CAPITOLO DICIOTTO
“Il tempo mette ognuno
al proprio posto.
Ogni re sul suo trono…
e ogni pagliaccio nel
suo circo”.
Aninimo.
“Sono resi forte dalla
protezione ottenuta da un paio di senatori dell’Oregon, a loro volta a capo di
diverse case farmaceutiche che producono farmaci d’importanza mondiale. Questa
è gente ricca sfonda, molto più della Stradford, e sa che in America il
silenzio, la corruzione e l’impunità si ottengono pagando a dovere e chi di
dovere” continua a raccontarmi il detective.
Per quanto mi riguarda,
mi sento abbastanza arrabbiato nei confronti di quella clinica; non riesco a dimenticare
l’aggressione di Morrow contro lo spaventato e fragile Brown. Quella è gente
abituata alle percosse e alle violenze, altroché dei professionisti.
O, quanto meno,
professionisti nel sottoporre delle persone in difficoltà a delle angherie
inimmaginabili.
“Comunque” provo a dire
la mia, “per quanto tutto questo non mi vada giù, credo di essere alquanto
inutile”.
“Questo di sicuro, dato
che non hai nemmeno avuto il coraggio di ispezionare gli ambienti dei pazienti
e quanto meno provare a entrare nei laboratori adiacenti. Ti sei fermato a
quello che ti volevano far vedere, e sei stato fortunato che quel paziente ti
abbia aiutato a squarciare il velo di menzogne che hanno calato sulla faccenda,
altrimenti adesso saresti qui a dirmi ancora poverini, innocenti…” mi canzona,
imitando la mia voce.
“Non li ho mai definiti
così!”
“Ma non hai nemmeno mai
avuto le palle di remargli contro. Lo stai facendo perché te la stai passando
male a causa nostra”.
“Mi state obbligando,
sì”.
Torna a ridere.
“Questo non ha importanza
in fin dei conti. La tua codardia e la tua incapacità, buon vecchio agente
speciale, non contribuiranno alla disfatta. D’ora in poi cambieremo strategia;
per prima cosa li abbiamo spaventati con la defezione dell’infermiera, la
scomparsa di prove chiare e anche il tentativo di perquisizione in resistenza
ai loro ordini dati alla polizia locale. Adesso credo proprio che la mia
datrice di lavoro abbia un’altra idea, curiosa e facile da applicare…”.
Sono in ansia. Non ho
mai parlato al cospetto di un discreto pubblico di giornalisti. Alcuni di essi
appartengono alle più prestigiose testate statunitensi, sono conosciuti e
spesso i loro articoli sono apparsi sulle prime pagine.
Sono quindici in tutto,
ma i loro sguardi sono come la pressione di una folla intera. So che devo
parlare, la Stradford li ha pagati appositamente per venire qui, ascoltarmi e
scrivere.
Cosa devo fare?
Semplice; denunciare ciò che accade presso il Mary’s House e il fatto che si
temano soprusi ben più gravi contro l’essere umano.
Uno choc, un testo
dalla violenza indescrivibile, d’impatto sui lettori… è tutto quello che lei
vuole. La signorina mi ha preparato un foglio scritto in cui si elencano i
punti da affrontare, uno a uno, che sono i principali e gli strumenti che
desidera schierare pubblicamente contro la clinica e chi la sostiene.
Parlo e avverto il mio
volto che arrossisce, preso dall’imbarazzo, e faccio fatica a ricordarmi ciò
che dico. A un certo punto sono costretto ad affidarmi alla lettura di ciò che
mi è stato imposto e perdo la memoria di ciò che sto facendo.
Quando tutto finisce,
sono bordò in volto, senza voce e immerso in un bagno di gelido sudore.
È il detective che si
cura di offrire alcune prove ai giornalisti, spargendo testimonianze di diverse
indagini precedenti e poi insabbiate e tanto altro.
Da domani mattina, la
guerra sarà aperta e dichiarata.
Ma adesso?
Mi sono guadagnato il
ritorno a casa, da mia moglie e dai miei figli, che mi mancano molto.
Mentre me ne resto
seduto nel vasto salone di villa Stradford, impotente, mentre gli altri se ne
vanno, aspetto di avere novità su di me. E’ Angelina in persona a venirmi
incontro, raggiante.
“Pronto per la guerra,
agente speciale?”
“Chi le dice che la
crederanno? E che le informazioni non saranno censurate?”
Sorride.
“I soldi che ho
sganciato. Sono sicura che faremo scalpore, e tutto questo grazie a lei, che ci
sta mettendo la faccia”.
Il mio è un sorriso
mesto e amaro.
“Ho altre opzioni?”
“Temo di no”.
“Come ho detto al suo
scagnozzo, questa mattina, penso che non sia opportuno sequestrare un agente”
le faccio di nuovo notare, ma ormai anche io mi sono stancato di ripetere le
stesse frasi.
“Nessuno l’ha
sequestrata; ufficialmente sta portando avanti il suo lavoro in modo
indipendente. Non utilizzi parole troppo pesanti”.
“Se non sono sotto
sequestro, quindi, potrò tornare dalla mia famiglia?”
La mia è una domanda
quasi supplichevole. Questa situazione mi sta piegando, ormai sono in balìa di
quello che mi sta accadendo e non sono più padrone del mio destino.
“Ma certamente” afferma
la signorina, quasi indignata, “ma prima, per favore, si gusti una buona tazza
di tè caldo. La voce le sta andando via e non vorrei mai che sua moglie debba
accusarmi di qualcosa”.
Un inserviente si
avvicina subito a me porgendomi una tazza fumante.
“No, vorrei prima
rivedere i miei…” tento di dire, avendo una brutta sensazione.
“Non se ne discute,
proprio no” replica Angelina. So che non mi lascerà andare se prima non
l’accontento, quindi socchiudo gli occhi e affronto il rischio, portando la
tazza alle labbra.
Sorseggio pian piano, e
solo dopo qualche secondo le mie papille gustative avvertono uno strano senso
di amarognolo.
Salto in piedi, capendo
che ancora una volta la stronza mi ha fregato; quasi mi avvento verso di lei,
ma dopo un paio di passi mi sento senza forze e svengo, lentamente, scivolando
sul pavimento.
L’inserviente si
premura di evitare di farmi sbattere la testa, nessuno però fa molto altro.
Mentre svengo, la
Stradford troneggia su di me e sorride con disinteresse.
Mi sveglio di soprassalto.
Quanto tempo è passato?
Quella troia mi ha
fregato ancora, penso subito.
Deve avere tanti
farmaci per indurre il sonno e dev’essere anche brava a somministrarli un po’
in tutti i modi possibili. Maledetta.
Mi alzo dal letto su
cui sono disteso, incazzato al massimo; credo di essere a casa mia e a tentoni
mi allungo sul letto alla ricerca di mia moglie. Mi avvolgono un silenzio e un
buio assoluti, sarà di certo piena notte.
Trovo un corpo caldo,
lo tasto per svegliarlo. È femminile, ma subito mi accorgo che è più esile di
quello della mia consorte. Inoltre, i miei sensi si risvegliano lentamente e
avverto l’odore che mi circonda, che non è di certo quello di casa mia.
Cazzo.
Cazzo…
Il panico prende
possesso di me, mentre mi ritraggo dal corpo disteso e inizio a muovermi nella
stanza buia, andando a sbattere un po’ dappertutto.
Con il casino che
faccio, chi dormiva assieme a me si risveglia e accende un’abatjour a fianco
del letto. Non stento a riconoscere Angelina.
“Lei è pazza” sussurro,
“completamente pazza”.
“E perché mai?” mi
rivolge uno sguardo innocente. È pazza, sì, assolutamente.
“Non vede quel che sta
facendo? Non se ne rende proprio conto?” grido. Voglio scappare da questo luogo
degli orrori.
Mi dirigo prontamente
verso la porta, ma è chiusa a chiave. Solo ora mi accorgo del mio corpo nudo…
“Mi liberi” quasi
strillo, “mi ridia i vestiti. Mi liberi subito”.
“E perché mai?” ripete.
Si alza dal letto e con
sensualità scosta le coperte, mostrando il corpo a sua volta nudo.
“Dio mio… cosa è
successo…” sussurro, avendo un brutto presentimento.
“Non è successo niente,
ho solo tolto i vestiti sudati del lavoro. Il mio letto è pulito, sa…” afferma
lei, poi si avvicina in punta di piedi.
“Io sono sposato. Ho
una moglie che mi aspetta a casa…”. Mi interrompe.
“Aspetterà, allora”.
“No, io vado subito da
lei…” mi avvento contro la finestra limitrofa e poco importa che sia a un terzo
piano. Mi butto e basta, così finisce questo incubo.
Invece non solo non si
spalanca, ma nemmeno i vetri si infrangono.
“E’ tutto inutile,
dalla mia camera da letto non si esce né si entra” afferma lei, calmissima,
mentre continua ad avvicinarsi con lentezza.
“E c’è un motivo se lei
è qui, agente speciale. Sono pochissimi gli uomini che possono vantarsi di
essere stati sotto le mie coperte; questo è un suo grande traguardo”.
“Voglio andarmene da
qui” sono confuso e intorpidito, non so cosa fare. Lei a questo punto compie
altri due passi e mi è subito addosso.
“Potrei non rispondere
di me” l’avviso con disperazione, ma la donna mi sfida con uno sguardo che,
vista la situazione, pare da psicopatica. Inarca anche le sopracciglia.
“Non risponderebbe di
sé alla vista di queste bocce” strofina i seni contro il mio villoso petto.
Faccio per scansarla ma
alla fine mi cadono gli occhi su quei seni nudi e dai capezzoli inturgiditi.
Sono grossi, prosperosi; sembrano rifatti, dal tanto che sono sodi e rigonfi.
“Le accarezzi, suvvia”
mi invita. Resto immobile a fissare.
“Presto vincerò ogni
reticenza, ci scommette?”
Smette di strofinarsi e
si china, stringendo i seni sodi nelle mani e iniziando a darsi da fare nella
mia intimità con la bocca.
Al primo contatto mi
verrebbe da darle un sonoro schiaffone, poi mi rendo conto di quanto sia brava;
in pochi istanti, passo dal panico cieco alla curiosità. Il pene risponde alla
stimolazione solo dopo un poco, ma risponde eccome.
“Non va bene,
signorina” la riprendo, ma questa volta con maggiore dolcezza.
“Smettila di darmi del
Lei. Sono Angelina, per te” risponde in modo confidenziale, riprendendo poi con
decisione il lavoretto di bocca.
Non so che sia colpa
del torpore che ancora mi avvolge o di quello che mi ha somministrato la matta,
però adesso sono succube di quel corpo giovane, tonico, florido. Angelina si
rialza e mi spinge piano verso il letto, pronta ad accogliermi dentro di lei.
“Da quanto tempo non
hai fatto l’amore, eh?” chiede, afferrando il pene e stringendolo tra le sue
mani. La mia reazione corporea tradisce quello che vorrei dire a voce. In
verità è vero, è da tanto tempo che io e mia moglie non lo facciamo più, poi
non abbiamo nemmeno il corpo di una volta e certe passioni poi si deteriorano,
a volte. Io amo mia moglie, ma è un amore non solo carnale; la carne che ora mi
sta venendo offerta in modo così sensuale è tuttavia un’attrazione ancestrale
che non mi permette più di ragionare.
Ci sdraiamo sul letto,
nudi, lei sopra e io sotto.
“James” sussurra il mio
nome, “adesso sei il mio uomo…”.
Ma io non voglio
esserlo! Oppure sì? Oppure mi sono così abituato al mio recente ruolo da
marionetta che non ho più forza di volontà?
La penetrazione avviene
e presto ci troviamo a vivere un piacere carnale intenso e condiviso.
Alla fine, anche l’ultimo personaggio rivelazione della mia
vita mi lascia. Come avevo previsto da alcuni dettagli che ho avuto modo di
notare nel tempo, Mario si è messo stabilmente non la moglie, o quanto meno mi
ha raccontato così in un primo momento.
L’obiettivo? Quello di avere più serenità tra le mura
domestiche e di mettersi in pace con i figli. Così non si poteva andare avanti.
Ha ragione.
Solo che me lo dice tramite un semplice messaggio telefonico,
che non ci rivedremo mai più e che farei meglio a non cercarlo. Cercarlo? È
sempre stato lui ad adescarmi, altrimenti tutto ciò non sarebbe nemmeno mai
iniziato.
Ma va be’, dai, sono abituato ormai agli addii repentini. Mi
fa male, ma in futuro mi farà più male quando lo vedrò frequentare un’altra
casa, e passare ore e ore ad attendere quel ragazzo mio coetaneo che lì ci
vive.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio, poi ha sempre bisogno
di prede nuove.
Morale della favola? Di nuovo solo, ma questa volta più che
mai. Non bisogna illudersi di avere amici o di stare a cuore a qualcuno, perché
quel qualcuno prima o poi se ne andrà. Ci lascerà soli, in qualche modo.
Forse sono io eh a non meritare niente se non di essere usato
e scopato, per poi essere buttato nel bidone.
Mi manca G ormai anche se la figura dell’ultima volta ancora
mi brucia alquanto. E, unica sicurezza che mi consola, è che presto lo rivedrò…
rivedrò il suo sorriso, sentirò le sue parole, e accoglierò anche parolacce o
figuracce, tutto pur di tornargli vicino qualche attimo. Che mi chieda pure
della gnocca, quello che vuole.
L’importante è questa sicurezza di rivederlo, a un tale
appuntamento mensile non manca mai, poiché ci lavora.
Ma… sicurezza? Che grande parola, nella mia vita.
Scoppia il coronavirus. Sì, quella che in poche settimane
diverrà pandemia. Ai primi casi ecco che l’evento salta e anche il rivedere G
in tempi stretti.
Nei giorni successivi il contagio si espande, e… saltano
anche i successivi, tutti annullati.