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Autore: Anmo    23/11/2020    0 recensioni
"Era solo un cane che mi ha cambiato la vita" è un libro scritto dalla sottoscritta, pubblicato il 26 ottobre 2020. L'acquisto del suddetto libro aiuterà economicamente un'associazione no profit che si occupa del recupero di cani abbandonati in strada, per curarli e ricollocarli in nuove famiglie pronte a riceverli. Ovviamente vi sono dei costi di gestione (alimentazione, sterilizzazioni, cure mediche) abbastanza elevati. Con l'acquisto di questo libro perciò aiuterete a ricoprire i vari costi e aiuterete tanti pelosi a riavere una nuova vita!
Il libro è in vendita su tutti i principali Store online Amazon IBS Mondadori Store Feltrinelli, ecc. e ordinabile anche in tutte le librerie. Troverete il link Amazon all'inizio di ogni capitolo.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

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Nell’aprile 2012 mi trovavo nel centro commerciale della mia città. Mentre passeggiavo per i vari corridoi, mi accorsi di una cosa un po’ insolita: molte persone tenevano con sé dei pulcini. Chiedemmo perché di questa cosa e ci risposero che al negozio di animali li regalavano come simbolo della Pasqua. Io e mio padre ci guardammo negli occhi, lui pensava alle uova, io ad un nuovo animale da coccolare. Ne prendemmo due, uno giallo e l’altro totalmente nero, con una macchia bianca sulla testa. Erano tenerissimi, pigolavano incessantemente, cosa che inizialmente portava anche allegria, ma dopo qualche ora diventò una tortura. Avevano quelle zampe grosse e robuste, morbide al tatto. Ero abituata con le zampine sottili dei canarini, quelle dei pulcini mi sembrarono sproporzionate. Li mettemmo dentro una scatola e li lasciammo in veranda, ma quella notte la temperatura scese troppo, e il giorno dopo trovammo il pulcino giallo, il più visto dei due, come paralizzato. Respirava, ma non riusciva a stare in piedi. Lo mettemmo immediatamente sotto una lampada, cercammo di riscaldarlo più che potemmo, ma non ci fu nulla da fare e quella mattina se ne andò. L’altro invece, quello nero, riuscì a superare quella notte, forse grazie al calore del fratello. Da quel giorno, non lo lasciammo più in veranda, anche se chiusa era ugualmente troppo fredda. Un po’ per i sensi di colpa, un po’ per la paura che potesse succedere di nuovo, tutte le sere me lo accucciavo tra le mani, avvolto in delle pezze. Pigolava dolcemente sentendosi protetto. Guardavo la tv con lui in braccio e nel contempo pedalavo sulla cyclette. Kyra se la faceva sempre alla larga da lui, cominciò ad averne paura dal momento in cui Black (lo chiamai così il pulcino inizialmente) le morse la coda. Un bel giorno Black uscì dalla sua scatola, saltò sulla cesta dove era posizionato il vaso di mia madre, mangiandosi tutta la piantina di basilico. Alla sol vista, mio padre si infuriò e con uno schiaffo lo scaraventò in aria. Io mi precipitai prendendolo subito in braccio, Black piangeva come un bambino.
Quel giorno lo odiai, a mio padre.
            -Era solo una stupida piantina!
            -E quello è solo uno stupido pulcino.
Un giorno si vantò con i suoi colleghi per l’eroico gesto nell’aver vendicato il basilico, ridendo sul fatto che lo avesse scaraventato in aria. Essendo presente, lo ripresi davanti a tutti sottolineando quanto poco onore c’era in quel gesto. Lui  rimase in silenzio e nessuno mi contraddisse. Per circa un mese Black rimase zoppo, il sol vederlo camminare in quel modo mi intristiva, ma per fortuna pian piano tornò nella normalità.
La cosa strana di questo pulcino fu che non cresceva mai. Da che era totalmente nero (ad esclusione delle penne sul capo) col passare del tempo spuntarono altre piccole piume bianche, finché il suo manto si trasformò in una fantastica scacchiera. Aveva un piumaggio insolito, non ne avevo mai visti di così belli, era semplicemente spettacolare. Mia madre fece una ricerca su che tipo di razza fosse, apparteneva alla Plymouth rock. Dopo qualche mese, grazie ad una mia amica, riuscimmo a trovargli compagnia: due belle pollastre, provenienti sempre dalla stessa distribuzione pasquale. Ah, lui era un gallo, un bellissimo gallo. Lo scoprimmo quando lo portammo da mia nonna per un breve periodo, fu lì che cantò la prima volta.
Dopo di che, li portammo tutti in campagna.
Vi era un piccolo magazzino diviso in tre stanze: sgabuzzino, forno e sala grande. La sala con la fornace era quella più adatta, non la usavamo, c’era la luce giusta per loro e la porta non era altro che un cancelletto in metallo. Si divertivano a salire in cima alla fornace per poi lanciarsi da lì.
Per quanto riguarda il rapporto tra Black e mio padre, divenne abbastanza problematico. Mio padre non poteva assolutamente avvicinarsi a lui o rischiava di essere attaccato da Black. I galli non dimenticano.
Solo io e mio fratello potevamo aprire lo stanzone, pulire e mettere da mangiare. Naturalmente le coccole non mancavano mai. Anche se i tre pollastri si trovavano da tutt’altra parte, non appena li chiamavo, fischiando e battendo le mani, correvano immediatamente da me, con quel passo goffo che trapelava tenerezza da tutti i pori. Prendevo Black in braccio, lo mettevo a pancia in su e poi gli facevo i grattini in mezzo alle penne della testa. Lui stava lì fermo, a godersi le coccole ad occhi chiusi, battendo velocemente il becco come segno che apprezzava.
Anche mia madre aveva problemi con lui, si era divertita a stuzzicarlo con un legnetto, per questo diventò ostile anche con lei. Non posso negare di essermi divertita anche io a stuzzicarlo, muovendogli la ciabatta ad un palmo dal becco, ma senza mai fargli male. Si agitava un po’, cercando di colpire la scarpa con le sue potenti zampe, ma nulla di più. Quelle zampe erano affascinanti, forti e robuste, davano un senso di preistorico.
Le galline cominciarono a fare le uova e i miei genitori furono felici. Una delle due un giorno scappò, la trovammo sbranata dai cani randagi. Per quanto riguarda Black (che mia madre cominciò a chiamare Carletto) e Rosita (la gallina superstite) non vi è stata nemmeno per loro una bella fine… Come ogni giorno, mio padre andava a portargli da mangiare, ma ce ne fu uno in cui trovò il cancello aperto. Qualcuno aveva rotto il lucchetto con una pietra, portandosi sia Black che Rosita. Non abbiamo più saputo nulla di loro.
Vi ho raccontato tutto questo solo per farvi capire che il pollame non è come normalmente ce lo immaginiamo, un ammasso di piume che cammina e mangia senza un minimo di cervello o sentimento. Potrei mettere l’intelligenza di un pollo alla pari di quella di un Cacatua. Ogni animale è fatto per l’ambiente naturale in cui avrebbe dovuto vivere, è normale che un pollo non è predisposto ad avere un legame con un umano, perché si sa, l’uomo è un predatore e la gallina è una preda. E naturalmente l’esperienza che ho avuto con Black non è paragonabile alla vita che ho vissuto con Kyra.
   
 
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