Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    14/12/2020    22 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
_
Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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When the time will come
Run!




Jungkook spostò di lato i capelli resi umidi dal sudore: la corsa aveva portato ad un beneficio, aveva scaricato tutto ciò che poteva con fatica, e delle preoccupazioni pesanti davvero era rimasto soltanto il fiato corto. Inspirava ed espirava controllando l’afflusso d’aria, tenendosi il fianco con una mano e maledicendosi dell’idea stupida.
Efficace ma stupida.
Era notte inoltrata, aveva raggiunto uno dei parchi che era solito visitare assieme agli altri nei momenti liberi; altalene, scivoli, la fontana che spruzzava allegramente getti d’acqua tinti di faretti color arcobaleno… era sparito tutto quanto, lasciando spazio soltanto al buio. I distributori automatici accanto ai bagni emanavano l’unica luce sicura presente, e del piacevole ricordo dell’erba fresca tra le dita non era rimasto nulla, se non un’immotivata soggezione. Si fermò su un’altalena dal sinistro cigolio metallico: persino quel rumore tanto familiare sotto i raggi del sole in quel momento era in grado di provocargli dei brividi.
Meglio così, si disse. Meglio così piuttosto che incontrare Jin in un tale stato confusionale. Rise teso, si sentiva davvero un idiota e se ne vergognava pure: la sensazione d’esser scappato via dai propri problemi si faceva sempre più forte. Lui, che solitamente prendeva la vita di petto affrontandola a testa alta, non sapeva più come gestire le sensazioni dapprima flebili che s’erano trasformate in un tumulto trascinante, emotivo, pericoloso. Aveva timore di sé, di ciò che stava vivendo e di come stava gestendo tutto quanto: di merda a suo dire. E che gli sarebbe costato parlarne, in fondo?
Tutto.
Ecco perché non l’aveva ancora fatto, ed ecco perché si sentiva fondamentalmente stupido. Espirò tossendo, l’aria fredda della notte era penetrata nei polmoni irritandogli la gola durante la corsa, una corsa lontano da una risposta che negava di voler vedere. Perché lui amava Jin, desiderava averlo accanto, tenerselo stretto tanto da godere del suo odore, della presenza stessa; voleva poterlo guardare negli occhi senza vivere nell’imbarazzo di un silenzio volutamente taciuto.
Imposto.
Se ne sarebbe fatto una ragione.
Un brivido lo scosse riportandolo indietro dalla voragine dei suoi stessi pensieri. L’attenzione venne assorbita dal cellulare che iniziò a vibrare insistentemente, ed una voce familiare lo incalzò preoccupata.
«Jimin, dimmi, cosa c’è?»
«Devo parlarti. Ora. Dove sei?»
Il ragazzo indicò distrattamente il luogo, si sentiva troppo stanco per poter tornare subito in dormitorio.


«Jin, hai un momento?»
L’improvvisa quanto insolita apparizione notturna di Taehyung fece sussultare il giovane, le occhiaie a segnare uno sguardo spento, accigliato. Le labbra piene strette in una smorfia contrariata palesavano pensieri negativi e riflessioni inconcludenti. Probabilmente non sarebbe riuscito nemmeno a dormire quella notte.
«Dimmi, Tae, cosa succede? Se hai fame, beh, mi spiace, non sono in vena di cucinare nulla a quest’ora.»
«Non è per quello…» esitava, turbato. Aveva promesso di non rivelare nulla, ma se non l’avesse fatto probabilmente Jin e Jungkook avrebbero raggiunto un punto definitivo di non ritorno. E lui non voleva questo. Non era questione di equilibrio all’interno del gruppo, semplicemente non si sentiva di abbandonare quei due testoni a loro stessi. A parer suo si stavano rovinando da soli. «Non dovrei dirtelo, ma Jimin ha deciso di spifferargli tutto, ed è appena uscito.»
Jin si gelò sul posto, i pugni stretti sulle ginocchia. Lo sapeva, sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di lui, era stato uno stupido sprovveduto. Si alzò di scatto recuperando il cellulare e la giacca sull’appendiabiti a fianco dell’ingresso, fermandosi soltanto quando l’amico intervenne un’ultima volta.
«Ho origliato la conversazione al telefono quel poco, ho sentito di un parco giochi, ma non so niente di più. Mi spiace Jin, mi spiace per voi.»
L’altro non fece caso al “voi” utilizzato al posto di un più appropriato “tu”. Era troppo concentrato sul focalizzare il posto da raggiungere, le strade da seguire per poter arrivare il prima possibile. Doveva scegliere tra due mete in direzioni opposte e sperare di incontrare Jimin prima del suo arrivo a destinazione. Uscì sbattendo la porta e cominciò a correre, l’aria a scompigliare i capelli, la rabbia a muovere i passi illuminati dalla luce dei lampioni. Doveva fare in fretta, altrimenti l’amico avrebbe rovinato tutto.

   
 
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