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Autore: Moriko_    25/11/2020    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
A6QtaY4

Germogli.

{Sei anni | Aoi's side}

 

 

BGM: Yair Albeg Wein - Chasing Inspiration

 

 

 

[12 Marzo, un anno dopo. Nakahara, prefettura di Gifu.]

 

Il sole splendeva alto nel cielo di Nakahara, senza alcuna nuvola. Era una di quelle giornate ideali per le prime passeggiate verso i monti circostanti con le cime ancora ricoperte di neve, e lo era anche per i coltivatori di riso e di tè che avrebbero avuto a disposizione delle ore in più per dedicarsi alle loro amate terre. Alcuni abitanti di Nakahara, però, non erano contadini o allevatori di professione: non erano proprietari di aziende agricole ma semplici artigiani che nel tempo libero curavano quel piccolo appezzamento di terreno accanto alla loro casa, ricavando il necessario per la loro famiglia da quelle piante che avevano seminato nel corso dell’anno.

Anche Atsuko, che rientrava in quella categoria di persone, approfittò della splendida giornata per innaffiare le sue piantagioni di tè, poste nei pressi della sua dimora. L’anziana viveva in una tradizionale casetta di legno e paglia, piccola e modesta rispetto a quella della famiglia di sua figlia, che si trovava accanto al torrente che attraversava la periferia della cittadina. Da tempo ormai immemore al fianco della casa vi era un piccolo mulino ad acqua di legno, creato dal suo defunto marito Kunio e raggiungibile attraverso una scalinata con i gradini in pietra.

Quel mulino non era un caso isolato: la maggior parte degli abitanti di Nakahara erano abili artigiani, e la famiglia di Atsuko non faceva eccezione: se suo padre Katashi era stato un famoso intagliatore di legno e sua madre Shinju una rinomata ceramista, diversamente suo marito era stato un grande costruttore di tante strutture presenti nella cittadina e nelle sue vicinanze. Mulini ad acqua, masserie e stalle, strade e ponti, sacrari shintoisti: tutte portavano la firma di Kunio, richiamando lo stile vetusto del quale avevano lasciato traccia gli antenati degli abitanti dell'antico centro storico situato nel cuore della cittadina. Non a caso, anche la maggior parte delle case di quella zona di Nakahara era opera del marito di Atsuko e di altri costruttori che, mettendo in pratica gli insegnamenti dei loro antenati trasmessi di padre in figlio, avevano portato avanti le tradizioni nel creare variegate strutture che rappresentassero un tutt’uno con la natura: dalle montagne circostanti sembrava che Nakahara fosse immersa nelle foreste che la circondavano, e non era un’impressione errata. Dai rilievi dolci sui quali era adagiata la cittadina correva una fitta vegetazione, che si intrecciava alle prime abitazioni che si trovavano nelle immediate vicinanze, mentre l’adiacente riserva naturale con la sua forma a mezzaluna sembrava accoglierne altre in un indissolubile abbraccio; tutto ciò grazie alla sapiente opera manifatturiera dei costruttori di Nakahara, tra i quali anche Kunio aveva lasciato un grande contributo. Per anni, dunque, Atsuko aveva vissuto al suo fianco la grande stagione della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale che, anche se non aveva colpito direttamente il territorio di Gifu, gli effetti del tracollo economico dell’intero Giappone avevano avuto come conseguenza l’emigrazione verso le campagne circostanti, con la necessità di adattare nuovi luoghi alle esigenze di tutti i cittadini.

Ma Atsuko aveva sempre vissuto i molteplici volti dei quali era costituito il mondo dell'artigianato, e questo fin dalla sua nascita. Anche Riku, l’orsacchiotto dei suoi nipoti, era opera della sua famiglia, un dono che quando era piccola le aveva fatto sua madre: proprio lei aveva iniziato ad insegnarle l’arte del ventriloquo, raccomandandole di affidare quel giocattolo alla sua futura discendenza e di dargli, così, nuova vita. Sebbene sua madre fosse stata specializzata nel settore della ceramica che aveva iniziato a conoscere grazie a una sua amica di scuola, proveniente da una famiglia di rinomati ceramisti, ella aveva continuato a coltivare tale arte nel tempo libero, inseguendo la tradizione di costruttori di giocattoli che la madre le aveva lasciato. Alla sua morte, avvenuta prematuramente quando Atsuko aveva solo dieci anni, di fatto era stata Kohaku - la zia della piccola - ad ereditare la tradizione di famiglia, assumendosi con sua nipote il compito di riprendere da dove lei aveva lasciato, ed era stato grazie a lei che Atsuko aveva affinato sempre più quest’arte, arrivando ad essere la più brava della sua famiglia e riuscendo a far parlare Riku senza muovere minimamente le labbra, né alcun muscolo del viso.

Atsuko stessa, poi, con l’aiuto di suo marito e di quello di Yumi, Susumu, aveva costruito la casa dove ora abitava sua figlia, e lei in particolare si era occupata di scegliere le piantagioni e gli alberi adatti per il terreno destinato alla futura famiglia Aoi. Proprio lei, a distanza di un anno dalla morte di suo marito e subito dopo il matrimonio di sua figlia, aveva avuto l’idea di piantare il primo albero - quello di ulivo - inaugurando così una tradizione nella quale ogni membro della famiglia doveva piantarne uno e occuparsi dello stesso. Atsuko era stata la prima con quell’albero, seguita da Susumu che aveva scelto un piccolo albero di limone - scelta ardua, a causa delle fredde condizioni climatiche della zona - e Yumi, che invece aveva deciso di piantare un albero di mele. Per i suoi due nipotini, i neo genitori avevano deciso che sarebbero stati loro a piantarne uno alla loro nascita: per Yukiko un piccolo albero di susino, mentre per Shingo un castano.

La casa della famiglia Aoi era poco distante da quella di Atsuko, e per tale motivo non le era mai difficile riuscire ad incontrare i suoi adorati nipoti: le bastava percorrere la strada che era parallela al torrente e, dopo una piccola salita, arrivare a destinazione nel giro di pochi minuti. Come quelle due dimore, così anche la stessa vita di Atsuko era ormai legata alla famiglia Aoi: tutti i giorni pranzava e cenava nella casa di sua figlia, lasciando ciò che faceva per stare insieme a lei, Susumu, Yukiko e Shingo. Anche quel giorno, così speciale perché era il sesto compleanno del nipote più piccolo, Atsuko avrebbe trascorso parte del tempo nella dimora degli Aoi: diversamente da come avveniva negli altri giorni, l’anziana non avrebbe pranzato insieme a loro perché aveva un compito ben preciso che si era prefissata e che doveva portare a termine prima della cena.

Dopo aver finito di innaffiare le piantagioni, Atsuko si recò presso il mulino per prendere dell’acqua che le serviva per la casa. Con un secchiello di legno ritirò l’acqua e tornò nella sua abitazione dove, posato il secchiello, andò subito nel piccolo laboratorio per dedicarsi alla sua ultima creazione: infatti, da suo padre aveva ereditato una buona capacità di intagliare il legno, e nel tempo libero si divertiva a creare utensili e oggetti decorativi, ma anche giochi per i piccoli di casa.

Atsuko si sedette su uno sgabellino in legno posto di fronte al piano di lavoro - anche quello di sua creazione. Accesa la luce che illuminava il piano, l’anziana riprese quell’ultimo lavoro al quale si stava dedicando da settimane con calma e pazienza: Atsuko aveva avuto un’idea unica al mondo come regalo di compleanno per suo nipote, ed era certa che quell’oggetto che stava per essere completato dalle sue mani gli sarebbe piaciuto molto. In realtà le serviva ancora del tempo, però non si scoraggiò: era sicura che avrebbe completato la sua opera entro il tardo pomeriggio.

 

 

 

 

Quella splendida giornata stava accattivando non solo coloro che si dedicavano alle coltivazioni per professione o in ambito familiare, ma anche i bambini di Nakahara. Il periodo primaverile era noto in quella zona per essere abbastanza capriccioso: erano più i giorni di pioggia rispetto a quelli di sole, per cui i bambini approfittavano di quei momenti di sereno per uscire di casa quando non erano impegnati con i compiti o altre faccende.

Anche Shingo aveva avuto quello stesso pensiero nel primo pomeriggio di quella giornata del tutto speciale, e per questo non ci pensò due volte prima di uscire di casa; tuttavia, prima di abbassare la maniglia della porta d'ingresso, avvisò sua madre che avrebbe fatto un giro per la cittadina.

Yumi lo lasciò andare, memore di ciò che era capitato tre anni prima, proprio nel giorno del compleanno di suo figlio. Da quel momento, infatti, il piccolo Shingo aveva saputo mantenere la promessa che aveva fatto al guardiano della riserva naturale: non usciva più di casa a sua insaputa e, anzi, la informava sempre dei luoghi dove andava. All’inizio, essendo ancora molto piccolo, Yumi lo accompagnava ovunque lui volesse andare; ma sulla soglia dei sei anni la donna aveva iniziato a pensare che suo figlio fosse già pronto per esplorare il mondo da solo. Un pensiero del genere era del tutto normale per il territorio di Nakahara: una cittadina dove tutti si conoscevano, dove i bambini erano liberi di andare in giro senza timori di pericoli, lì ancora di più rispetto al resto del Giappone. Nakahara, inoltre, si trovava in una valle circondata da montagne, vicina ad una riserva naturale sorvegliata giorno e notte dai suoi guardiani: nonostante anche quell'angolo di verde fosse sicuro, i bambini non arrivavano mai a varcare da soli l’ingresso dagli alti cancelli in ferro battuto avvolti sui lati dai rami dei piccoli arbusti che crescevano ogni anno, perché i guardiani erano sempre attenti a non far entrare quei piccolini senza i loro genitori.

«Ci vediamo dopo, mamma!»

Uscito dal cancello Shingo iniziò a correre per le vie della periferia dove abitava: percorse la strada che costeggiava il ruscello e passò davanti alla casa di sua nonna, ma non si fermò e decise di proseguire, ripromettendosi di tornare quando avesse terminato il suo consueto giro, così da andare a casa insieme a lei. Così continuò a correre ancora, attraversando con piccoli balzi gli scalini che portavano al belvedere; poi tornò indietro, dirigendosi verso il centro del borgo dove vi erano le botteghe degli artigiani, e si fermò all’ingresso di un piccolo negozio che vendeva oggetti per la casa in ceramica, vetro e legno.

Situato nel cuore del centro storico della cittadina, l’ingresso del negozio era stato ricavato da una delle antiche abitazioni costruite interamente in legno, alle quali erano ispirate quelle delle zone periferiche: la porta a vetri era stata dipinta a mano con decorazioni floreali da colori accesi; al suo fianco, composta da diverse mattonelle colorate, vi era un'insegna con il nome di quel negozio di artigianato.

[Yume no niji.][1]

Il piccolo Shingo spinse la porta che in quel momento era chiusa; non appena lo fece, un leggero e dolce tintinnio si propagò nell’aria, dovuto al movimento di un grappolo di sonaglini appesi al di sopra della porta.

«Buongiorno!» salutò, come gli aveva insegnato la mamma... nonostante quel negozio fosse proprio del suo papà, e per questo avrebbe potuto prendersi la libertà di chiamarlo senza quella formalità; ma Shingo non lo fece, iniziando ad addentrarsi a lenti passi in quella realtà che lo incantava ogni volta. Nonostante quel luogo fosse così piccolo rispetto allo spazio ben più ampio e luminoso dell’intera Nakahara, al bambino piaceva proprio per il suo essere così ricco di oggetti che lo affascinavano sempre più, al punto che non vedeva l’ora di poter essere più grande per maneggiare gli stessi strumenti che avevano dato vita a quelle meraviglie.

Lo sguardo di Shingo si soffermò su tutti quei dettagli che il negozio della sua famiglia offriva agli occhi di qualsiasi visitatore. La vetrina espositiva sulla destra era piena di vasi, tazze e piatti di diverse forme e colori in vetro e ceramica, vicina al bancone che era disseminato di dépliant, segnalibri, matite, magneti e bracciali posti su piccoli espositori, al fianco di una targa pieghevole a ricordo di una delle tante vittorie all’annuale concorso di artigianato che si svolgeva nella cittadina e, poco più in là, un piccolo campanello in rame dipinto che serviva per annunciare l’arrivo di chi faceva l’ingresso nel negozio. Sulla sinistra erano appesi svariati oggetti in legno, intagliati nelle forme più peculiari: grandi mestoli dal manico dalla forma di animali, piccole cornici dalle forme floreali e orologi che rappresentavano il sole, la luna, le stelle e le nuvole del cielo. In basso vi erano una fila di cestini in legno adagiati contro il muro, mentre dietro al bancone erano appesi alcuni fischietti, scacciapensieri e portafortuna vari.

Tutto ciò era sapiente opera del padre di Shingo, che ogni giorno cercava di arricchire quell’angolo con tutto ciò che gli passava per la mente: non aveva uno schema fisso, e quotidianamente dava vita a oggetti che non si potevano trovare da alcun’altra parte nel territorio di Nakahara. Shingo era molto affezionato a quel luogo, e per questo non esitava a rimandare le sue uscite in giro per il paese ogni volta che sua madre gli chiedeva di farci un salto... come era successo anche quel giorno.

Dopotutto, non era lì solo per caso.

Shingo si guardò intorno e non vide nessuno. Si soffermò davanti al bancone del negozio, che con la sua lunghezza separava interamente la zona del laboratorio con quella riservata all’esposizione; sulla sinistra, poco più distante dal punto degli oggetti dalle diverse forme, vi era una porticina in legno che, formando un tutt’uno con il bancone, era l’unica via d'accesso al laboratorio che si trovava dopo un altro ingresso ben visibile. Di norma, per entrare serviva una chiave... ma Shingo conosceva un’alternativa: sapeva bene cosa fare per superare quell’ostacolo che lo separava dalla porta del laboratorio, nonostante non avesse quel piccolo strumento per aprire la serratura.

Il piccolo diede una veloce occhiata in tutti gli angoli del negozio, assicurandosi ancora una volta che non fosse entrato qualcun altro dopo di lui; poi si aggrappò alla porticina e, con un balzo, si ritrovò dall'altra parte. Afferrò la maniglia della porta sul retro e, con una leggera spinta sulla destra, la aprì per entrare nel laboratorio; dopodiché la richiuse con la stessa forza.

Il clima di quel luogo era decisamente diverso da quello del negozio che Shingo aveva appena lasciato alle spalle. Era di un freddo più pungente, poiché si trovava ad un livello inferiore rispetto al locale del negozio; attraverso una decina di scalini in pietra al fianco dei quali vi era un basso corrimano in ferro saldamente ancorato ad essi, si accedeva ad un luogo più ampio, dove Susumu stava lavorando chino sul suo piano di lavoro. Alle sue spalle, dalla parte opposta della stanza, vi erano un grande e largo scaffale metallico dove l’artigiano poneva gli oggetti in ceramica per il raffreddamento e al suo fianco un suo gemello con gli oggetti appena dipinti; un piccolo tornio per la modellazione di vasi, tazze e piatti si trovava a sinistra del piano di lavoro, mentre alla destra vi erano grandi scatole, sacchi e altri scaffali pieni di svariata materia prima come pezzi di legno, metallo e argille varie. Per il modo in cui era disposto quell’angolo, nessuno eccetto Susumu avrebbe saputo riconoscervi un preciso ordine: quel punto della stanza rappresentava la filosofia dell’artigiano che lì lavorava, un pensiero rivolto a quella creatività senza schemi fissi che solo altri artisti come lui avrebbero potuto avere.

In quel momento Susumu era alle prese con i manici di un pentolino in ceramica, che stava rifinendo; non appena lo vide intento in quell’accurato lavoro, Shingo corse da lui e diede un’occhiata all’oggetto che stava ultimando. Suo padre non sembrava essersi accorto di nulla, così intento su quei manici al punto di non aver visto il bambino al suo fianco: per questo, non appena alzò il capo per prendere il grosso pennello con il quale toglieva la polvere che ne aveva ricavato, fece un piccolo balzo sulla sedia.

«Ciao, papà!» lo salutò Shingo.

«Oh! Che bella sorpresa... sei stato in giro?»

«Sì!»

«Ti sei divertito?»

«Certo! Tanto tanto!»

Non appena guardò Shingo negli occhi, la spontaneità e la gioia che il volto del piccolo aveva in quel momento rasserenarono l’artigiano che, dopo qualche secondo, distolse lo sguardo da lui per rivolgerlo verso il soffitto del laboratorio. «Però sei sempre il solito: entrare qui, senza nemmeno bussare... potevi almeno suonare il campanello sul bancone. Sarei arrivato in un baleno!»

Shingo ridacchiò. «No! Volevo vedere cosa stavi facendo... ero molto, molto curioso!»

Suo padre diede un sospiro colmo di serenità, lo prese in braccio e gli disse, indicando l’oggetto che nel frattempo aveva lasciato sul tavolo: «Stavo lavorando questi manici: lo sai, non è mai facile modellarli come vorresti!»

«Wow! Sei bravissimo, papà!»

Gli occhi del piccolo brillarono di gioia nel vedere quei manici. Lo sguardo attento e severo di un esperto li avrebbe giudicati ancora rudimentali ma di fronte a quello spensierato di Shingo, che era solo un bambino di sei anni, quei manici sembravano già perfetti. «Sai, papà? Quando sarò grande voglio lavorare con te!»

Susumu fece una smorfia di gioia, soffocando una dolce risata. «Hai ragione, solo quando sarai grande! Ricordi cosa ha detto la mamma, vero?»

Il bambino annuì. Qualche mese prima si era recato a quel laboratorio con sua madre: per lui era la prima volta che lo vedeva e, soprattutto, che vedeva il padre lavorare e modellare i più semplici materiali per farli diventare oggetti dalle mille funzioni. Spinto dalla curiosità lasciò la mano della mamma e subito corse verso il tornio che in quel momento era in funzione: Yumi riuscì a bloccare il figlio in tempo, prima che le piccole mani che avevano afferrato il vaso che Susumu stava lavorando imbrattassero i loro vestiti e gli oggetti che avrebbero toccato. Da quel giorno, di comune accordo con sua moglie, l’artigiano decise di non far avvicinare il figlio nel laboratorio... tranne in un solo caso: quando la sua Yumi non sarebbe stata presente, assumendosi così tutte le responsabilità che ne sarebbero derivate.

Shingo, infatti, era molto curioso e attento, ma allo stesso tempo vivace. Susumu non riusciva ancora a fargli trovare un’attività che potesse svolgere da solo in quella bottega, ma ne era consapevole: suo figlio era ancora molto piccolo, e sarebbe riuscito a indirizzarlo sulla strada che gli sarebbe stata più congeniale solo grazie alla grande pazienza che avrebbe mostrato nei suoi confronti, dandogli i primi insegnamenti sul mestiere e seguendolo passo passo.

«Ormai ti conosco molto bene,» proseguì Susumu, e fece scendere suo figlio dalle ginocchia. «Non sei qui solo per vedermi all’opera... vero? Cosa c’è, questa volta?»

Il bambino sorrise a denti stretti e iniziò a frugare tra le tasche del pantalone che indossava: ne estrasse un fazzoletto di stoffa piegato in modo disordinato, e lo porse al padre. «La mamma ha detto di portarti questo!»

Susumu lo prese, aprì il fazzoletto e al suo interno trovò un frammento di legno. L’artigiano sapeva di cosa si trattava: prima di andare in bottega, Yumi gli aveva dato un coltello ormai malandato ma al quale ci teneva molto perché era un regalo di sua madre, con il compito di ripararlo il prima possibile. Al di là della lama da affilare, il manico si era scheggiato quando le era accidentalmente caduto sul pavimento e per ore aveva cercato il pezzo mancante senza riuscire a trovarlo; così aveva deciso di dare il coltello a suo marito che nel frattempo avrebbe lavorato la lama. Mentre stava giocando nel soggiorno, per caso Shingo aveva notato proprio il pezzo mancante di quel manico sotto il divano, e incuriosito lo aveva preso per poi mostrarlo a lei: il cuore di Yumi si era riempito di gioia per quel pezzo ritrovato, anche se era perfettamente consapevole che suo marito non avrebbe avuto problemi a sostituire il manico completo o ad aggiungere un pezzo completamente nuovo.

«Ah, sì!» aggiunse Susumu. Prese il frammento, lo esaminò sotto la lente di ingrandimento del suo piano di lavoro; poi, dopo aver dato un cenno affermativo con la testa, aprì il cassetto del mobiletto che si trovava di fianco alle sue gambe e da lì prese il coltello che Yumi gli aveva dato al mattino. «Tua mamma ne sarà contenta!» disse, indossando gli occhiali da lavoro che aveva alzato sulla testa e tornando all’opera sullo strumento che aveva in mano.

Il piccolo stette a guardare suo padre mentre stava maneggiando gli strumenti per riparare il manico, finché il genitore aggiunse: «Ti va di andare a casa e avvisare la mamma? Forse riuscirò a portarglielo già questa sera!»

Shingo si portò una mano sulla fronte come un piccolo soldato, e sorrise. «Va bene, papà!»

«Aspetta che ti accompagno...»

Susumu prese per mano suo figlio e tornò presso il bancone, dove prese la chiave e aprì la porta in vetro dell’ingresso. «Allora ci vediamo più tardi: quando hai finito puoi tornare qui, altrimenti ci vediamo a casa!»

«Ciao, papà! Buon lavoro!»

Shingo agitò la mano per salutare il padre e, uscito dal negozio, riprese a correre. Passò davanti alle altre botteghe per poi addentrarsi nel cuore del centro pullulato di residenti e turisti, tra i piccoli ristoranti con bancarelle take away, laboratori di vino e sakè, piccoli alberghi e le terme; da lì percorse la strada che lo avrebbe portato all’ingresso della riserva naturale che aveva visitato tre anni prima, proprio in occasione del suo compleanno.

Con il passare del tempo quella riserva si era ingrandita ed era diventata sempre più ricca di aree ben delineate: un grande parco naturale accoglieva i cervi della vicina foresta e si era affiancato alle zone dedicate alla flora, dove vi era anche l’angolo delle camelie che Shingo aveva ammirato a suo tempo; lepidotteri e coleotteri di diverse forme e colori popolavano queste zone, insieme agli uccelli che continuavano a nidificare sui rami degli alberi secolari che le sovrastavano.

Il piccolo si fermò davanti ai grandi cancelli in ferro battuto; quel giorno erano rigorosamente chiusi ma di fronte ad essi vi era seduto proprio quell’anziano guardiano che aveva incontrato tre anni prima. Da quel giorno ormai lontano i due si erano visti tutti i giorni ed erano diventati grandi amici, al punto che almeno una volta a settimana il vegliardo era ospite a casa degli Aoi e Shingo si recava spesso all’ingresso di quella riserva per salutarlo.

«Ciao, Shingo!» esclamò il guardiano con allegria, battendo più volte il bastone al suolo. «Come stai?»

«Buon pomeriggio, ojiisan!» Il piccolo gli rivolse un piccolo inchino, dopodiché drizzò la schiena e continuò a correre sul posto. «Bene, grazie! Sto facendo un giro, come sempre!»

«Fai bene: oggi è una splendida giornata! Oh, aspetta un attimo...»

Il guardiano lasciò il bastone vicino alle sbarre del cancello, poi dal taschino del marsupio che portava con sé prese una scatoletta, accuratamente chiusa, che diede al bambino. «Puoi portare questo al tuo papà?» gli chiese. «Questa mattina mi sono dimenticato che ho il turno per tutto il pomeriggio, e non riesco a passare per il suo negozio...»

«Che cos’è?»

«Ti piacerebbe saperlo, eh?»

Il vegliardo si sbottonò leggermente il collo della giacca e mostrò a Shingo una piccola chiave che portava appesa al collo; con essa aprì la scatola, che rivelò un fischietto che recava sul dorso un’incisione di una tigre.

«Che bello...» sussurrò il piccolo, che stette fermo ad ammirare l’oggetto che doveva portare al padre.

Il guardiano chiuse la scatolina e disse: «Tuo padre sa già cosa fare. Mi fai questo favore, allora?»

Il piccino rafforzò la presa e, senza pensarci due volte, riprese a correre nella direzione opposta. «Va bene, torno subito!»

Per Shingo non fu un problema rifare la strada che aveva appena percorso. A lui piaceva correre, sentire il vento che gli soffiava sulle guance, calpestare l’erba delle aree dove non avevano ricoperto le strade di cemento, salire e scendere gli scalini che si trovavano in vari punti della città, respirare quella sensazione di libertà che si districava tra il dedalo arboreo e le viuzze strette del centro.

Nel giro di poco tempo il bambino si ritrovò all’ingresso del negozio del suo papà, ma questa volta notò la presenza di alcune persone che stavano facendo la fila. Chiedendo un sommesso «Permesso...» Shingo fece capolino dalla porta in vetri per capire il motivo di quella fila: un gruppo di turisti incuriositi dall’esposizione stava chiedendo a suo padre qualche informazione dettagliata sugli oggetti che li avevano colpiti, così particolari quanto unici.

Il bambino voltò le spalle e fece qualche passo, fermandosi al centro della strada. Poi, ad un tratto, iniziò a correre sul posto.

Uffa, uffa, uffa, uffa, uffa...

Iniziò a muoversi intorno, facendo avanti e indietro nei pressi della porta d’ingresso: a lui non piaceva restare fermo per molto tempo in un luogo, per cui stava iniziando ad essere impaziente, incurante del fatto che le persone che stavano aspettando di poter entrare nella bottega lo stessero osservando tra stupore e curiosità. Continuando a muovere le gambe con sempre più crescente frenesia, Shingo incrociò le braccia e mise il broncio; ogni tanto lanciava uno sguardo verso l’interno della bottega, ma niente da fare: quel gruppo era ancora lì, e dall’allegra conversazione che era in atto tra loro sembrava non decidersi ad uscire... non nel giro di poco tempo, almeno.

«... argh! Sono stufo!»

Come un fulmine Shingo entrò dentro - ignorando il mormorio delle persone che si stavano lamentando per il suo comportamento scortese -, superò un paio di turisti che in quel momento stavano indicando la vetrinetta per chiedere informazioni a suo padre, e con grande rumore posò la scatoletta sul bancone.

«Scusa, papà: volevo solo dirti che questo è da parte del guardiano. Ciao, buon lavoro!»

E si dileguò, lasciando a bocca aperta i turisti e lo stesso Susumu che, piuttosto sorpreso, prese in mano l’oggetto che suo figlio gli aveva appena lasciato.

Uno dei giovani che era vicino al bancone iniziò a ridere e disse all’artigiano: «Certo che voi qui avete un’energia pazzesca! Avete visto quel piccoletto? È entrato, e puff! In un lampo è sparito! Ma... per caso è suo figlio? Vi ha appena chiamato “papà”!»

Susumu si portò una mano sulla fronte, cercando di nascondere il suo imbarazzo.

Mio figlio non finirà mai di stupirmi!

Se avesse potuto, in quel momento si sarebbe nascosto volentieri sotto il bancone, diventando piccolo come un insetto; non potendo farlo, cambiò espressione e rivolse un cordiale sorriso ai visitatori. «Può dirlo forte! Ma, intanto... dove eravamo rimasti?»

 

 

 

Shingo era giunto di nuovo alle porte della riserva naturale. Il guardiano si era seduto su una roccia, e stava osservando alcuni uccelli che stavano cinguettando sui rami degli alberi.

«Eccomi qui, sono arrivato!» urlò il piccolo, che subito si avvicinò al vegliardo che, nel sentire la sua voce, aveva alzato il capo ed era rimasto di sasso nel rivederlo di nuovo lì.

«Di già?» domandò lui, con grande stupore.

«Sì! C’erano delle persone, ma ho dato la scatoletta a papà!»

L’anziano guardiano si alzò in piedi, guardando Shingo dritto negli occhi. «Ne sei sicuro?»

«Sì!»

«L’hai dato proprio a lui... no?»

«Certo! C’erano anche delle persone che stavano parlando con lui, però l’ho dato!»

Il vegliardo inarcò un sopracciglio. Dalla riserva naturale alla bottega degli Aoi c’era, infatti, una lunga strada da percorrere: a piedi chiunque avrebbe impiegato un po’, anche a passo svelto; Shingo, invece, ci era riuscito nel minor tempo possibile... ed era proprio questo che aveva colto di sorpresa il guardiano, a tal punto che stava iniziando a pensare che, forse il piccolo gli stesse mentendo e non avesse portato il suo fischietto a Susumu. In fondo, quel fischietto era davvero bello: poteva far gola ad un bambino qualsiasi, proprio come lui...

Dopo aver scrutato il piccolo da cima a fondo, l’anziano guardiano prese in mano il cellulare che si trovava sempre nel marsupio e fece una telefonata. Qualche secondo dopo, udì dall’altra parte una voce d’uomo e in sottofondo un vociare di persone che stavano parlando tra loro.

«Pronto?»

«Ciao, senti un po’: tuo figlio è venuto da te?»

Il vegliardo infatti aveva contattato proprio Susumu, che nel frattempo era ancora impegnato con quel gruppo di turisti, ma era riuscito a rispondergli subito. Riconoscendo subito la voce del guardiano, l’artigiano gli rispose: «Sì, era qui fino a poco tempo fa... saranno trascorsi una decina di minuti... mi ha portato una piccola scatola con dentro il tuo fischietto e se n’è andato. È successo qualcosa?»

L’anziano fece cadere per terra il suo bastone ed esclamò: «Santi numi!»

A quell’affermazione Susumu si allarmò e, scusandosi con i suoi visitatori, si allontanò nella zona del laboratorio. Si chiuse la porta dietro e subito il pensiero volò a Shingo pensando che gli fosse capitato qualcosa, ma cercò di mantenere la calma per quel che poteva. «Ditemi... ecco... cosa è successo? Mio figlio sta bene?»

Il guardiano scoppiò a ridere. «Se è successo qualcosa, dici? Certo che sì: è stato molto bravo! Pensa che ora è qui con me...»

«Lì?»

«Esatto! Anch’io stento a crederci... ma è proprio qui, davanti ai miei occhi!»

Susumu restò di sasso di fronte a quella rivelazione, e iniziò a chiedersi come avesse fatto suo figlio a percorrere in poco tempo quel tragitto: non era del tutto impossibile, ma per un fanciullo di sei anni era piuttosto strano... non è che il guardiano ha scambiato qualche bambino per mio figlio? - pensò, cercando di rimettere in ordine la sua mente che difficilmente stava riuscendo a credere a quella notizia. «Perdonate il disturbo... può passarmelo un secondo?» chiese all’anziano, che subito portò il cellulare all’orecchio del bambino.

«C’è tuo padre al telefono...» sussurrò il guardiano al bambino, che subito mostrò un caloroso sorriso.

«Ciao, papà!» esclamò Shingo. «Cosa c’è?»

Ok... dalla voce sembra proprio lui! - pensò Susumu, ancora incredulo. «No... nulla,» mormorò, per poi aggiungere: «Hai fatto bene ad avvisare il guardiano che mi hai portato il fischietto... ora devo proprio andare, mi stanno aspettando; noi ci vediamo a casa, oggi il negozio è un po’ affollato e non potrò darti retta... però dì al guardiano che sarò io a portargli il suo fischietto non appena sarà pronto... o forse anche tu, chissà!»

«Va bene, ciao!»

Susumu riattaccò, mentre il piccolo restituì il telefono al vegliardo. «Papà ha detto che ti darà lui il fischietto!» disse Shingo con entusiasmo. «Per favore, ojiisan: posso sapere che ore sono?»

Il guardiano alzò lo sguardo verso il cielo e lo analizzò con estrema attenzione. «A giudicare dalla posizione del sole, saranno le quattro e mezza del pomeriggio...»

«Oh, no!» Shingo riprese a correre sul posto, con la schiena dritta e le mani strette a pugno. «Ha ragione papà: non posso tornare al negozio! Devo ancora andare da nonna... ci vediamo domani, ojiisan! Ciao ciao!»

Mentre il piccolo si allontanò sempre più da lui fino a diventare un puntino per poi sparire completamente dalla sua vista, il guardiano riprese il bastone che aveva accidentalmente fatto cadere a terra e si sedette di nuovo sulla roccia. Aveva ragione la moglie di Susumu, rifletté tra sé e sé, mentre i suoi occhi si alzarono di nuovo verso il cielo. Questo piccoletto promette bene: è davvero veloce!

 

 

 

Shingo tornò verso il suo quartiere, attraversando la valle che poi conduceva verso il torrente. Questa volta, come si era promesso, giunse presso la casa della nonna e si fermò: bussò alla porta ma non rispose nessuno. Non fu una novità per il piccolo, che sapeva che la nonna spesso si trovava nel suo piccolo laboratorio all’interno dell’abitazione, così Shingo decise di chiamarla a gran voce.

«Nonna, ci sei? Nonna!»

«Arrivo, arrivo!»

Il bambino sorrise: la voce che aveva udito da lontano era di sua nonna e, come aveva sospettato qualche secondo prima, sembrava provenire proprio dal suo laboratorio. Siccome aveva capito che ci sarebbe stato da attendere qualche minuto, il piccolo riprese a correre e fece il giro della casa; mentre stava per arrivare presso il vicino mulino, all’improvviso venne colpito sulla testa.

«Ahia!»

Shingo cadde seduto a terra: il punto colpito gli pulsava, quindi si mise una mano sulla testa per affievolire il dolore. Alzò lo sguardo verso l’alto per vedere cosa lo avesse appena colpito e, con la coda dell'occhio, notò che qualcosa stava rotolando verso il torrente. In quel breve attimo di tempo non si curò di quel particolare poiché la botta in testa lo aveva stordito un po’; tuttavia un improvviso urlo richiamò la sua attenzione, riportandolo alla realtà.

«Il pallone, il pallone!»

Pa... pallone?

Nello stesso istante, alle sue spalle arrivarono due ragazzini che stavano rincorrendo il pallone che loro stessi avevano calciato per sbaglio verso il torrente: si fermarono a pochi passi da quel bambino non appena si resero conto che non sarebbero più riusciti a prenderlo in tempo e iniziarono a piagnucolare, disperati per ciò che probabilmente stava per accadere.

«Oh, no!»

«Sta per finire nel mulino...»

«... ancora una volta!» esclamarono all’unisono.

Ripresosi, Shingo focalizzò l'oggetto che stava per cadere nel flusso d’acqua e si alzò in piedi. Con una corsa sfrenata si precipitò verso il pallone che stava per arrivare sulla riva e lo raggiunse in un attimo, fermandolo con il piede per rilanciarlo subito dopo a quei ragazzini; tuttavia nel farlo scivolò, si spalmò di schiena sui sassolini e finì con la testa nell’acqua.

Non appena il pallone arrivò verso i due ragazzini, uno di loro afferrò il pallone che gli era stato lanciato con il piede e lo osservò con attenzione, incredulo di avere tra le mani l’oggetto che ormai credeva di aver perso per sempre: se era ancora sano e salvo, lo doveva solo a quel bambino che con grande prontezza di riflessi era riuscito ad arrestare il suo cammino. Alzò lo sguardo, stupito per ciò che il piccolo Shingo aveva appena fatto, e insieme al suo amico stette per ringraziarlo; sennonché, non appena lo vide per terra sulla riva che sembrava non muoversi per nulla, si precipitò per soccorrerlo.

L’amico lo seguì e i due raggiunsero la riva in un baleno. «Stai... stai bene?!» chiese il ragazzino.

In quel momento Shingo si alzò di scatto e si massaggiò la testa, ancora dolorante per il colpo subìto. «Sì, grazie! E il pallone?»

L’altro gli sorrise, mostrandogli ciò che aveva in mano. «Ecco qui... grazie mille! Se non fosse stato per te, a quest’ora avremmo avuto un altro pallone in meno...»

«L’ennesimo,» puntualizzò il suo amico, rubandogli la palla e colpendogli la spalla con uno schiaffo amichevole. «Sei sempre il solito, Yuito! Quando ti deciderai a imparare a palleggiare? Sarà il terzo pallone che perdiamo tra le pale di quel mulino!»

L’altro ragazzino - di nome Yuito - lo guardò con un po’ di imbarazzo e scoppiò a ridere, dopodiché rivolse di nuovo lo sguardo a Shingo e disse: «E tu, invece... certo che sei proprio molto veloce!»

Il bambino rise soddisfatto. «Già già!»

«Quanti anni hai?»

«Oggi ne compio sei!» e mostrò una mano aperta e l’altra chiusa a pugno tranne il pollice, indicando il numero di anni che aveva.

«Solo sei anni? Sei bravissimo, fattelo dire! Ora dobbiamo andare; a presto e grazie ancora!»

I due ragazzini si allontanarono e Shingo restò fermo ad osservarli, mentre notava come si passavano il pallone a vicenda: quei ragazzini stavano usando solo i piedi, cercando di non prenderlo con le mani. Anche loro erano veloci e avevano i riflessi pronti: di certo non come lui ma agli occhi del bambino sembravano abbastanza bravi.

«Ancora loro due?!»

Shingo si voltò a quella voce familiare e riconobbe sua nonna, che aveva le braccia conserte e aveva appena tirato un profondo sospiro di disappunto.

«E poi si lamentano che il pallone finisce sempre tra le pale del mulino...» proseguì l’anziana donna, iniziando a fare qualche passo intorno a suo nipote. «Capisco che Nakahara non abbia ancora un campo da calcio come si deve, ma mettersi a giocare qui, con questo rischio... potrebbero andare altrove, come al parco: lì hanno tutto lo spazio che vogliono!»

«Calcio?»

Quella parola incuriosì il piccolo Shingo, che aveva già sentito parlare di calcio e sapeva cosa fosse a grandi linee, ma a differenza di altri bambini della sua età non sembrava essere molto interessato. Dopotutto, a lui piaceva svegliarsi all'alba e correre per tutta la cittadina, partendo dal luogo in cui viveva e arrivando dall'altra parte per poi tornare indietro, come aveva fatto anche quel giorno: non importava se fosse inverno o estate, lui era sempre pronto ad uscire di casa e correre, correre, correre. Instancabilmente, senza fermarsi mai... proprio come un’automobile in città, senza un semaforo rosso che frena la sua corsa.

Un po’ come il suo nome: Aoi Shingo.

«Già!» aggiunse il bambino, tornando a correre sul posto. «Qui è bello, ma così possono distruggere anche il mulino, nonna!»

Atsuko sorrise e prese per mano suo nipote. «Su... ora andiamo: hai tutti i capelli bagnati, hai proprio bisogno di asciugarli. Non vorrai mica tornare a casa zuppo d’acqua...»

«No!»

Il piccino cercò di divincolarsi, ma l’anziana fu decisa a non mollare la presa. «Non fare storie!» lo rimproverò. «Se continui a correre con i capelli bagnati, ti prenderai un bel raffreddore... e poi sì che non uscirai di casa per un bel pezzo!»

«Dai, nonna! Voglio stare qui, non voglio entrare a casa tua!»

«E chi ha detto che dobbiamo entrare per forza?»

La vegliarda soffocò una risata divertita: prese il grembiule che aveva addosso e, con quello, asciugò i capelli di suo nipote vorticosamente, finché non fu certa che non fossero più molto bagnati. «Ecco fatto!» esclamò soddisfatta. «Ora che sei bello asciutto, puoi tornare a casa...»

Shingo si calmò, ma non si trattenne dal farle quella domanda. «E tu non vieni, nonna?»

«Certo che vengo! Però oggi arrivo più tardi; qui ho ancora molto da fare...»

Nel vedere che suo nipote aveva messo su uno sguardo molto triste dopo la sua risposta, Atsuko si riallacciò il grembiule, lo prese in braccio e iniziò ad incamminarsi nella direzione della strada. «Ti prometto che verrò presto... e ti porterò un bellissimo regalo!»

«Davvero?»

«Certo! Però devi andare a casa, e vedrai: arriverò in un battibaleno!»

Posò Shingo, che subito tornò a sorridere e iniziò a correre nella direzione della sua dimora, agitando la manina per salutarla. «Va bene, nonna! Ci vediamo dopo!»

Atsuko lo osservò sparire nell’angolo della strada, per poi rientrare nel laboratorio per completare la sua opera. Ormai era quasi pronta: mancava solo un ultimo ritocco e l’anziana donna l’avrebbe portata a casa della sua Yumi.

«Dunque, vediamo un po’...»

 

 

 

 

Nel tardo pomeriggio Yukiko tornò da scuola con il papà, e trovò suo fratello nel loro giardino a giocare mentre saltellava dentro ad un sacco che la loro mamma gli aveva dato, cercando di non perdere mai l’equilibrio. Non appena vide sua sorella, Shingo corse da lei senza uscire dal sacco e quando le fu vicino le si gettò addosso.

«A-Attento!» esclamò Yukiko, ma era troppo tardi: entrambi caddero a terra, sollevando una piccola nuvola di polvere. Per fortuna nessuno di loro si era fatto male e avevano iniziato a ridere tra loro: Susumu era riuscito a prendere la bambina in tempo, che crollò insieme al fratello su di lui... ma non poté evitare di finire egli stesso di sedere a terra, e solo allora lasciare che i due bambini si sdraiassero di schiena sul terriccio, mentre continuarono a ridere a crepapelle.

«Ha ragione tua sorella, Shingo: stai più attento!» disse l’artigiano con bonarietà non appena riuscì a riprendersi; poi, dopo aver aiutato Yukiko a rialzarsi, prese suo figlio dal sacco e lo caricò sulle spalle. «Allora, hai avvisato la mamma come promesso?»

«Sì!» rispose il bambino con allegria. «La mamma è molto felice, e non vede l’ora che tu aggiusti il suo coltello!»

«Bene!»

I tre rientrarono nella loro dimora, dove ad attenderli vi era Yumi: la donna era intenta a cucinare perché era quasi ora di cena, Yukiko corse a salutarla mentre Susumu chiese a Shingo di seguirlo nel giardino. Il bambino gli chiese il perché, ma lui si portò l’indice sulle labbra e sorrise.

«Ora vedrai...» sussurrò Susumu. Lo prese per mano e insieme si allontanarono sul retro dell’abitazione.

Il piccolo Shingo non poteva saperlo, ma in realtà il fatto che suo padre lo stesse portando in quel punto della casa faceva parte del piccolo piano che la famiglia Aoi aveva architettato per il suo compleanno. L’intento era quello di distrarre il festeggiato il più possibile, coinvolgendolo in una attività che a lui piaceva molto: osservare il papà lavorare. Susumu, infatti, non aveva ancora riparato del tutto il manico del coltello di sua moglie; lo aveva fatto di proposito, avendo così qualcosa da fare anche a casa e che al contempo potesse tener impegnata l’attenzione di Shingo.

Intanto, non appena videro padre e figlio uscire di casa, Yumi e Yukiko si avvicinarono e iniziarono a bisbigliare tra loro.

«Papà ha chiamato la nonna?» chiese la mamma alla piccola.

«Sì...»

«Va bene. Vieni con me, però mi raccomando: cerca di non fare rumore... altrimenti lo sai come è fatto tuo fratello: non ci lascerebbe mai più!»

«Ok!»

Le due sgattaiolarono dalla casa e, di soppiatto, riuscirono a superare il cancello e ad incamminarsi verso la dimora di Atsuko. Giunte là, si recarono nel laboratorio dove l’anziana era ancora al lavoro con il regalo che stava preparando per suo nipote, ma per fortuna era quasi alla fine: stava per terminare la sua firma, incisa nel legno.

«Ciao, nonna!» Yukiko si avvicinò a lei e indicò l’oggetto, dopo averlo osservato con grande attenzione. «Wow, che bello! Ne vorrei una anch’io!»

Atsuko sorrise. «Ci ho impiegato giorni e non è stato facile nasconderla a Shingo, ma alla fine ci sono riuscita... e va bene, nipotina mia: sarò felice di costruirne una anche per te. Bene: con questo ho finito!» L’anziana prese un grosso pennello che portava nella tasca del grembiule e con quella pulì la superficie dove aveva appena inciso la sua firma. Poi si alzò e si allontanò, mostrando il suo regalo anche a Yumi.

La donna lo ammirò e disse: «Complimenti, è proprio bello!»

«Sicuramente è qualcosa che nessun altro ha qui!» esclamò Atsuko, orgogliosa. «O, meglio... sì, ce l’hanno tutti ma non così... e di sicuro non con la mia firma, eheheh!»

La vegliarda, dopo aver accarezzato la testolina di Yukiko che continuava ancora ad osservare la sua ultima creazione, tornò vicino a essa e vi posò una mano. «E ora come portiamo questo gioiellino della meccanica, senza che Shingo si accorga della sua presenza prima di cena? Se mi vede portarlo, vorrà sapere tutto!»

«Non preoccuparti, mamma!» sentenziò Yumi. «Mio marito sta cercando di distrarlo... e penso che ci vorranno un bel po’, conoscendo entrambi. E poi... ci siamo noi ad aiutarti. Dai, Yukiko: tu ci precedi e controlli se è tutto a posto, mentre io e la nonna portiamo questo bel regalo per tuo fratello, ok?»

«Va bene, mamma!»

Yumi prese un telo di juta e con quella avvolse accuratamente la creazione di sua madre, dopodiché lo prese dalla parte frontale e Atsuko da quella opposta. Tutti iniziarono ad uscire dal laboratorio e dalla dimora dell’anziana donna, iniziando ad incamminarsi verso la dimora degli Aoi: Yukiko ebbe cura di chiudere la porta d’ingresso, con le chiavi che sua nonna le aveva dato qualche minuto prima, e subito corse davanti alle due donne come le aveva detto la mamma. Nonostante il regalo fosse pesante per una sola persona, Atsuko e Yumi riuscirono a portarlo fino al cancello degli Aoi, fermandosi di tanto in tanto per dar modo all’anziana donna di riposarsi.

«Aaaah, non ho più l’età per certe cose!» disse Atsuko comicamente, e si appoggiò alle sbarre della dimora: sebbene non fosse granché sudata, fece finta di asciugarsi la fronte come se avesse appena scalato una montagna molto alta.

Yumi aprì il cancello pian piano e di soppiatto entrò con Atsuko dentro l’abitazione. Non appena sua figlia lo chiuse, si avvicinò a lei e sussurrò: «Yukiko, sicuramente ora tuo fratello ha sentito il cancello che si apriva. Corri da lui e se dovesse chiederti qualcosa dì che è appena arrivata la nonna... tu sei molto brava con le parole: cerca di tenerlo impegnato il più possibile, almeno finché io e la nonna sistemiamo il regalo in un angolo nascosto.»

Mentre lei e sua madre posarono l’oggetto che avevano portato in un angolo nascosto della cucina, Yukiko invece si recò subito nel retro dell’abitazione, dove ad attenderla vi erano suo fratello e suo padre. La prima cosa che notò - e che l’aveva lasciata di stucco - era che Shingo non si era mosso di un millimetro: stava attentamente osservando il loro papà intento a lavorare e rifinire il manico del coltello della loro mamma. Yukiko lo chiamò più volte, ma suo fratello era talmente concentrato che non si curò molto di lei.

Ad un certo punto Shingo si voltò verso di lei e la prese per mano, invitandola a sedersi al suo fianco. «Guarda, guarda!»

Yukiko e Shingo si avvicinarono ulteriormente al loro papà, ed entrambi osservavano il modo in cui stava lavorando quel pezzo di legno con il suo coltellino da viaggio, dandogli una forma sempre più ovoidale.

Intanto Atsuko era uscita dall’abitazione e tornò dai suoi nipotini; sorrise fieramente non appena li vide accanto all’artigiano, in silenzio come se all’improvviso avessero perso il dono della parola. «Dal modo in cui stanno osservando mi sa che hai già due piccoli discepoli, caro Susumu!» disse.

«Già,» rispose l'uomo con serenità, mentre continuava a lavorare. «Tra qualche anno inizierò ad insegnare a loro i segreti del mestiere... e, chissà: forse un giorno diventeranno molto più bravi di me!»

«Ne sono certa: promettono bene!»

Atsuko si ricordò di tutte le volte che i suoi nipotini si recavano a casa sua e la aiutavano con i suoi lavori: Shingo la aiutava a prendere tutto ciò che le serviva mentre Yukiko, essendo più grandicella, aveva già iniziato a utilizzare qualche strumento, dimostrando di essere una brava assistente per lei; inoltre la bambina aveva già provato ad intagliare qualche pupazzetto di legno, dimostrando così di avere del potenziale per diventare molto brava nel lavorare quel genere di materiale.

Nel vederli così presi e affascinati dal suo operato, l’anziana si convinse ancora una volta: ben presto i suoi nipoti avrebbero seguito le orme della loro famiglia.

 

 

 

«La cena è pronta!»

Yumi richiamò tutti i presenti attraverso la piccola finestra della cucina che affacciava sul giardino. Mentre nonna e nipoti erano ancora intenti ad osservare Susumu nel pieno della sua attività, sua moglie aveva imbandito la tavola come se fosse stata quella di un re: riso, pane, salsicce, formaggi vari, pollo e patate arrosto, frutta variegata e, al centro, dei piccoli dolci cremosi a forma di castagna e che brillavano per la presenza dello zucchero: i kurikinton.[2]

Così l’intera famiglia si radunò a tavola. Nel corso della cena, i bambini giocavano con Riku che era seduto di fronte e che, ogni tanto, scambiava due parole con loro - tutto questo quando Atsuko non era intenta a mangiare. L’orsacchiotto era curioso di conoscere tutti i dettagli della giornata dei due piccoli, dato che Yukiko era stata a scuola per tutto il giorno e Shingo fuori di casa per giocare nel giardino o fare una corsa lungo tutto il villaggio; intanto Yumi e Atsuko chiedevano a Susumu come fosse andato il suo lavoro, rivolgendogli domande sulle sue nuove creazioni e sulle quali il giovane artigiano non dava mai una risposta dettagliata poiché - a suo dire - doveva essere una sorpresa per tutti, anche per la sua famiglia.

Quando giunse la sera, Yumi sparecchiò e portò la torta a tavola; solo a quel punto Susumu iniziò ad intonare «Tanti auguri...» seguito dagli altri, mentre Atsuko si alzò e con scaltrezza coprì gli occhi del piccolo festeggiato.

«Ehi!» esclamò Shingo, portando le mani su quelle della nonna e cercando di toglierle per vedere cosa stava accadendo. «Lasciami, lasciami!» urlò divertito.

Atsuko fece l’occhiolino a Yumi che, insieme a Susumu e Yukiko, andarono a prendere i regali che avevano nascosto nella cucina.

«Allora, sei contento?» chiese l'anziana a suo nipote. «Ti è piaciuta questa festa?»

«Sì, nonna! Tanto tanto... però ora lasciami!»

«Invece no, perché c’è una bella sorpresa per te!»

«Allora voglio vedere la sorpresa!»

«Devi aspettare un po’, altrimenti che sorpresa è?»

«Eddai: lasciami! Voglio vedere, voglio vedere!»

Il festeggiato iniziò a divincolarsi, cercando di allargare le dita della nonna per vedere cosa stesse accadendo intorno a lui. Il piccolo udiva solo rumori e bisbigli: aveva capito che la sua famiglia stava combinando qualcosa, ed era sempre più curioso.

«Eddai, voglio vedere la sorpresa!» protestò, muovendo le gambe su e giù.

Sua nonna lo apostrofò con dolcezza: «Come dice la mamma? “Vorrei vedere la sorpresa...”»

«“... per favore!”»

«Bravo!»

Intanto Susumu, Yumi e Yukiko avevano finito di portare tutti i regali per Shingo, ponendoli sul tavolo ormai vuoto. A quel punto, l’artigiano fece cenno a sua suocera di togliere le mani dal volto di Shingo e, così, liberarlo; non appena Atsuko lo fece, subito il piccolo esultò di gioia. «I miei regali!»

Subito il piccolo allungò il braccio verso quello più vicino: una scatola avvolta in una carta ruvida dal colore rosso veneziano. «Questo è di papà: la carta è la sua! Ho indovinato?» chiese, mentre Susumu sorrise imbarazzato, portandosi una mano dietro la nuca.

«È mio e di papà,» lo corresse Yumi e poi si rivolse sottovoce a suo marito, dandogli un’affettuosa gomitata. «Guarda un po’: ormai riconosce la carta che usi a lavoro! È un furbetto... proprio come te!»

L’artigiano si limitò a ridacchiare, avvicinandosi di qualche passo a Shingo che nel frattempo stava togliendo la carta e aprendo il coperchio della scatola che aveva trovato. Il bambino spalancò gli occhi quando vide che all'interno vi erano un paio di scarpette color turchino: le aveva create proprio suo padre, vedendo che il figlio tendeva a consumare velocemente quelle che già aveva per le continue corse quotidiane per il villaggio.

«Grazie!» esclamò Shingo con grande entusiasmo, e corse dai suoi genitori per abbracciarli. «Grazie, mamma! E grazie a te, papà!»

«Queste sono speciali,» rispose Susumu, che subito lo prese in braccio. «Durano più delle altre scarpe... però, mi raccomando: ti devi fermare quando la mamma te lo dice, va bene?»

«Va bene, papà!»

Susumu lo posò per terra e, mentre Shingo corse verso il tavolo per aprire il regalo di Yukiko, sussurrò a sua moglie: «Nostro figlio dice sempre “va bene”, ma noi due già sappiamo come andrà a finire... giusto, cara?»

«Sarà un miracolo se quel paio durerà fino al prossimo compleanno!» rispose la donna con un sorriso. «E hai proprio ragione: ti stai già preparando a regalargliene un altro paio... o forse mi sbaglio?» Yumi gli fece un occhiolino di complicità, di fronte al quale Susumu rispose:

«Forse. A dire il vero ci sto ancora pensando... vogliamo scommettere invece che questo paio durerà fino all'anno prossimo?»

La donna annuì. «Ci sto!»

 

Mentre i due genitori stavano ancora chiacchierando, il piccolo festeggiato aveva preso in mano il regalo di sua sorella, avvolto in una busta di carta a fantasia floreale. Lo scartò, e vi trovò un giocattolo: una sella, con la testa di cavallo in stoffa e un palo in legno che portava alle estremità inferiori due ruote, con le quali far scorrere il giocattolo sul pavimento.

«Che bello, un cavallino!» disse Shingo, e si gettò tra le braccia di Yukiko. «Grazie, sorellina!»

Anche la bambina ne fu contenta, perché era stata proprio lei ad avere l'idea di costruire un piccolo cavallo di legno per il suo adorato fratello. Aveva chiesto aiuto alla nonna e grazie a lei, dopo tanti tentativi, era riuscita a creare qualcosa di bello ai suoi occhi: aveva impiegato mesi interi e molta fatica, ma la gioia di Shingo fu la soddisfazione più grande che lei potesse ricevere in quel momento.

«Sono felice che ti piaccia, fratellino!»

I loro genitori e la nonna li osservarono soddisfatti. Susumu fece qualche passo indietro per prendere l'ultimo regalo che ora era alle sue spalle: quello di Atsuko che, intanto, aveva preso Riku in braccio e si era avvicinata ai due bambini.

«Ora c’è il mio regalo, che bello!» esclamò l’orsacchiotto.

«Il nostro regalo, vorrai dire!» aggiunse Atsuko, guardando il peluche con fierezza. «Anzi, se proprio devo dirlo... tu non hai fatto granché!»

«Non è vero, ho aiutato la nonna!»

«E dimmi: come?» chiese Atsuko, appoggiando l'orsacchiotto sul tavolo e incrociando le braccia, fingendo di essere corrucciata. «Sentiamo un po’!»

«Ti ho suggerito l'idea!»

«E poi?»

Riku restò in silenzio, poi disse: «Ecco... ti ho suggerito anche come costruire la bi–»

L’anziana gli pose una mano sulla bocca prima che egli finisse di parlare, sotto lo sguardo divertito dei nipotini per quel piccolo siparietto. «Insomma, Riku! È ancora una sorpresa, non devi dire di cosa si tratta!»

Susumu e Yumi si avvicinarono con il regalo, e lo posarono accanto a Shingo. «E questo è l'ultimo!» disse il suo papà.

«Attento, però...» aggiunse la mamma. «Ti aiuto a togliere questa coperta... così sveliamo la sorpresa!»

Yumi e Shingo sollevarono il telo di juta, e così l’intera famiglia potè finalmente ammirare l’ultima creazione di Atsuko in tutto il suo splendore: una bicicletta dal telaio interamente in legno.

Il festeggiato la ammirò con occhi pieni di stupore misto a felicità. «Che bella!» disse il piccolo, per poi correre dalla nonna e, stringendola a sé, ringraziarla più volte per quello splendido regalo.

«Ti piace?» gli chiese Atsuko, commossa di fronte alla contentezza del suo nipotino.

«Sì! È bellissima!»

«Ora puoi andare per il villaggio senza più correre e basta, così ti stancherai di meno!»

«Invece no!»

Shingo si staccò dall'abbraccio, e corse in un angolo della stanza. Si voltò verso la sua famiglia e, dopo aver preso un profondo respiro, esclamò: «Anche con questa bicicletta non mi stancherò! Correrò e correrò... e non mi fermerò mai!»

 

 

Note dell'autore:

[1] 「夢の虹」, letteralmente "L’arcobaleno dei sogni".

[2] I kurikinton sono dei dolci tradizionali della prefettura di Gifu: piccoli panetti dolci fatti di castagne e zucchero; qui trovate la ricetta.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Eccoci giunti al sesto appuntamento di The feathers on the wings of time! Ormai siamo dentro le vite di questi due piccoli protagonisti che stanno crescendo sempre di più... oggi è la volta di Shingo, che fa sfoggio di una delle sue abilità: la velocità. Ho sempre immaginato che abbia sempre amato correre, fin da bambino, mentre riguardo il particolare della bicicletta... beh: ricordate la puntata 37 del J, dove vediamo Shingo pedalare per raggiungere lo stadio? Dovete sapere che invece io non ricordavo di questo particolare e prima di (ri)vedere quella puntata ho scritto la parte sul regalo della bicicletta della nonna così, senza pensare se ci fossero eventuali riferimenti nell'opera originale. Potete immaginare la mia sorpresa mista a gioia quando ho visto quella puntata: è stata una bella coincidenza! ;D

Come sempre, prima di proseguire vi presento la sesta "appendice" dei nomi, che riguardano i membri della famiglia di Atsuko (anche in questo caso non ci sono più da un bel pezzo, sigh) più il ragazzino che rischia di perdere il suo pallone:

 

- Kunio 「國男」 era il marito di Atsuko. È stato il creatore di molte case e altre strutture di Nakahara, dunque uno di quei personaggi che ha lasciato un grande segno per l'evoluzione architettonica dell’intera cittadina. Il suo nome significa "ragazzo delle campagne".

- Katashi 「堅」 era il padre di Atsuko. È stato un abile artigiano, specializzato nell'intagliare il legno. Il suo nome significa "fermezza".

- Shinju 「真珠」 era la madre di Atsuko. Una grande ceramista, proveniva da una famiglia di costruttori di giocattoli vari in legno e tessuto; si era appassionata alla ceramica grazie ad una sua amica di scuola, che invece proveniva da una famiglia di ceramisti. Tutti i membri della sua famiglia erano abili ventriloqui, ed è proprio grazie a loro che è nato l’orsacchiotto Riku che, come ormai sapete, è passato prima ad Atsuko e poi ai suoi nipoti. Il suo nome significa "perla" - in combinazione con quello della sorella.

- Kohaku 「琥珀」 era la sorella di Shinju e la zia di Atsuko. A differenza di sua sorella, Kohaku ha portato avanti la tradizione della sua famiglia, continuando a costruire giocattoli e ad insegnare l'arte del ventriloquo ai suoi figli e nipoti. Il suo nome significa "ambra".

- Yuito 「結翔」 è uno dei due ragazzini che incontra Shingo. Ama giocare a calcio ma è un po' imbranato con il palleggio, infatti insieme al suo amico spesso fa finire il pallone nel fiume... Il suo nome significa "saltare, volare".


 

E ora qualche precisazione che non ho inserito nelle note dell'autore.

- Come già accennato nelle note del primo capitolo su Shingo, Gifu e il suo territorio sono la patria dell'artigianato in Giappone. E qui si inserisce la storia degli Aoi, che sono - di fatto - degli artigiani! Ora vi chiederete come ho avuto l'idea che i genitori di Shingo fossero proprio artigiani: il primo motivo si ricollega a ciò che ho appena detto, cioè che il territorio di Gifu è rinomato per essere la culla di botteghe e attività artigianali che affondano le loro radici indietro nel tempo, e popolato da piccoli centri urbani che per la loro costituzione sembrano provenire direttamente dal passato. Il secondo motivo è un "input" che mi ha dato Takahashi attraverso dei piccoli spunti sulle abilità di Shingo: il fatto che sappia lucidare le scarpe e adori farlo (va bene che possono farlo tutti, ma che lo sappia fare un quindicenne è lodevole **) e che in seguito costruisca la "Shingo special number 1", un intero sistema di allenamento creato con pezzi di scarto per migliorare la sua prestazione fisica; per non parlare del pupazzo-Gentile che crea appositamente per sconfiggere il suo avversario... cioè! X'D Ad ogni modo sono partita da questi piccoli punti per iniziare a costruire un mondo intorno a lui che, come avete letto, è fatto interamente di artigianato...

- ... a tal proposito, in questa parte viene approfondita la storia della famiglia di Atsuko, dove ritroviamo altri abili artigiani. In questo caso nella sua famiglia - da parte della mamma - vi erano creatori di giocattoli per bambini, ma sua madre Shinju è diventata una ceramista nonostante i suoi genitori non lo fossero; così ad insegnarle l'arte del ventriloquo è stata soprattutto la zia, senza però dimenticare che Shinju stessa non abbia mai abbandonato la sua passione verso quell'affascinante arte. Sulla ventriloquia dovete sapere che al mondo esistono ventriloqui che riescono ad emettere suoni senza muovere le labbra o addirittura gli stessi muscoli del corpo (un'operazione molto, molto difficile), e Atsuko appartiene a questa categoria.

- Per descrivere i tipi di alberi che possono crescere in una zona come quella di Nakahara, situata in montagna, mi sono aiutata con questo link tratto da un forum sul giardinaggio... ops. ;D

- Riguardo la bottega/negozio di Susumu, "Yume no niji" (cioè "L'arcobaleno dei sogni"), il nome è nato per caso. Però l'ho amato fin da subito perché rispecchia proprio ciò che chiunque può trovare al suo interno: svariati prodotti di alto artigianato, dalle cose più utili... ai piccoli oggetti da collezionare!

- Se volete avere un'idea dei regali in legno che ha ricevuto il piccolo Shingo, Per avere un’idea del cavallino che Shingo ha ricevuto in dono da Yukiko, ecco un esempio: qui potete trovare un riferimento al cavallino di Yukiko, mentre qui la bicicletta della nonna, ovviamente su misura per lui. Sì, le biciclette con un telaio in legno esistono per davvero e sono molto belle :3

 

Detto questo, avete notato che nella mia storia c'è una sottile differenza tra Yuzo e Shingo sullo sviluppo delle loro rispettive passioni per il calcio? Yuzo è appassionato fin da piccino, mentre Shingo si sta avvicinando a poco a poco a questo mondo. In realtà questa differenza non è nata per caso: in questa storia Yuzo vive in un contesto dove il calcio è molto forte (la prefettura di Shizuoka, con lo zio che lavora al S-Pulse Dream Plaza e sa vita, morte e miracoli della J.League, i genitori che gli regalano ogni cosa a tema calcio e un amico d'infanzia appassionato come lui), mentre Shingo si muove in un contesto dove l'artigianato è l'elemento essenziale (piccola anticipazione per chi non ha ancora letto il World Youth: pensate che, anni dopo, i suoi stessi genitori non sanno ancora cosa significhi la parola "assist"... con un figlio calciatore! XDD) Perciò, riguardo la parte di Shingo, vedrete che da qui in poi le cose inizieranno lentamente a cambiare... e ben presto la parola "calcio" entrerà sempre più nella vita degli Aoi insieme a quella dell'artigianato: a poco a poco ci arriveremo. :3

Come sempre ringrazio tutti coloro che sono giunti fino a qui, ci vediamo al prossimo aggiornamento!

--- Moriko

 

 

   
 
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