sorriso perché lui aveva tra le mani la medicina per guarire la sorellina.

A differenza della storia, il guardiano non aveva gli stessi poteri dello stregone che aveva aiutato il ragazzino a creare la pozione per rompere l’incantesimo del villaggio. Prima di tornare a casa Shingo gli aveva chiesto se potesse preparare per Yukiko la pozione dagli incredibili effetti magici, ma lui con gentilezza e una punta di imbarazzo gli aveva risposto che non ne era in grado, e che solo la sua mamma avrebbe potuto aiutare la sorellina. La stanchezza si fece sentire sul corpo di Shingo, che diede un profondo sbadiglio prima di vedere sua madre precipitarsi verso di lui.

Proprio Yumi, intanto, si chiedeva con incredulità il perché suo figlio fosse dietro le sbarre di quel cancello e non nel loro giardino: come aveva fatto ad arrivare in quel punto senza farsi male? Non può aver scavalcato il muretto... è impossibile!

Non appena la donna notò che al suo fianco ci fosse il guardiano della riserva naturale, il primo pensiero che le passò per la mente fu quello che suo figlio, dopo essere uscito di casa, avesse combinato un gran pasticcio. Yumi aprì il cancello con un sorriso, e subito le venne da dire a suo figlio: «Ma... ma come ci sei finito qui, Shingo?»

Il bambino non rispose, e abbracciò la mamma tra le lacrime: essendo ancora così piccolo, Shingo aveva sentito la sua mancanza nonostante fino a quel momento fosse stato in piacevole compagnia: non vedeva l’ora di tornare a casa, di dire la verità a sua madre e di aiutarla a preparare la medicina grazie alla quale Yukiko si sarebbe ripresa.

Yumi lo prese in braccio e gli disse: «Stai tranquillo, c'è la mamma qui con te: ora si torna a casa...» Poi si rivolse al guardiano, lo ringraziò per aver riportato il suo secondogenito a casa e con grande curiosità gli sussurrò: «Perdonami... mio figlio era fuori casa? Giocava nel giardino, e poi non l’ho più visto... non riuscivo più a capire dove fosse finito, e stavo iniziando a preoccuparmi...»

«Sono uscito da quel cancelletto, mamma!» rispose candidamente Shingo, e indicò verso la loro casa in direzione del piccolo cancello in legno che da quel punto era nascosto dalla struttura dell’abitazione, trovandosi di spalle ad essa. «Sono andato al ruscello per cercare la pianta per la sorellina, e lì ho incontrato ojiisan che poi mi ha portato nel luogo magico dove ci sono un sacco di fiori belli... come questo!»

E subito il piccolo le mostrò la splendida camelia che il guardiano gli aveva regalato.

«Ah.» Yumi rimase con la bocca aperta per lo stupore. Prima di tutto, la convinzione che il piccolo cancello in legno posto sul retro della casa fosse rigorosamente chiuso si era sciolta come neve al sole: probabilmente si era rotto, oppure in qualche modo suo figlio era riuscito ad aprirlo.

Quanto torna Susumu mi sentirà. Gli ho detto minimo quaranta volte di controllare quel cancello... «Sì, tesoro: tutto a posto!» Tutto a posto un cavolo, accidenti!

Come secondo pensiero, Yumi si sorprese nel vedere quel bellissimo fiore che Shingo le stava offrendo. Ma, ancora di più, la donna fu colpita dal fatto che suo figlio, di soli tre anni, era uscito di casa per cercare quella pianta che avrebbe aiutato sua sorella a guarire dalla febbre - e che, in realtà, non esisteva, ma suo figlio era riuscito a trovarne una che la ricordasse anche vagamente.

Yumi pensò che, forse, sarebbe stato meglio non raccontare più nulla al suo Shingo... almeno non più storie del genere quando qualche membro della loro famiglia non stesse bene. Mia mamma non aveva tutti i torti: mio figlio è davvero imprevedibile!

Il guardiano sorrise e annuì, accarezzando la testa di Shingo. «Ha ragione questo piccoletto: era tutto solo al ruscello, ed era così intento nella sua ricerca che ho voluto aiutarlo... l’ho portato con me, e così gli ho fatto vedere un po’ della nostra riserva naturale! Si è divertito molto, soprattutto nel giardino delle camelie: dovevi vederlo mentre osservava con curiosità tutti quei fiori colorati!»

Di fronte a quella rivelazione Yumi assunse un’espressione preoccupata verso il guardiano e iniziò a frugare nelle tasche del grembiule che indossava. «Caspiterina... quanto ti devo? Ti pago subito l’ingresso per mio figlio: dammi solo il tempo di prendere i soldi, e–»

«Non mi devi assolutamente niente. Stai tranquilla: è stato mio ospite, e il fatto di averlo visto così felice vale ben più di un biglietto. Magari tutti i visitatori si lasciassero sorprendere dalle bellezze del nostro territorio come ha fatto questo piccoletto...»

Il vegliardo lasciò il bastone vicino alle sbarre del cancello e prese in braccio Shingo. «Ma, in cambio... tu non devi più far stare in pensiero la mamma, d’accordo? È stata molto preoccupata per te, perciò non uscire più di casa senza il suo permesso. Yubikiri genman?[3]»

Protese il mignolo verso il bambino, che subito lo intrecciò e annuì. «Yubikiri genman...»

«... uso tsuitara...»

«... hari senbon nomasu.»

«Yubi kitta!» esclamarono insieme i due, separando i loro mignoli; dopodiché il guardiano posò a terra il piccolino e disse: «Ora che hai giurato, mi raccomando: ascolta sempre la mamma perché ti vuole tanto bene.»

«Sì, ojiisan

«Che bravo bambino!» disse, e rivolse lo sguardo verso Yumi dopo aver arruffato i capelli a Shingo. «E tu non perderlo più di vista... d’accordo? Questo piccino è molto sveglio e, se ha preso dal padre anche nel carattere, ti assicuro che non hai ancora visto niente!»

«Stai dicendo che Susumu era così terribile? Devo preoccuparmi?»

L’anziano prese il bastone che aveva lasciato e scoppiò a ridere. «Certo che no! Ma in tutti questi anni ho visto crescere lui e tanti altri bambini... e ti assicuro che quelli come tuo marito hanno sempre la capacità di sorprenderti. Vedrai, tuo figlio promette bene: proprio come tuo marito, farà grandi cose quando sarà un uomo!»

I due adulti si salutarono con un inchino e, mentre Yumi prese per mano suo figlio e osservò l’anziano guardiano della riserva allontanarsi sempre più da loro, uno schietto pensiero le passò per la mente. Ma se Shingo ha solo tre anni e l’unica cosa che ha fatto con lui è stato vedere dei fiori... mah, staremo a vedere! Per ora voglio seguirlo passo passo...

Lei non poteva ancora prevedere o anche solo immaginare quale sarebbe stato il destino di quel bambino che teneva per mano, ma se proprio in quel momento lo avesse saputo forse non ci avrebbe nemmeno creduto più di tanto.

 

Yumi spostò lo sguardo verso il cancello aperto, allungò la mano libera e lo chiuse dietro di sé; non appena voltò le spalle, un assordante rumore metallico giunse alle sue orecchie. Vide sua madre dall’altra parte del cancello che, per annunciarsi, aveva raccolto un sasso e lo teneva ben stretto, facendolo scorrere lungo le sbarre.

«Guarda un po’!» disse Atsuko, con un sorriso provocatorio. «Da quando in qua si chiudono i cancelli in faccia alle persone?»

«Scusa, mamma: non ti avevo vista!» esclamò Yumi, aprendo di nuovo il cancello e facendo entrare sua madre, che reggeva tra le mani un grande sacchetto di carta ben chiuso con un fiocco.

Shingo notò quel misterioso oggetto e, senza pensarci due volte, protese le mani verso la nonna: pensò che si trattasse del regalo che lei gli aveva portato e voleva scartarlo subito, proprio in quel momento. «È mio, è mio!» esclamò con gioia. «Ti prego, dammelo!»

L’anziana rivolse un dolce sorriso al piccolo, e disse: «Non vuoi aprirlo quando siamo tutti a tavola? Scommetto che anche Yukiko e Riku moriranno dalla voglia di sapere cos’è...»

A quelle parole l’espressione di Shingo cambiò: il piccolo si nascose dietro la gamba della mamma e tornò a singhiozzare.

Inizialmente Atsuko non riuscì a comprendere il perché dell’improvvisa tristezza di suo nipote e, avvicinandosi a lui, cercò di consolarlo in qualche modo. «Cosa è successo, piccolino?»

Yumi lo prese in braccio e lo cullò. Shingo posò il volto nell’incavo del collo della mamma, e continuò a frignare. «Vedi...» rispose la donna, «mio figlio è triste perché Yukiko ha preso l’influenza: proprio oggi che è il suo compleanno!»

«Che bel guaio... non ci voleva!»

Non appena Atsuko si avvicinò ulteriormente a suo nipote, notò che in mano aveva una graziosa camelia dai petali rosa. «Oh, cos'è questo?» chiese, sfiorando con dolcezza il fiore. «Posso vederlo?»

Shingo lo allontanò bruscamente e strinse ancora di più la presa. «Questa è la medicina per la sorellina, e solo la mamma può toccarla!»

«La... la medicina?» domandò l’anziana.

Con un sorriso Yumi voltò le spalle e le fece cenno di seguirla. «È la pianta miracolosa...» sussurrò, mentre entrava in casa. Porse il figlioletto a sua madre, si fece dare quel fiore e arruffò i capelli di suo figlio. «Grazie, piccolo mio. Con questa spezzeremo la maledizione della febbre!»

Atsuko inarcò le sopracciglia, non capendo molto di quella storia: quella che aveva in mano sua figlia sembrava essere una normalissima camelia... ma volle avere fiducia nelle loro parole. Sapeva che, in ogni caso, a Yukiko avrebbe fatto piacere vedere quel grazioso fiore sulla sua piccola scrivania, e che sua nipote si sarebbe sentita meglio solo a guardarlo.

 

 

Shingo e Atsuko erano saliti al primo piano per dare un’occhiata a Yukiko e vedere se nel frattempo si fosse svegliata, mentre Yumi si stava dedicando alla preparazione di un’altra tisana per sua figlia. La giovane madre appoggiò il fiore sul davanzale della finestra della cucina, dopodiché prese gli ingredienti necessari per la medicina di sua figlia, anche se nel frattempo iniziò a pensare cosa avrebbe dovuto fare con quel fiore. Non poteva ricavarci una tisana miracolosa perché la camelia che aveva portato suo figlio non era adatta per essere messa in infuso e bevuta, però poteva pur sempre utilizzarla come decorazione per la scrivania della piccola Yukiko.

Con delicatezza ne staccò un petalo e lo tenne in mano, mentre con un sommesso rumore il bollitore l’aveva appena avvisata che stava per mettersi al lavoro con il contenuto della tisana. Yumi pensò che avrebbe detto a suo figlio una piccola bugia, ma che avrebbe posato quel petalo dal brillante colore rosa sulla bevanda che avrebbe versato nella tazza, come segno della fiducia che aveva in lui.

 

«Bentornato, Shingo!»

«Riku!»

Shingo corse verso l'orsacchiotto di Yukiko e provò ad afferrarlo: lo aveva lasciato che “dormiva”, in cima alla cesta chiusa dove lui e sua sorella riponevano i loro giocattoli, e non vedeva l’ora che anche lui si svegliasse per trascorrere del tempo insieme.

Se Yukiko ormai aveva scoperto da molto tempo l’affascinante meccanismo che permetteva a Riku di prendere vita, diversamente era per Shingo che da bambino ingenuo qual era - e complice la bravura di sua nonna - credeva ancora che Riku riuscisse a parlare da solo. Tuttavia, essendo un bambino molto sveglio e dalle mille domande, aveva iniziato a nutrire dell’interesse mista a curiosità sul perché di certi atteggiamenti che l’orsacchiotto aveva: ad esempio a volte Riku non parlava per interi giorni, guarda caso proprio quando la nonna non era in casa; a volte invece sentiva che balbettava qualche parola anche in assenza della nonna, ma sembrava avere una voce diversa dal solito, meno acuta e più profonda. Shingo non poteva ancora sapere che in quei momenti era la mamma che sostituiva la nonna nell’arte del ventriloquo, e che stava cercando di imitare il più possibile il tono di voce e l’espressione che la vegliarda dava a quel peluche.

La nonna gli aveva sempre detto che «gli orsacchiotti come Riku hanno poteri speciali, e chi ha poteri speciali si riposa di più rispetto a noi!» Nonostante ciò, quella strana situazione incuriosiva sempre più il piccino, che aveva iniziato a chiedere alla nonna molte cose su Riku.

«Perché quando non ci sei tu non parla?»

«Perché quando non ci sei tu ha una voce diversa?»

«Perché non muove la bocca quando parla?»

«Perché quando dorme ha gli occhi aperti?»

Per il piccolo Shingo era iniziata la stagione dei “perché” che arrivava a mettere in discussione tutto ciò che fino a qualche tempo fa era certo per lui, compreso il suo adorato Riku; tuttavia sul suo volto la curiosità lasciava spazio ad una grande felicità ogni volta che l’orsacchiotto tornava a parlare, proprio come stava accadendo in quel momento. Shingo adorava Riku, e gli piaceva trascorrere del tempo con lui giocando e divertendosi insieme.

Dopo alcuni tentativi - tra i quali quello di scuotere la cesta - l’orsacchiotto cadde verso Shingo, e quest’ultimo riuscì ad afferrarlo prima che cadesse a terra: essendo un semplice e morbido peluche Riku non era molto grande né particolarmente pesante, per cui la presa da parte del piccolo non era stata particolarmente difficoltosa. Shingo gli diede una dolce carezza sulla testa, e Riku gli disse: «Sei triste per Yukiko, non è così?»

Il piccolo annuì.

«Non preoccuparti, la sorellina starà meglio! Adesso che hai dato alla mamma la pianta miracolosa, lei si riprenderà in fretta!»

Piuttosto sorpreso dall’affermazione dell’orsacchiotto, Shingo lo guardò sbalordito. «Come... come sai che ho dato la pianta miracolosa alla mamma?»

«Non posso muovermi... ma vi ho sentiti quando siete tornati a casa! Sei stato bravo, presto giocheremo tutti insieme!»

«Wow... le tue orecchie sentono tutto!»

«È normale: sono un orso, e gli orsi sentono qualunque cosa!»

Con Riku tra le sue braccia, Shingo andò da Yukiko che era ancora a letto; nel vederla che stava ancora dormendo, tornò dalla nonna piuttosto deluso. «Quando arriva mamma con la medicina? La sorellina deve guarire!»

Atsuko stava per rispondergli, e sua figlia entrò proprio mentre lei stava per schiudere le labbra.

Yumi portava con sé un vassoio con due oggetti adagiati sulla superficie: una tazza fumante e un piccolo vaso pieno di terriccio, dal quale faceva capolino la camelia che Shingo aveva portato. La giovane madre posò il fiore sul comodino posto accanto al letto di Yukiko, insieme alla tazza fumante. «Ecco qua: la pozione che spezzerà la maledizione della febbre cattiva!»

Shingo si avvicinò a sua madre e diede un’occhiata agli oggetti che ora si trovavano sul comodino. Subito notò che sulla superficie cristallina della tisana vi era un petalo di quel fiore che il guardiano gli aveva regalato, e chiese: «Questa è la pozione magica?»

«Sì,» rispose la madre, «e quest’altro è un vaso che ho preparato per Yukiko, che le farà compagnia quando sarà sola!»

«Che bello, così la sorellina guarirà presto!»

«Ma adesso dobbiamo andare...»

«Perché?»

«Perché la medicina deve fare effetto, e per fare effetto la sorellina ha bisogno di stare da sola. Anzi... non sarà del tutto sola: ci sarà Riku a farle compagnia!»

«E non la aiuti a bere la medicina?»

A Yumi sfuggì un sorriso divertito, che il piccolo notò subito e commentò così, spalancando gli occhi: «Sta già meglio?»

Sua madre annuì e portò l’indice sulle sue labbra, intimandogli di restare in silenzio. Shingo si portò una mano sulla bocca e mugolò di felicità, mentre sua madre lo prese per l’altra mano e insieme andarono verso la porta d’ingresso della cameretta.

«Secondo me Yukiko potrà già giocare oggi con te,» sussurrò la donna, abbassando con dolcezza la maniglia. «Vedrai che starà già meglio quando torneremo dopo pranzo.»

Shingo si tolse la mano dalla bocca e sorrise. «Sì! Sono molto, molto felice!»

 

 

Le cose, però, andarono in modo leggermente diverso da ciò che il piccolo Shingo aveva immaginato. Nonostante il sonno che avanzava su di lui, il bambino aveva in programma di restare sveglio anche nel dopo pranzo, così da andare a trovare Yukiko e vedere se lei si fosse ripresa oppure no; tuttavia, proprio perché non era riuscito a riposare prima, finì per addormentarsi nel bel mezzo del pranzo.

Atsuko lo prese in braccio e lo pose sul piccolo divanetto che era nel soggiorno; gli mise addosso una coperta e, in silenzio, tornò nella cucina dove intanto sua figlia aveva iniziato a sparecchiare la tavola. «Allora,» disse a Yumi sottovoce, «come procedono i preparativi?»

La donna si portò una mano sulla fronte. Anche su di lei la stanchezza iniziava a farsi sentire e sapeva che doveva riposare un po’, ma si chiedeva quando avrebbe avuto tale possibilità. «Con Yukiko a letto, oggi non è stato facile. È vero: c’è un bambino in meno che gironzola per la casa, però la fatica è stata doppia. Non sono riuscita nemmeno a preparare la torta…»

Atsuko si avvicinò a sua figlia e disse: «Tranquilla, ora ci sono io. Adesso vai a riposarti un po': mi occuperò io del resto... anche della torta! Non pensare che non ce la faccio solo perché inizio a perdere qualche colpo: queste mani sanno ancora preparare dei gustosi manicaretti, eh!»

«Non pensarci nemmeno, mamma. Non conta la tua età: anzi, so molto bene che sei una roccia... ma oggi sei un'ospite, e per questo non devi assolutamente occuparti di niente. Dai solo un’occhiata a Shingo e a Yukiko; per il resto me la vedo io...»

Sua madre le accarezzò dolcemente la guancia. Era un gesto tipico della loro famiglia: proprio come, poche ore prima, Yumi lo aveva fatto nei confronti di Yukiko, così quello di Atsuko era un modo così semplice quanto espressivo per dare conforto a sua figlia. «Ed io ti ho già detto che devi stare tranquilla. Non ti distruggerò la cucina, se questo è ciò che ti preoccupa.»

«Certo che no, ma non voglio lo stesso che ti sforzi per aiutarmi: vedrai, ce la farò anche da sola, anche se sono molto stanca... vorrà dire che stasera dormirò di più!»

Mentre stava per voltare le spalle alla madre Yumi iniziò a barcollare, rischiando di perdere l'equilibrio; per fortuna che Atsuko la afferrò, e la aiutò a sorreggersi.

«Vedi?» disse l'anziana, rivolgendo a sua figlia un caldo sorriso. «Lo capisco. Non è facile stare dietro ai tuoi figli, soprattutto a quel piccolo uragano di mio nipote... hai una forza inimmaginabile! Ma ora hai bisogno di riposo: dai, mettiti anche tu sul divano con Shingo...»

«Mamma, però io...»

«Niente “però”. Devi essere in forma alla festa di compleanno di tuo figlio: lui vuole vederti felice e, soprattutto, piena di energie... e anche Yukiko, lei più di tutti!»

Yumi fissò Atsuko con sguardo pregno di tristezza. Aveva ragione sua madre: lei voleva essere sempre forte per i suoi figli e, forse, il restare in piedi per tutta la giornata sarebbe stata a lungo andare una soluzione controproducente. «Forse... forse non hai tutti i torti. D’accordo: mi riposerò, ma solo per un po’...»

«Vuoi che ti accompagno?»

«No, grazie: riesco ancora a reggermi in piedi. Prometto che cercherò di non cadere finché non raggiungerò mio figlio... però, ti prego: tra qualche minuto sali in camera di Yukiko, portale il cibo che le ho preparato e assicurati che abbia bevuto tutta la tisana. Poi, quando hai fatto, mi svegli tra un’oretta se vedi che mi sono già appisolata, d’accordo? Non di più, altrimenti non riuscirò a finire tutto in tempo...»

Yumi lasciò la presa dell'anziana madre e si allontanò verso il soggiorno, accomodandosi dove già era il piccino; si sdraiò al suo fianco, strinse a sé suo figlio e anche lei si lasciò andare nel mondo dei sogni.

Nel vedere quella scena, il cuore di Atsuko si riempì di serenità.

Che tipi... ma non preoccupatevi: da qui in poi ci penso io!

 

 

 

Il piccolo Shingo si svegliò quando era già tardo pomeriggio. La prima immagine che vide fu il viso sereno di sua madre che stava dormendo al suo fianco, ma in quel momento si ricordò subito di dover andare da Yukiko e controllare che stesse bene; provò così a liberarsi dalla stretta di sua madre, che lo teneva vicino a lei con il braccio ma, non riuscendoci, cercò di svegliarla scuotendola per le spalle.

«Mamma, mamma!»

A quel richiamo Yumi aprì lentamente gli occhi e focalizzò suo figlio che la stava chiamando. Con un profondo sbadiglio gli sussurrò: «Ah, che bella dormita... cosa c’è, Shingo?»

«Dobbiamo vedere se la medicina ha funzionato, mamma: dobbiamo andare dalla sorellina!»

A quell'ultima risposta di suo figlio, Yumi si alzò di colpo. Rivolse lo sguardo verso il balcone del soggiorno e, nel vedere il cielo ormai al tramonto, iniziò a preoccuparsi: sua madre non l’aveva svegliata, e lei aveva ancora molto da fare prima dell’arrivo di suo marito.

«Oh, no! Per quanto tempo ho dormito?!» Senza pensarci due volte Yumi prese suo figlio in braccio e si precipitò nella cucina, pensando di trovare sua madre ai fornelli; invece di lei nessuna traccia, anche se il forno era stato spento da poco a giudicare dal calore che si poteva percepire per l’intera stanza. Così la giovane madre corse al primo piano, e aprì gli occhi per il grande stupore non appena spalancò la porta della cameretta dei piccoli.

«Sorpresa! Buon compleanno, Shingo!»

La stanza dei suoi figli era stata adornata con tante decorazioni colorate e nell’angolo era stato allestito un tavolino con la torta che sua madre aveva appena sfornato e finito di decorare; Riku, invece, era seduto accanto a Yukiko che, sebbene ancora a letto e con la coperta addosso, era decisamente sveglia a giudicare dalla gioia che stava riempiendo il suo volto. Con la bambina vi erano sua madre Atsuko e anche suo marito Susumu, seduti rispettivamente su una sedia e il piccolo pouf e dai quali si alzarono per accogliere lei e Shingo.

Devo aver dormito davvero parecchio, se anche mio marito è qui... pensò Yumi mentre suo figlio, non appena notò che Yukiko si era finalmente ripresa, si divincolò da lei e con un balzo corse in direzione del letto.

«Sorellina!» urlò, e l’abbracciò più forte che poteva. «Sei guarita!»

«Ancora no... però sto meglio!» rispose Yukiko con un filo di voce, ma dal tono più allegro che mai. «La nonna mi ha raccontato tutto: grazie per la pianta miracolosa, fratellino!»

«Che bello! Così possiamo giocare insieme!»

Il bambino saltellò felice, perché stava avvenendo proprio come nella storia che sua madre gli aveva raccontato: grazie alla pozione magica sua sorella era stata liberata dall’incantesimo e ora poteva giocare con lui... proprio nel giorno del suo compleanno!

 

«Il ragazzino corse per tutta la montagna dello stregone, senza fermarsi mai. Aveva tra le mani la pianta miracolosa, e già quando era alle pendici aveva iniziato ad urlare: “Ce l’ho fatta: ho la pianta, ora puoi spezzare l’incantesimo!”

Nell’udire quella voce colma di allegria, lo stregone capì subito di chi si trattava e decise di raggiungerlo senza esitazione. I due si incontrarono a metà strada, e lo stregone chiese al ragazzino se potesse accompagnarlo nella piazza del villaggio, dove vi era un pozzo profondo, coperto da un cerchio di legno molto spesso e pesante per impedire che i bambini lo spostassero inavvertitamente e ci finissero dentro.

Sopra quel coperchio lo stregone appoggiò una ciotola che aveva portato con sé, all’interno della quale mise le foglie della pianta miracolosa, e mentre mescolava il tutto con una palettina di legno iniziò a mormorare: “Magia delle magie... riporta tutto come prima!”

E, come un fulmine a ciel sereno, un forte bagliore partì da quella ciotola e illuminò tutto il villaggio. A poco a poco gli abitanti si risvegliarono dal lungo sonno e, rivolgendo gli occhi verso quella brillante luce, videro lo stregone che stava sorridendo, felice anche lui di vedere che tutti stavano per essere liberati dalla maledizione che egli stesso aveva lanciato senza volerlo; non appena iniziarono a capire che lo stregone li stava aiutando, si radunarono nella piazza increduli per ciò che stava accadendo. Anche quei giovani uomini che anni prima lo avevano preso in giro si recarono in quel punto, e non compresero bene perché lo stregone avesse salvato anche loro dalla maledizione; non appena egli terminò la magia, furono i primi a scusarsi con lui per il modo in cui lo avevano trattato, e furono anche i primi a ringraziarlo per ciò che aveva appena fatto!

Nella piazza arrivarono anche i genitori del ragazzino che, non appena lo videro, si ricongiunsero a lui. Tutti gli abitanti del villaggio erano felici di essere svegli, e pronti per un’altra giornata che decisero di dedicarla al divertimento... tutto grazie a quella pianta miracolosa ma, soprattutto, allo stregone che da quel giorno divenne un loro compaesano, e grazie ai suoi poteri potè dedicarsi alla cura di chi si trovava in difficoltà, diventando il medico del villaggio. Da quel giorno nessuno lo prese più in giro per la sua diversità, e lui fu contento di essere riuscito a realizzare il desiderio di avere degli amici e delle persone sulle quali poter sempre contare... tra esse vi era proprio il ragazzino che lo aveva aiutato a trovare la pianta miracolosa, e che presto divenne il suo più fidato apprendista!»

 

Intanto Yumi era rimasta ancora vicino all’ingresso e con molta incredulità continuava a guardarsi intorno. Atsuko prese in braccio Riku, si avvicinò a lei e le disse attraverso l’orsacchiotto: «Piaciuta la sorpresa? È tutto merito mio!»

«In effetti, mi stavo giusto chiedendo chi avesse rivoluzionato la cameretta in un baleno,» rispose Yumi con ironia; ma subito dopo sorrise e diede un buffetto all’orsacchiotto.

«Sai che proprio un genio, caro Riku? Organizzare la festa di compleanno di Shingo qui... ora ti devo un favore!»

«Eheheh!»

Poi la donna abbracciò sua madre, e le sussurrò con commozione: «Grazie, mamma. Immagino che per te deve essere stato molto faticoso, e mi dispiace tanto di non averti dato una mano...»

Atsuko le accarezzò la testa, e le disse: «Su, non pensarci più! L’importante è che i miei nipotini si divertano: se loro sono felici... anche noi lo siamo!»

La giovane madre si asciugò le lacrime che iniziavano a scivolare dagli occhi, e annuì. Rivolse lo sguardo verso il letto, dove Shingo aveva iniziato a giocare con Yukiko: lui stava agitando nell’aria un peluche a forma di stella marina, mentre sua sorella aveva tra le mani un cavalluccio. Al loro fianco ora vi era anche suo marito Susumu, che stava provando - invano - a convincere il piccolo ad andare verso il tavolo per la torta e l’apertura dei regali; tuttavia sembrava che Shingo non ne volesse sapere né del gustoso dolce né tantomeno di ciò che gli avevano regalato.

Di fronte a quella scena, Atsuko rise di felicità. «A quanto pare, oggi il mio nipotino pensa solo a giocare con Yukiko... e dire che oggi dovrebbe essere la sua festa! Dallo sguardo che ore fa aveva verso il mio regalo, già lo immaginavo pronto ad afferrare quel sacchetto, scartarlo in due secondi e mostrare ciò che aveva trovato alla nostra Yukiko, e invece...»

Yumi sorrise. «Sai, mamma? Forse lui ha già avuto il suo regalo.»

«Davvero?»

«Sì. Secondo me... oggi è felice di poter giocare con la sorellina, e non pensa a nient’altro!»

E forse quella non è solo una favola, pensò. Le piante miracolose esistono per davvero: quella camelia ci ha dato una grande mano, tenendoci uniti più che mai!

 

 

Note dell'autore:

[1] Il kabocha è un tipo di zucca invernale, solitamente utilizzato come ingrediente nella tempura, presente per la maggior parte in Giappone, Corea e Thailandia.

[2] Ojiisan = nonno. Contrariamente a quanto si possa pensare, in Giappone è buona abitudine chiamare un anziano “ojiisan” in segno di rispetto. L’equivalente del nostro “nonno” si può tradurre in questo caso come “signore”, senza alcuna connotazione dispregiativa ;)

[3] “Yubikiri genman” è l’equivalente del nostro “Giurin giurello”; per ulteriori informazioni si rimanda all'angolo che segue dopo le note.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Quarto appuntamento di The feathers on the wings of time! Stiamo per addentrarci nel passato di questi due pargoletti, e oggi è la volta dei tre anni di Shingo! **

Prima di proseguire, come sempre vi presento la quarta "appendice" dei nomi. Oggi è molto corta perché riguarda solo un personaggio, il nonno paterno del protagonista che è stato citato due volte in questo capitolo riguardo la struttura della casa dove abita la sua famiglia:

 

- Haruo 「春男」 è il capofamiglia degli Aoi, il padre di Susumu. Come forse qualcuno di voi potrebbe aver intuito, non c’è più da un bel pezzo insieme a sua moglie... È lui ad aver progettato e costruito la casa degli Aoi, con tutte quelle particolarità che ho descritto: il misterioso angolo sul retro (mai utilizzato da Susumu e lasciato come spazio aperto che immette direttamente sulla strada) separato dal giardino dal piccolo cancello in legno, e la cameretta ricavata dalla mansarda con quelle due aperture di luce forse un po’ strane, ma che io ho trovato originali (la finestra sul tetto e l’ingegnosa finestra a balcone). Anche lui, come la maggior parte degli abitanti di Nakahara, è un artigiano: ha dedicato tutta la sua vita a fare il carpentiere, affiancandolo al lavoro della bottega che poi Susumu ha ereditato - e del quale parlerò in modo approfondito in futuro. Il suo nome significa "uomo della primavera".

 

Anche su questa parte, come sempre qualche precisazione che non ho inserito nelle note dell'autore.

- Riguardo la colazione di Shingo, ho provato a cercare sul web una classica colazione per i bambini giapponesi... così mi sono imbattuta in questo interessante link riguardo le diverse colazioni nel mondo. Qui, nelle rispettive foto numero 10 e 11, troviamo il nattō, alimento tradizionale giapponese dal sapore molto forte prodotto attraverso la fermentazione dei fagioli di soia, riso bianco, zuppa di miso, il kabocha già citato nel testo, cetrioli, frittata di uova e salmone grigliato. La bambina ritratta nella foto ha un anno in meno del piccolo Aoi, per cui ne ho dedotto che fosse del tutto normale per un bambino dell'età di Shingo avere quel genere di colazione... Riguardo l'acqua, siccome anche nella mia storia Shingo è scatenatissimo, ho pensato più ad una classica borraccia adatta proprio per i bambini della sua età piuttosto che un bicchiere vero e proprio, altrimenti l'acqua sarebbe volata ovunque... ;D

- A proposito della casa degli Aoi, in realtà nel capitolo 5 del World Youth (in fondo a pagina 6 delle scan) si intravede parte della facciata della dimora. Quindi, diciamo la verità: la mansarda è mia pura invenzione, LOL! Perciò potete immaginare che il balcone che si vede in quella pagina sia della camera dei genitori, mentre il resto si trova alle spalle... ad ogni modo, per la finestra a balcone citata nella cameretta dei piccoli ho consultato qualche link come questo per avere un'idea del funzionamento. E, a proposito della cameretta, riguardo le mensole a parete progettate da Susumu a mo' di libreria, le ho immaginate così! (Giusto un esempio per darvi un'idea ;))

- Almeno nel caso del piccolo Shingo, mi piaceva inserire l'uso di "ojiisan" nel mondo giapponese. Spesso i bambini usano termini che noi traduciamo come "nonno" e "zio" anche per rivolgersi a persone con le quali non si condivide alcun legame di sangue, in segno di rispetto - come in questo caso - senza alcuna connotazione dispregiativa. Da qui, la storia dell'inizio dell'amicizia tra Shingo e il guardiano della riserva naturale di Nakahara che, a quanto pare, in realtà conosce molto bene il suo papà...

- ... e, a proposito di ciò, è stato mentre ho trovato l'equivalente del nostro "Giurin giurello" (con tanto di mignoli intrecciati) che mi sono imbattuta nella filastrocca del "Yubikiri genman", molto popolare tra i bambini, che si recita mentre si fa il giuramento e che termina con la “yubi kitta!”. Volete sapere di cosa parla tale filastrocca? Beh... "se manchi alla promessa ti faccio inghiottire mille aghi". Insomma, in questo modo viene sottolineata l'importanza di un giuramento, che non è una cosa da poco! :3

- La porta d'ingresso del tempio shintoista di Gifu e il lungofiume di Shinsakai della città di Kakamigahara sono luoghi realmente esistenti, soprattutto il secondo è famoso proprio per lo spettacolo dei ciliegi in fiore in Giappone. È vero che anche Nakahara si trova nello stesso territorio di Gifu - come ricordato nel precedente capitolo sulla storia degli Aoi - ma ho immaginato essere un po' distante dall'immaginario ruscello dove si trovano il guardiano e il piccolo Shingo, cosicché non possono raggiungerli a piedi (il guardiano non ha un’automobile perché abita nella zona e Shingo è appiedato come lui XD)

- Sulle camelie, esiste proprio una specie tipicamente giapponese. La camelia giapponese (o camellia japonica) ha una fioritura precoce rispetto alle sue simili, che va dal mese di gennaio a quello di marzo, perciò con i tempi ci siamo; per chi fosse interessato, qui potete leggere un interessante articolo sulla storia della camelia giapponese e come ha conquistato il resto del mondo. In generale la camelia è nota per essere un fiore dal profumo quasi impercettibile, inoltre non ho trovato in giro molte ricette di tisane o tè con la camelia: a quanto pare solo determinati tipi di camelia possono essere utilizzati per infusi, come questa dalla Cina. Perciò, nel dubbio, non ho fatto preparare a Yumi una tisana al gusto di camelia, ma è interessante ricordare come la camelia è conosciuta come il fiore che annuncia la primavera, e considerata simbolo di longevità, legame d’amore, matrimonio felice, fortuna, vittoria e felicità (per cui, è ben augurante per la piccola Yukiko! **)

- Infine, gli orsi sono tra gli animali che hanno un udito e olfatto ben sviluppati, per cui Riku è orgoglioso di pronunciare quella frase (che furbetta la nostra Atsuko! XD)

 

A questo punto, da parte vostra potrebbe sorgere spontanea una domanda: come mai Shingo, a differenza di Yuzo, non ha così tanti parenti sparsi nei vari capitoli? Avrete notato che nella storia dei Morisaki abbiamo molti personaggi, ciascuno con una caratteristica ben precisa mentre, gira e rigira, gli Aoi sono sempre "quattro gatti" (il che non è propriamente vero, considerato il fatto che presto ne conoscerete altri)... però in questo punto della storia potreste aver sentito una "mancanza" di personaggi nella parte di Shingo.

Ebbene, il motivo principale è il seguente: come ben sapete per i Morisaki sono partita praticamente da zero nella costruzione della loro famiglia, mentre per gli Aoi esistevano già tre figure comparse nella storia di CT. Shingo e Yuzo, nonostante siano nati lo stesso giorno (ma in due anni diversi), hanno due caratteri quasi opposti tra loro e due percorsi calcistici completamente diversi: è inevitabile che - almeno nel mio immaginario - abbiano avuto storie di vita diverse tra loro e forse quasi antitetiche, a cominciare dai piccoli dettagli come la presenza o meno di parenti e altri personaggi. E, proprio a proposito di quest'ultimo elemento, per Yuzo mi è venuto più facile immaginare un mondo familiare costellato da più fratelli e zii rispetto a Shingo con il quale sono partita con un'idea di famiglia molto "intima", costituita dai genitori, dalla nonna e dalla sorella... attenzione, però: questo non vuol dire che le storie di Shingo saranno quelle meno corpose e significative, eh! D'altronde, se così non fosse stato, ad esempio non sarebbe nato questo lungo, lunghissimo capitolo... LOL; inoltre presto conoscerete altri personaggi, che non saranno parenti stretti di Shingo ma persone che incontrerà lungo il suo cammino. Vedrete cosa ho in serbo per lui! :3

È ancora presto per tirare le somme: siamo ancora agli inizi, però spero che ai vostri occhi sto trattando bene i piccoli protagonisti di questa storia. Nel progettare queste prime parti, mi sono sentita un po' come se fossi stata la loro "mamma", tenendoli per mano per poi aiutarli a prendere confidenza con il mondo che li circonda... ed è proprio così, Yuzo e Shingo devono ancora fare esperienza e imparare molto dalla vita. (E, considerando il come sono cresciuti, direi che le loro esperienze sono servite a renderli più forti e coraggiosi! ;3)

A conclusione, come sempre ringrazio tutti coloro che stanno seguendo questa storia, sia silenziosamente che con le loro recensioni, e ci vediamo al prossimo aggiornamento con la parte su Yuzo! Il finale è ancora lontano... ma non siete curiosi del "dove andrò a parare"? ;)

--- Moriko

 

 

   
 
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