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Autore: Saeko_san    06/12/2020    1 recensioni
Ogni scrittore, amatoriale o professionista che sia, nella sua carriera ha incontrato sempre un grande ostacolo davanti a sé, chi prima, chi dopo: quello di ideare una storia, costruirla, a volte scriverne interi capitoli, per poi perderne l'interesse, a volte lasciandola sola e abbandonata a se stessa, senza più essere in grado di concluderla.
Per quel che mi riguarda, ne ho diverse di storie di questo genere e, datosi che non sono mai riuscita a trovar loro una conclusione o uno sviluppo appropriati, ho deciso di raccoglierle tutte insieme e comunicare la mia frustrazione (data dalla mia incapacità di concluderle) al mondo.
| stories first written between 2008 and 2011 |
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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8. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 7:
La casa sul Canale
 


Una goccia. Due. Più di due. Rora e Trashiraa proseguivano a fatica nel bosco bagnato dalla pioggia, mentre sopra di loro, oltre le alte chiome degli alberi, l’acqua cadeva giù fitta, scrosciante e più fastidiosa che mai. Rora aveva tutti i vestiti bagnati; i suoi capelli era zuppi e le si erano appiccicati al viso; la ciocca rosa era svanita tra le altre ciocche scure, come se non esistesse; le sue armi avevano le impugnature scivolose.
 
Se qualcuno ci attaccasse ora, temo che le spade potrebbero scivolarmi di mano.
 
Era un timore che le era venuto da quando la pioggerellina leggera e quasi impercettibile che le aveva accolte al risveglio si era trasformata in una specie di diluvio universale: aveva pensato che se fossero state attaccate, avrebbe dovuto usare il pugnale per avere più presa.
Posò la mano sulla pietra rosa della sua arma.
 
-Di quanto dobbiamo deviare?- chiese impaziente a Trashiraa.
 
Anche la piccola sarta aveva posato la mano sulla sua piccola spada d’oro.
 
-Più o meno di quattro gradi ad ovest, fare il giro della foresta di Fuori e poi tornare sulla nostra strada. Le piogge così forti sono pericolose. Sono i momenti che danchi e creature poco raccomandabili preferiscono per uscire allo scoperto-.
 
Rora lo sapeva. Ricordava che la sua maestra le aveva sempre detto di non uscire nemmeno per una battuta di caccia con la pioggia forte, questo almeno finché Aelithia si fosse trovata viva e vegeta ad Arvar. Creature come i danchi, i lupi neri, le fate oscure e gli orsi rossi adoravano la pioggia come momento di caccia perché copriva la loro posizione a tutti gli esseri che non facessero parte della loro medesima specie.
Aelithia era l’unica in grado di percepirli, in quanto strega regina e appartenente al mondo del Buio. Tutte le creature oscure le portavano rispetto.
Tuttavia fare il giro lungo per poter arrivare alla casa sul Canale di Jamrin era estremamente sconveniente.
 
È una cosa davvero irritante! E questa pioggia non smette, accidenti!
 
In più c’era qualcosa che le dava da pensare, ovvero il sogno sull’angelo. Era in dubbio se dirlo o meno a Trashiraa; non sapeva bene cosa l’Angelo della Finestra d’Oriente rappresentasse e le sue ultime parole le rimbombavano nella mente.
 
“Ricorda. Ricorda che non sei sola”.
 
Si riferiva forse a mia sorella e mio padre? O a Trashiraa e Kilik?
 
Quel dubbio l’assillava da quando si era svegliata.
 
E lo strano compito che mi ha lasciato? Qual è il suo potere racchiuso in me? Perché lo devo scoprire?
 
Queste domande senza risposta le si affollavano nei pensieri, lasciandola senza un solo punto di riferimento a cui appigliarsi. Alzò lo sguardo verso il tetto di foglie e rami sopra la sua testa; la tempesta si era leggermente calmata, non era più battente come prima.
 
Vorrei poter vedere il cielo, anche se è brutto tempo…
 
Uno strano scricchiolio la fece voltare. Anche Trashiraa si voltò assieme a lei. Si fissarono un attimo negli occhi e poi guardarono un punto alle loro spalle. Appena sopra il sottobosco c’era uno strano punto luce. Azzurro.
 
No. È blu scuro.
 
Quel punto luce aveva un che di inquietante. Rora non riusciva a staccarne gli occhi di dosso. Si avvicinava sempre di più, ma rimaneva minuscolo, quasi fosse lontano chilometri. Trashiraa la strattonò e si nascosero in un cespuglio.
 
-È una fata oscura. Se ti vede, siamo nei guai-.
-Perché?-.
 
Non mi hai mai parlato di fate oscure.
 
-Perché le fate oscure si alimentano della linfa vitale degli uomini- la sua voce era poco più che un sussurro –Tra poco avvertirà la mia presenza. Tu rimani qui-.
 
Rora fissò quegli occhi grigio ferro, più stretti del solito.
 
-E non provare ad intervenire- aggiunse, con un tono inquisitorio.
 
La ragazza arrossì e abbassò lo sguardo.
 
-Vieni fuori, fata lucente- disse una voce lugubre e profonda. La fata oscura si era infine accorta della presenza di Trashiraa, dunque la piccola sarta uscì allo scoperto. Rora riuscì a vedere attraverso le foglie dell’arbusto dietro il quale si era nascosta: la luce blu della fata oscura era diventata più grande e vicina. Riuscì a distinguerne le fattezze.
Anche lei era di piccola costituzione, esattamente come la sua maestra, ma la sua pelle era bluastra, i capelli erano nerissimi e gli occhi erano viola, un colore che mal si sposava con l’espressione del viso, estremamente lugubre ed enigmatica. C’era persino qualcosa di diabolico in quegli occhi.
 
-Dimmi fata oscura- disse Trashiraa.
 
La fata era stranamente fredda e tranquilla.
 
Riesce a nascondere bene le sue intenzioni
 
-Che ci facevi in quel cespuglio?- chiese.
 
Gli occhi viola della fata oscura si fecero inquisitori.
 
-Stavo riposando. Sono tre giorni che cammino-.
 
Sa mentire molto bene.
 
Rora invidiò la sua maestra. Lei non sapeva per niente mentire.
 
-Dove stai andando?-.
-A nord-.
-Dove di preciso?-.
-Perché vuoi saperlo?- stavolta fu il tono di voce di Trashiraa a farsi inquisitorio.
-Sto cercando una fata lucente che è fuggita dal castello di Arvar. Per conto della Venerabile Aelithia. Il suo nome è Trashiraa-.
-E pensi che sia io?-.
 
Il silenzio che seguì si fece pesante. La fata oscura rimase interdetta per un attimo e poi chiese:
 
-Come ti chiami?-.
 
-Il diritto delle fate lucenti dice che, quando una fata oscura chiede un nome ad una fata lucente senza una motivazione valida, la fata lucente è autorizzata a chiedere a sua volta il nome della fata oscura prima di rivelare il proprio-.
-Conosco bene il codice delle fate- disse la fata oscura, storcendo le labbra fini e violacee.
 
La luce azzurrina e soffusa che l’avvolgeva sembrò farsi più intensa.
 
Si sta arrabbiando.
 
-E allora dimmi tu il tuo nome-.
-Io sono Mareka- rispose la fata oscura.
 
Al suono del nome di Mareka la luce della fata si fece dapprima viola e poi divenne rossa.
 
-Sei una fata che è stata costretta a passare dalla parte del male- disse Trashiraa.
 
Per la prima volta in vita sua, Rora assisteva ai poteri che le fate avevano nei rapporti con quelle della loro specie. La piccola sarta ne aveva parlato, ma la ragazza non era riuscita a farsi un’idea vera e propria su come funzionassero le strane regole che regolavano il mondo fatato.
 
-Ora dimmi il tuo nome- disse Mareka.
 
La sua voce era diventata di un timbro leggermente più chiaro e sereno, tuttavia sembrava bloccato da qualcosa che lo rendeva roco. Trashiraa la guardò in modo strano. Rora non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo negli attimi seguenti.
 
-Mareka- iniziò la fata lucente –Tu sei una fata del gemellaggio?-.
-Sì-.
 
Gli occhi di Mareka, che si erano mantenuti viola scuro, a dispetto della sua pelle diafana, diventata improvvisamente piena di calore, iniziarono a riempirsi di mute lacrime.
 
Ha una sorella oscura! Rora ricordava una cosa che aveva detto Trashiraa a proposito del gemellaggio delle fate.
 
“Esistono fate che nascono sorelle ma con nature diverse, diventando fate lucenti e fate oscure. Di solito succede quando ci sono momenti di pace temporanea e i due blocchi che tengono in piedi il mondo di Laviro, Bene e Male, si fondono. In questo caso, la fata oscura può essere influenzata dal bene e quella lucente dal male. Quindi  una fata può passare dalla parte del male o del bene. E possono tornare più facilmente ciò che erano prima”.
 
-Tu desideri essere una fata oscura?-.
-Sì-.
-Chi è tua sorella?-.
 
Da interrogata Trashiraa era diventata inquisitrice. Mareka sembrava completamente sottoposta al suo interrogatorio.
 
-Seton-.
 
La fata consigliera di mia madre!
 
-Vuoi rimanere nell’oscurità? Sappi che se così fosse dovremo affrontarci per la vita- gli occhi grigio ferro rimasero fissi e impassibili su quelli viola e tremanti di Mareka.
 
-No- disse infine la fata.
 
Pronunciata questa sillaba il colore rosso fuoco della sua pelle si schiarì completamente fino a diventare bianco latte. Le guance si colorirono. Gli occhi rimasero viola, ma ora erano dotati di calore, lo sguardo lugubre era scomparso e l’espressione diabolica del suo viso dissolta. Mareka si era liberata della corazza dell’oscurità.
 
È tornata ad essere una fata lucente!
 
Non appena Rora formulò questo pensiero la fata cadde a terra svenuta; la ragazza uscì velocemente dal cespuglio per aiutare Trashiraa a soccorrerla. La sua maestra si era infatti abbassata di colpo ad aiutare Mareka.
La piccola sarta si alzò non appena Rora la raggiunse.
 
-Che succede?-.
-L’hanno fatta svenire per localizzarci- disse Trashiraa.
 
Si passò un dito sulle labbra, vi soffiò leggermente e poi passò quel dito sul braccio di Mareka. Una sottilissima polvere d’oro coprì il corpo inerte della fata.
Poi si alzò di scatto, prese Rora per un braccio e la portò via da lì.
 
Ma che succede?
 
-Cosa hai fatto?-.
-Ho fatto in modo che non venisse toccata. Quando si risveglierà non ricorderà di essere stata una fata dell’oscurità e di essere svenuta. E nessuno potrà farle del male per più di cinque giorni. Si chiama “soffio di fata”-.
 
Rora rimase in silenzio, rimuginando su ciò che le aveva detto l’Angelo della Finestra d’Oriente e al fatto che avrebbe voluto sua sorella accanto a lei, peccato che non ne ricordasse praticamente nulla.
 
-Dobbiamo raggiungere il prima possibile il Canale di Jamrin- disse Trashiraa.
 
***
 
Per cinque giorni camminarono senza sosta; si fermarono poche volte e in un paio di occasioni incontrarono i folletti. All’alba del sesto giorno, mentre il sole si alzava, arrivarono in vista del Canale di Jamrin.
Gli occhi della ragazza, stanchi per le poche ore di sonno, si spalancarono nel vedere l’alba: il sole stava sorgendo alla sua destra e la luna tramontava alla sua sinistra; dietro di loro v’era Arvar, davanti a loro v’era uno dei più bei spettacoli che Rora avesse mai visto.
Il Canale di Jamrin e il paesaggio attorno ad esso erano bellissimi: l’acqua invadeva quel territorio, tanto da farlo sembrare un enorme acquitrino; l’aria era fresca e cristallina, tutt’intorno al canale c’erano piccole foreste di mangrovie; su una specie di collina, l’unico punto in quel luogo che non era invaso dall’acqua e al quale si arrivava attraverso un ponte che guadava il canale, c’era un piccola casa. Aveva le mura dipinte di bianco e il tetto era in legno con alcune vecchie tegole rosse sparse qua e là, disposte in maniera incongrua con la coperta lignea. Piccole volute di fumo uscivano dal comignolo di un caminetto. Una rosa si arrampicava sul lato della casa dove v’era la porta, che si affacciava proprio sul canale. I raggi dorati del sole rendevano quel paesaggio incredibilmente bello.
 
Questa dev’essere la casa di Torov.
 
I campi intorno alla casa erano più che irrigati. Erano completamente allagati.
 
Dove sono i campi coltivati? si chiese Rora, ricordando ciò che le aveva detto Trashiraa.
 
-I campi son dietro la casa- disse Trashiraa.
 
La fata aveva lo sguardo basso, stava osservando il terreno ai suoi piedi.
 
-Mi hai letto di nuovo nel pensiero?- chiese Rora.
 
Ricordava infatti che la piccola sarta si divertiva a leggerle i pensieri.
 
-Con te è facile. Non è mica colpa mia se non riesci ancora a oscurare bene la tua mente-.
 
Non aveva un tono scherzoso. Stava riflettendo su qualcosa.
 
-Che succede?- chiese la ragazza
-Torov era uscito. Ed è tornato- disse.
 
Il suono di quelle parole avevano tutto, tranne che sollievo. Cosa che invece Rora provò.
 
Una parte di viaggio è terminata.
 
-Bene! Allora andiamolo a prend…-
-È tornato, certo. Ma ferito-.
 
Rora perse tutto il suo entusiasmo.
 
-Ma è vivo, vero?- chiese.
-Sembrerebbe di sì. Però è in condizioni pietose-.
-Dov’è?-.
-In casa-.
-E allora andiamo da lui!-.
-Il danchi che l’ha ferito è accanto a lui-.
-Come fai a dirlo?-.
-Guarda le tracce sull’acqua. Ti ho insegnato a riconoscere le tracce della magia- disse Trashiraa, indicando il punto che stava osservando.
 
Il sole continuava imperterrito il suo cammino nel cielo, fregandosene di ciò che succedeva sotto di lui. Rora si abbassò a guardare dove la sua maestra le aveva indicato: in un attimo ricordò tutto ciò che la donna le aveva insegnato riguardo alle tracce magiche.
 
“Tutti gli esseri viventi lasciano tracce. Sia magiche che non. Le tracce non magiche sono più facili da riconoscere, come quelle lasciate nei boschi, o nelle stanze… persino gli odori sono una traccia. Ma quelle magiche, anche se sono esistenti, sono nascoste. Per questo bisogna saperle individuare. Sono come dei segni che un’indovina lascia da interpretare. Le più comuni sono quelle che rimangono nell’aria. Appena ti muovi in un campo dove c’è stata una forte presenza magica, la tua testa inizia a diventare pesante. Se la potenza magica era di minore portata, l’aria pizzica la pelle. Molte volte gli umani non ci fanno caso, perché si tratta di pochi secondi. Poi ci sono le tracce magiche lasciate per i boschi, sul terreno. A volte sono facili da individuare, perché brillano di una luce azzurrina. Però ci sono casi in cui le tracce, soprattutto quelle che vengono lasciate da magie che agiscono sulle persone, sulla loro mente, sul loro corpo, sono quasi invisibili, che si mimetizzano con il sottobosco e per scovarle bisognerebbe spargere della polvere di foglie di meso, che rivela le tracce magiche facendole diventare d’oro. Infine ci sono le tracce lasciate nell’acqua. Si riconoscono perché fanno in modo di non riflettere il paesaggio intorno, rendendo tutti opaco”.
 
Ciò che Trashiraa aveva rilevato erano proprio questo. L’acqua di fronte a lei era un miscuglio chiazze opache, miste a sangue; anche se diluito nell’acqua limpida del canale, il rosso e l’odore del sangue erano ben percepibili.
 
-Sei sicura che sia il sangue di Torov?-.
-Sì. Riesco a riconoscere il sangue degli esseri umani, e quello che è sparso qui è sicuramente quello di un essere umano. Le tracce sull’acqua non sono ancora svanite-.
-Ciò vuol dire che il nemico è ancora qui- concluse Rora.
 
“Però le tracce nell’acqua svaniscono dopo due ore. Se sono ancora visibili vuol dire solamente che due possibilità sono da considerare: o che un combattimento è appena finito o che chi le ha lasciate è nei paraggi, tra l’altro solitamente le tracce di questo genere sono lasciate dai danchi”.
 
Rora sguainò molto lentamente le spade che portava sulla schiena. Anche Trashiraa prese la sua arma. I sensi della ragazza erano all’erta.
 
E se fosse il Danchi Immortale?
 
Rora non voleva combattere di nuovo con quell’essere. Aveva un che di diabolico e l’aspetto quasi del tutto umano lo rendeva ancora più inquietante.
Uno spostamento d’aria alle sue spalle. Nel momento stesso un cui Rora e Trashiraa si voltavano, tutti i pensieri e le paure si dissolvevano dalla mente della ragazza. Era diventata una macchina da guerra.
Quello che aveva alle spalle era un normalissimo danchi. La sua testa era completamente deformata dalla canna di una pistola, che spuntava dalla fronte. Le braccia erano sostituite entrambe da due armi: il braccio sinistro era sostituito da una spada a doppio taglio, mentre quello destro da un fucile. Le gambe erano quelle di un normale essere umano ed era a petto nudo. Il danchi sorrideva in modo diabolico, scoprendo una fila di denti d’acciaio.
Prima di battersi, Rora notò uno strano ciondolo al collo della creatura. Le parve avesse la forma di una stella, ma non le importò più di tanto. Partì direttamente all’attacco con un affondo.
Il danchi fu veloce a schivarlo, ma quella della ragazza era una finta. Infatti, non appena il nemico schivò di lato, Trashiraa cercò di trafiggerlo con la sua spada. Ma quella creatura, per quanto grande, era terribilmente veloce. Spostò il peso in avanti, verso Rora.
La ragazza di ritrovò faccia a faccia con quel mostro. La canna della pistola era puntata sulla sua fronte. Rora fu veloce ad abbassarsi e a trafiggere il mostro con una delle sue spade, spingendo la lama fino all’elsa. Tuttavia non successe ciò che si aspettava: il danchi non divenne immediatamente polvere, come si sarebbe aspettata. Il sorriso d’acciaio, che iniziava a riempirsi di sangue rosso e viscoso, gli rimase impresso nella mente.
Un bruciore improvviso al petto le fece mollare la presa sulle spade e portarsi una mano appena sotto il collo. Era lì che sentiva un forte bruciore, come se qualcosa di rovente le stesse bruciando la pelle. Alzò lo sguardo verso il danchi. Ormai era morto; lo si capiva dagli occhi vacui e spenti, la pelle già diafana e il sangue che aveva smesso di sgorgare dalla ferita e dalla bocca.
 
Perché ha perso sangue? Perché non si è polverizzato?
 
Poi notò che il ciondolo a forma di stella che quell’essere portava al collo aveva iniziato a bruciare. La pelle intorno all’oggetto era diventata nera, morta. Era la stessa cosa che pensava fosse accaduta alla sua pelle.
 
Ma allora ho anch’io un ciondolo?
 
Quando formulò questo pensiero il danchi finalmente si polverizzò, esattamente come aveva visto polverizzarsi i precedenti danchi nel bosco di Arvar; il ciondolo a forma di stella rimase sospeso in aria, appena sopra di lei. Sembrava avvicinarsi sempre di più al punto in cui il petto di Rora bruciava. La ragazza guardava stordita quell’oggetto, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Era ipnotizzata. Ma sentì Trashiraa che si riscuoteva e la prendeva per un braccio, trascinandola via. La piccola stella rovente rimase sospesa un attimo ancora, poi s’illuminò di una luce rossastra e svanì.
 
-Che cos’era?- fu la prima cosa che Rora riuscì a dire.
 
La piccola sarta non rispose subito. Il suo sguardo era un misto di vuoto e paura. Costrinse Rora ad alzarsi in piedi.
 
-Muoviti. Dobbiamo trovare Torov e andarcene-.
-Perché?-.
-Quello era il ciondolo di riconoscimento di tua madre. È riuscita a localizzarci con quello-.
-E come ha fatto?-.
-Tu, tua madre, tua sorella e tuo padre avete un segno di riconoscimento che vi accomuna. Un ciondolo che tenete nascosto a tutti. Tu e tua sorella ci avete detto che esiste, anche se non ci avete mostrato i vostri ciondoli. Possibile che non te lo ricordi?- chiese poi.
 
No! Non me lo ricordo! pensò Rora spaventata.
 
Allora era un ciondolo che portava nascosto sotto la sua armatura che le aveva bruciato la pelle. Appena avesse potuto avrebbe dovuto controllare.
Trashiraa la trascinò verso la casa bianca di Torov, spalancò la porta ed entrò. Il contadino era davanti al fuoco. Si stava fasciando una ferita.
 
-Chi è? Come avete fatto ad entrare?- chiese la sua voce.
 
Era burbera e rovinosa.
 
-Torov, pezzo d’idiota, sono io!- gridò Trashiraa.
 
Rora vide la figura dell’uomo che si stagliava sulla luce del caminetto tremare.
 
-Trashiraa?-.
-Sì, Torov, Trashiraa! Perché non hai ucciso quel danchi??-.
-Era ancora vivo?-.
-Sì!-.
-Ero sicuro di averlo ucciso!-.
-Fifone che non sei altro, scommetto che hai ferito il danchi, ma quando quello ha ferito te, tu sei scappato e non l’hai finito! E ora la Congrega Nera ci ha rintracciato di sicuro-.
-E perché avrebbe dovuto?-.
-Perché quel danchi portava con se un cimelio della famiglia di Aelithia! Ecco perché!-.
 
Il contadino rimase in silenzio. Mentre litigava con Trashiraa, le due donne si erano avvicinate a lui. Rora notò la ferita leggerissima che il contadino aveva sul fianco.
 
Deve essere veloce per essere riuscito ad avere solo una ferita così piccola.
 
Ciò che stupì Rora fu l’aspetto di quell’uomo. Ricordava di aver parlato di lui con Trashiraa e Kilik, quando stavano decidendo a chi affidare il controllo del Nord e dell’elemento dell’acqua. L’uomo che le stava davanti aveva gli occhi azzurrissimi, più azzurri del cielo e più limpidi dell’acqua; i capelli erano bianchissimi, a testimoniare la sua anzianità. Eppure il corpo sembrava ancora atletico come quello di un giovane di vent’anni.
 
“Torov è un uomo speciale”, ricordava che Trashiraa aveva esordito così nel presentarlo: “È un mio vecchio amico. Conosce la magia quanto serve, sa combattere e in più ha bevuto sangue di ninfa”.
 
A quest’ultima affermazione sia lei che Kilik l’avevano guardata di traverso.
 
“Gli è stato somministrato dalla madre quando aveva solo cinque anni. Soffriva di una strana malattia. Bevendo sangue di ninfa è guarito, ma ha acquisito degli strani poteri”.
 
Era stato quindi deciso che sarebbe stato il custode del Nord, sul Canale di Jamrin.
La fata spiegò velocemente la situazione all’uomo, che finì in fretta e furia di fasciarsi la ferita e con il movimento di una mano preparò una piccola borsa dove mise i suoi pochi effetti personali, dopodiché fece qualcosa che Rora non si aspettava minimamente: chiuse gli occhi e pronunciò una parola incomprensibile. Una luce bianchissima l’avvolse e quando svanì, Rora si ritrovò davanti due Torov. Solo che il falso contadino aveva gli occhi grigi. Era una copia.
 
Ecco di quali poteri strani parlava Trashiraa.
 
Senza altre parole o preamboli, il contadino uscì dalla casa, seguito da Rora e Trashiraa.
 
-Io mi avvierò verso Arvar. Vi aspetterò al quartiere segreto- disse e poi si passò una mano sul viso.
 
I suoi capelli divennero neri e una barbetta rada si fece strada sulle sue guance. Un neo comparve sotto l’occhio sinistro e sull’orecchio destro apparve un orecchino d’oro. Poi, sul suo collo, si disegnò serpeggiando un tatuaggio a forma di drago.
 
Il simbolo dei negromanti, ricordò Rora.
 
-Così non mi riconosceranno-.
 
Mentre loro si allontanavano verso est, verso l’Antro delle Ninfe, e Torov si incamminava sulla strada che la ragazza e la sua insegnante avevano percorso fino a quel giorno, il finto contadino uscì dalla casa bianca e si avviò verso i campi coltivati sul retro, a svolgere le sue mansioni.
 


































Note di Saeko:
sono tremendamente in ritardo, è praticamente passato un mese e mezzo dalla mia ultima pubblicazione, ma ho avuto diverse problematiche lavorative, familiari e universitarie da sbrogliare e queste mi hanno impedito di concentrarmi su questo capitolo, che è estremamente lungo (parliamo di circa 10 pagine su foglio word). Come sempre, non ricordavo che la mia mente avesse partorito una trama tanto complicata e sono sinceramente stupita di come io abbia sviluppato questa parte di storia ad appena 16 anni. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo concernente questa long (la più lunga della raccolta, devo ammettere) e vi rammento che le storie contenute in questa raccolta sono incompiute perciò non avrete un finale di questo fantasy letto sin'ora.
Me ne dispiaccio, ma neanche correggendolo, sono riuscita a trovare modo di ideare ulteriori sviluppi sin'ora e subito che correggendo il prossimo capitolo le cose cambieranno.
Vi ringrazio per essere arrivati sino a qui (ringrazio tantissimo alessandroago_94 per essere passato a recensire gli scorsi capitoli) e spero di tornare il prima possibile.
Mangiate le verdure.

Saeko's out!
  
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