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Autore: _Lightning_    11/12/2020    1 recensioni
Din non ha mai avuto alcun problema a dormire: crolla sempre come un sasso, ovunque si stenda – o anche in piedi – comunque pronto a destarsi al minimo cenno d’allarme. Le notti insonni non sono mai state un problema, e ciò è decisamente una benedizione per un cacciatore di taglie. Nelle ultime settimane, ne ha collezionato un numero spropositato. Rimane ad occhi aperti nel buio per ore, tenuto sveglio dallo sferragliare dei suoi stessi pensieri, ad ascoltare il respiro lieve del Bambino interrotto di tanto in tanto da un lamento assonnato.
È sveglio anche adesso, steso sulla schiena con un braccio ripiegato sulla fronte. Una posizione difensiva che assume in automatico, a sopperire la mancanza dell’elmo – come se qualcosa o qualcuno potesse attaccarlo là dentro, nelle solide paratie della Crest, con Cara di guardia fuori.

[The Mandalorian // implied!CaraDin // What If? // Mando&BabyYoda // Fluff/Introspettivo]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales of Two Space Warriors and Their Green Womprat'
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Contesto: post-S1
Genere: introspettivo, sentimentale, commedia
Personaggi: Din Djarin, Cara Dune, il Bambino
Avvertimenti: 3 capitoli, what if?


©shima_spoon

__________________


2. Un opinabile approccio agli imprevisti



 

Le sue parole aleggiano nella stiva come un’eco, rifrangendosi all’infinito nello spazio ristretto. 

Cara lo fissa con l’espressione di chi ha appena ricevuto un pugno in pieno volto, mentre lui
 si sente come ibernato, col piccolo ancora in braccio e un crampo che va ad avvolgere il suo stomaco.

Che 
osik1 ha appena detto? Ha sbagliato anche a formulare il tutto; non doveva suonare come un ordinedank farrik.

Non osa sollevare lo sguardo, mentre mattoni di silenzio si impilano tra lui e Cara, andando a costruire un solido muro. Proprio in quellattimo, il Bambino emette un trillo allegro e pianta con precisione le piccole mani sullorlo del suo elmo, causando un tintinnio acuto che quasi lo fa trasalire. Per Malachor2, come ha fatto a–

«Scusa, tu cosa?»

La voce di Cara simpenna in una nota acuta. Din sente il proprio volto diventare incandescente quanto le piane laviche di Nevarro. Non muove la testa, solo gli occhi, e quando inquadra il volto di Cara si ritrova a contemplare un miscuglio dincredulità, confusione e... sconforto? Cosa dovrebbe significare quella stilla di mestizia che intravede?

Lei lo riscuote inarcando eloquente un sopracciglio, a sollecitare una risposta diretta, e quel semplice gesto gli fa precipitare lo stomaco nel pozzo dansia che ha tentato di aggirare finora. Non si sentiva così pietrificato da quando ha visto la morte in faccia sotto forma di mudhorn – è come se qualcosa gli avesse azzannato il cervello in una morsa gelida, e tutto ciò che riesce a formulare, in un ultimo sprazzo di lucidità, è che gli serve un piano di riserva, adesso.

Ascolta gli impulsi meccanici del proprio corpo e si alza in piedi con lentezza, rigidamente, con ogni giuntura che emette una protesta sdegnata. Ignora locchiata sgomenta di Cara e si avvicina allo scomparto del piccolo, adagiando questultimo nella sua amaca. Chiude il portello, chiedendogli silenziosamente scusa, e lui gli rivolge uno sguardo così accusatorio da farlo sentire disumano. Immette un respiro profondo nei polmoni prima di riprendere il suo posto, sentendosi congelato in una lastra di carbonite, con una mobilità di poco superiore a quelle delle taglie che vi ha piazzato nel corso degli anni, e unespressione forse non molto diversa.

Cara sembra essere nelle sue stesse condizioni, visto che non ha ancora mosso un muscolo. Non sembra intenzionata a proferir parola e si limita a tenergli lo sguardo appuntato addosso, con quellaccozzaglia demozioni a turbarle i lineamenti in scarabocchi incerti. Sembra quasi che il fantasma di un sorriso incredulo, venato di nervosismo, stia cercando di disegnarle una fossetta allangolo delle labbra, ma al contempo i suoi occhi rimangono terribilmente seri, come schegge donice che trapassano senza difficoltà il beskar.

«Ho detto che puoi togliermi lelmo,» cerca di riformulare con più fermezza, ma anche più garbo.

Sta per proseguire, ma la sua bocca si sigilla e cessa di funzionare del tutto quando capta il fulmineo scontento che le attraversa il volto, tendendo le sue labbra in una linea dura e sottile.

«Okay,» esala poi, incrociando braccia e gambe. È sulla difensiva, adesso? Non dovrebbe essere lui, a reagire così? Inizia a perdere il filo della situazione. «Okay, non stai... non stai scherzando, vero?»

Din, a questo punto, non trattiene un lieve sbuffo irritato. Serra la mascella. «Non sto scherzando.» Scandisce ogni parola con affilata chiarezza, per poi sforzarsi di ammorbidire il proprio tono. «E ho solo detto che puoi. Non sei obbligata a–»

«Neanche tu sei obbligato,» lo interrompe, così bruscamente che quasi percepisce il contraccolpo sul beskar.

Avverte la delusione invadere il proprio corpo come una cascata ghiacciata, spazzando via ogni altra sensazione. Prende a tormentare la punta dei suoi guanti, tirandola e pizzicandola in un riflesso nervoso, che lo coglie solo quando si trova disarmato in una situazione di pericolo. Sa che dovrebbe chiudere il becco prima di peggiorare le cose: non è abituato a parlare, non è il suo forte, a meno che non ci sia da contrattare. È per questo che riduce le sue frasi al loro nucleo indispensabile, sfrondando il resto a colpi di vibrolama. Funziona sia coi clienti che con le taglie, ma probabilmente non è il corso dazione preferibile quando si discute con qualcuno – come si ritrova a confermare con la sua successiva, grandiosa scelta di parole:

«In realtà sì.» Quasi si tronca la lingua coi denti – razza di shabla di’kut!3

Unininterrotta sequela di improperi in svariate lingue invade la sua mente di solito abbastanza educata. Non è quello che voleva dire. Il suo cervello sta attivamente cercando di mandare tutto in Malachor? Sente un cappio di silenzio stringergli in gola le parole che vorrebbe pronunciare, temendo di peggiorare esponenzialmente il tutto. È così furente con se stesso che ha la tentazione di spegnere il vocoder e liberare un grido frustrato nellisolamento del proprio casco, inudibile a orecchie esterne.

Cara continua a fissarlo come se si fosse trasformato in un gundark, la bocca leggermente schiusa a formare una mezzaluna rovesciata e sempre più stupefatta. Poi si ricompone, in un battito delle ciglia nere. Serra le labbra e si alza di scatto, con un profondo cipiglio a inciderle la fronte. Gli lancia un cenno rigido e indecifrabile col mento, e sembra tenere sotto pressione un oceano di emozioni pronto a eruttare da un momento allaltro come un barile di spotchka frizzante scosso troppo a lungo. Non le lascia erompere, e mette invece su un sorriso artefatto – completamente fuori posto sul suo volto, di solito attraversato dai suoi sorrisi calorosi, con una punta dironia a inclinarli.

«Senti, farò finta che tutto ciò non sia mai accaduto.»

Din potrebbe giurare che la sua corazza si sia appena frantumata con una nota acuta e stridula. Forse non proprio la sua corazza – piuttosto ciò che è racchiuso al di sotto, ma non è mai stato un tipo da frasi poetiche. Il suo cuore, però, non se la sta passando bene a giudicare dal ritmo sincopato che gli invade il petto di rimbombi sordi. 

Cosa? pensa, quasi rabbiosamente, coi pensieri che si agitano frenetici come una colonia di Jawa nel panico.

«Cosa?» si ritrova a dire ad alta voce, senza volerlo – come la maggior parte di ciò che ha detto oggi – ma gli esce fuori in un sussurro quasi strozzato. «Che vorrebbe–»

«Lo metto in chiaro per il futuro,» lo tronca di nuovo lei, perentoria a dispetto della nota tremolante che si è insinuata nella sua voce e che lo investe di un senso di colpa difficilmente collocabile. «So già chi sei. Sei Din Djarin, sei un Mandaloriano, sei il guerriero più abile e la persona più fidata che io conosca, e sei il mio partner. Non ho bisogno vederti in faccia. Non ne ho mai avuto, né ho mai voluto. Pensavo lo sapessi.» Quellultima frase fa oscillare la sua voce in modo fin troppo instabile.

E Din, dietro una fitta allo sterno che risulta inspiegabilmente piacevole, sente la realizzazione fare capolino nella sua testa, abbagliante come il sole di mezzogiorno allesterno. Prende atto di aver decisamente scelto la strategia sbagliata, se ne ha davvero scelta una. In realtà, ha solo imboccato alla cieca il primo passaggio che gli si è presentato davanti, senza davvero assicurarsi di dove proseguisse, né cercarne un altro. 

È così risoluto nelle sue decisioni, a volte, che si dimentica di guardarsi attorno, se non quando è quasi troppo tardi. Come col mudhorn, quando ha stoicamente accettato la morte anche se avrebbe potuto trovare una via di fuga. Come col Bambino, quando lha quasi ceduto nelle mani sbagliate, troppo convinto che quella fosse lunica strada. Sta ancora venendo a patti con la nozione che la Via sia percorribile in entrambi i sensi, anche quando non si vuole deviare da essa. In questo caso, lha imboccata a rotta di collo e si costringe a fermarsi, a fare un passo indietro.

«Certo, che lo so,» si decide a rispondere, ed è una verità così assoluta che la sua voce risulta cristallina anche attraverso il vocoder. «Ma questo per me non cambia nulla.» 

Il suo palmo va istintivamente a premersi sul petto, sullesagono oblungo che lo decora. Quelle poche parole bastano a dipingere un altro tipo di stupore sul volto di Cara. Meno cupo, più arioso. 

«Cara, non voglio togliermi lelmo perché mi sento costretto a farlo. Tu non centri nulla con– c’entri, ma non in questo senso. Non potresti mai forzarmi a farlo, nemmeno se volessi. E so che non lo faresti mai.»

Lei sembra presa alla sprovvista, e ancora diffidente verso ciò che ha appena sentito, come se fosse ciò che voleva sentire, ma non ciò in cui è disposta a credere allistante. I suoi occhi guizzano sul suo visore come se, per la prima volta, stessero davvero cercando di vedervi oltre. Si scosta la frangia dal volto e fa poi a sfiorare la sua treccia, in quel gesto che tradisce nervosismo.

«Mi hai detto che segui il Credo da quando eri bambino,» gli fa notare poi, con lentezza, quasi stesse rimettendo insieme dei frammenti sconclusionati. «Perché rivelare il tuo volto proprio ora, con me, se io non centro nulla? Sinceramente,» aggiunge, con gli occhi che trafiggono di nuovo i suoi.

«Sai che non mento,» replica secco lui, risentito da quellultima insinuazione. Poi sospira, più profondamente di quanto forse ha mai fatto in vita sua. «Possiamo ricominciare e fare davvero finta che tutto ciò non sia mai accaduto? Non volevo comunque dirtelo così,» le chiede infine, osservando con attenzione lespressione di Cara, che rimane guardinga, ma sempre meno tesa man mano che lui continua a parlare.

Adesso sembra quasi sollevata. Solo ora Din percepisce la pura, vivida ansia che stava emanando, fraintesa da lui per sdegno e rifiuto. Aveva... paura, per un qualcosa che Din non avrebbe nemmeno immaginato potesse rientrare tra le sue preoccupazioni – ovvero il suo Credo, o più banalmente lui stesso. Si sentirebbe toccato dalla sua premura, se non prevalesse il senso di colpa per averle fatto dubitare di se stessa e delle sue azioni.

Lei si mordicchia il labbro per poi poggiarsi al muro, le braccia incrociate sulla corazza come una seconda difesa. Annuisce. «Ti ascolto.»

Din esala un sospiro grato, rilassando le spalle. Si prende un momento per rispondere, con le dita che si contraggono, che sfregano il cuoio consunto dei guanti stuzzicandone le cuciture. È così semplice sentire quei perché che gli ondeggiano informi in testa, eppure così complesso spiegarli ad altri e dare loro contorni definiti. 

Non ha mai dovuto spiegarsi con nessuno, in realtà. Tutti vogliono solo dare una sbirciata sotto al beskar, attribuire un volto al cacciatore e alla fama che lo ammanta. A loro non importa del perché lo indossa. Oppure lo vedono come un confine, una limitazione. Un qualcosa che gli è stato imposto, come un bullone di costrizione su un droide. Qualcosa da cui liberarlo. Non lo vedono mai come una scelta, e sono ciechi a tutte le vere scelte che gli offre. Come quella che sta compiendo ora.

Da quanto ha potuto constatare, Cara non l’ha mai vista a quel modo: in realtà, è come se non ci fosse mai nemmeno stato un elmo a schermargli il volto. Non ha mai messo in discussione il suo Credo, né ha mai indagato, anche se di tanto in tanto ha percepito una sua sottile curiosità al riguardo. Di certo non ha mai tentato di convincerlo ad abbandonarlo. Ma pretendere che ne capisca tutte le più sottili sfumature sarebbe arrogante.

Sapeva che chiederglielo senza preamboli avrebbe causato reazioni imprevedibili, perché sapeva che avrebbe potuto darle lidea che stesse infrangendo il Credo a causa sua. È esattamente questo, il motivo per cui ha pianificato il tutto, e per cui la sua testa si è tramutata in  un guazzabuglio di pensieri inestricabili nelle ultime settimane, troppo grandi per venir arginati dallelmo. Avrebbe dovuto spiegarle fin troppe cose, prima di chiederglielo.

Emette l’ennesimo sospiro udibile. Nulla va mai secondo i piani, come sempre. Ma adesso ha l’
opportunità di provare a non scivolare di nuovo sulle sue stesse parole, e riesce infine a raccoglierla.

«Il dettame del Credo non riguarda latto di vedere il nostro volto. Non è una questione didentità. Anche se ovviamente preferiamo non rivelare il nostro aspetto,» comincia, fissando Cara e cercando di essere il più stringato e pragmatico possibile. «È il gesto che conta. Ovvero non disonorarci permettendo a qualcuno di batterci e toglierci a forza lelmo. E non toglierlo con leggerezza, mancando di rispetto a ciò che rappresenta – il Credo, la Via, il nostro popolo.» Fa una pausa, con le dita che si rilassano un poco e lo sguardo ancorato in quello di Cara, che lo ricambia assorta. «Non sto agendo con leggerezza. Non sono stato sconfitto. E sto scegliendo di farlo di mia volontà. In linea coi precetti del Credo, se mi permetterai di spiegarteli.»

Cara sembra trattenere il fiato ancora per qualche istante – il suo volto è teso, le guance tirate, una mano e posata sul collo, con le dita a sfiorare la base della treccia. Annuisce una volta e sembra sgonfiarsi, con le spalle che si fanno molli assieme al fiato che rilascia lentamente mentre si siede di nuovo davanti a lui.

«Okay... ho capito,» inspira di nuovo a fondo, chiudendo brevemente gli occhi. Scuote la testa. «Scusa. Scusa. Sono... andata nel panico. Ho davvero pensato di averti in qualche modo costretto. Facendoti pensare che dovessi rivelarti solo perché viaggiamo e viviamo insieme. Mi sono ricordata che non sono la persona più accomodante della Galassia, che ho i miei spigoli. E di averti quindi indotto a farlo.»

«In un certo senso, sì,» replica lui, suscitando unocchiata allarmata da parte sua, e si affretta a proseguire: «Non è un male. Anzi. E non lo farei, se non ne fossi assolutamente convinto a prescindere.»

«Perché proprio adesso, allora?» chiede Cara, con le sopracciglia che si arricciano, a sottolineare la sua perplessità per quel nodo della questione ancora insoluto.

Din prende fiato, e coraggio. Sono arrivati a toccare il motore stesso delle sue azioni, quello che ha continuato a scoppiettare e arrancare dietro i suoi pensieri indecisi, eppure risoluti, sputando cumuli di fumo nero ogni volta che incappava in contraddizioni e incongruenze tra il Credo e ciò che voleva fare, portandolo infine a questo crocevia.

«Ci sto pensando da un po,» risponde, con la voce in bilico sulla soglia di un mormorio.

Lei aspetta che prosegua, ma sta di nuovo perdendo il controllo di ciò che dice e dei propri pensieri. Sarebbe tutto molto più semplice, se potesse semplicemente mostrarle ciò che intende. O se potesse esprimerlo tramite una delle innumerevoli espressioni in Mandoa che racchiudono in loro il mondo e il suo funzionamento, senza alcuna ulteriore spiegazione ad accompagnarle. Si limitano a suggellare patti, promesse e intenzioni e hanno vita propria. Plasmano la realtà e i legami con così poche parole da sembrare quasi assurde. Ma non è unopzione contemplabile, adesso, anche se gli solleticano la punta della lingua.

«Da quanto?» lo riscuote lei, in tono gentile, quasi incoraggiante.

A questo punto quasi vorrebbe eludere la domanda, ma non cè modo di mentire per omissione come fa di solito. «Da Nevarro. Quando sono quasi–» si interrompe, avvertendo un dolore fantasma alla nuca, e la carezza dolorosa del fuoco sul volto scoperto e tumefatto.

Lei si adombra di colpo. Ha capito. Din sente ancora il suo peso addosso mentre gli fa scudo dal calore ustionante e dalle fiamme che divampavano nella Cantina. Vede ancora con nitidezza lo sguardo colmo dorrore nel notare il suo sangue che le sporcava la mano.

«È molto tempo.»

«Sì,» conferma semplicemente, con quei ricordi inespressi che aleggiano tra loro. Sa di non aver davvero risposto alla sua domanda. Al perché. Si sta ancora chiedendo come farlo. «Ci penso da allora. E tutto questo... non sta andando come mi ero immaginato,» si ritrova a confessare, in un eccesso di sincerità.

Un lampo di colpevolezza balena sul volto di Cara.

«Quando mai un piano è andato come doveva andare?» sorride poi, inducendo anche le sue labbra a incurvarsi in sincrono, non viste – almeno per ora. «Stavolta sono stata limprevisto nel tuo, a quanto pare.»

«Lo sei spesso,» replica di getto lui, intendendolo nel migliore dei modi possibili. Sa che riesce a percepire il suo sorriso.

«Come su Sorgan?» ribatte pronta lei, un po tronfia. «Quando ti ho imprevedibilmente messo al tappeto?»

«Anchio ti ho messa al tappeto,» la corregge lui, con lorgoglio che nemmeno prova a prendersi sul serio, dando una sfumatura tuttaltro che credibile alla sua voce.

«Opinabile,» lo punzecchia lei, con quel suo sorriso pieno che le assottiglia gli occhi. «Ma forse stavolta dovrei lasciare che tutto proceda secondo i tuoi piani,» aggiunge poi, a metà tra il serio e il faceto.

«Forse sì,» conviene lui, incespicando quasi in quel discorso che lo porta sempre più vicino a ciò che più gli preme dire. Quel perché che ha ancora incastrato in gola.

Cara sembra percepire la sua indecisione e si limita a spostare di poco lo sgabello verso di lui, posando un braccio sul tavolo a sorreggere il mento mentre lo guarda, oltre il beskar e l’elmo. 

«Ti sto ancora ascoltando.»



 





 



Note:
*osik: un classico e sempiterno "merda" ♥
**Malachor è un pianeta considerato maledetto dai Mandaloriani, che durante le Guerre Mandaloriane furono qui massacrati nella disfatta finale. È l’equivalente di "inferno".
***
shabla di’kut: un raffinato "maledetto idiota" ♥

Note dell’Autrice:

Vi ho smollato un mammozzone dialogato, scusate. Ma c’era bisogno di questo confronto-scontro, prima di arrivare al succo della questione... e arriverà, non temete :D

Il discorso sull’elmo è farina del mio sacco e l’ho elaborato sull’onda di un attento rewatch della prima stagione, e dell’esatta formulazione dell’Armaiola (almeno in inglese): "hai mai tolto l’elmo/ti è mai stato tolto da altri?" Nessun accenno al volto di per sé, neanche (mi pare) in altre occasioni successive, anche se in generale è comprensibile voler tenere segreto il proprio aspetto, vista la linea di lavoro dei Mandaloriani. Sembra quindi essere un dogma legato all’atto di toglierselo; sensato, considerata la sacralità dell’armatura e il fatto che la Tribù sia equiparabile a una setta. Ritengo che il mio sia un discorso col suo filo logico, per quanto privo di riscontro nel canone della serie, ma sono ovviamente aperta  a disquisizioni in merito, quindi fatevi avanti u.u

Spero che il tutto risulti chiaro e non campato per aria – e l’altro pezzo di spiegazione, meno tecnico e più fluffoso, è ovviamente in arrivo ♥ Ammetto che non sia un pezzo semplice, questo, e ho preferito prendermi tutto il tempo necessario per svilupparne ogni snodo, soprattutto essendomi votata al PoV Din-non-so-gestire-le-emozioni.

Stay tuned!

-Light-

P.S. Ricordo che la storia è già presente sia su AO3 in inglese (in forma completa)-> qui  sia su Wattpad in italiano (in vantaggio di un capitolo)-> qui.

   
 
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