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Autore: Moriko_    10/12/2020    1 recensioni
Due compleanni, due persone, un'unica data: 12 Marzo.
Lo straordinario cammino della vita dai primi passi alla maturità, verso più grandi ed importanti traguardi.
[Il titolo, che riassume il tema dell'intera opera, è ispirato a una citazione di Jean Paul, scrittore e pedagogista tedesco: "I compleanni sono piume sulle ampie ali del tempo."]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio, Shingo Aoi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fanfiction
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Contatto.

{Nove anni | Aoi's side}

 

 

BGM: Lindsey Stirling - Electric Daisy Violin

 

 

 

[Un anno dopo - 12 Marzo. Nakahara, prefettura di Gifu.]

 

Durante la pausa pranzo Shingo stava consumando il suo pasto in aula, vicino alla finestra, e di tanto in tanto rivolgeva lo sguardo verso l’esterno. Addentando il cibo che prendeva dalla sua bento box in legno, il bambino guardava il cielo che quel giorno era carico di nuvole minacciose di pioggia: nel corso del mattino l’intero territorio di Nakahara era stato devastato da una tempesta violenta che non era cessata nemmeno per un solo istante.

Di solito a Shingo piaceva arrivare a scuola anche sotto la pioggia. Il piccolo amava il tocco leggero che le gocce battevano sul suo viso mentre correva per le vie del borgo, ma quel giorno dovette fare a meno di godere di quella piacevole sensazione. Il tempo era tutt’altro che promettente: un forte vento aveva iniziato a sferzare in tutta la zona, e la fitta pioggia non permetteva a nessuno di muoversi da un punto all’altro senza arrivare completamente bagnati dalla testa ai piedi, così il padre di Shingo con l’automobile aveva accompagnato a scuola sia lui che sua sorella Yukiko prima di andare al lavoro.

Il bambino avrebbe voluto che la pioggia si placasse e che il vento diventasse sempre più lieve, come quello che gli scompigliava i capelli nelle belle giornate di sole. Per il suo nono compleanno Shingo avrebbe voluto come dono che almeno nel pomeriggio potesse tornare da solo a casa, passeggiando allegramente come sempre per le vie di Nakahara, sotto il canto degli uccelli sugli alberi e con la vista del panorama delle montagne, oppure uscire con gli amichetti da scuola, percorrere con loro un tratto di strada insieme e soffermarsi ad osservare i pesci rossi che nuotavano nel laghetto del parco, oppure giocare con i suoi amici ad acchiapparella o rimpiattino tra le vie della cittadina. Shingo avrebbe tanto voluto fare anche solo una di quelle cose, se solo quel ventaccio e quella violenta pioggia gli avessero dato tregua. Sospirò e lanciò un pensiero verso il cielo, come se avesse voluto rivolgere una preghiera alle divinità protettrici di Nakahara.

Ti prego... solo per oggi pomeriggio, perché è il mio compleanno. Da domani puoi fare tutto quello che vuoi, promesso!

E proprio in quel momento, come se dal cielo qualcuno avesse voluto esaudire il suo desiderio, tra quelle nuvole grigie fece capolino un timido raggio di sole.

 

 

All’uscita da scuola le condizioni meteorologiche erano decisamente migliorate: il vento si era placato e il sole splendeva tra le nuvole grigie che coprivano ancora il borgo. Shingo si fermò all'ingresso dell’istituto scolastico per ammirare lo spettacolo dei raggi che perforavano il cielo e diventavano sempre più numerosi, dopodiché si incamminò verso casa insieme ai suoi compagni di scuola.

Uno di loro iniziò a parlare con un tono acuto, sistemandosi gli occhiali dalle grandi lenti che gli stavano scivolando sul naso. «Che bello: la scuola è quasi finita!»

Un altro aggiunse più sommessamente: «Ancora qualche giorno e si va in vacanza!»

«Già!» intervenne il terzo. «E poi si ricomincia...»

«Vero! Però non vedo l’ora di uscire e giocare per tutto il giorno!»

«Anch’io! E voglio andare alle bancarelle del centro, per mangiare lo spiedino Hida[1]

«Io il Taiyaki

Shingo non disse nulla, limitandosi ad annuire e sorridere verso i suoi compagni. Anche lui non vedeva l’ora che arrivassero le vacanze di primavera e giocare con i suoi amici per tutto il giorno... ma non solo. Come per gli altri bambini, anche per lui le vacanze erano un’occasione per abbandonare finalmente i libri di scuola, passeggiare per le vie della cittadina e giocare con i membri della sua famiglia: con la mamma e sua sorella Yukiko, che aveva iniziato il percorso delle medie e con la quale non riusciva più a condividere tutto quel grande tempo libero che avevano a disposizione per giocare insieme, dato che lei era molto impegnata con lo studio e le attività del club di kyūdō; con il papà, che lavorava nella sua bottega e che poteva andare a trovarlo in occasione delle vacanze; con nonna Atsuko, alla quale voleva molto bene e che di certo con lui si sarebbe sentita meno sola nel silenzio della sua piccola dimora vicino al ruscello.

Anche con Riku era lo stesso. Nonostante ormai da anni avesse scoperto il segreto che c’era dietro al suo allegro chiacchierare, Shingo non aveva mai perso l’occasione di giocare con lui e confidargli tutto ciò che gli era accaduto nel corso della giornata: le lezioni, il pranzo e le uscite con i compagni di scuola... e persino qualche piccolo battibecco che aveva avuto con loro ma che poi si era subito risolto. Anche in assenza della nonna, della mamma e di Yukiko, che proprio sulle orme dell’anziana nonna stava apprendendo l’arte del ventriloquo, Shingo pensava che quell’orsacchiotto potesse ascoltarlo nel silenzio della sua cameretta, nonostante il fatto che non riuscisse a parlare da solo.

Tuttavia, al di là delle vacanze c’era ancora una cosa della scuola che iniziava ad incuriosire il piccolo, e che in quel momento stava emergendo proprio dal discorso allegro e spensierato dei suoi amichetti.

«Avete sentito cosa ha detto il maestro?»

«Già: quando torneremo a scuola dopo le vacanze, i senpai verranno nella nostra classe a parlare dei loro club.»

«Ma è così difficile scegliere!»

«Non preoccuparti, c’è ancora molto tempo! Ma io so già dove andare: al club di judo!»

«Io a quello di nuoto, perché lo adoro! Mi piace così tanto nuotare!»

«E tu, Shingo?»

L’interpellato guardò i suoi amici, piuttosto indeciso sul cosa rispondere. In realtà nemmeno lui aveva ancora le idee chiare: la scuola di Nakahara non aveva ancora molti club, anche se raccoglieva studenti dai piccoli paesi circostanti con la recente espansione della cittadina da quando il sindaco aveva promosso l’apertura di un’area industriale dedita alla produzione di materiale da costruzione e un centro commerciale incentrato sugli sport più popolari del Giappone. La maggior parte dei club che erano attivi riguardavano infatti le attività sportive, ma tra quelli non esisteva ancora uno che avesse attirato l’attenzione di Shingo: il bambino aveva iniziato a pensare che poteva provare ad entrare in quello di atletica leggera ma, nonostante amasse molto correre e saltare, sentiva di non essere pienamente soddisfatto al pensiero di fare della corsa che tanto amava la sua ragione di vita; questo perché, in realtà, Shingo voleva fare qualcosa insieme ai suoi compagni, non limitarsi a correre per qualche minuto attorno ad una pista.

Voleva essere il protagonista sì, ma allo stesso tempo sentirsi parte di un gruppo che gareggiava insieme a lui verso una meta vittoriosa. Gli piaceva l’idea della squadra, di un insieme di persone che condividevano l’idea di mettersi in gioco e raggiungere lo stesso obiettivo, con il talento e le capacità che ciascuno di loro aveva a disposizione.

Così, dopo aver dato uno sguardo al cielo, Shingo si rivolse ai suoi compagni sorridendo a trentadue denti. «Non lo so! Sarebbe bello far parte dello stesso club, ma ancora non c’è un gruppo del genere...»

Gli altri si intristirono. Anche loro avrebbero voluto entrare a far parte di un solo club, ma in tutta Nakahara non esisteva ancora qualcosa che potesse accontentare tutti i loro gusti e unirli in un team. Shingo aveva ragione: per quanto potessero trascorrere buona parte della giornata nella stessa classe, a partire dalla quinta elementare si sarebbero separati per frequentare club diversi tra loro; ciò significava che nel giro di un anno non avrebbero avuto più così tante occasioni per stare insieme. Con questo pensiero nei loro cuori, silenziosamente il gruppo di amici si incamminò verso la zona del parco del borgo.

Ad un tratto, i bambini da lontano scrutarono un viavai di operai e la presenza di alcuni mezzi meccanici in una zona poco distante. Piuttosto incuriosito, il gruppetto di amici non pensò due volte a chiedere informazioni a quei lavoratori che stavano giungendo nella loro direzione.

«Stiamo creando un centro sportivo,» rispose uno di loro, sistemandosi il casco giallo che proteggeva il suo capo.

«Un centro sportivo?» domandarono all’unisono i bambini.

«Sì! Il sindaco vuole costruire un’area gioco per voi ragazzi, proprio vicino al parco...»

Tutti ne furono entusiasti: quella sarebbe stata una grande occasione per trascorrere altro tempo insieme, nello stesso luogo. I bambini ringraziarono l’operaio e senza perdere tempo corsero verso la zona in costruzione dove all’ingresso, rigorosamente recintato per non permettere il passaggio di estranei, vi era un cartello informativo sui lavori.

«Centro sportivo di Nakahara...» lesse Shingo ad alta voce, e aggiunse: «Non posso crederci: un centro sportivo! Avremo un centro sportivo... qui, a Nakahara! Proprio come a Gifu!»

«Già!» esclamò uno dei suoi compagni di classe. «Chissà come sarà...»

Un altro continuò a leggere il cartello sottovoce, poi disse: «Qui c’è scritto che i lavori finiranno tra qualche mese. Perciò... perciò forse possiamo venire già per le vacanze estive!»

«Perché no?»

Felici e speranzosi, i bambini si incamminarono dalla parte opposta e tornarono in direzione del parco. Shingo si fermò e si voltò verso la zona ancora in costruzione, osservando il cantiere con sguardo sognante. Si divertì ad immaginare come potesse essere quel centro tra qualche mese: campi da tennis, piste di atletica...

Un centro sportivo...

«Ohi, Shingo: ti sei imbambolato?»

Il bambino sobbalzò. Alle spalle, i suoi compagni lo stavano richiamando; dopo aver rivolto un ultimo sorriso, il piccolo diede le spalle al cantiere e raggiunse i suoi compagni.

 

 

 

«Mamma, sono tornato!»

Shingo aprì la porta di casa e corse da sua madre che era nel soggiorno, intenta a ricucire lo strappo di un pantalone di suo marito. La abbracciò da dietro, posando il suo viso sulla spalla della mamma.

Yumi posò gli strumenti da cucito e il pantalone sul tavolino che aveva di fronte a sé, si alzò e sollevò il figlio da terra, guardandolo con occhi ridenti. Nonostante Shingo ormai stesse diventando un piccolo ometto, la donna riusciva ancora a tenerlo tra le braccia per qualche secondo: suo figlio aveva preso molto da lei, e anche il fatto che fosse minuto era una caratteristica della sua famiglia. In certi momenti gli ricordava molto il suo papà Kunio, scomparso quando lei aveva ancora dodici anni, ma nella memoria di Yumi era ancora viva l’immagine di quell’uomo minuto dal volto sempre allegro e solare, che non sembrava mai essere triste e cupo, nemmeno quando le sue sapienti mani di artigiano non riuscivano a trasmettere nelle sue creazioni ciò che invece aveva in testa.

Lei non aveva mai visto suo padre nello sconforto, esattamente come stava accadendo con suo figlio. Entrambi, nonno e nipote, riuscivano sempre a celare la loro tristezza, continuando a sorridere anche tra le lacrime, ed entrambi erano ugualmente cocciuti: quando si mettevano in testa di fare una cosa si impegnavano per portarla a termine, anche se l’impresa sembrava impossibile da compiere... e forse, non a caso, era proprio grazie a questo lato del carattere di suo padre che Nakahara poteva vantare tutte quelle magnifiche costruzioni che affascinavano sempre chi giungeva da ogni parte del Giappone.

«Sai, mamma?» disse Shingo, con un tono che lasciava intendere tutta la sua grande gioia per ciò che aveva scoperto quel giorno. «Stanno costruendo un centro sportivo vicino al parco!»

«Davvero?»

«Sì! Oggi abbiamo visto tutto sottosopra... e un operaio ci ha detto che sarà proprio un centro sportivo! Chissà cosa ci sarà di bello...»

Così come i suoi compagni, anche Shingo non aveva un’idea ben precisa sul cosa realmente fosse un centro sportivo. Ne aveva sentito parlare per la prima volta nei corridoi della sua scuola, quando i bambini più grandi parlavano del Gifu Memorial Center, situato nella capitale della loro prefettura, Gifu. Dalle loro parole Shingo aveva immaginato un’insieme di luoghi dove ognuno praticava lo sport che amava: basket, pallavolo, ping pong, judo, kendo e così via. Sembrava essere il paradiso degli sportivi, dove chiunque poteva aspirare a diventare un professionista confrontandosi con gli altri in gare sempre più accese e competitive.

Nakahara, così come le altre città e i paesi circostanti, faceva riferimento anche al complesso sportivo Hida-Takayama Big Arena della vicina Takayama, situata ad una decina di chilometri di distanza. Shingo l’aveva visto per la prima volta quando con la sua famiglia aveva accompagnato la sorella per una gara di kyūdō tra i club di Nakahara e Takayama, ma già dall’esterno non gli ispirava granché: non assomigliava nemmeno lontanamente al fantastico centro sportivo di Gifu che aveva sempre immaginato. «Sembrano i capannoni dei fiori!» aveva commentato con sarcasmo ai suoi genitori quando era giunto all’ingresso del Big Arena, indicando le gigantesche strutture che ricoprivano le aree da gioco. La facciata di quel centro gli aveva ricordato la serra che si trovava nei pressi del parco del suo borgo, che aveva proprio un ingresso dalla forma a capanna molto simile a quella del complesso sportivo.

Per questo motivo Shingo non vedeva l’ora che quello di Nakahara fosse terminato, perché già sperava che fosse più simile al centro di Gifu piuttosto che a quello di Takayama, anche se non ne conosceva ancora i dettagli.

Dopo aver comunicato alla mamma questa notizia, il piccolo le lasciò lo zainetto della scuola ed esclamò: «Vado a fare un giro con la bici, a dopo!»

Senza dare alla madre il tempo di replicare, in un attimo Shingo si ritrovò di nuovo fuori casa; prese la bicicletta che era parcheggiata nel loro giardino e con essa si allontanò per fare il suo solito giro pomeridiano.

Yumi si affacciò dalla finestra e lo osservò, tirando un sospiro divertito. È proprio vero: è tutto suo nonno!

 

Shingo pedalò fino a casa di sua nonna, posò la bicicletta vicino al mulino e bussò alla porta che subito si aprì. Atsuko lo accolse dentro casa, invitandolo a sedersi: l’anziana gli portò degli spiedini che stava preparando: i mitarashi dango[2], gnocchi di riso ricoperti da una dolce salsa di soia. Ma, prima di gustare quel manicaretto, Shingo raccontò anche a sua nonna del cantiere del futuro centro sportivo.

Atsuko fu molto contenta di quella notizia. «Finalmente!» esclamò. «Ci voleva proprio: i nostri ragazzi hanno bisogno di uno spazio tutto loro per giocare!»

«Già, nonna! Sono proprio felice!»

Addentando un dango, Shingo diede uno sguardo alla finestra che affacciava sulla stradina che aveva percorso. In quel momento gli tornò alla mente di quei due ragazzini che aveva incontrato tre anni prima, e che lo avevano ringraziato per il fortuito salvataggio del loro pallone: da quando il piccolo aveva iniziato ad andare a scuola erano poche le volte in cui riusciva ad andare da sua nonna, e anche per questo motivo non aveva più avuto occasione per incontrarli. D’altronde erano trascorsi tre anni e quei ragazzini, ormai adolescenti, probabilmente avevano iniziato ad allenarsi altrove.

Shingo si ricordò che sua nonna gli aveva menzionato che quei due amassero il calcio, ma che allo stesso tempo forse erano un po’ imbranati per il fatto che - almeno dalle parole della nonna - facevano sempre finire il loro pallone tra le pale del mulino. Tuttavia erano trascorsi diversi anni e, forse, quei due ragazzini erano riusciti a diventare più bravi e - chissà - avevano già iniziato a giocare come professionisti...

Che bello avere un campo da calcio nella mia città... così forse potrò incontrarli di nuovo!

Il piccolo sbarrò gli occhi.

Perché aveva avuto quel pensiero? Lui non si era mai appassionato al calcio e solo una volta aveva incontrato quei ragazzini, che alla fine non erano suoi amici né parenti, senza contare che con loro non aveva giocato nemmeno una partita, e solo allora si era ricordato di quell’episodio avvenuto tre anni prima e del pallone che proprio lui aveva salvato...

Il... il pallone...

Shingo si alzò, e dopo aver finito di mangiare il dango si avviò velocemente verso la porta d’ingresso. Sotto gli occhi confusi della nonna uscì di casa e restò fisso a guardare la riva del fiume: era lì che aveva incontrato quei due ragazzini, ed era sempre da lì che aveva visto entrambi che si allontanavano sempre più passandosi il pallone. Gli sembrava ancora di udire il rumore di un palleggio, così distante nel tempo e nello spazio...

O forse...

«Shingo, dove vai?»

Sua nonna lo chiamò più volte, ma fu tutto inutile: Shingo aveva iniziato a correre sempre più lontano da lei, senza salutarla e senza la sua adorata bicicletta che aveva lasciato vicino la porta. Il piccolo, incurante dei richiami della nonna che stava sentendo sempre più distante, aveva di nuovo imboccato la stradina dalla quale era venuto, ma prendendo la direzione opposta a quella di casa.

Deve essere da questa parte... e ne sono sicuro: è sempre più vicino, non può essere un sogno!

In un attimo giunse ad un vicino bivio con una doppia svolta: una a sinistra, che immetteva nel sentiero che portava alla zona incontaminata attraversata dal ruscello, e l’altra a destra, più ampia e spaziosa, che risaliva le pendici di una delle montagne che circondavano il borgo. Seguendo quel rumore che stava catturando la sua attenzione sempre più, Shingo risalì la strada a destra e, ritrovandosi ad un certo punto su un balconcino, vide davanti a sé un luogo dove non era mai stato prima: un’area molto vasta e ricoperta di cemento, suddivisa in due parti dove in una di esse vi erano tracciate delle delimitazioni per l’atterraggio dell’elisoccorso.

In un attimo, il bambino capì dove fosse giunto: nell’area di accoglienza della cittadina utilizzata solo in caso di gravi emergenze. Lui non c’era mai stato perché non si era mai trovato nel mezzo di un’emergenza grave come terremoti o frane da quando era nato, ma a scuola i maestri avevano sempre parlato del comportamento da tenere in quei gravi casi, ed era da lì che Shingo aveva visto per la prima volta l’immagine di un elisoccorso che atterrava in una vasta area come quella che ora stava vedendo.

Spostando lo sguardo sull’altra parte di quella zona delimitata, il piccolo vide alcuni adolescenti che stavano giocando a calcio, con indosso la stessa divisa ma suddivisi in due squadre, una delle quali portava una pettorina gialla sopra la divisa: in quel punto i ragazzi avevano improvvisato due porte con i loro borsoni, così da poter definire meglio il loro terreno di gioco. I calciatori erano fradici di sudore, le loro divise candide come la neve erano tappezzate di sporcizia che le aveva annerite.

Incuriosito, Shingo scese gli scalini che portavano all’ingresso di quell’area d’emergenza allestita in quattro e quattr’otto come campo da calcio. Si avvicinò al campo improvvisato e restò sul bordo, osservando con attenzione il modo in cui stavano giocando quei ragazzini. La maggior parte di loro stava correndo da un punto all’altro di quella zona: i vari giocatori dribblavano gli avversari e si passavano il pallone a vicenda per poi tirarlo verso le rispettive porte con un potente calcio o un colpo di testa. Le loro espressioni cambiavano di minuto in minuto, ma una cosa era certa: tutti si stavano divertendo, e lo stavano facendo insieme.

Shingo si incantò nel vedere i loro movimenti, quando ad un tratto uno di loro cadde a terra dopo un contrasto. Il ragazzino si massaggiò la caviglia dolorante, e subito la partita venne interrotta: i suoi compagni si avvicinarono e lo aiutarono a rialzarsi senza pensarci due volte.

«Vai a sederti laggiù,» disse uno di loro, offrendogli una spalla e indicando il luogo dove si trovava Shingo; nel farlo, però, si accorse della presenza del bambino e ne restò sorpreso.

«Tu...»

Il piccolo si spaventò, pensando di aver sbagliato a trattenersi lì. Non aveva chiesto il permesso a quei giocatori di assistere alla loro partita; forse, quei calciatori avevano deciso di allenarsi proprio in quel luogo per non essere visti da nessun altro del loro borgo.

Subito Shingo si alzò e, con un inchino, si scusò con il ragazzo che l’aveva indicato. «Mi... mi dispiace! Mi sono trovato qui per caso, non volevo disturbarvi!»

L’altro gli si avvicinò e, ancora incredulo, esclamò con entusiasmo: «Tu... sì, devi essere proprio tu! Sei quel bambino che ha salvato il mio pallone vicino al ruscello tre anni fa! Caspita, come sei cresciuto!»

Shingo alzò timidamente gli occhi per incrociare lo sguardo felice del ragazzo, e subito in lui riconobbe proprio uno di quei due ragazzini che aveva incontrato tre anni prima. «C-Ciao...» mormorò, discostandosi leggermente per fare spazio al giocatore infortunato che subito si sedette al suo posto; poi sorrise al ragazzo che aveva riconosciuto. «Sei altissimo!» esclamò con stupore, scrutando l’altro dalla testa ai piedi.

«E tu non sei cambiato per niente!» rispose il ragazzo, arruffandogli affettuosamente i capelli. «Cosa ti porta da queste parti?»

«Vengo dal ruscello!» esclamò candidamente Shingo. «Ho sentito il rumore di un pallone... ed eccomi qua!»

Quell’affermazione colse il ragazzo di sorpresa: il ruscello era il luogo dove lui e quel bambino si erano incontrati, per la prima e unica volta, e anche il giovane calciatore non immaginava di rivedere quel piccoletto nella stessa circostanza che li aveva portati a conoscerli.

Grazie ad un pallone.

Il ragazzo si voltò verso i compagni che nel frattempo lo avevano raggiunto. «Ti presento la squadra di calcio di Nakahara, l'unica presente qui e che abbiamo fondato da poco,» disse a Shingo con fierezza. «Quest’anno per la prima volta vogliamo partecipare al campionato nazionale delle scuole superiori; per questo ci stiamo allenando qui in attesa che anche a Nakahara verrà costruito un piccolo campo da calcio...»

Il piccolo sorrise. «Non preoccupatevi: tra poco sarà pronto!»

«Intendi il campo sportivo che stanno costruendo vicino al parco?»

«Sì, proprio quello! Oggi sono passato di là con i miei amici, e mi hanno detto che ci sarà un bellissimo centro sportivo: chissà se sarà molto bello come quello di Gifu...»

Il ragazzo scoppiò a ridere e rivolse lo sguardo verso l’orizzonte. «Già, sarebbe fantastico...»

Mentre i due stavano ancora chiacchierando, gli altri giocatori avevano iniziato a discutere sul come riprendere l’allenamento dato che ora avevano un compagno infortunato. Uno di loro disse: «Visto che Matsumoto non può giocare, qualcuno di noi con la pettorina deve restare in panchina per bilanciare l’altra squadra...»

«Già,» aggiunse un altro. «Siamo già molto stanchi, forse è meglio se un altro di noi si fermi con lui...»

Nel frattempo Shingo indietreggiò di qualche passo e urtò contro il pallone che era rimasto abbandonato. Il piccolo lo prese in mano e lo lanciò in alto, per poi farlo rimbalzare sul suo ginocchio: iniziò a palleggiare per imitare l’azione di alcuni calciatori che aveva visto qualche volta in televisione. Più volte il pallone finì a terra, ma lui non si arrese e tornò a farlo saltare in alto, cercando di non farlo cadere il più possibile.

A quel rumore i giocatori si voltarono verso il bambino, e lo videro così assorto nel suo tentativo al punto di restare in silenzio e non intervenire. Non appena il pallone cadde di nuovo a terra, a sorpresa uno di loro se ne impossessò con un contrasto, lasciando Shingo di stucco: si trattava proprio del ragazzo che lo aveva riconosciuto, e che ora aveva deciso di sfidarlo con una smorfia divertita accompagnata dal gesto della mano.

«Su, vieni a riprenderti il pallone!»

I suoi compagni di squadra osservarono la scena molto dubbiosi. Che cosa si era messo in testa il loro amico? Vuole davvero sfidare un moccioso delle elementari? - pensarono all’unisono.

«Ci sto!» urlò Shingo con un sorriso, e subito corse verso di lui. Non conosceva molto le regole del calcio, ma volle provare lo stesso a rubare a quel ragazzo il pallone: non sapeva il perché, ma quella sfida lo stava entusiasmando sempre più.

L’altro scattò in avanti, percorrendo l’area a gran velocità, ma dopo qualche secondo Shingo riuscì a raggiungerlo e a tentare una scivolata per prendere il pallone, allo stesso modo in cui lo aveva fatto tre anni prima. Tuttavia il giovane riuscì ad evitare il bambino con una finta, poi lanciò il pallone per aria e lo trattenne con il piede quando toccò nuovamente il suolo.

«Lo sapevo, non sei cambiato per niente!» sentenziò il ragazzo, che subito aiutò Shingo a rialzarsi. «Con il palleggio te la cavi, sai? Se penso che alla tua età ero talmente imbranato che lo facevo cadere da ogni parte... invece tu sei davvero bravo: se continui ad esercitarti, potresti diventare un grande campione di palleggi!»

Shingo si scrollò la polvere dal pantalone che indossava e disse: «In realtà è solo la prima volta... infatti prima ho fatto sempre cadere il pallone a terra: è così difficile, come si fa?»

«Te lo dimostro subito!»

Il ragazzo iniziò a palleggiare ma a differenza del piccolo, non appena fu certo di non riuscire più a mantenere l’equilibrio, fermò la palla sul dorso del piede e la rilanciò in aria con un movimento elegante, tornando a far rimbalzare il pallone senza problemi. Shingo restò fisso ad ammirarlo, i suoi occhi non smettevano mai di seguire le azioni del giocatore in tutti i suoi dettagli. Poi il ragazzo prese la palla tra le mani e disse: «Piaciuto il piccolo show

Il bambino strizzò gli occhi e annuì contento.

«Vedrai che un giorno anche tu riuscirai a palleggiare in questo modo,» proseguì l’altro. «È vero: non è affatto semplice. Ci vuole tanto impegno... ma vedrai: se ce l’ho fatta io che ero imbranato, tu ci riuscirai in men che non si dica!»

Poi con un cenno richiamò sul campo i suoi amici, e prima di riprendere la partita porse la mano a Shingo. «Tre anni fa non ci siamo presentati... ma rimedio subito! Piacere di conoscerti: il mio nome è Tanaka Yuito... e sono il capitano della squadra delle scuole superiori del Nakahara! Sarei molto felice se restassi ancora un po' con noi per guardare la nostra partita di allenamento!»

Il piccolo prese la mano del giovane e la strinse nella sua, rivolgendo un piccolo inchino verso di lui. «Io sono Aoi Shingo, piacere! Grazie per l’invito, Tanaka-senpai... resterò volentieri!»

Shingo tornò sul bordo del campo e da lì assistette al resto della partita. Mentre osservava di nuovo i calciatori nel pieno del gioco - in modo particolare quel Tanaka Yuito - il bambino portò le mani sulle guance e il suo volto iniziò a brillare di una gioia smisurata.

Ho deciso! Vorrei giocare a calcio, un giorno… se solo anche nella mia scuola esistesse un club del genere!

 

 

 

Venuta la sera, come da tradizione la famiglia Aoi si era radunata a casa di Shingo per festeggiare il suo nono compleanno. Ancora una volta si erano raccolti tutti intorno al tavolo della cucina, e tra varie chiacchierate e racconti della giornata tutti i componenti della famiglia trascorsero una piacevole serata.

Prima di portare la torta a tavola, Atsuko si recò da sua figlia Yumi per aiutarla a lavare i piatti, lasciando Shingo a giocare con Yukiko, Riku e il loro papà Susumu.

«Certo che tuo figlio è proprio una sagoma…» L’anziana donna si era rivolta sottovoce a Yumi, guardando i suoi nipotini con affetto. Ci teneva a dire a sua figlia ciò che era accaduto poche ore prima con il nipote, nel momento in cui all’improvviso il piccolo aveva lasciato tutto - anche la bicicletta dalla quale non si separava mai - per correre chissà dove; poi era tornato da lei, e con allegria aveva iniziato a raccontarle della situazione nella quale era capitato semplicemente dopo aver seguito il rumore di un palleggio.

«Una partita di calcio nell’area accoglienza di Nakahara!» esclamò Atsuko sbalordita. «Ecco perché negli ultimi anni quei ragazzini imbranati non giocavano più vicino al ruscello... e non è l’unica novità: Shingo ha detto di aver fatto amicizia con il capitano della squadra, e ora spera che nel centro sportivo ci sia anche un piccolo campo da calcio, così la squadra del suo amato capitano potrà giocare come si deve!»

Yumi sorrise, rivolgendo lo sguardo verso suo figlio. «È davvero un bravo bambino: così premuroso e gentile!»

«Certo,» disse Atsuko con sarcasmo. «Così premuroso dal dimenticarsi di dire a sua nonna dove stesse andando... e di certo non potevo rincorrerlo: lo sai che ora è più veloce di me!»

L'anziana asciugò un piatto che aveva in mano, e lo ripose a posto. Diede un profondo sospiro e, dopo aver acquistato uno sguardo più serio e tranquillo, mormorò: «I miei nipotini stanno crescendo in fretta, forse anche troppo. Cara Yumi, sembrava ieri che ti tenevo in braccio, e oggi guardati: sei una donna con due figli... e anche loro sono già così grandi! A volte vorrei tornare indietro nel tempo per rivivere tutti quei momenti che ho trascorso con tutti voi bambini...»

Yumi risciacquò un altro piatto e lo passò a sua madre, poi le sorrise. «Sai, mamma? Noi siamo così fortunate ad abitare vicine, e posso assicurarti che a Shingo e Yukiko manchi molto, nonostante riuscite a vedervi ogni tanto...»

Atsuko posò il piatto sul gocciolatoio, sospirando ancora una volta. «Lo so, figlia mia... però per me ogni momento trascorso con loro è prezioso... e spero che sia lo stesso anche per loro...»

«Ti assicuro che è proprio così: non c’è un solo giorno nel quale non chiedono di te quando non ti vedono da queste parti o non possono venire a trovarti!»

Yumi si asciugò le mani e prese la torta dal frigorifero, sistemò le candeline sulla glassa e le accese. Rivolse un sorriso rassicurato a sua madre e con il suo aiuto portò il dolce a tavola.

Non appena videro le due donne rientrare nella cucina, gli altri presenti cantarono “Tanti auguri” e Shingo si preparò a soffiare le candeline. Prima di farlo, però, suo padre lo raccomandò. «Alt: ricordati che prima devi esprimere il tuo desiderio!»

Il piccolo rise. «L’ho già fatto, papà!»

«Co... come?»

«Eheheh! Sai, papà: all’inizio ero molto indeciso... ma oggi pomeriggio ho trovato il desiderio giusto da esprimere ora!»

Shingo chiuse gli occhi, riempì i polmoni d’aria con un gran respiro e soffiò sulla torta con tutto il fiato che aveva accumulato, lasciando di stucco Susumu che poi lo prese sulle spalle, se lo portò in disparte e disse: «Che strano... tutti gli anni ci metti un sacco di tempo prima di soffiare le candeline, e quest’anno hai fatto molto in fretta, forse fin troppo. Dimmi, Shingo: cosa bolle nella tua pentola?»

«Lo sai, papà: non posso dirtelo, altrimenti il mio desiderio non si realizzerà mai... e io voglio che si realizza al più presto!»

Susumu lo posò a terra, e gli mise le mani sulle spalle. «Va bene... però dimmi solo questo: non è una cosa cattiva, vero?»

Il piccolo scosse la testa e con un grande sorriso si batté più volte il petto con il pugno chiuso. «Te lo giuro, papà: è una cosa molto bella... che farà felice me e i miei amichetti! Però posso dirti che riguarda il centro sportivo che stanno costruendo vicino al parco...»

Allontanandosi così da suo padre che lo osservò piuttosto sorpreso, Shingo corse dalla sorella che lo stava aspettando con Riku in braccio. Prima di riprendere il gioco con lei in attesa di mangiare la torta, pensò ancora una volta al desiderio che aveva appena espresso: era uno di quelli molto semplici, quasi dell’ultimo minuto ma con il quale, senza saperlo, la sua vita aveva appena iniziato a cambiare direzione.

 

Voglio giocare a calcio presto, con tutti i miei amici! Li convincerò a fondare un club di calcio nelle scuole elementari... proprio come ha fatto Tanaka-senpai con i suoi compagni!

 

 

Note dell'autore:

[1] Lo spiedino Hida è una specialità di Takayama, sempre nella prefettura di Gifu: è composto da carne bovina Hida (la carne del posto, come per il più famoso manzo Kobe), succosa e morbida, che quasi si scioglie in bocca!

[2] I mitarashi dango sono i tipici spiedini di gnocchi di riso ricoperti da salsa di soia; tradizionalmente sono composti da cinque pezzi a spiedino.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Rieccoci con la parte dedicata a Shingo! Ebbene sì: lo Yuito che è comparso qui è lo stesso che il nostro protagonista ha incontrato nella parte precedente (quella dedicata ai suoi sei anni)! Ve lo ricordate? Tre anni prima era un po' imbranato con il pallone... beh, un bel po', considerato che lo faceva finire tra le pale del mulino insieme al suo amico; qui invece lo vediamo nelle vesti di capitano della squadra delle scuole superiori. Un bel salto di qualità, forse un po' troppo veloce; tuttavia se c'è qualcosa che Captain Tsubasa ci ha insegnato - in positivo - è che tutti, con impegno e perseveranza, possono diventare dei bravi calciatori, e anche il nostro Yuito non fa eccezione. :)

Detto questo, ve lo presento:

 

- Tanaka Yuito 「田中結翔」 è l'attuale capitano della squadra di calcio delle scuole superiori di Nakahara. Sebbene fosse da sempre appassionato di calcio, all’inizio non era molto bravo - soprattutto con i palleggi - ma dopo essersi impegnato ha raggiunto un livello notevole e il suo sogno è quello di diventare un calciatore professionista. Il nome è assolutamente inventato su due piedi, dando uno sguardo ai nomi e cognomi più in uso in Giappone: il suo cognome significa "campo di riso" mentre il suo nome "saltare, librarsi", perché mi piaceva l'idea che partisse dalla terra per poi elevarsi in cielo... calcisticamente parlando (un po' simile a "Tsubasa", che significa "ali").

 

Vi anticipo che la storia di Tanaka Yuito non finisce qui, per cui presto riparleremo anche di lui. A parte questo, la sua storia inizia a intrecciarsi a quella di Shingo al punto che, come avete visto, il protagonista prende la decisione di giocare a calcio; tuttavia anche con lui sono stata una scrittrice un po' cattiva e, anche se nel suo caso non ho fatto "passare nessuno a miglior vita", ho immaginato che Nakahara non avesse delle storiche squadre di calcio, e se da un lato Yuito è riuscito a far partecipare la sua squadra al campionato nazionale, Shingo deve partire da zero perché alle elementari non esiste ancora un club dedicato al calcio, mentre alle medie e superiori c'è già: a Nakahara, storica culla dell'artiginato, inizia a esserci la "calcio-mania" e iniziano a nascere questi vari club di calcio, ma Shingo avrà il difficile compito di fondarne uno, dato che è incuriosito e allo stesso tempo attratto da questo sport.

Ce la farà il nostro protagonista? Troverete la risposta a questa domanda nella prossima parte... ma prima di concludere, qualche nota aggiuntiva (perché ormai mi diverto a scriverle, ahahah XD):

 

- Ho immaginato Takayama situata a una decina di chilometri di distanza da Nakahara. Mi serviva questo elemento per "giustificare" il motivo per il quale a Nakahara non esiste da molto tempo un club dedicato al calcio: essendo una cittadina caratterizzata dall'artigianato, questo sport non è quello principalmente praticato dai bambini/ragazzini della zona, preferendo attività come il kendo e il kyūdō (sport, quest'ultimo, che pratica proprio la sorella di Shingo!)

- Il Gifu Memorial Center è un complesso di impianti sportivi situato nella città di Gifu, con lo scopo di promuovere lo sport e altri eventi all'interno della prefettura. Dunque, potete immaginare come agli occhi di un bambino come Shingo sia una cosa meravigliosa, al punto che egli spera che anche a Nakahara possa esserci una cosa del genere - spoiler: non esattamente, ma sarà comunque una cosa carina.

- Il Hida-Takayama Big Arena (che qui ho abbreviato come "Big Arena") è un complesso sportivo con aree al coperto. Dalla fotografia dell'esterno, però, ho immaginato che un bambino come Shingo non sia rimasto propriamente entusiasta di questo centro... al punto che come struttura lo paragona alle serre e, dunque, preferisce mille volte quello di Gifu. (Chiedo scusa agli abitanti di Takayama, non lo penso davvero! ^^") Nel dettaglio, qui potete trovare l'elenco completo delle aree e gli sport che si svolgono al suo interno.

- Una nota molto importante. Per quanto abbia cercato delle informazioni - e per questo rinnovo l'invito a chi ne sa di più a illuminarmi - non sono riuscita a trovare il modo in cui è segnalato l'atterraggio degli elisoccorsi in Giappone; per esempio, In Italia abbiamo il classico cerchio giallo con la lettera "H", ma chissà come sarà in Giappone...

 

Chiudo ringraziandovi anche per la lettura di questo capitolo, e come sempre ci vediamo con la prossima parte dedicata a Yuzo! Senza contare l'epilogo siamo ufficialmente arrivati a metà storia, e i nostri protagonisti stanno crescendo... è ancora presto, però vi confesso che un po' mi mancheranno quando arriveremo al finale. :')

Al prossimo aggiornamento!

--- Moriko

 

 

   
 
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