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Autore: Lamy_    11/12/2020    0 recensioni
Durante un temporale Tommy Shelby trova riparo in una tavola calda di Londra che offre i pasti migliori di tutta la città. Qui conosce Judith, giovane studentessa che attira la sua attenzione. L’incontro fra i due segna l’inizio di una bizzarra amicizia.
Ariadne Evans è la sorella di David Evans, il capo della gang dei Blue Lions. Ariadne ritorna a Birmingham per assistere il fratello malato e aiutare la madre a gestire gli affari in via provvisoria. Le cose, però, non vanno come spera lei e una breve visita a casa si trasforma in una trappola. A complicare la situazione è l’attrazione che si instaura fra lei e Tommy. Tra una madre dispotica, un fratello minore che si mette sempre nei guai e una gang che dipende anche da lei, Ariadne impara a sue spese che ribellarsi è l’unica soluzione che ha.
E se Judith e Ariadne fossero la stessa persona?
“Siede arbitro il Caos, con le sue decisioni raddoppia ancora il contrasto per il quale regna; a lui presso governa supremo il Caso.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. VITE INCROCIATE

“Non pensare che l’inferno sia nascosto da qualche parte nelle profondità della Terra. L’inferno è qui: tu sei all’inferno e l’inferno è in te.”
(Osho)
 
 
Una settimana dopo, Birmingham.
Ariadne camminava avanti e indietro per ingannare il tempo. Era arrivata da un’ora a Birmingham, e in teoria suo fratello Julian sarebbe dovuto essere lì ma in pratica non c’era traccia del ragazzo. Julian aveva ventuno anni, alto e snello, capelli castani ricci e due occhi verdi mozzafiato; affascinante, furbo, estroso, era il Dorian Gray della famiglia. Non c’era uomo o donna che resistesse allo charme di Julian Evans. Era, però, la pecora nera per eccellenza: sempre in giro per locali a bere fino all’alba, sempre invischiato in qualche scommessa che gli arrecava una serie di guai, ne combinava di tutti i colori ma il suo carattere amorevole gli permetteva di essere perdonato ogni volta.
“Mia bella signorina, disturbo?”
Ariadne si voltò e scoppiò in una risata di cuore nel rivedere Julian. L’ultima volta che lo aveva visto era un tredicenne troppo magro e con una zazzera confusa di capelli mentre ora era un uomo formato. Aveva due occhiaie profonde, la giacca sbottonata e non indossava il capello.
“Non disturbi mai. Vieni qui, fatti abbracciare!”
Se otto anni prima Ariadne riusciva ad abbracciare il fratello, adesso era Julian a stringerla forte e ad appoggiare il mento sulla sua testa. Quante cose erano cambiate in soli otto anni, troppe per tenerne il conto.
“Sei bassa, sorellona. A Londra non mangiavi abbastanza?”
La ragazza si accoccolò di più al fratello come se cercasse un appiglio per non affondare nei suoi stessi pensieri. Non voleva tornare a casa e rivedere sua madre, avrebbe preferito restare in stazione per sempre. Purtroppo per lei, Julian si staccò e le stampò un bacio sulla guancia.
“Torniamo a casa. Gli altri non vedono l’ora di rivederti!”
Ariadne si morse l’interno della guancia e annuì, seguendo il fratello fuori dalla stazione. Ripeté a se stessa di restare forte perché, una volta tornata in quella casa, avrebbe dovuto mantenere il sangue freddo.
 
La villetta era immersa in un rigoglioso giardino che Ariadne vedeva per la prima volta. In passato la casa era stata circondata da erbacce secche e altra sterpaglia. Tutto sommato l’abitazione era uguale, la forma dei balconi, le mattonelle esterne, il sentiero di ciottoli che dal vialetto conduceva al cancello. Varcata la soglia, Ariadne poggiò una mano alla parete per reggersi. Le emozioni negative che quell’ambiente le suscitava la stavano sopraffacendo.
“Stai bene?” chiese Julian, apprensivo.
“Sì, Jules. Sono molto stanca per il viaggio.”
“Allora salutiamo gli altri e poi ti accompagno in camera. Sai, mamma ha lasciato la tua camera esattamente come prima.”
La ragazza abbozzò un sorriso per non smorzare l’entusiasmo del fratello, benché dentro stesse trattenendo le lacrime. Quella casa la stava soffocando.
“Ariadne!”
Ariadne questa volta fu investita da un altro caldo abbraccio che apparteneva al fratello maggiore Eric. Teneva i gomiti appoggiati sulle stampelle per tenersi in piedi il giusto per salutare la sorella. Non camminava bene da anni, la guerra lo aveva privato della gamba sinistra e anche la destra aveva subìto parecchi danni. Loro due avevano lo stesso colore ambrato degli occhi, un particolare ereditato dalla madre.
“Eric, mi stai stritolando!”
Il fratello si tirò indietro senza mollare la presa su di lei, otto anni senza la sorella erano stati eterni e riaverla era una gioia immensa.
“Ariadne, vieni che ti presento due persone speciali.”
Julian prese la sorella a braccetto e insieme si accodarono dietro Eric che si trascinava sulle stampelle verso il suo studio, quello che un tempo era appartenuto al padre. Sul divano era seduta una donna, capelli castani e occhi marroni, che teneva una bambina di sei anni in braccio.
“Sorellina, ti presento mia moglie Barbara e mia figlia Agnes.”
Barbara andò da Ariadne e le strinse la mano, dopodiché l’abbracciò brevemente.
“E’ un vero onore conoscerti. Eric e Julian parlano sempre di te.”
Eric si era sposato un anno dopo la partenza di Ariadne e nel giro di poco era diventato padre, era felice se non fosse che l’assenza della sorella gli aveva causato molta tristezza.
“L’onore è tutto mio. Eric nelle sue lettere ti descrive come la donna più bella del mondo e ha ragione!”
Barbara arrossì ed Eric le avvolse un braccio intorno alle spalle per poi darle un bacio sulla tempia. Ariadne avrebbe voluto assistere alla nascita del loro amore, invece non faceva più parte di quella famiglia da anni. Poi si accorse che la bambina la fissava con un certo timore dato che conosceva la zia per la prima volta.
“Ciao, Agnes. Sei bellissima. Sono così felice di conoscerti!”
La bambina fece un mezzo inchino e andò a nascondersi dietro la gonna della madre.
“Per Agnes è tutto nuovo. Anche per noi è tutto un po’ nuovo. Otto anni sono tanti.” Disse Eric.
Ariadne incassò quelle parole come un’accusa, lo sapeva che il fratello maggiore non aveva mai accettato la sua partenza e anche nelle lettere gliene faceva una colpa. Ah, se solo avesse saputo la verità!
“Cos’è tutto questo baccano?”
Bastò quella voce autoritaria per far raggelare Ariadne. Il cuore prese a battere all’impazzata per la paura. Chiuse gli occhi per un secondo e desiderò essere risucchiata nel pavimento pur di evitare quell’incontro.
“Ah, Ariadne sei tu.”
“Salve, madre.”
Marianne Evans non era cambiata di una virgola, eccetto qualche ruga in più sul viso. Soliti capelli acconciati in uno chignon, solito abito nero in segno di lutto, solita espressione severa e accigliata. Era una donna rigida, dispotica, incline a imporre ordini e a punire chi non li rispettasse. La sua sola presenza faceva venire i brividi.
“Va in camera tua e cambiati, quei pantaloni non sono adatti ad una donna. Sbrigati.”
“Sì, madre.”
Ariadne chinò il capo, afferrò la sua valigia e risalì le scale. Passando accanto alla madre avvertì una sensazione dolorosa allo stomaco come se l’avessero pugnalata. Tornare a casa era stato un grande errore.
 
Il pranzo era stato lungo, silenzioso e fatto di occhiatacce sospette. Ariadne sedeva accanto a Julian e a capotavola stava sua madre che non smetteva di guardarla con disprezzo. Eric e Agnes avevano movimentato un po’ le cose, anche se le loro risate non avevano allentato la tensione. Ariadne aveva mangiato poco e niente, si era limitata a spiluccare nei piatti per dare l’impressione di godersi le pietanze.
“Come procedono gli affari, Eric?” esordì la madre.
“Bene. Abbiamo ottenuto i risultati sperati.”
Affari, che parola pulita per descrivere le attività di famiglia. Gli Evans da anni erano a capo dei Blue Lions. Ufficialmente si occupavano di produrre vino, ma in verità erano dediti ad attività illegali quali l’usura, vendita e acquisto di armi e negli ultimi anni si erano anche inseriti nel circuito delle scommesse.
“Molto bene. Tuo padre sarebbe fiero di te.” disse la madre, senza sorridere.
Ariadne emise uno sbuffo e si portò il bicchiere alle labbra per nascondere la smorfia di disgusto.
“Qualcosa non va?” domandò Barbara con gentilezza.
“Va tutto bene. Del resto, rallegriamoci tutti perché le attività illecite di questa famiglia vanno a gonfie vele!”
Ariadne prese il calice di vino di Julian, lo alzò e lo bevve in un sorso solo. La madre la fulminò con lo sguardo e strinse forte la mano intorno al manico delle posate.
“Sei una maleducata, Ariadne. Dovresti apprezzare quello che tuo fratello fa per questa famiglia.”
“Perché derubare la povera gente è un gesto che va apprezzato, certo!”
Eric guardò la sorella e scosse la testa per dirle di smetterla, irritare la madre non era una mossa saggia. Julian decise di intervenire per salvare la situazione.
“Parlando di cose interessanti, posso dare la bella notizia ad Ariadne?”
“Di che si tratta?” indagò Ariadne.
“Eric ha organizzato una festa di bentornato per te! Ci saranno tutte le persone di Birmingham che contano. Ci saranno bei vestiti, alcol a fiumi, belle donne ….”
“Taci.” Ordinò la madre.
“Non serve. Il mio ritorno non merita grandi celebrazioni.” Disse Ariadne.
Julian le diede un colpetto alla spalla e rise, a volte era davvero fastidioso.
“Non dire sciocchezze! Sei una Evans e come tale meriti di essere festeggiata.”
Ariadne incrociò gli occhi della madre, dialogarono con lo sguardo per un istante prima che la donna tornasse a concentrasi sul pasticcio di verdure.
 
 
Due giorni dopo.
Ariadne osservava l’abito sul letto con disgusto. Avrebbe preferito rasarsi a zero i capelli piuttosto che indossare quell’abito. Si trattava di un modello morbido e lungo fino a coprire il ginocchio, le maniche a tre quarti terminavano con una fascia di pizzo ed era blu con margherite bianche cucite sulla gonna. Ovviamente lo aveva scelto sua madre, o meglio glielo aveva imposto. Stando alle sue parole, un abito del genere sprigionava tutto il fascino di una giovane donna in cerca di marito. Ariadne non voleva un marito, lei volava soltanto essere libera di vivere secondo le sue scelte.
“E’ permesso?”
Avvinghiata allo stipite della porta c’era Barbara, i lunghi capelli castani sembravano fluttuare alla luce del sole.
“Prego, entra pure. E’ successo qualcosa?”
Ariadne si sedette alla toilette e incominciò a pettinarsi i ricci ribelli, nonostante sapesse che la sua chioma era indomabile, perché si sentiva a disagio in presenza della cognata.
“Ti ho portato una cosa per questa sera. Lo so che non ci conosciamo ancora bene, però spero che questo regalo possa essere l’inizio di una bella amicizia.”
Barbara depose sul letto un piccolo cofanetto al cui interno si conservava un fermaglio rotondo ornato da piccole perle bianche. Ariadne lo riconobbe subito poiché un tempo era appartenuto a lei, quando ancora si considerava parte della famiglia.
“Suppongo che mia madre te lo abbia donato per il matrimonio.”
“Esatto. Disse che sua madre prima di lei lo aveva ricevuto in dono da sua nonna.”
Ariadne conosceva bene quella storia, era la stessa che la madre le aveva raccontato quando per la prima volta le aveva acconciato i capelli con quel cimelio.
“Allora è tuo, Barbara. Si intona meglio con il colore dei tuoi capelli.” disse Ariadne.
Barbara arrossì un poco, non era avvezza ai complimenti se non a quelli del marito.
“Grazie. Posso fare altro per te? Vorrei rendermi utile.”
“Puoi chiedere a Eric di annullare questa stupida festa. A nessuno importa se sono tornata.”
Ariadne lanciò la spazzola sul letto con uno sbuffo, era nervosa più del solito. Era ancora in pigiama e si sarebbe dovuta vestire per la colazione, però aveva solo voglia restare a letto e lasciarsi divorare dal materasso fino a scomparire.
“E’ impossibile. Eric aspetta il tuo ritorno da anni e pianifica da mesi questa festa. Lui ti vuole davvero molto bene.” disse Barbara.
Ariadne si prese qualche secondo per studiare la cognata: era proprio il tipo remissivo e silenzioso che piaceva a sua madre. Nella sua mente balenò il volto di Eric insieme ad un’altra ragazza.
“Tu sei la sorella di Rosemary, vero? Lei ed Eric erano innamorati anni fa.”
Barbara si strinse le braccia intorno al corpo come a volersi proteggere da quella costatazione.
“Sì, Eric e mia sorella da giovani stavano insieme. Lo sai come funzionano i matrimoni combinati, è sempre tutto stabilito sin dall’inizio. Io ed Eric eravamo destinati a sposarci malgrado l’intromissione di Rosemary.”
“So che i matrimoni combinati sono abominevoli. Nessuno dovrebbe essere costretto a stare con una persona che non ama.” Replicò Ariadne con voce dura.
“Io amo Eric! Lo amo davvero!” si affrettò a dire Barbara.
“Certo, perché tu sei stata fortunata a sposare mio fratello che è una persona quantomeno decente. Pensa a tutte quelle donne che si ritrovano sposate con uomini violenti, loro sono condannate.”
Barbara aveva gli occhi lucidi, non aveva mai considerato quella prospettiva e ora le veniva da piangere per il modo irruento con cui aveva parlato Ariadne. La porta della camera si spalancò e sbucò la faccia stravolta di Julian, era visibilmente brillo dopo una notte di bagordi.
“Ehilà, belle pollastrelle! Che si dice?”
Ariadne gli scompigliò i capelli e gli schioccò un bacio sulla guancia, l’odore di rum le invadeva le narici.
“Fila in camera tua prima che mamma ti veda in queste condizioni.”
Come se l’avesse invocata, la madre comparve alle spalle di Julian con le mani dietro la schiena.
“Julian, come sempre mi deludi. Sei uno spettacolo indecente. Per questa sera vedi di rimetterti in sesto perché non ho voglia di fare brutta figura con gli ospiti.”
Mentre Ariadne si ammutolì, Julian ridacchiò e fece spallucce.
“L’indecenza attrae tutti, madre. Viva l’indecenza!”
Il ragazzo si diresse verso camera sua a passo di danza, ancora ebbro dalle ore precedenti. Ariadne trattenne un sussulto quando la madre la guardò con quei suoi occhi velenosi.
“E tu non ti azzardare a indossare il fermaglio di perle. Barbara è stata una sciocca a portartelo. Tu non sei degna di un simile oggetto.”
La ragazza chinò il capo in ossequio, nessuno era esente dai comandi di Marianne Evans.
“Sì, madre.”
 
Julian fece irruzione con nonchalance, e soprattutto con un bicchierino di alcol fra le dita sottili. Ariadne si stava abbottonando gli orecchini ai lobi e sorrise al fratello attraverso lo specchio.
“Una vecchia decrepita sembra più giovane di te. Questo vestito ti sta malissimo!”
“Grazie, Jules, sei sempre incoraggiante. Stai ancora bevendo?”
Il ragazzo si spaparanzò sul letto e fece roteare il liquido nel bicchiere, il colore del whiskey faceva risaltare i suoi occhi.
“Devo bere per affrontare queste feste. Solo Eric si trova a suo agio perché lui è il cagnolino di mamma e farebbe qualsiasi cosa per renderla felice. Beh, non che quella donna conosca la felicità.”
Ariadne si rattristò all’idea che il fratellino dovesse ubriacarsi per sopportare la sua vita. Si sentì talmente in colpa che smise di guardarsi allo specchio, la sua stessa immagine la ripugnava.
“Stasera ci sono io con te.”
“Già, stasera. Poi te ne andrai e le cose torneranno ad essere infernali.” Disse Julian.
“Mi dispiace, Jules.”
Julian sorrise divertito a quel nomignolo, sua sorella non lo chiamava così da otto anni e risentirlo era una ventata di aria fresca.
“Non è colpa tua. Lo so che la morte di papà ti ha sconvolta ed è stato giusto che tu abbia preso le distanze dal dolore per riprenderti. E’ solo che mi manchi davvero tanto.”
Ariadne si sedette accanto a lui e gli fece appoggiare la testa sul grembo per accarezzargli i capelli. Gli baciò la fronte come un’ennesima richiesta di perdono.
“Anche tu mi manchi terribilmente.”
“Allora resta. Ti scongiuro.”
Julian affondò la guancia nel vestito della sorella e l’abbracciò stretta come un bambino impaurito dagli incubi. Ariadne gli tolse il bicchiere di mano e bevve il resto del whiskey in un colpo solo, tossendo subito dopo per il sapore forte. Quella serata si prospettava più difficile del previsto.
 
Ariadne si spostava fra gli invitati come un fantasma, invisibile e senza sostanza. Nessuno l’aveva riconosciuta per fortuna, non aveva voglia di ricordare i tempi passati. Afferrò una tartina dal vassoio di un cameriere e la mangiò per consolarsi. Stava per arraffare altro cibo quando una mano le artigliò il polso.
“Non mangiare come un maiale. Ti rendi ridicola.” Sussurrò la madre.
“Mi vieterai anche di respirare, madre?”
La madre le lanciò un’occhiata altera, non amava quel tipo di sarcasmo.
“Devi conoscere alcune persone importanti. Stiamo intavolando degli affari con loro, perciò cerca di essere carina.”
Ariadne sobbalzò quando la madre la prese sottobraccio, non erano così vicine da un’infinità di tempo. O forse non lo erano mai state. In lontananza vide Eric e Barbara discutere allegramente con un’altra coppia, mentre sulla sinistra Julian stava parlando con una ragazza che entro pochi minuti avrebbe ceduto al suo fascino. Eric si voltò verso la madre e con un braccio indicò il suo arrivo.
“Sono lieto di presentarvi mia sorella Ariadne!”
Fu a quel punto che il cuore di Ariadne perse alcuni battiti. Davanti a lei c’era il signor Shelby in compagnia di una donna.
“Ariadne, questi sono Tommy Shelby e sua moglie Lizzie.” spiegò Barbara.
Tommy prese la mano di Ariadne, che era fredda come un pezzo di ghiaccio, e ne baciò il dorso con delicatezza.
“Signorina Evans, è un piacere conoscervi.”
Ariadne si riscosse solo perché la madre le aveva pizzicato un fianco, quindi deglutì e respirò a fondo.
“Ehm … il piacere è mio.”
“Buonasera, signorina.” Disse Lizzie con un mezzo sorriso.
Spostando la mano per salutare Lizzie, Ariadne notò la pancia prominente della gravidanza.
“Siete incinta!”
“Che osservazione acuta, sorellina.” Scherzò Eric.
Tutti si misero a ridere, eccetto Ariadne che respirava ancora a fatica. Gli occhi di Tommy erano inchiodati su di lei, le stavano trivellando il corpo e l’anima.
“Scusatemi, c’è una vecchia amica che vorrei salutare.” Disse Ariadne.
Sgattaiolò via per andare in cucina a sfogarsi sul cibo. Chiuse la porta e si fiondò sui crostini al salmone che giacevano in bella vista sul bancone. Si stava ingozzando quando la porta cigolò rivelando l’entrata di qualcuno. Ariadne si nascose nella cella frigo, lasciando lo sportello aperto per non morire di freddo. Socchiuse gli occhi per frenare i conati di vomito. La testa le girava vorticosamente. Tommy ispezionava la cucina con le mani in tasca e la faccia di uno pronto a dare fuoco alla casa intera. Dopo qualche minuto abbandonò la ricerca, si accese una sigaretta e tornò alla festa.
Rimasta da sola, Ariadne buttò fuori l’aria e si sedette per non cadere. Presto i suoi segreti sarebbero venuti a galla e lei sarebbe affogata senza vie di scampo.
 
Ariadne aveva spazzolato un intero vassoio di pasticcini, il nervosismo innescava come reazione una fame sfrenata. Era seduta da sola in disparte, lontana da tutti quelli che potevano metterla in allarme. Dal suo angolo solitario vedeva Eric e Barbara ridere con alcuni ospiti; la madre sorseggiava champagne insieme ad una sua vecchia conoscenza; Julian era attorniato da ragazze che reclamavano le sue attenzioni. E poi i suoi occhi caddero su Tommy. Stava fumando mentre parlava con uomo dall’aria vagamente familiare. Era bello con quello smoking che gli calzava perfetto e gli occhi azzurri in cui si riverberavano le luci delle fiaccole disseminate in giardino.
“Ariadne? Non ci credo!”
Un uomo le diede una pacca sulla spalla tanto forte da farle cadere di mano un pasticcino alle mandorle.
“Sì?”
“Non ti ricordi di me?”
Ariadne fece uno sforzo di memoria e pian piano riconobbe la voce roca dell’uomo.
“Russell, sei tu?”
“Esatto! Ma quanto sei diventata carina.”
Lucius Russell era il migliore amico di Eric da tutta la vita. Sin da bambini abitavano vicini, avevano servito in guerra insieme e all fine Lucius era diventato il braccio destro di Eric negli affari dei Blue Lions.
“Tu lavori ancora alle dipendenze di mio fratello?”
“Lo sai, i Blue Lions sono per sempre. La famiglia è per sempre, anche se ti trasferisci a Londra e sparisci per otto anni.”
Ariadne mangiò un altro pasticcino per allentare la tensione. Anche Lucius la stava accusando per essersi trasferita.
“Beh, ognuno fa le proprie scelte e nessuno dovrebbe essere giudicato per questo.”
Lucius ghignò, sin da adolescente aveva quel fare da bello e dannato che incantava le fanciulle. Anche Ariadne in passato aveva avuto una cottarella infantile per lui che si era tramutata in indifferenza quando Lucius aveva ammazzato di botte un povero contadino.
“E ora hai scelto di tornare all’ovile. Come mai?”
“Sono stata richiamata da mia madre, ma non ne conosco la ragione.”
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo di una cameriera, una delle tante che lavoravano da anni per gli Evans.
“Signorina Evans, signor Russell, siete desiderati nello studio del signor Evans.”
Ariadne a malincuore si separò dai pasticcini per seguire Russell all’interno della casa, un posto che non conosceva più come le sue tasche. Eric aveva ristrutturato lo studio del padre ingrandendolo e disponendo nuovi mobili, tra cui la libreria che un tempo faceva parte della camera della sorella.
“Entrate e chiudete la porta.” Disse Eric.
Ariadne entrò ma subito fece due passi indietro perché Tommy era seduto sul divano a bere whiskey. La guardava con una tale intensità che per miracolo gli organi interni della ragazza non si sciolsero. Tutti si sedettero sul divano, e per fortuna Ariadne trovò un cantuccio all’estremità opposta di Tommy. Eric si strascinò senza stampelle, facendo leva sul legno massello dello scrittoio.
“Siete qui perché dobbiamo parlare di affari. Sapete bene che sia-…”
“Come, scusa?” lo rimbeccò Ariadne, confusa.
“Mamma non te l’ha detto?”
“Dirmi cosa?”
Tommy notò che Ariadne aveva iniziato a torturare l’orlo del vestito, le nocche erano bianche tanto forte era la presa sulla stoffa.
“Ariadne, io sono malato. Ecco perché sei qui.”
“M-malato?”
Eric provò un moto di tenerezza per lo sguardo smarrito della sorella, ogni volta che era turbata schiudeva la bocca e sgranava gli occhi come un cerbiatto spaventato.
“Ho contratto una brutta infezione al moncherino della gamba. L’infezione procede molto rapida e le mie condizioni peggiorano. I medici dicono che non ci sono cure per il momento. E’ un momento importante per i nostri affari, è la svolta dei Blue Lions. Io non posso muovermi più di tanto e ho bisogno di qualcuno che faccia le mie veci. Julian non è adatto a un simile ruolo, è troppo inaffidabile. Io penso che tu sia la persona giusta.”
La mano di Ariadne artigliò il bracciolo del divano, le unghie quasi si conficcavano nella pelle bianca. La stanza aveva preso a girare di colpo.
“No! Te lo scordi! Io non ci entro nei vostri affari sporchi! Mi fa schifo tutto questo!”
“Sta calma, bambolina.” La riprese Russell.
“Devo stare calma mentre mio fratello mi chiede di gestire attività illecite? Non ci sto!”
Ariadne stava per uscire quando Eric l’afferrò per il braccio.
“Tu sei una Evans. Tu sei parte dei Blue Lions. Questa eredità ti spetta, che ti piaccia o no. Gestirai gli affari per conto mio fino a quando non mi sarò rimesso in sesto. Nostra madre non ti permetterà di tornare a Londra, lo sai meglio di me.”
“Vaffanculo, Eric!”
Ariadne sbatté la porta quando andò via. La statua di un angelo cadde per terra spaccandosi in mille pezzi.
 
“Ariadne.”
La voce tetra di sua madre giunse come il fruscio sinistro di vento fra gli alberi. Ariadne non alzò il mento, continuò a infilare i suoi vestiti nella valigia. Era intenzionata a scappare a Londra come aveva fatto otto anni prima.
“Ariadne, non te ne puoi andare.”
“Me ne frego di quello che posso o non posso fare!”
Era la prima volta che rispondeva a tono alla madre, tant’è che la donna emise un brusco sospiro.
“Dirò la verità ai tuoi fratelli. Se provi ad andartene, racconterò a Eric e Julian che cosa hai fatto quella notte.”
Ariadne si bloccò, il foulard che teneva in mano si afflosciò sul letto come un fiore morto.
“Non lo faresti mai.”
“Perderesti l’affetto di Julian se venisse fuori la verità. Per non parlare di Eric, per lui saresti morta. E’ questo che vuoi? Perdere la tua famiglia per scappare ancora?”
La madre in cuor suo sorrideva perché insinuare dubbi nella mente della figlia era facile, e infatti Ariadne si lasciò cadere sul piumone con uno sbuffo.
“Non puoi farmi questo. Tu sei mia madre! Quella notte ho commesso un errore in buona fede! Tu eri presenti, hai visto e sentito tutto!”
“Io ho visto solo mia figlia commettere un atto ignobile. Hai sbagliato e devi pagarne le conseguenze. Ora rimetti i tuoi vestiti nell’armadio e ritorna alla festa, dobbiamo dare una buona impressione.”
 
La festa era finita, ora gli invitati si apprestavano a porgere i saluti alla famiglia Evans e a ricevere in cambio una cesta contenente un vino rosso di alta qualità. Ariadne stringeva mani ed elargiva sorrisi senza entusiasmo, era un manichino senza vita i cui fili erano mossi da altri. Si riscosse solo quando fu il turno di Tommy e Lizzie.
“Spero di rivedervi presto, signorina. Potremmo bere un tè insieme.” Propose Lizzie.
“Sì, certo. Mi farebbe piacere.” Rispose Ariadne, poco convinta.
Tommy si chinò a baciarle di nuovo la mano e fu attraversata da un brivido lungo la schiena.
“Ariadne Evans, ci vedremo ancora.”
“A presto, signor Shelby.”
La memoria di Ariadne la riportò alla loro notte insieme, a quel bacio travolgente, al calore del suo corpo mentre dormivano, e dovette sventolarsi con la mano per riprendersi.
“Tommy Shelby fa sempre un certo effetto.” Bisbigliò Julian al suo fianco.
“Tu lo conosci?”
“Solo di fama. E’ il capo dei Peaky Blinders da circa dieci anni, metà città appartiene a lui. E’ un vero e proprio re.”
Ariadne e Tommy si scambiarono uno sguardo fugace prima che lui salisse in macchina e che lei salutasse l’ennesima donna ricca.
Tornare a Birmingham era l’inizio dei suoi problemi.
 
 
Salve a tutti! :)
Beh, Tommy e ha incontrato Judith sotto altre vesti. Ma che avrà combinato Ariadne per meritare l’odio della madre?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio, alla prossima.
 

 
  
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