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Autore: NPC_Stories    10/12/2020    3 recensioni
Mi hanno definita in molti modi, tutti poco lusinghieri. Predatrice succhiasangue, non morta, vampira. Be', hanno ragione, più o meno. Vampier sarebbe una definizione più corretta, o almeno, questo era il nome che aveva scelto mio padre per la cosa che sono. Qualcosa di interamente nuovo. Un vampiro modificato con l'alchimia.
Ma questa è solo la storia di com'è cominciata, e non è una storia allegra. Nascere e morire sono sempre momenti traumatici, soprattutto se avvengono insieme.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Capitolo 2: Che altro c’è?


860 DR, città di Silverymoon

‘Che altro c’è?’, questa era la cosa che mi sentivo ripetere più spesso da mio zio. ‘Ti ho dato un’istruzione, Erika Lesmiere, ti ho dato un tetto sopra la testa, ho soddisfatto ogni tuo capriccio, ora che altro c’è?’
Oh, giusto. Il mio nome è Erika Lesmiere, della Casata Lesmiere. E sì, per un periodo continuai a vivere con mio zio, il Barone, nel suo bel palazzo ai confini della città. Dopo la morte di mio fratello, mio padre si buttò ancora di più sul lavoro. Se mia madre fosse stata viva, ecco, forse non sarebbe successo, ma se mia madre fosse stata viva sono sicura che non si sarebbero nemmeno tirati in casa un vampiro.

Mio zio mi aveva cresciuta con un’educazione militare, ma non era pienamente soddisfatto di me. La mia infanzia e la mia adolescenza furono un inestricabile incasinato miscuglio di ferrea disciplina e vizio sfrenato. Può sembrare che le due cose siano in contraddizione, eppure una fanciulla di buona famiglia deve sapersi muovere a suo agio nel lusso, anche se il suo ambiente naturale è il campo di battaglia.
Avevo una collezione di bandoliere per coltelli e una collezione di cappellini da donna. Non mi era consentito indossarli nello stesso momento. Si può ben capire come tutto questo potesse generare un minimo di confusione nella mente di una quattordicenne.
Il motivo per cui muovevo spesso richieste eccentriche a mio zio era uno e uno soltanto: esasperarlo. Volevo che si stancasse di me. Volevo che mi rimandasse a casa da mio padre.
Volevo sostituire mio fratello e imparare l’arte dell’alchimia.
Ovviamente non potevo chiedere un simile favore a lord Trachyor Lesmiere. Quell’aspirazione era contraria al corso della mia vita che lui aveva già deciso per me. Quello che invece potevo chiedergli, era…
“Un cavallo nano del Rashemen? Che idea bislacca è mai questa?”
“Milord zio, compirò quindici anni fra poco… sei tu che mi hai invitata a pensare ad un regalo adeguato.”
“Un vestito nuovo sarebbe più adeguato.”
“Ma… i cavalli nani del Rashemen sono eccellenti nel salto, nelle marce su lunga distanza, e si dice che siano più coraggiosi dei normali cavalli. Ne vorrei tanto uno da portare in battaglia con me, se ce ne fosse necessità!”
“Ah! In battaglia. Tu non vedrai mai una vera battaglia, Erika. Sei una donna.”
Voglio un cavallo nano del Rashemen!” M’impuntai, sbattendo un piede a terra.
“Ci vorrebbe un anno di viaggio solo per farlo arrivare qui. Il tuo compleanno è fra un mese.”
“Milord zio, forse pagando un mago… o è una richiesta eccessiva?”
Oh, sì, lo era. Lo sapevo benissimo. I maghi avevano certe tariffe per quel genere di servizi… ma mio zio era troppo orgoglioso per ammetterlo. Sapevo di aver pigiato il tasto giusto, e avrebbe quantomeno preso contatti con un mago per inviare un servo in quella landa barbarica nell’est, per allacciare una trattativa commerciale e farsi vendere uno dei loro cavalli nani.
Insomma, avrebbe dovuto mettere in campo un bel po’ di risorse anche solo per capire come procurarsi il mio regalo, e non sarebbe stato affatto contento di scoprire che i cavalli nani del Rashemen nemmeno esistono. Me li ero inventati su due piedi, giusto per fargli sprecare un po’ di tempo.

Capii che aveva scoperto il mio inganno quando il giorno del mio compleanno venni svegliata all’alba con una secchiata d'acqua gelida e fui costretta a fare venti volte di corsa il giro del grande giardino del palazzo di mio zio, indossando solo la camicia da notte.
Più tardi quella mattina fui messa su una carrozza e spedita da mio padre come un pacco, perché mio zio non ne poteva più di avermi sotto gli occhi. Quindi, in un certo senso, avevo vinto io.

   
 
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