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Autore: Zappa    20/12/2020    3 recensioni
“Tra le più recondite stelle della galassia, dove anche i grandi avventurieri in caccia di sogni hanno fermato il loro passo e le grandi navi spaziali, ricche di diamanti e cristalli arthurianii, hanno deviato il loro lento incedere, laggiù, in uno dei luoghi più oscuri e silenziosi dell'universo, fluttuava placido, tra i confini di una galassia e il nascere di una stella, un grande e profondo buco nero.”
Un principe, un pirata, un’ambasciatrice e una dea.
Tutti vogliono lo stesso prezioso Libro della Pace, anche a costo di navigare lo spazio aperto per raggiungerlo.
#Remake di Sinbad, la Leggenda dei Sette Mari.
La storia è già completa, non voglio uccidere nessuno nell'attesa di nuovi capitoli.
Grazie se aprirete questa storia.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Goku, Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8

Sulle ali di un’Aquila



Il passo pesante dell’Aquila non dava tregua ai cristalli di neve che continuavano a depositarsi in cima alla lunga torre. La bestia raschiava con vigore il terreno, spruzzava la neve con gli artigli, staccando le rocce, una volta bollenti del deserto, e gettandole lontano con le fauci, alla ricerca compulsiva della sua preda.

La coda di eleganti piume si muoveva compulsivamente dietro il corpo massiccio e gli occhi vitrei e affilati non lasciavano scampo a chi si nascondeva nel paesaggio attorno.

Bulma sbucò guardinga dal suo rifugio sotto il piccolo cunicolo che il ghiaccio aveva formato. Cercò di assottigliare la vista per capire quando e come spostarsi, ma una mano la colse di sorpresa, bloccandole il respiro e la possibilità di urlare.

« Ssst! »

La zittì con poco calore una voce, assicurandosi che non facesse rumore e che non attirasse l’udito sensibile dell’Aquila. Bulma si ritrovò improvvisamente a fissare gli occhi scuri del capitano che, sotto il pesante berretto nero e la sciarpa zuppa di neve, bruciavano come due stelle ardenti.

« Sei venuto a salvarmi? »

Sussurrò, aspettandosi di tutto, tranne che la presenza di Vegeta. Il capitano sorrise, facendo spallucce. « Sì… se è così che vuoi metterla... »

Bulma, malgrado la situazione di pericolo e le urla del rapace che superavano la forza del vento, trovò la forza per corrispondere il sorriso.

« Ma questo ti costerà un altro diamante, non era previsto nel pacchetto turistico... »

Fece caustico Vegeta, mentre si abbassavano velocemente sulla neve per evitare di farsi scorgere dall’Aquila che, inconsapevole, guardava ora nella loro direzione. Strisciarono guardinghi verso il lato più spesso di neve e ghiaccio che occludeva la vista dell’Aquila nella loro direzione.

Bulma si voltò ancora ad osservare i movimenti dell’animale. Un’enorme zampata schiacciò, inclemente, il piccolo cunicolo che li aveva ospitati pochi secondi prima. Cercò di reprimere il brivido di paura che la percorse.

« Allora… » si affannò Bulma nel chiedere, « come facciamo a scendere? »

« Ecco io… »

L’Aquila di Ghiaccio aveva ripreso a cercare un po’ più in là e Vegeta non si accorse di aver trattenuto il respiro.

« Non lo so… »

« Cosa?! » urlò a bruciapelo Bulma.

« Non lo so ancora! » si affrettò a correggersi l’altro, « Ci sto pensando, va bene? »

Bulma si scaldò in fretta: « Scali una torre di ghiaccio di trecento metri e non sai come scendere?! »

Il capitano si trattenne dall’imprecare.

« Di tutte le ingrate, tu sei proprio – senti! Se vuoi affrontare i rischi da sola, si può organizzare – »

« Ssst! » si affrettò a zittirlo Bulma, portandogli le mani sulla bocca ed ascoltando il passo pesante dell’Aquila che ancora scavava nella direzione sbagliata, fortunatamente per loro. Ogni secondo che sprecavano a litigare era una possibilità in meno di salvarsi, così cercò di porsi nel modo più collaborativo.

« D’accordo, d’accordo! »

L’Aquila cambiò direzione e i due si appiattirono silenziosi contro la parete che ancora, grazie agli Dei, reggeva.

« Che cosa possiamo usare? » iniziò Bulma con spirito collaborativo. « Corde? » sussurrò, speranzosa.

« Ehm… » il capitano non fu convinto. « No »

« Rampini? »

« Ehm… no »

La donna sospirò, cercando di calmare il suo panico crescente.

« Le tue spade? »

Supplicò, infine, chiedendo a Zeno la grazia di poter sopravvivere un altro giorno.

« Ehi! Ho questo! »

Brillò la voce del capitano, quando si portò una mano dietro la schiena, tirando fuori, da sotto lo scudo a Forza Solare H uno dei pugnali che aveva usato ad arrampicarsi lungo la parete.

« Fantastico! Ci si pulisce i denti quando finisce di mangiarci! »

Vegeta scosse la testa all’espressione poco fiduciosa della donna.

« Sì... vedi, nelle mani di un esperto, un buon coltello ha mille e uno usi... »

Iniziò a dire, con fare mellifluo ed ironico, e mosse velocemente il coltello tra le dita, facendolo roteare con grazia e osservando Bulma con sguardo compiaciuto, fino a che… « Ops… »

Bulma non riuscì a trattenere un gemito di puro terrore, mentre la piccola calotta di ghiaccio che li aveva protetti fino a quel momento, si spezzò, perché solleticata dalla punta affilata del coltello che, guarda caso, ci era finito incastrato.

Il ghiaccio si staccò e scivolò a terra come i petali di un fiore e la bestia si girò nella loro direzione.

L’ambasciatrice, che aveva iniziato a gelarsi dal forte vento attorno, fulminò il capitano con lo sguardo e Vegeta si lasciò scappare un risolino di nervoso.

L’Aquila cacciò allora un grido acuto, abbassandosi in fretta per finalmente afferrare le sue prede.


Il capitano si mosse più in fretta del vento.

« Scappa! »

Urlò, afferrando Bulma per il braccio e iniziando a correre verso la direzione opposta dove stava la bestia, trascinando e spronando la donna a non inciampare nelle lastre di ghiaccio attorno.

Il rapace li inseguì immediato, aggredendo ogni metro di terreno con le sue lunghe zampe e artigli, pronto per afferrare e smembrare la carne. Ogni secondo divenne più veloce del precedente, mentre correvano per salvarsi la vita.

« Più svelta! » Incitò ancora il capitano, correndo più veloce, quando Bulma si rese conto verso cosa stavano correndo: un burrone profondo più di cinquanta metri che terminava in una lunga discesa scoscesa verso per il basso, sempre più ripida e sempre più in pendenza.

« Aspetta, no! »

Si strangolò tra gli affanni, tentando di fermarlo, ma Vegeta prendendo un balzo più disperato che coraggioso la trascinò giù nel burrone ed insieme si lasciarono cadere nel vuoto, le loro grida confuse con quelle dell’enorme animale che li inseguiva.

La potenza e il fischio del vento si insinuarono nelle loro divise da pirata e la sciarpa del capitano perse tutta la neve, mentre si trovava sbatacchiata al rimo del vento che urlava forte nella bufera di neve.

Il terreno intanto si faceva sempre più vicino sotto di loro, ogni istante che passava.

Vegeta, sforzando di tenere aperti gli occhi contro i mostri che la neve creava nell’aria, afferrò la donna stringendola a sé e, quando vide la discesa farsi meno in pendenza, perché addolcita dal cadere della neve, afferrò lo scudo sulla schiena, sedendovisi impacciatamente sopra, perché entrambi potessero scivolare via sedutici sopra, veloci come delle perle lanciate nei sentieri di sabbia in riva al mare.

Due balzi più tardi, seduti l’una in braccio all’altro, ancora scivolavano ancora inaspettatamente vivi lungo la discesa della torre di ghiaccio, schivando al meglio i massi appuntiti che si ergevano dal terreno e ruzzolando verso il basso, come una scheggia fuori controllo.

Vegeta maledì ancora una volta la sua fortuna e il maledetto uccellaccio che li seguiva maestosamente dall’alto dei suoi dieci metri di apertura alare.

L’indomani non avrebbe sentito il fondoschiena per un bel po’. Anche se, al momento, la questione era arrivarci, all’indomani.

Bulma si stringeva sempre più ad ogni balzo al collo del capitano che, cercando di non soffocare nella presa della donna, si guardava attorno alla ricerca del rapace, che fino a poco fa volava scattante sopra di loro.

« Sembra che l’abbiamo seminato! » urlò per farsi sentire contro la forza del vento che pareva sospingere ancora di più la loro corsa verso il basso e mangiarsi le sue parole.

Un altro masso che sbucava dal terreno e che lo colpì nella discesa lo fece urlare di dolore e Bulma sbarrò gli occhi.

« Sembra di no! »

La grossa bestia, infatti, era improvvisamente sbucata dal nulla davanti a loro e, frapponendosi tra loro e la via di fuga, si chinò famelica per fare del pasto un sol boccone.

La donna urlò, ma Vegeta non si fece trovare impreparato: afferrò lo scudo da sotto e lo frappose tra i loro corpi e il becco affilato che incombeva su di loro. La bestia venne stordita dall’energia proveniente dallo scudo sollecitato dalle sue fauci e mollò la presa. I due le sfuggirono ancora una volta, scivolando via veloci.

Tra il crollo delle rovine della torre che si sgretolava attorno a loro, proseguirono miracolosamente la loro discesa, trovandosi a fare lo slalom tra le alte forme dei massi che uno dopo l’altro, come l’effetto di un letale domino, avevano iniziato a crollare sulla discesa.

Si strinsero ed urlarono quando l’ultimo pezzo di roccia crollò appena sopra di loro e li sfiorò per un pelo. Così sfiancati e inzuppati di neve si ritrovarono ancora l’una nelle braccia dell’altro, sollevati per aver scampato da morte certa. Il loro sorriso, però, durò solo per qualche istante perché stavano raggiungendo a tutta velocità un sassolino che, sfortunatamente, era sul loro tragitto.


Volarono in aria, leggeri come piume, volarono sopra le ali dell’Aquila, finché questa, ancora, non gli si piazzò davanti a fauci spalancate.

Le iridi dell’aquila si confusero con il soffio della neve, il giallo innaturale degli occhi che rompeva il silenzio del bianco, come una stella enorme pronta ad inghiottirli: Vegeta però, prima di venire inglobato dalla famelica ed enorme stella, notò una frattura nella roccia, un’increspatura di qualche metro, ma sufficiente per scivolarci dentro e sfuggire ancora alla morte.

Lasciò scivolare Bulma di lato, tenendola salda per la mano: lo scudo virò veloce a destra, sollecitato dall’equilibrio sbilanciato, e come la bestia aveva rapidamente aperto la bocca per mangiarli, così rapidamente scivolarono nell’increspatura, sparendo dentro la grotta di ghiaccio.

Schegge di ghiaccio e lunghe stalagmiti scendevano lungo i bordi della caverna e la superficie liscia permetteva allo scudo di slittare verso l’uscita, ovunque questa fosse.

Non poterono fermarsi un secondo per orientarsi nel paesaggio blu che l’Aquila, dietro di loro, ruppe la parete vitrea e sprofondò con loro nella grotta.

Vegeta accelerò ancora sullo scudo perché questo acquisisse più velocità, ma la creatura li stava raggiungendo, sempre più lesta e sempre più letale, facendosi spazio tra le vie anguste della caverna, spaccando le pareti e i sentieri di acqua con le lunghe ali celesti.

Le file di stalattiti e stalagmiti scorrevano tutt’intorno e ostruivano il passaggio, costringendoli a pattinare lungo il flebile sentiero gelato che scorreva dentro la torre, come un sentiero verso morte certa, quando ad un certo punto si scorse una luce di lato, in lontananza. La luce verso l’uscita.

Il capitano non perse tempo e agì più scattante della volpe del Deserto: piantò il pugnale che aveva usato nell’arrampicata nel suolo di ghiaccio e, usandolo da perno, lo usò per voltare la loro fuga nella direzione della luce.

Lo scudo vibrò pericolosamente, ma prese la via per l’uscita, l’Aquila ancora che avanzava ogni metro di più verso di loro.

Tutto durò meno di respiro.

Bulma vide l’Aquila farsi sempre più piccola e la luce sempre più intensa, finché non si trovarono ancora a volare in aria tra le ali della bufera, mentre la grande Aquila venne bloccata, schiacciata sotto le rovine della torre che per via del movimento delle sue grandi ali stava crollando, intrappolandola nella sua morsa fatale.

Precipitarono verso il basso, verso la nave, tentando di afferrare l’uno le mani dell’altra, sbracciandosi nell’aria fredda e graffiante di neve.


« Sì, signore, eccoli qua... »

Le urla nel cielo fecero alzare la testa al secondo sulla nave che si rimise in testa il berretto, pronto per riaccogliere i due venturieri. Radish si fece, invece, consegnare l’ennesimo soldo da parte di Toma, ormai destinato a perdere qualsiasi tipo di scommessa contro il mozzo, ma questa volta fu ben felice di provvedere alla riscossione del debito.

Le urla del capitano e dell’ambasciatrice impattarono contro le vele dell’albero maestro, che si allentarono contro il loro peso, attutendo la caduta e poggiandoli delicatamente sul suolo del ponte.

Vegeta abbracciò Bulma, per evitare sbattesse contro il ponte e lei si strinse forte contro di lui, con ancora in corpo l’adrenalina della caduta. La vela attorcigliata attorno, come il bozzolo protettivo di una crisalide, li accompagnò dolcemente sul ponte, custodendoli in un caldo abbraccio.

Da sotto la pesante carezza della vela, il capitano si tirò su il cappello che gli era scivolato sugli occhi e guardò l’ambasciatrice.

« Fatto! Come avevo... » si specchiò un istante di troppo negli occhi azzurri della donna, più gentili rispetto a quelli dell’Aquila e più caldi, nel guardarlo. « ...previsto »

Bulma si sciolse in un sorriso di stanchezza, ma anche di gratitudine e strecciò le mani dal collo del capitano, lasciandole scivolare dolcemente lungo le sue spalle, come in una lenta carezza.

Il capitano stava per leggere qualcosa di più negli occhi dell’ambasciatrice, quando la vela che li avvolgeva venne tolta dalle braccia nerborute, ma nervose della ciurma.

Quando li videro, gli uomini spalancarono gli occhi.

« Bulma! »

Subito, la accolsero a braccia aperte, aiutandola ad alzarsi ed assicurandosi che stesse bene, stringendosi attorno a lei come dei cari amici che non vedevano da tempo un compagno di avventure tanto amato.

Vegeta ovviamente rimase lasciato a terra, non scorto e soccorso da nessuno.

« Ti facevamo bella che morta per sempre! » si commosse Turles, precipitandosi ad abbracciare la donna, nel frattanto che la ciurma si mostrava emozionata nell’averla nuovamente a bordo. Broly le si accostò subito, stringendola tra le braccia in un abbraccio di traboccante affetto. Gli altri non furono da meno: tra preoccupazioni e raccomandazioni sussurrate con affetto, si premurarono di assicurarsi che non avesse un capello fuori posto.

Il capitano tiratosi su alla bell’e meglio, si stiracchiò, invece, la schiena.

« Oh, » iniziò, « io... sto bene, sul serio… »

La ciurma continuò ad ignorarlo, prestando attenzione a come Bulma respirasse o a come camminasse, nel caso sfortunato si fosse slogata una caviglia, o peggio!

« Mi commuove, vedervi preoccupati... »

Un osso della schiena gli scrocchiò in modo sinistro, ma nessuno parvene curarsi.

In fin dei conti Bulma era troppo stanca ed infreddolita, poverina! E se non avesse avuto appetito? Chissà quanto l’aveva spaventata quella bestiaccia!

Il capitano fu sul punto di lanciare qualche ordine piccato, affinché scendessero a riprendere a spaccare le lastre di ghiaccio che ancora bloccavano la sua Saiya, quando il rompo di un tuono lo fece voltare verso la grande torre di ghiaccio.

Gli uomini videro questa scivolare verso il basso e le enormi lastre di pietra cadere come i fiocchi di neve verso il basso, che ora si erano via via affievoliti. Il pianeta tremò sotto di loro e le pietre ruppero le lastre che avevano ricoperto il pacifico deserto di sabbia, liberando così la nave dalle spire feroci che l’avevano incastrata al suolo.

La ciurma esplose in un boato di gioia e Vegeta non poté fare a meno di sorridere, dopo aver cercato, ancora una volta, lo sguardo luminoso dell’ambasciatrice.

Ora potevano finalmente ripartire verso lo spazio, verso la Costellazione della Fornacei.


La bonaccia che fischia sui mari di terra, quelli ricoperti di schiuma salata e di acqua profonda, si ricordava probabilmente ancora dei primi tentativi dell'uomo di navigare sulle acque, quando questi si erano avventurati su una piccola nave, con il loro bagaglio di sogni e speranze a bordo.

Il pacifico mare dello spazio, secoli prima, aveva visto confluire migliaia di piccole navi dentro il suo bacino: queste, come un cucciolo di falco che non sa se volare, ma è attirato dall’aria perché scritto nel suo destino, avevano poi spiccato il volo. Le grandi navi e i velieri avevano così continuato a far sbocciare le loro vele man mano sempre più forti e tecnologiche, all'aria dell'Eatherium. Poi l'Universo non aveva avuto più confini se non, forse, il desiderio dell'uomo a fare da spinta o da freno alla bramosia di conoscere.

Ogni stella del Cosmo che sgorgava di silenziosa magia aveva rappresentato un appiglio, una speranza o un'anima che i marinai volevano ricordare e verso cui, nei momenti di malinconia, confluivano la mente, trasmettendole i loro ricordi.

Nello specchio profondo dello spazio, piatto come la superficie di un lago, ma movimentato nei giorni di pioggia, i navigatori esprimevano i loro desideri e, partendo dal cuore, lasciavano scivolare il desiderio verso il mare. Questo s'agitava debolmente tra le onde per poi alzarsi lento verso l'alto e, come una lanterna di carta, salire verso le lanterne dell'Infinito. Il loro desiderio s’incastonava, poi, nell'intreccio delle sorelle luminose. Le stelle, custodi dei ricordi e delle preghiere, non erano venute mai meno ad un voto e anche nei momenti più bui avevano accompagnato i marinai verso la via di casa.

Le lanterne di carta ora illuminavano a migliaia, grandi e piccole, blu e rosse, il loro viaggio; facevano risuonare la loro luce nello scivolare lento e costante della nave Saiya nello spazio e nel tempo. Campane di luce risuonavano al vento, investendo di piena potenza le ali della nave ed incoraggiando il moto dei motori a propulsione.


La nave sfrecciava così veloce sulle scie di ghiaccio e lasciava disegni di polvere al suo passaggio. Bulma si lasciò cullare ancora una volta dal moto costante del vento tra le corde attorno all’albero maestro e ai contorni della bolla di energia che avvolgeva come un panno la nave: l’atmosfera nello spazio aperto variava ad ogni parsec attraversato, variando di grandezza e profondità come una bolla di sapone.

Le risate della ciurma in sottocoperta si sentivano ovattate dai passi sul ponte, gli schiamazzi dei marinai che di solito saturavano la nave avevano lasciato lo spazio al fischio silenzioso, ma potente dell’Eatherium.

Il capitano reggeva tra mani sicure il timore e s’inondava di polvere solare, le dita di luce a tingergli le vesti e i capelli.

Gli si avvicinò a passo lento, quasi timidamente, mentre questo pareva intento a godersi il soffuso silenzio non interrotto dai continui chiacchiericci della ciurma.

Dopo l’ennesimo shot di rum era uscito, un po’ barcollante, un po’ stanco, da sottocoperta e aveva dato il cambio a Nappa, che si era quasi tuffato in stiva per bere con i compagni. L’ambasciatrice dopo essersi resa conto di aver bevuto anche lei qualche bicchiere di troppo si era mossa in punta di piedi per andare a lavarsi all’aria astrale del Cosmo.

Seguì anche lei lo sguardo di Vegeta e trascorse con lui qualche istante di eternità nel mezzo delle costellazioni attorno. Qualche lontana creatura celeste faceva capolino all’orizzonte, per poi rituffarsi sotto la superficie e spruzzare nel cielo i cristalli di luce: svanivano e comparivano nel tramonto delle stelle, svanendo tra le nuvole di specchio.

La donna sorrise, dopo aver preso un respiro di pacifica tranquillità.

« Vegeta… »

Il capitano la scrutò con la coda dell’occhio e con un sorrisetto anticipatore sul volto.

« Grazie... per avermi salvata »

L’altro ridacchiò, sfoderando un sorrisetto ancora più famelico, ma si soffermò davanti all'infinito della sua anima.

« Non c’è di che… » sussurrò quasi mesto, lasciandola avvicinare alla posizione di comando, accanto al timone. Trascorse qualche goccia di silenzio, finché lei non parlò ancora.

« Questa vita è giusta per te... »

L’altro rise di un sorriso sincero questa volta, che gli colorò leggermente le guance e pronunciò le sue fossette ai lati del volto liscio e giovane.

« Già… non sono fatto per la terra ferma. E tu? Sei fatta per la terra o per il mare? »

Bulma sospirò come se la domanda risvegliasse una dolce sinfonia celata, che se fatta risuonare avrebbe portato alla mente memorie velate e malinconiche.

« Ho sempre amato il mare. Ho anche sognato di passarci la vita, ma non era nel mio destino »

E nei suoi occhi si spense la sinfonia che si era improvvisamente creata.

« Ho delle responsabilità a Syracysis, su Earth24 e nelle Regioni del Sud… »

Il capitano trattenne quasi il respiro a vedere la sua luce farsi improvvisamente soffusa e non riuscì a trattenersi. Scosse la testa: « Devi proprio lasciar perdere? »

« Sì... »

Bulma sospirò e fece per allontanarsi dal timone, probabilmente per andare ad ammirare le stelle a prua, accanto alla polena riempita di acqua e cristalli. Vegeta però, fu più lesto e le afferrò la mano, invitandola a restare. Posò poi la sua mano sul timone, lasciando che fosse lei per qualche istante e per qualche momento del loro sogno a guidare la Saiya.

La donna lo guardò stupita e l’uomo rispose al suo sguardo con un pizzico di quella che si rivelò essere fiducia. Una fiducia appena sgorgata tra di loro, che condusse la donna a stringere con più determinazione i comandi della nave e a guardare verso la Fornace con aria sicura.

Il silenzio riprese lo spazio tra di loro, interrotto solo dal fruscio dei raggi di stelle, che facevano vibrare le vele in un basso ronzio. Lo specchio dei mille soli a scaldare le loro vesti di un caldo e forte colore di stelle.

« Ho girato tante galassie. Ho visto cose che nessun altro ha visto… ma nulla, nulla è paragonabile allo spazio aperto… »

Leggere onde di schiuma ghiacciata sfumarono e volarono via lungo la murata e Bulma virò leggera verso destra, mantenendo costante la via in direzione della stella che li guidava.

« Ed è questo quello che hai sempre voluto? »

Vegeta sorrise ancora di un pacifico e calmo sorriso.

« Non proprio… qualche anno fa io e Goku parlavamo di arruolarci nella Marina Reale e servire Earth24 fianco a fianco. Ma diventando più grandi, la nostra vita ha iniziato a cambiare… lui è il principe. E io… »

« Sei diventato il principe dei pirati... »

Le stelle dei suoi occhi zaffiro rispecchiarono quelle del cielo e i due ridacchiarono per quell’attimo di complicità.

« Però non sono mai stato invidioso di lui, ho sempre desiderato il mare. Finché una mattina non è arrivata in porto una nave… »

Le pieghe del mare del Cosmo parvero assumere una piega più lunga, quasi misurata alle parole del capitano, che abbandonò l’aria di certezza e sicurezza del suo titolo e gli occhi tinti del nero più profondo si rabbuiarono.

« A bordo della nave c’era il futuro di Goku... »

La donna lo vide alzare lo sguardo verso le Costellazioni attorno, per poi riabbassarsi al suolo, quasi colto da timidezza.

« Era la cosa più bella che avessi mai visto... »

Le vennero i brividi per il tono reverenziale con cui pronunciò le parole e un sussurro si spense sulle sue labbra: « Cosa c’era su quella nave, Vegeta? »

Le milioni di stelle che li circondavano in quel momento si condensarono tutte nei suoi occhi e Bulma sentì il fuoco dell’anima del capitano iniziare, lentamente, a bruciare la sua. « C’eri tu… »

« Lui ti ha aspettato sulla banchina, con una delegazione di benvenuto. Presto ci sarebbe stata la festa per il vostro fidanzamento ufficiale... »

Un velo di dolore e malinconia colorò i suoi occhi, mentre raccontava.

« Io sono partito sulla prima nave senza mai voltarmi indietro »

Si voltò poi a guardarla, intrecciò il respiro nel suo e le sue dita tra quelle delicate dell’ambasciatrice, tracciandone con i polpastrelli i lineamenti delicati, come a contemplare nei suoi tratti la bellezza delle stelle.

« Fino ad ora... »

Per un istante Bulma chiuse gli occhi e si abbandonò al dolce suono delle onde, mentre le labbra del capitano si avvicinavano piano e delicate alle sue, sfiorandole dolcemente, come si sfiora un fiore, ma all’ultimo l’ambasciatrice posò una mano tra di loro e l’aria attorno a loro si fece d’improvviso più fredda.

I suoi occhi gli raccontarono la tristezza di non poter compiere quel gesto per via delle responsabilità che solcavano le sue spalle e per via dell’amore, sebbene fraterno e amichevole, con Goku. Vegeta vi lesse anche il dolore per una vita che tanto aveva bramato da piccola, ma anche aveva dovuto tralasciare come un sogno infranto e a cui nessuno, nemmeno lei, aveva più creduto.

Il capitano le afferrò piano le mani cercando il suo sguardo, che si era annebbiato di lievi lacrime, e cercò ancora un contatto minimo, un poco più prolungato con la sua anima, per ammirarla anche solo per un ultimo istante e poi lasciarla andare per sempre.

Poi il cielo scoppiò sopra di loro.


Una bomba di luce li travolse improvvisamente e si dovettero reggere forti al timone e alla balaustra, per evitare di essere trascinati a terra. La Saiya vibrò di violenta energia e i marinai salirono di corsa sul ponte, scossi dall’esplosione attorno a loro.

Le stelle iniziano a diradarsi sempre più, come trascinate indietro e nella direzione opposta al loro cammino: queste, come mille meteore, infatti, tracciarono lo spazio e cancellarono le Costellazioni, portando lontano con sé la scia di mille pianeti e delle migliaia creature di mare.

L’universo divenne più nero, spento dalla mancanza delle mille luci, finché tutte le stelle attorno non tornarono poi indietro: schizzarono in avanti, come attratte da una molla che dapprima allunga e poi rilascia, incastrandosi e perdendosi in quello che si rivelò la stella della Fornace, la stella di Tartaro, il regno di Lazuli.

Erano arrivati alla meta.




Continua….


Tan tan taaaaan!

Siamo finalmente arrivati, il prossimo capitolo sarà il momento clue, il momento in cui capiremo il perché di tutta questa bella storia.

Devo scusarmi per il ritardo, ma queste settimane si stanno rivelando un attimo più cariche di robe da fare del previsto.

Ringrazio tutti voi che avete recensito, passerò presto a rispondere e grazie a tutti coloro che leggono!


Vi state rabbuiando pensando al mancato bacio tra i due?

Eh, che ve devo dì…


Al prossimo capitolo, non vi garantisco sia questo weekend, nel caso il prossimo!

Intanto, non mi resta che augurarvi buon Natale <3

Passatelo serenamente e assieme alla vostra famiglia!

Un abbraccio megagigante da Zappa


iIn direzione della Costellazione della Fornace, poco tempo fa, è stata scoperta la galassia più distante e antica mai conosciuta, a 13,2 miliardi di anni luce di distanza;

si trova a sud di Orione e si tratta di un’autentica “finestra” verso l’universo extra-galattico: è costituito degli ammassi galattici tra i più grandi nel raggio di 100 milioni di anni luce dal nostro piccolo buco di Terra. È stata osservata da Hubble e in mezzo a tutte queste galassie, in particolare dentro la super-galassia NGC 1316, c’è un buco nero centrale super-massiccio da cui prendo ispirazione per la stella morta di Tartaro.

Adoro ‘ste cose. Ovviamente Wikipedia docet.

   
 
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