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Autore: _Bri_    19/12/2020    8 recensioni
[STORIA INTERATTIVA - Iscrizioni chiuse]
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Dalla caduta di lord Voldemort sono passati molti anni e la pace tanto agognata, purtroppo, ha avuto vita breve. Una guerra terribile ha coinvolto maghi e babbani, portando le parti coinvolte a decimarsi vicendevolmente. Ma nel momento di massimo buio, dalle macerie fumanti, si è sollevata una voce di donna, che ha promesso la pace per chiunque l’avesse seguita. Ma a quale prezzo?
Dopo 60 anni di regime in cui la magia è stata soppressa, non tutti hanno messo a tacere il loro pensiero e piccoli ma battaglieri gruppi di dissidenti, sono pronti a dare battaglia contro il regime di Nadia e della sua Corte.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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CAPITOLO II
“Les Revenants”
 
Quartier Generale
Dojo grande
 
Chion e Mångata osservavano Sonne con occhi spalancati. Vedere la cassa piena di bacchette era sempre affascinante, nonostante non fosse di certo la prima volta.
Sonne agiva sempre con una certa ritualità, quando si trattava di dedicare il tempo a qualche ladro per insegnare loro ciò che sapeva sugli incantesimi: apriva la cassa con le bacchette presenti in quel momento al Quartier Generale, ne esaminava una a una, soppesandole, parlottando fra sé, poi decideva quale assegnare a chi gli stava dinanzi. Non che avesse alcun tipo di velleità come fabbricante di bacchette ma essendo, Micah, uno dei pochissimi a cui era stato insegnato ad usare la magia e che possedeva una bacchetta tutta sua, si era impegnato ad affinare la capacità di discernimento delle bacchette.
Quel giorno però sembrava più nervoso del solito e era chiaro ai due; le sopracciglia aggrottate rendevano lo sguardo chiaro particolarmente torvo e la bocca era tirata da un lato come fosse appesa ad un amo, a creare una smorfia bizzarra e fastidiosa. Fu Mångata a chiedergli cosa avesse, dopo aver allacciato i lunghi capelli in uno chignon improvvisato, per prepararsi all’allenamento.
 
- Ma niente, sono solo in pensiero per Liv. –
 
Chion e Mångata si lanciarono uno sguardo preoccupato; Sonne era solito chiamare i propri compagni con il loro vero nome solo e soltanto quando era molto preoccupato, o troppo ubriaco per farci caso. Ma essendo più che lucido in quel momento, i ragazzi giunsero alla medesima conclusione.
 
- È uscita da nemmeno un giorno, non devi preoccuparti. Sono sicuro che se la caverà. – Nel parlare di Ame, Chion sistemò in automatico le cuffie antirumore che la strega gli aveva regalato qualche giorno prima.
 
- Perché deve essere sempre così avventata? Poteva chiedere a qualcuno di accompagnarla, sarei potuto andare con lei. Invece continua a fare di testa sua. Fra l’altro lasciandomi questi ridicoli cosi, pensando che siano il modo giusto per avvisarmi! – Sonne affondò una mano nella tasca, estrasse un foglietto spiegazzato che mostrò ai due. Entrambi dovettero impegnarsi per trattenere una risata, davanti alla vista di un’orribile caricatura di Ame con allegato un fumetto che diceva “Vado a fare quella cosa lì, torno preeeeesto!”
 
- Mi prende in giro! Lo fa sempre! – Sonne ricacciò il biglietto in fondo alla tasca e tornò ad afferrare le bacchette fra uno sbuffo e l’altro.
 
- Tieni, prova questa. – Il mago allungò una bacchetta particolarmente lunga a Chion, il quale prese a rigirarsela fra la mano con fare meditabondo, mentre un’altra bacchetta, dall’aria più flessibile, veniva data a Mångata.
 
- Non so quanto possano andare bene, quindi per non rischiare proviamo un incantesimo semplice. Ripetete con me: Wirgandium leviōsa.
 
I due pronunciarono l’incantesimo senza problemi, a quel punto Sonne pose dei fogli sul banco predisposto appositamente per farli esercitare. Estrasse la propria bacchetta, la puntò contro i fogli e pronunciò l’incantesimo lentamente, con un movimento di polso molto lento per rinfrescare la memoria ai due. Uno dei fogli cominciò a fluttuare con delicatezza verso l’alto.
 
- Bene, Chion prova te. -
 
Il ragazzo arrotolò le maniche della maglia fin sopra al gomito poi, quasi con timidezza, puntò i fogli con il legno.
 
- Wirgandium leviōsa. -
 
La pergamena vibrò appena, ma non si innalzò in volo. Tentò una seconda volta e poi una terza, prima che quella prendesse a librare pigramente, ma non staccandosi dalla base del tavolo che di una manciata di centimetri.
 
- Non va bene per te. Ne cerco un’altra. Intanto prova tu. – Disse a Mångata prima di infilare la testa nella cassa contenente le bacchette. La strega annuì e imitò il compagno; a differenza dell’incantesimo di Chion che sembrava non voler ingranare, appena pronunciato l’incantesimo tutti i fogli schizzarono sul soffitto e anche il tavolo di metallo si alzò di mezzo metro, poi tutto ricrollò a terra con un fracasso notevole, cosa che portò Chion a pigiare le cuffie contro le orecchie, nella speranza di accusare di meno il rumore. Invece Sonne non sembrò altrettanto scosso, si limitò a riemergere dalla sua ricerca con un altro paio di bacchette, che consegnò ai due.
 
- Senti… - Osò la giovane, portando le mani dietro la schiena e sporgendosi a dare un’occhiata alla cassa: - E se provassimo con delle bacchette che abbiamo recuperato noi stessi? Qualche tempo fa sono riuscita a trovarne una, ricordi? E se è vera quella storia che ci hai detto su cosa accade quando disarmi qualcuno… -
 
- Io non sono mai riuscito a recuperarne una. – Disse un po’ sconfitto Chion –L’unica volta che è successo, dalla fretta di scappare si è spezzata. – Chion quasi affondò il capo nelle spalle dalla vergogna a ricordare il brutto episodio, così Mångata prese a dargli dei lievi colpetti sulla schiena. – Eri troppo in alto, hai perso l’equilibrio e hai dovuto pensare a salvarti la vita; sarebbe stato idiota buttarti insieme alla bacchetta solo per tentare di recuperarla, no? -
 
Intanto Sonne aveva sistemato di nuovo il tavolo e dopo un’occhiata soddisfatta, tornò a guardare i due compagni con le mani sui fianchi magri: - Hai avuto una buona intuizione piccoletta, se la ricordi vai a recuperare la bacchetta che hai trafugato, sempre che sia ancora qui. Quanto a te, prova con l’altra. –
 
Ad Auden non piaceva molto fare incantesimi; in tutta la sua vita prima di arrivare alla Corte si era sempre occupato di tutto utilizzando solo e soltanto l’ingegno e le proprie mani. Per altro la persona che aveva reputato in passato come l’unica famiglia che possedesse era una babbana e questo non aveva fatto che diminuire il valore che dava alla magia stessa.
Al pensiero di Saskia, Auden grattò in automatico la stella a quattro punte tatuata sotto la clavicola sinistra, ma una volta scacciato a forza la sua immagine dalla testa fece quanto detto da Sonne; l’incantesimo questa volta riuscì, seppur non propriamente in maniera eccellente.
 
- Bene. – Sonne afferrò un quaderno sgualcito e su esso appuntò il nome di Chion e la bacchetta che aveva utilizzato.
 
- Ah-ah! Trovata! – Presa dall’entusiasmo, Mångata cominciò ad agitare la bacchetta con eccitazione, arrestandosi solo dopo un urlaccio da parte di Sonne, visto che dalla punta del legno, a ogni movimento di lei, partivano scintille rosse dall’aspetto decisamente inquietante. Era evidente, a Sonne, che la bacchetta non l’avesse riconosciuta.
 
*
 
Una pioggia incessante si era scatenata all’improvviso, prendendo Ame alla sprovvista. Se da un lato non era propriamente gradevole inzupparsi per chilometri e chilometri, d’altro canto la ragazza era ben consapevole che quel temporale avrebbe giocato a suo favore; difatti se normalmente incontrarsi con Serena era abbastanza difficile, in quanto gli incontri dovevano avvenire di giorno perché di notte i confini della Corte erano molto più controllati, con quelle intemperie le Sentinelle tendevano ad abbassare la guardia, non gradendo nemmeno loro di essere sottoposti all’ostilità dei temporali.
Al solito l’incontro era stato fugace: Serena le aveva sorriso, era riuscita a strapparle un abbraccio e le aveva consegnato un biglietto, ma Ame non si era nemmeno tolta la maschera antigas; era intenzionata a tornare al Quartier Generale quanto prima e per farlo aveva preso quello scassone di decappottabile che tanto amava Andra e che aveva abbandonato a qualche centinaia di metri dal luogo dell’incontro con Serena.
Quello che aveva letto nel biglietto, una volta infilatasi in auto, le aveva fatto sgranare gli occhi e sputare una parolaccia colorita.
Una volta imboccato uno degli ingressi più vicini, aveva cominciato a correre, non dando la minima spiegazione a Roxana, che si trovava di guardia e che l’aveva supplicata di restare per fare una partita a carte.
 
- La prossima volta, Rox! Ora devo correre, altrimenti questa volta Sonne mi fa il culo! -
 
La donna dalle curve abbondanti scosse il capo nel sentire il linguaggio di Ame, ma era così abituata che evitò di ammonirla per l’ennesima volta, conscia del fatto che la ragazza l’avrebbe, come sempre, ignorata.
 
- Ma quanto è lungo questo maledetto ingresso… cos’è quella, una nidiata di ratti? Devo ricordarmi di dire a Skög di mandare qualcuno a disinfestarlo… -
 
La corsa ebbe finalmente fine. Giunta nella grande sala centrale, Ame sfilò la giacca e consegnò le armi ai ragazzi che avevano il compito di riporle con riguardo, così prese a cercare Micah con lo sguardo.
 
- Ehi! Sai mica dov’è Sonne? – Chiese a Greg, il ragazzo allampanato che aveva preso il suo mitra.
 
- Se… Ma te lo dico solo se ti decidi a concedermi un appuntamento. L’ultima volta mi hai dato buca! Me lo ricordo, sai? -
 
- Senti Greg… io ho provato ad essere delicata e comprensiva, ma forse ti sei dimenticato che hai sedici anni, porca Nadia! Ti consiglio di smetterla di chiedermelo, faresti un favore a entrambi. -
 
Greg borbottò qualcosa d’un tratto tutto rosso in viso, mentre l’amico al suo fianco sghignazzava e lo prendeva in giro. Dopo averlo rimbrottato –e senza guardare Ame negli occhi- borbottò che Sonne si trovava nel dojo(1) grande.
Ame riprese a correre e se non fosse stata afferrata al volo per le spalle, probabilmente avrebbe finito per investire qualcuno.
 
- Oh! Vulkan! Effettivamente cercavo anche te! -
 
L’uomo accennò un sorriso, seppur tirato, nell’osservare la ragazza. –Allora puoi smettere di correre come una pazza: sei appena rientrata? –
 
Ame annuì facendo ondeggiare il caschetto biondo, poi estrasse il biglietto spiegazzato dalla tasca e glielo mostrò: - Ho visto Serena, mi ha dato una notiziona. Vieni, sediamoci… non ne posso più di correre oggi! –
 
La Corte
Campo d’addestramento
 
La prova dei collari con il primo gruppo delle Sentinelle era stata un’esperienza che Jude non avrebbe mai più voluto ripetere; infatti, sebbene buona parte delle Sentinelle con poteri speciali non aveva osato dimostrare alcun tipo di perplessità, qualche testa calda si era comunque fatta sentire e Jude aveva dovuto assumersi l’ingrato e spiacevole compito di rimetterli al loro posto. Persino Lir era parso alquanto perplesso, anche se appena aveva percepito i primi lamenti, non aveva esitato ad appoggiare Jude e aiutarlo a freddare gli spiriti indomiti.
Memore del giorno precedente, Jude era arrivato all’incontro con le restanti Sentinelle con indosso il proprio collare sebbene lui, ovviamente, fosse esentato dall’indossarlo. Quella era risultata una buona mossa, in quanto i presenti si erano mostrati meno riluttanti dall’indossare quei collari. Il capo delle Sentinelle aveva spiegato, per la seconda volta, che per volontà di Nadia quando le Sentinelle si trovavano all’interno della Corte, erano obbligate a indossare gli inibitori dei poteri. “Tutti sono uguali nella mia terra e nessuno deve provare timore nell’interagire con chi presta l’onorevole servizio di servire la Corte”, aveva spiegato la Governatrice a Jude, o almeno aveva specificato che avrebbe dovuto riferire quelle parole alle Sentinelle. E così lui aveva fatto. Il problema era stato che mentre Nadia era venerata, di Jude avevano paura. L’uomo si era dovuto sforzare per non esplodere e per quel motivo, al secondo incontro, aveva deciso di agire diversamente e di mostrarsi da subito più umile, per quanto difficile gli riuscisse.
Il risultato era stato abbastanza buono, visto e considerato che non aveva dovuto puntare la pistola sulla fronte di nessuno. In quel momento era rimasto a sistemare il trambusto fatto dalle Sentinelle che avevano testato i loro collari, solo in compagnia di Ryurik e Izzie.
Jude osservò con attenzione la dedizione che la ragazza impiegava nel sistemare tutto il sistemabile e non gli sfuggì di certo il motivo: Izzie cercava di evitare ad ogni costo il suo sguardo. Ryurik, d’altro canto, si toccava il proprio collare con estrema soddisfazione: all’interno del tubicino scorreva la pozione dello stesso rosso di quella di Jude.
 
- Allora Ryurik, mi sembra che tu stia cominciando ad ambientarti. Non ti spaventa usare il collare? -
 
Il ragazzo si stiracchiò per bene, prima di rivolgersi a Jude con un gran sorriso: - Questo posto è caldo, il sole splende e l’aria che si respira è buona; chiunque vuole andare via di qui è pazzo. – Ryurik sottolineò il suo pensiero picchiettando la tempia con l’indice, così continuò: - E poi amico, questi collari sono una cosa buona, ottima direi! –
 
Jude lo squadrò e a quel punto anche Izzie smise di fare quello che stava facendo e dette ascolto al mago dall’atipico vestiario e lo sguardo sornione.
 
- Vedi, moya mama(2)  è tanto fiera di questo mio potere, ma io non posso sopportare! -
 
- Spiegati meglio. -
 
Ryurik prese a massaggiare l’incavo del naso teatralmente: - Mi scoppia la testa. Tutti quei… come si dice? Sentiti?-
 
- Sentimenti?- Pigolò mestamente Izzie, che rigirava fra le mani un piatto di metallo.
 
- Ecco si, i sentimenti di altri sono quello che mi fa male! Hai idea di cosa vuole dire tutto il giorno sentire sentire sentire... provare tutte le cose che provano altri vicino a te? È terribile, noioso e fastidioso! -
 
Jude accese una sigaretta, poi tornò a puntare gli occhi chiari in quelli di Ryurik: - Però è effettivamente molto utile… dimmi Ryurik, puoi percepire cosa provano le persone strettamente vicine a te? –
 
- Vicine, meno vicine… forse cento metri, si. Ma con questo io non ho più problemi!- Il mago toccò nuovamente il collare con sul viso un’espressione rilassata, poi lanciò uno sguardo a Izzie: - Ad esempio tu! Tutto il tempo prima di dimostrazione stavi lì a provare paura e ansia… io non potevo sopportare! Mi chiedo perché le persone si agitano così. -
 
Sentendosi chiamata in causa e con lo sguardo di entrambi puntato contro, Izzie provò il desiderio di scomparire dalla faccia della terra. Cominciò quindi a tartagliare scuse: - Ma io veramente… non era proprio paura, ero solo agitata per questa storia degli inibitori e… -
 
Ryurik roteò gli occhi al cielo: - Come no! Era proprio paura, invece! Io su questo non posso sbagliare, purtroppo. Comunque se non c’è altro io vado a fare una passeggiata. – Ryurik indicò un punto lontano: - Lì c’è bosco mi pare, non è vero? –
 
Jude sputò il fumo e annuì, un’espressione divertita gli colorì il bel volto: - Si… può accompagnarti Izzie, non è vero? –
 
La ragazza continuò a rigirare con maggiore nervosismo quel piatto metallico fra le dita, mentre Ryurik alzava le spalle e affermava che, con quel collare addosso non aveva alcun tipo di problema. Di contro Izzie non sembrava molto entusiasta dell’ordine impartito da Jude, celato da domanda innocente. Un rumore di zoccoli distrasse i tre e portarono a puntare l’attenzione sulla Sentinella che si stava avvicinando a loro. La ragazza scese da cavallo e corse verso di loro, fermandosi poi davanti a Jude. Portò un pugno chiuso al cuore e si inchinò appena.
 
- Sono stata mandata a informarti che è arrivato un prigioniero… vogliono che sia tu a interrogarlo. -
 
- Grazie Saskia, arrivo subito. Quanto a voi due siete liberi di andare. A più tardi. -
 
Izzie e Ryurik seguirono con lo sguardo Jude e la Sentinella allontanarsi.
 
- C’è sempre tanto movimento in questo posto, nono è vero? -
 
- Purtroppo si. – Sospirò Izzie, prima di fare strada all’altro verso la via che li avrebbe condotti al bosco.
 
Quartier Generale
Studio ingegneristico
 
Yuki stava pulendo con ossessione le superfici libere dalla cancelleria utilizzata da Jabal per lavorare sui propri progetti; venne però richiamata dalla voce profonda, così si avvicinò al tavolo da lavoro per esaminare con scrupolo il suo lavoro. Jabal, squadra e matita in mano, stava disegnando su una grande carta da lavoro tecnico.
 
- Vedi, possiamo fare in modo che questa zona, accanto ai dormitori, possa essere allargata. Dalle perlustrazioni precedenti sono abbastanza certo che il terreno copra una cavità che potrebbe essere molto utile al nostro scopo. -
 
Yuki annuì e si sporse un po’, per osservare il punto indicato da Jabal. – Pensi che riusciremmo ad allargarci a sufficienza? Di quanti metri quadri potremmo disporre secondo te? –
 
L’uomo scosse il capo: - Fin quando non partiamo con gli scavi non possiamo saperlo con certezza, ma stando agli esami preliminari, dovremmo riuscire a strappare una quarantina di metri quadri, il che vorrebbe dire almeno due stanze familiari. -
 
 - E credi che sia sicuro continuare a far dormire la gente nei dormitori in caso? -
 
Jabal sistemò gli occhiali, che usava sempre quando doveva lavorare o leggere, poi incrociò le braccia e scosse il capo: - No, non credo. Per l’intero periodo dei lavori saremo costretti a spostare gli altri nella Sala Grande. –
 
Yuki rabbrividì all’idea del caos e la sporcizia che si sarebbe accumulata durante il periodo dei lavori, ma valutò fra sé che era necessario lavorare per migliorare il Quartier Generale.
 
-È permesso? –
 
Un lieve bussare alla porta, così Dimma entrò nello studio di Jabal. I due notarono che la donna zoppicava un po’.
 
- Ben tornata! – Disse con entusiasmo Yuki.
 
- Grazie… se avete un momento avrei bisogno di una mano. – Dimma mostrò loro una boccetta di vetro colorato contenente un liquido pastoso. – Io l’ho detto di stare bene, ma non mi hanno voluto dare ascolto. – La strega  vestita di un paio di calzoncini aderenti, aveva una gamba stretta in una fasciatura. Si avvicinò al tavolo dove si trovavano i due, e chiese a Yuki di darle una mano a cospargere l’unguento sulla gamba tumefatta.
 
- Beh… non mi sembra che tu sia messa troppo bene. – Accennò Jabal, prima di tornare con lo sguardo sul suo progetto. -
 
- Vorrei poterlo contraddire, ma effettivamente questa fasciatura fa schifo, sfilala, su. -
 
La donna sbuffò con sonorità, asserendo di essere la più competente in materia e che forse avrebbero dovuto smetterla di mettere in discussione il suo giudizio. Tolta la fasciatura, effettivamente Yuki si rese conto che la situazione non fosse particolarmente tragica.
 
- Te l’ho detto, non sono un’incosciente. Bisogna solo mettere l’unguento e passerà tutto in un paio di giorni. -
 
Dimma fece piombare il piede sulla scrivania con una smorfia di dolore sul viso, mentre Yuki si premurava di allontanare la fasciatura, che la donna aveva abbandonato a terra, con un piede. Mentre le spalmava l’unguento che la stessa Dimma aveva preparato, le due cominciarono a parlare di come fosse andata la loro missione, tentando di coinvolgere Jabal. Il babbano si limitava ad annuire, totalmente assorbito dai penosi calcoli tecnici che stava tentando di fare, nonostante tutto quel chiacchierare da parte delle due.
 
- Bene, non ci resta che fasciarla, vado a prendere delle nuove bende. -
 
La bionda sgattaiolò fuori dallo studio. Dimma, la gamba ancora tesa con l’anfibio a poggiare sulla scrivania, incrociò le braccia e lanciò uno sguardo a Jabal.
 
- Che stai combinando? -
 
- Sto cercando di capire come allargare lo spazio oltre i dormitori di destra, senza rischiare di far crollare tutto il Quartier Generale. Inoltre voglio creare un nuovo bocchettone per far arrivare aria pulita; in questo punto qui, - disse, picchiettando la carta con la matita, - vi lamentate che ci sia carenza di ossigeno. -
 
- In mezzo a tutto il tuo progettare, non è che puoi inserire una rinfrescata all’infermeria? Se poi riuscissi anche a trovarmi un valido assistente, te ne sarei grata. -
 
Nel sentire quelle parole Jabal tirò su un angolo della bocca e alzò lo sguardo sulla bella donna che aveva davanti: - Che c’è, vuoi dirmi che non ti basto più io? –
 
- Diciamo che le tue sono manine delicate solo quando hai a che fare con quelle tue carte lì… senza offesa, ma sei pessimo con ago e filo. -
 
Jabal liberò una risata profonda e al contempo alzò le mani: - Ho capito, cercherò di aiutarti a migliorare l’infermeria e intanto ti libererò dalla mia presenza. –
 
- Non sei tu il problema, è la tua… poca delicatezza. Converrai con me che per essere un buon infermiere bisogna avere un tocco delicato. -
 
Yuki rientrò con le bende pulite, con cui prese a fasciare la gamba di Dimma; quest’ultima indicò Yuki: - capisci cosa intendo? –
 
- Senti Dimma… immagino nessuna notizia di Nikko e Ice, altrimenti ce lo avresti detto. -
 
Dimma non era abituata a sorridere e quella con Jabal era la dimostrazione di uno dei rari scambi di spensierata ironia che la vedevano protagonista; purtroppo le parole di Yuki la riportarono alla realtà e la obbligarono a scuotere il capo in segno di diniego.
 
- Nessuna, sembrano scomparsi nel nulla. A un certo punto abbiamo creduto di aver individuato un movimento sospetto nella zona ovest, ma poi niente più. Tenteremo ancora nei prossimi giorni, sperando di tornare con qualche notizia positiva. -
 
Jabal e Yuki annuirono all’unisono, gli sguardi assorti e la mente dedicata alla coppia di coniugi; delle parole arrivarono in maniera sottile nella testa di Yuki, che sistemata la fasciatura di Dimma, la guardò senza aggiungere nulla. Aveva percepito il suo pensiero inespresso e la conclusione non le era piaciuta un granché: Dimma era convinta che non ci fosse molto da fare per i genitori di Jack.
 
La Corte
Cella della Magione di contenimento
 
Quanto tempo era che Stafford non metteva piede alla Corte? Non sapeva dirlo con precisione. La cosa certa era che avrebbe sperato di farlo in un altro modo e non trascinato lì da due Sentinelle mentre sua moglie, con ogni probabilità, era già alle Colonie. Appena aveva oltrepassato la cancellata principale, quei due lo avevano affidato ad altre due Sentinelle di guardia alla torre sud. Staffy non le aveva mai viste prima; essendo entrambi abbastanza giovani sospettò che non fossero cresciuti alla Corte, altrimenti li avrebbe riconosciuti.
Comunque tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che nessuno dei suoi familiari era lì per “accoglierlo”: né suo padre Konstantin – probabilmente ormai in pensione-, né Selina e Stieg, i suoi fratelli.
Quei due, che aveva inteso chiamarsi Lir e Artemisia, lo avevano studiato con attenzione; mentre Lir gli aveva subito posto una serie di domande per capire da dove provenisse, la ragazza era rimasta in silenzio, limitandosi a squadrarlo minuziosamente. Giunti in prossimità di quella che ricordava essere l’edificio di contenimento di chi veniva portato alla Corte, Artemisia si era sporta a sussurrare qualcosa all’altro, sul viso un’espressione di delicata preoccupazione che Stafford aveva colto senza sforzo.
Così fu scortato nel seminterrato della grande magione e chiuso in una cella di modeste dimensioni, adornata solo da una branda e una coperta muffita e illuminata da una finestrella chiusa da sbarre posta molto in alto. Stafford aveva un occhio mezzo chiuso, merito il piacevole regalo inferto dalle Sentinelle che lo avevano portato fino alla Corte, ma nonostante questo non ebbe difficoltà a notare che quei due ragazzi indossavano delle collane tubolari. La cosa gli mise i brividi, ma sarebbe stato molto sciocco aprire bocca per fare qualsiasi tipo di domanda, ragion per cui tacque.
 
- Ritieniti fortunato, stai pur certo che avremmo trovato il modo di farti parlare. - Disse il ragazzo a denti stretti. Stafford non capì che cosa volesse dire.
 
- Forza, andiamo. – La ragazza allungò una mano per tirare appena il gomito del compagno, così i due uscirono lasciandolo solo.
 
Era in condizioni pietose; si sentiva sporco, dolorante e molto stanco, eppure la testa era piena di preoccupazioni che non lo lasciavano in piace: pensava a sua moglie mentre lo stomaco si stringeva in una morsa dolorosa; pensava a Jack e a quanto dovesse essere preoccupato il suo unico figlio, di non vedere i genitori tornare. Fortunatamente, a differenza sua, non c’era ladro al Quartier Generale che non amasse suo figlio quanto lui stesso lo amava, ragion per cui si tranquillizzò all’istante, realizzando che avrebbero fatto in modo di proteggerlo e di non farlo sentire solo. C’era Skog, ma ancor più c’era Micah e Stafford poteva mettere la mano sul fuoco che il ragazzo avrebbe fatto di tutto per tutelare Jack.
Barcollò verso la branda e crollò su di essa, assalito da una stanchezza atavica, alla quale non riuscì in alcun modo a opporsi, così crollò in un sonno senza sogni.
 
 
- Tutto avrei pensato, tranne che rivederti vivo. -
 
Stafford non si era reso conto di essersi addormentato, tantomeno che qualcuno fosse entrato nella sua cella. Non avrebbe avuto nemmeno bisogno di aprire gli occhi: gli era bastata la voce, per riconoscere Jude.
Si mise faticosamente a sedere e alzò lo sguardo ancora appannato dal sonno, per incrociare i suoi occhi; il capo delle Sentinelle teneva le mani nelle tasche di un completo elegante, la giacca slacciata a lasciar intravedere gli straccali di un cupo rosso abbracciare la camicia.
 
- Dove avete mandato Juliette? -
 
Jude alzò un angolo della bocca: - Che c’è, avrai mica dimenticato l’educazione, Staffy? Non si saluta un vecchio amico? –
 
- Nonostante siano passati molti anni, non credevo di dover fare questi giochetti con te. Mi conosci bene Jude. -
 
Il capo delle Sentinelle scosse il capo, mentre il sorriso si allargava sul volto, apparendo fra la barba corta e ben curata: - Certo, eppure sono passati così tanti anni che speravo almeno in un cenno di saluto, un come vanno le cose, sai… quelle frasi di circostanza che si dicono quando incontri qualcuno a cui eri legato. –
 
Stafford non rispose; sfregò gli occhi col pollice e l’indice della mano destra, nel tentativo di mettere in ordine le idee, mentre Jude continuava a guardarlo dall’alto. Dopo un lungo silenzio, il più giovane allungò una mano e gli strinse appena la spalla, attirando così l’attenzione dell’uomo che tornò a guardarlo.
 
- So che il mio potere non ha alcun effetto su di te, ma fidati che non mi servirà questo per farti parlare. Detto questo, in onore dei bei vecchi tempi ormai andati, penso che non avviserò i miei nonni della tua presenza qui, non per ora, così avrai tutto il tempo di riposarti, rimetterti e pensare a quali risposte darmi, prima che Etienne decida di farti aprire la pancia come un capretto nel giorno di Pasqua. Che ne dici? -
 
Stafford strinse le labbra; conosceva molto bene Jude e sapeva che non stava affatto scherzando. Annuì, così il più giovane gli dette un buffetto sulla guancia.
 
- Bene, vedo che ci siamo capiti. Ho già informato le Sentinelle che ti hanno trovato di tenere chiusa la bocca, in modo che nemmeno la tua cara famiglia sappia niente di questa tua improvvisata. Ora riposati, credo tu ne abbia bisogno. -
 
Jude uscì dalla sua cella senza aggiungere altro e solo allora Stafford tirò il fiato. Passò le mani fra i capelli sporchi e ragionò; non gli sarebbe importato di morire, ma mai e poi mai avrebbe permesso che la vita di suo figlio fosse messa in pericolo, quindi con ogni probabilità si sarebbe fatto torturare fino alla morte, pur di tutelare Jack e di conseguenza il Quartier Generale.
 
Quartier Generale
 
Atlas, conosciuto a tutti i ladri come Leaf – talvolta appellato Leaf il temerario- non poteva essere più imbronciato di così. Se ne stava lì, con una mano a sostenere il mento come se la sua testa pesasse quanto un enorme macigno e osservava la donna seduta davanti a lui con assoluto disinteresse. Non sopportava l’idea di essere stato messo in punizione da Sonne e la cosa peggiore era stata la complicità della sua Angelica la quale, una volta rientrati in estremo ritardo al Quartier Generale, si era premurata di dire al mago che la colpa di tutto quel ritardo era stata del suo ragazzo, che aveva fatto di tutto pur di perdere tempo in giro.
Quindi Sonne, il suo più caro amico, aveva pensato bene di tradirlo assegnandogli l’ingrato compito di occuparsi di Oleander e il suo piccolo problemino con le bugie.
La ragazza masticava con sciatteria una gomma e teneva le braccia incrociate, puntando gli occhi chiari in quelli di lui, sebbene questi fossero coperti dagli occhiali da sole. Al proprio fianco invece sedeva Skog, che si era offerto volontario per aiutare Leaf.
 
- Piantala di fare quella faccia. – Lo canzonò Skog, incrociando anche lui le braccia coperte di tatuaggi, mentre esponeva un sorrisetto beffardo – Lo sai benissimo che dobbiamo farlo tutti, a rotazione; eri sfuggito per troppo tempo a questa faccenda. -
 
- E poi vi chiedete come mai preferisco passare il mio tempo nelle Terre di nessuno?! – Rispose indispettito Leaf, aggrottando le sopracciglia, una delle quali compromessa da una spessa cicatrice.
 
- Ehi, voi due! Forse non ve ne siete resi conto, ma io sono qui e ci sento benissimo. Smettetela di parlare di me come di una zavorra! -
 
Leaf ignorò le rimostranze di Oleander, così tornò a fissarla fra il risentito e l’annoiato.
 
- Partiamo da una cosa semplice… è vero che sei stata nelle Colonie? -
 
La bionda strinse le labbra, poi tentò un poco convinto “no”. Appena però pronunciò quell’unica parolina, tirò uno starnuto che lanciò la gomma da masticare fra i capelli di Leaf. Il ragazzo rabbrividì, ma cercò di mantenere la calma, mentre Skog se la rideva di gusto; afferrò la gomma e la accartocciò in un foglietto di carta, poi prese un grande respiro e tornò a concentrarsi sulla ragazza.
 
- Va bene, forse non era così semplice come avevo sospettato. Passiamo a un’altra domanda. Vediamo… - il biondo rimuginò per un minuto buono, poi chiese: - I tuoi capelli sono davvero biondi? -
 
Le labbra di Oleander tremarono nuovamente; la strega chiuse gli occhi, cercando di trovare la forza di mentire, così li riaprì e rispose “si”. Questa volta si limitò a grattarsi il naso, ma parve essere riuscita a mentire senza starnutire. Colta dall’entusiasmo cominciò ad auto elogiarsi, assecondata da Skog che allungò una mano verso di lei per scambiarsi un sonoro cinque. Ma Leaf non era altrettanto entusiasta. Prese a tossire per attirare l’attenzione dei due e con voce incrinata dal disappunto disse: - Non mi sembra ci sia nulla di così entusiasmante. Ti rendi conto che se le Sentinelle ti beccano e ti interrogano, non puoi mentire senza starnutire in faccia a tutti? –
 
Il sorriso sul volto di Oleander si spense all’improvviso e a quel punto piantò le mani sul tavolo che li divideva e si sporse verso di lui: - E secondo te perché mi ritrovo a fare questo giochetto tutte le settimane? Pensi trovi divertente questa situazione, eh?! Sono anni che ci combatto e mi impegno per cambiare le cose, non farmi passare per sprovveduta! –
 
- Beh se ti gonfi solo per questo piccolo risultato direi che troppo c’è da lavorare. – La rimbeccò Leaf, con un sopracciglio inarcato. Prima che Oleander si sporgesse ulteriormente e prendesse il biondo per il collo, Skog decise di intervenire:
 
- Ok, ora calmiamoci. Non abbiamo tempo da perdere con baruffe alla babbana, come dite voi. Comunque… - Mentre Claudia tornava al proprio posto sbuffando come un treno a vapore, Skog lanciò un’occhiata al compagno seduto al suo fianco: - Ogni tanto potresti fartela una risata ragazzo, male non ti farebbe. -
 
Leaf assottigliò lo sguardo dietro gli occhiali da sole; stava per ribattere, quando un’idea gli illuminò la mente; idea che gli fece spuntare un sorrisetto malvagio sul viso.
 
- Senti un po’… - Tornò a rivolgersi a Oleander e incrociò le mani sulle ginocchia: - Gira una voce al Quartier Generale, una voce strana… e io avrei una domanda per te. -
 
Intenzionata a farsi valere, la piccola strega scosse con vigore i capelli biondi, così alzò il naso in segno di sfida: - Spara. –
 
- Ebbene, se insisti… è vero o no che ti sbatteresti Skog volentieri? -
 
Improvvisamente il silenzio si fece pesante, intanto che il volto di Claudia, occhi sgranati dallo stupore e bocca annaspante, assumeva toni del rosso non presenti in natura.
 
- Ma… ma… io… n… n… noeeeetciù! -
 
Skog si spalmò una mano sul viso, prima di mollare un destro sulla spalla di Leaf, il quale aveva cominciato a sghignazzare con soddisfazione. Quando a Oleander, beh, la ragazza cominciò a starnutire senza freno e le leggende narrano che nessuno sia ancora riuscito a porle un freno. 
 
La Corte
 
Erano stati giorni talmente densi, che Lir sentiva di non essersi riposato nemmeno un minuto da quando era tornato dalla sua missione. Prima era stato condannato ad assistere la Sentinella Izzie, dopodiché Etienne, giustamente, aveva richiesto la sua presenza; del resto era pur sempre la sua guardia del corpo. Finiti i compiti assegnatogli da Etienne era arrivato Jude, il quale lo aveva avvisato che avrebbe dovuto affiancarlo nell’incontro con un primo gruppo di Sentinelle e Lir si era trovato, totalmente impreparato (e Jude questa gliel’avrebbe pagata cara), ad affrontare una discreta folla di persone in piena crisi di nervi per la questione dei collari.
Come se non bastasse, quella stessa mattina si era ritrovato, più morto che vivo viste le scarsissime ore di sonno, ad affiancare Artemisia in un turno di guardia decisamente bizzarro; difatti mentre se ne stavano relativamente tranquilli in cima alla torre sud, avevano fatto rientro due Sentinelle con un prigioniero molto particolare, che i due avevano dovuto scortare fino alla cella nella magione di contenimento.
In quel momento erano le sei di pomeriggio e Lir aveva in testa un solo unico obiettivo, ma di vitale importanza: tornare a casa, abbuffarsi quanto gli fosse concesso dal suo stomaco e abbandonarsi a un sano ristoro, possibilmente dormendo almeno una decina di ore.
Mentre attraversava il vialetto di casa fischiettando, Lir faceva rimbalzare le chiavi nella mano, pregustando la sua serata ideale. Certo, ci fosse stata una donna a scaldargli il letto, sarebbe stato decisamente meglio, ma per quella sera poteva accontentarsi della presenza della sua coinquilina con cui scambiare due parole, visto che si sentiva troppo stanco anche solo per pensare di approcciarsi fisicamente a chicchessia.
Ma qualcosa era andato storto e Lir se ne era reso conto non appena aveva aperto la porta di casa: che cos’era quel profumino che carezzava le sue narici come il profumo di peccaminose ninfe, disposte a tutto pur di sedurre i sensi dei comuni mortali?
Inizialmente Lir si limitò a chiudere la porta dietro di sé e socchiudere gli occhi, continuando per un po’ a bearsi di quell’odore, ma l’estasi durò poco: il mago spalancò lo sguardo e strinse contemporaneamente la mascella e i pugni.
 
- Che stronza… ALIDA! – Tuonò, prima di dirigersi a passo di marcia verso il salotto che condivideva con l’amica. La scena che si trovò davanti agli occhi il povero Lir non era che lo specchio dei suoi desideri. Peccato che quello appollaiato sul divano, con una copertina di pile a coprirgli le gambe, davanti alla tv che rimandava le immagini di “El Topo”(3), con in mano una ciotola mezza vuota di noodles fumanti e le guance gravide, non fosse lui.
 
- Non dirmelo… non lo hai fatto davvero! -
 
Ancora nel pieno della masticazione e con le bacchette sollevate a mezz’aria, Alida roteò la testa in direzione di Lir: - Oh, ciao. – Si limitò a sputacchiare.
 
- Spiegami per quale motivo stai mangiando la mia ultima porzione di noodles, mentre guardi i miei film e occupi il mio spazio sul divano. – La voce di Lir si era fatta cavernosa e percepiva le vene del collo pulsare al di sotto del collare.
 
- Beh, tecnicamente non esiste un tuo posto sul divano e questi, - aggiunse lei, sollevando con soddisfazione la ciotola dei noodles – Erano in dispensa da giorni. Sul film ti posso dare ragione, ma anche in questo caso ci tengo a sottolineare che ne ho preso uno a caso dalla nostra libreria. Carino il collare, ti dona! – Concluse allegra, prima di arrotolare un’altra buona quantità di spaghetti intorno alle bacchette, per poi riempircisi la bocca.
Lir voleva bene ad Alida; in verità era una delle pochissime persone che poteva considerare di casa, ma questa volta la ragazza aveva oltrepassato ogni limite; non solo si stava appropriando della sua serenità, bensì era anche arrivata a sbeffeggiarlo.
 
- E tu perché non lo porti?! – Tuonò di nuovo, mentre andava a posizionarsi fra lei e lo schermo, con le braccia conserte.
 
- Dipendere totalmente dalla volontà di Nadia ha i suoi vantaggi, come potrai immaginare; anche se farei volentieri a cambio. – Aggiunse. Lir notò che lo sguardo dell’amica si rabbuiò di botto, ma non demorse: - Non provare a cercare di farmi tenerezza, non ci casco! -
 
Con uno scatto felino, Lir balzò in avanti e tentò di afferrare la ciotola con quel poco che era rimasto al suo interno, ma Alida la sollevò in alto e mise una mano in faccia a Lir, spingendolo via.
 
- Sei impazzito?! Stai lontano dai miei noodles! -
 
- I tuoi?! Questo è troppo! -
 
Fra i coinquilini iniziò una baruffa; Lir tentava di sfilarle la ciotola dalle mani, mentre Alida lo punzecchiava come poteva con le bacchette. A seguito di un movimento di troppo, la strega perse il controllo della ciotola e quella volò in aria; Lir si bloccò e guardò in alto, seguendo con lo sguardo la ciotola dei desideri librare verso il soffitto, per poi avvicinarsi a lui con rapidità. La fine fu delle più prevedibili: la ciotola roteò e finì sulla testa del ragazzo, ricoprendolo di brodo e spaghetti mangiucchiati.
 
- Ops… - Pigolò Alida, che in un attimo sgusciò lontana dal divano, pronta a darsi alla fuga. Lir rimase qualche istante immobile, mentre il liquido caldo gli colava sui capelli e lungo il collo e gli spaghetti andavano ad adagiarsi fra i suoi ricci scuri. Davanti a quell’immagine l’unica cosa che Alida avrebbe voluto fare, sarebbe stata scoppiare a ridere in faccia all’amico, ma sensatamente decise di tacere, scegliendo invece la fuga verso la sua camera.
 
- Questa… questa… IO TI AMMAZZO! -
 
Lir lanciò via la ciotola e rincorse Alida, la quale correva sulle scale di legno che portavano  alle camere. Lir arrivò quasi ad afferrarla, ma lei riuscì a chiudersi in camera per un pelo, con tanto di giro di chiave.
 
- Tanto prima o poi dovrai uscire! – Gridava lui, mentre batteva i pugni sul legno della porta con foga.
 
-E tu prima o poi sarai costretto a farti una doccia! – Rispose lei dall’altro capo della porta, tentando ancora di trattenere la risata. – Anzi, ti consiglio di farla subito… Ah, già che ci sei quando scendi spegni il videoregistratore, grazie! -
 
Senza bacchetta e con quel dannato inibitore a fasciargli il collo, Lir era impotente. Ma la sua vendetta sarebbe arrivata prima o poi; prima Jude, poi Alida: i suoi amici avrebbero pagato lo scotto di avere a che fare con Lir Strong, parola sua.
 
Quartier Generale
Sala Riunioni
 
Ice è arrivato.
Preso dai due tosti.
Abbraccia il russo.
 
I messaggi da parte di Serena erano sempre estremamente concisi, ma dopo anni di conoscenza, sia Ame che Vulkan avevano imparato alla perfezione il suo codice. L’uomo osservava il biglietto scritto dalla sua amica ed evento più unico che raro, un sorriso amaro colorì il suo volto dai lineamenti intransigenti.
 
- Non so se prendere bene la cosa. – Confessò lui, passando nuovamente il biglietto ad Ame, sedutagli davanti. La ragazza prese a giochicchiare con il pezzetto di carta, mentre gli occhi chiari si incastravano in quelli di lui.
 
- Quello che è certo è che dobbiamo agire in fretta, se vogliamo riportarlo al Quartier Generale sano e salvo. -
 
- Chissà che fine avrà fatto Nikko, sul messaggio non se ne fa menzione. – Vulkan incrociò le braccia, meditabondo, mentre Ame scrollò il capo.
 
- Se non è stata portata alla Corte, sai meglio di me che le opzioni da prendere in considerazione sono ben poche. -
 
- Già. – Sussurrò roco Vulkan – O è riuscita a scappare, o l’hanno portata alle Colonie, oppure l’hanno ammazzata. -
 
La franchezza di Vulkan parve non turbare affatto Ame, che si limitò ad annuire, rendendo palese che fosse d’accordo con lui. Per qualche istante rimasero in silenzio, poi l’uomo lanciò uno sguardo sulla cartina appesa dietro Ame: i punti rossi che segnavano i compagni Ladri si trovavano quasi tutti all’interno del Quartier Generale.
 
- Forse potremmo prendere in considerazione l’idea di fare una riunione e decidere di organizzare una missione per cercarla, anche se immagino che se è davvero morta, il suo corpo sarà stato depredato e il resto dato in pasto ai porci e ai coyote. -
 
A quel punto Ame fece una smorfia: - E dai! Ora non esageriamo… preferirei non immaginarmi Nikko fatta a brandelli, tengo molto a lei. – sussurrò infine, riprendendo a giocare con il pezzetto di carta. – Comunque pensavo a una cosa. –
 
- Ti ascolto. -
 
- Beh, è chiaro che Serena faccia riferimento a… Artemisia e Lir, in questo messaggio. -
 
- Lo avevo pensato anche io. – Confessò Vulkan, che aspettava che la ragazza esprimesse i suoi pensieri, poi aggiunse – Li conoscevi bene, vero? -
 
Ame annuì e un accenno di risata, breve e amara come il fiele, uscì dalla sua bocca: -Più che bene, direi. Proprio per questo mi sento di dire di essere sollevata che sia stato proprio Staffy, ad essere stato catturato. – Ame alzò di nuovo lo sguardo dal biglietto che teneva fra le mani, a Vulkan, che la osservava con un accenno di curiosità: - Conosco i poteri di entrambi e ti assicuro che nessuno di noi disarmato e inerme, nelle loro mani, sarebbe uscito da una conversazione con loro senza tirare fuori qualche indiscrezione su questo posto, o su di noi. –
 
Vulkan ripensò al periodo che aveva passato alla Corte. Non aveva mai conosciuto né Lir, né Artemisia, ma sapeva di che pasta era fatto Jude e tanto gli bastò per essere d’accordo con Ame. Preso da un momento di curiosità (cosa che a Vulkan non capitava quasi mai, ma era davvero molto legato alla ragazza, che anni prima aveva visto arrivare con i suoi occhi fra i Ladri), le chiese: - Li hai più rivisti? –
 
- Un paio di volte, in mezzo alle Terre di Nessuno. Ma sono abbastanza convinta che nessuno dei due mi abbia riconosciuta, anche se una volta mi sono trovata molto vicina a Lir e lui ha esitato nell’attaccarmi con quella sua arma assurda. Grazie a quell’esitazione sono riuscita a darmela a gambe, e mi chiedo se in qualche modo non abbia pensato che dietro la maschera antigas ci fossi io. – Un’altra lieve risata e una scrollata di capo – Quel cretino. -
 
Vulkan si rese conto che quello dovesse essere un argomento spinoso per Ame, così decise di non farle altre domande, perdendo di nuovo lo sguardo sulla grande cartina. All’improvviso un bagliore rossastro attirò nuovamente la sua attenzione; tornando con lo sguardo su Ame, vide la ragazza che teneva il foglio di carta in mano e una fiamma ridurlo in cenere.
 
- Ma… Ame! – La rimbrottò. Lei lo guardò accigliata. – Che c’è? -
 
- Devi proprio farlo tutte le volte? -
 
Ame assunse un’espressione basita, come se le avessero appena chiesto se l’acqua fosse bagnata, così alzò le spalle: - Certo, bisogna eliminare le prove, no? –
 
Vulkan si grattò la testa mentre scuoteva il capo: - Va bene, ma non potevi farlo, che ne so, dentro una pentola? Qui dentro rischi di dare fuoco a tutto. –
 
La strega portò l’indice che teneva alla bocca e prese a succhiarlo, era evidente si fosse scottata, dando fuoco a quel messaggio, poi sul viso spuntò il suo sorrisetto più divertito, proprio quello che avrebbe un bambino dopo aver combinato una marachella. Vulkan scosse di nuovo il capo, poi si alzò: - Va bene. A questo punto vai tu ad avvisare Sonne, io devo continuare con la mia routine giornaliera, visto che l’hai spezzata nel mezzo. –
 
Ame lo seguì verso la porta e poi sul corridoio, così i due si divisero una volta giunti nella sala grande; doveva ancora completare gli allenamenti e magari sarebbe uscito con qualche nuovo arrivato per esplorare insieme le Terre di Nessuno più vicine. Mentre si avviava verso la sala pesi, sentì la voce di Sonne gridare il nome di Ame, accompagnato da una lunga serie di imprecazioni decisamente non adatte alla portata delle orecchie dei più piccoli.
Quella ragazza non sarebbe cambiata mai e si domandò perché Sonne ancora sprecasse così tante energie per trasformare il fuoco vivo, in acqua cheta.
 
La Corte
Campo di addestramento
 
Ajax adorava allenarsi con Artemisia. Riconosceva infatti, nella giovane strega, una qualità eccezionale nella scherma e sentiva che da lei avrebbe potuto apprendere molto. Solitamente Ajax prediligeva allenarsi da solo, senza nessuno che si frapponesse fra lui e la sua volontà stacanovista di migliorare le proprie capacità di combattimento, ma quando si trovava in presenza di una come Artemisia, che era in grado di trasformare il fioretto nel prolungamento stesso del braccio, la solitudine volontaria cedeva il passo a un allenamento complice, formato da due parti.
Riuscì a evitare una stoccata e senza darsi per vinto passò all’attacco, ma Artemisia non sembrò impressionata, al contrario era come se danzasse con poco sforzo, mentre parava i suoi colpi e ne restituiva altrettanti.
Ajax indietreggiava, parando con l’arma l’assalto aggraziato della compagna, mentre con lo sguardo ricercava un punto di debolezza; ma senza rendersene conto, continuando a indietreggiare, andò a impattare contro un ostacolo e finì col cadere a terra. Un abbaio unico e pigro indicò la presenza di Atlas, il grande cane di Artemisia che raramente la lasciava sola. Dalla bocca di lei uscì una risata dolce, attutita dalla maschera che si affrettò ad alzare, per poi avvicinarsi a Ajax, ancora a terra, porgendogli la mano.
 
- Mi dispiace! Atlas, cattivo! Torna a cuccia! -
 
Più che un rimprovero, quello sembrò una dolcissima lode. Ajax afferrò la mano di Artemisia e si tirò su, accennando un sorriso; anche lui imitò l’altra Sentinella e portò la maschera sopra la testa: - Questo è giocare sporco. – La canzonò – Io non ho nessun bestione ad aiutarmi ad atterrare i miei nemici. –
 
- Beh, posso sempre prestarti Atlas ogni tanto, vuoi? -
 
Il lupo cecoslovacco abbaiò sonoramente, come se avesse capito cosa avesse detto la padrona e Ajax lo guardò di sbieco, prima di scrollare il capo: - non credo proprio che sia d’accordo e io, in tutta sincerità, tengo molto alla mia vita. –
 
I due abbandonarono nella rimessa le tute d’allenamento, così si concessero una bicchiere di limonata ristoratrice, mentre il sole tramontava sulla Corte, vestendo il campo dinanzi a loro di un abito scarlatto. Ingoiato un bel sorso di limonata, il ragazzo lanciò un’occhiata al collare che indossava Artemisia: - Come va con quello? –
 
In un primo momento la ragazza parve non cogliere, poi capì che l’altro si stesse riferendo all’inibitore. Fece una lieve smorfia prima di rispondere: - Non bene, non mi piace per niente, se proprio devo confessarlo. –
 
- Sai, non credo di poter capire a pieno cosa significhi. Io sono un comune essere umano, figlio di una coppia di esseri umani. Per noi la magia è qualcosa di lontano e sconosciuto, per questo non credo di poter capire cosa voglia dire privarsene. -
 
Artemisia portò il bicchiere alla bocca e si prese qualche istante per rispondere. Una mano andò a ricercare la testa di Atlas, appoggiato alle sue gambe alla ricerca di coccole. – Non ho mai usato la magia, non mi è stato mai permesso… quindi diciamo che in un certo senso capisco il tuo ragionamento. Però il mio potere fa parte di me, un po’ come un braccio, una gamba… ci sono cresciuta, ecco. Non che… non che sia stato facile. –
 
Artemisia però si interruppe. Ajax non la conosceva molto bene, ma aveva di certo capito che la bella strega non fosse tipo da parlare di sé con facilità. Evitò quindi di indagare oltre, vista l’espressione contrita che scorgeva sul suo volto, così cercò con rapidità un argomento che potesse colmare il vuoto della conversazione.
 
- Invece che mi dici del nuovo arrivato? Ho saputo che è stato portato qualcuno e che è stato affidato a te e Lir. È un Ladro? -
 
Artemisia poggiò il bicchiere vuoto sulla balla di fieno alla quale erano poggiati, così scosse il capo: - Non ne ho idea e anche fosse, mi è stato chiesto espressamente di non parlare di lui e non so te, ma a me non piace affatto contraddire Jude. –
 
- No, certo che no, perdonami… non volevo metterti in difficoltà. -
La ragazza accennò un tiepido sorriso: - Nessun problema, la curiosità non è una colpa. Ora credo sia meglio andare, si sta facendo tardi e credo che Atlas pretenderà presto il suo pasto. –
 
I due si avviarono verso l’imbocco della strada; Ajax aprì la sua automobile e si rivolse ad Artemisia: - Tu vivi nel bosco, giusto? Se hai bisogno di un passaggio, ti accompagno ben volentieri. –
 
- Grazie, ma preferisco fare una passeggiata. -
 
- Ma è davvero molto lontano, sei sicura? -
 
La Sentinella annuì, facendo vibrare la sua chioma corvina che con la luce del tramonto aveva assunto sfumature incandescenti: - Più che sicura. Fra l’altro diciamo che ho un vicino di casa che non apprezza molto il sovraffollamento, non vorrei inimicarmelo. –
 
Ajax annuì, alzò una mano in segno di saluto e partì, mentre Artemisia si avviò a piedi, affiancata dal suo fedele compagno.
 
 
Il sole era calato da un pezzo, quando Artemisia arrivò nei pressi della sua piccola casina vicina allo splendido laghetto che sorgeva nel pieno del bosco.  Forse avrebbe dovuto accettare quel passaggio da Ajax, visto che effettivamente ci aveva messo quasi un’ora per arrivare a casa. Proprio quando stava per prendere il vialetto di sassi candidi che si districava fino all’uscio di casa, sentì un lievissimo rumore di automobile, i cui fari rischiararono la strada buia. La ragazza si voltò e osservò la berlina nera avvicinarsi e quando la macchina le passò davanti, alzò una mano per salutare chi vi era dentro. Jude si limitò ad un cenno del capo e poi proseguì fino alla grande magione di legno e pietra che affacciava sul lago.
Ad averlo saputo, che il suo vicino di casa non era ancora rientrato, Artemisia si sarebbe fatta dare volentieri un passaggio da Ajax, per risparmiarsi la lunga passeggiata. Doveva smetterla di farsi tutti quei problemi, per evitare di urtare quel suo vicino tanto musone.

 

(1) Il Dojo è il luogo dove si svolgono gli allenamenti delle arti marziali. Questo termine viene adottato al Quartier Generale per indicare le sale d’allenamento.
 
(2) Mia mamma in russo (grazie come sempre google translate)
 
(3) “El Topo” è un vecchio film di Jodorowsky che credo Lir apprezzerebbe molto.
 
Buonasera cari lettori! Sono molto felice di essere riuscita a pubblicare il nuovo capitolo in un tempo relativamente breve. Come state? Pronti per un Natale scoppiettante fatto di decreti legge davvero ambigui?
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto, come sempre aspetto le vostre impressioni con gioia e trepidazione. Ho un paio di domandine per voi.
 
Per tutti: mi mandereste le immagini delle armi e del vestiario dei vostri personaggi? Mi piacerebbe inserirli di tanto in tanto, in modo da riuscire a contestualizzare meglio l’ambientazione e i vostri OC all’interno di essa.
 
Per le Sentinelle: per chi non me lo avesse specificato, vi chiedo anche immagini e/o descrizioni di casa loro. Le Sentinelle possono vivere in giro per tutta la Corte, insieme alle loro famiglie, con altre Sentinelle o soli soletti; ho immaginato che molte vivano nelle case che affacciano sulla grande piazza, ma sentitevi liberi di propormi ciò che volete. Ma non abusate del lago: ci sono già Jude e Artemisia e non credo che Jude sarebbe affatto felice di un sovraffollamento :)
 
Detto questo, se non apparirò intorno a Natale con qualche cosina (vediamo se riesco magari a tirare fuori una os su George per augurarvi buone feste), comincio già con il farvi gli auguri, nella speranza che l’anno nuovo si riveli migliore di questo schifido appena trascorso!
 
Bri
   
 
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