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Autore: Marti Lestrange    28/12/2020    6 recensioni
L’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Haydon Hall non è un bel posto, e basta una sola occhiata per dirlo, ma James Sirius Potter è costretto a trascorrervi un intero anno, per scontare una punizione che in fondo sa di meritare. Quando mette piede nella Scuola non si aspetta, però, che l’atmosfera da incubo lo trascinerà in un incubo vero, con radici profonde in parti della storia magica che nessuno vuole più ricordare, segreti di famiglia e purezza di sangue, lacrime e morte. Una storia in cui la giovane Emma Nott, studentessa ribelle appena arrivata alla Scuola, non può non rimanere invischiata, il richiamo del suo stesso sangue troppo forte per opporsi.
[ dal testo: Nessuno sa quando tutto è cominciato, qui alla grande casa. C’è chi dice che l’inverno del 1981 sia stato uno dei più duri, sia per coloro che vivevano al villaggio, sia per chi abitava tra queste mura fredde e spoglie; c’è chi asserisce che non ci sia stata primavera più bella di quella che ne è seguita, quando cespugli di rose sono cresciuti, a maggio, nei giardini e tra le siepi, e si sono arrampicati sulla facciata ovest, per poi morire ai primi freddi successivi. ]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Michael Corner, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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THE HAUNTING OF HEYDON HALL
 

 

CAPITOLO OTTO

 

“Adesso che la casa si è impadronita di noi, 
forse non ci lascerà più andare.
S. Jackson, L’incubo di Hill House

 

 

Rosham Village, 10 gennaio 1973

Mio amore,

ti scrivo queste brevi righe per ricordarti che ti penso, ogni giorno più intensamente di quello precedente, e così ti amo. Sapere che l’indomani partirai per una pericolosa missione mi travolge, mi macererò nella preoccupazione che ti accada qualcosa, e non dormirò finché non ti saprò al sicuro, nuovamente a casa, lontano dalla minaccia della morte. Sapere che Rodolphus e Rabastan saranno con te mi rassicura, so che vi guarderete le spalle come avete sempre fatto, e come farete sempre, ma nonostante ciò, sai bene cosa penso e come la penso, sarei molto più serena se tu non dovessi esporti così, ma so anche quanto tu sia attaccato alla Causa, e non potrei mai, e dico mai, privartene. Sta’ attento, però, io conservo nel cuore la promessa del tuo ritorno. 

La tua amata,

E.

 

 

Heydon Hall, Norfolk, 18 settembre 2023

«Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.» La battuta con la quale Archie l’accolse al tavolo della colazione l’avrebbe anche fatta ridere, in diverse circostanze, ma quel giorno ebbe solo il potere di renderla irrequieta - più di quanto già non fosse. 

 

[UNA NUOVA SETTIMANA]

 

Gli lanciò una smorfia e prese posto. Ovviamente quella notte aveva dormito male, e si era svegliata presto per leggere altre lettere. In verità ne aveva letta solo una, una lettera inviata dalla ormai ben nota “E.” al suo uomo misterioso, nella quale, per la prima volta da che Emma si era imbarcata in quell’impresa, comparivano due nomi propri, due nomi da uomo, due nomi che le aleggiavano nella mente e che sembravano volerle dire qualcosa, qualcosa di cui però le sfuggiva il significato. Dopo una sfilza di lettere d’amore scambiate tra i due indicativamente tra il 1969 e il 1973 (anno al quale per ora era arrivata a leggere), Rodolphus e Rabastan non le suonavano nuovi: la sua memoria aveva cercato febbrilmente, aveva rovistato tra le sue rovine alla ricerca di una giusta collocazione, ma quella mattina non c’era stato verso di venirne a capo e così aveva gettato la spugna, si era alzata, aveva fatto una doccia calda e si era preparata per quel nuovo lunedì di lezione. 

«Non sono in vena di battute, Archie, non te la prendere», replicò. Intravide James avvicinarsi al loro tavolo con il carrello dei vassoi e attese con pazienza. 

«Be’, allora non ti piacerà quello che sto per dirti.»

Tyler assestò un calcio al fidanzato sotto il tavolo, ma ormai Archie aveva sganciato la bomba e quella manifestazione di disaccordo non lo turbò minimamente. Emma lo guardò inarcando le sopracciglia, incuriosita. 

 

[L’INVITO DI JAMES]

 

Intanto, James li aveva raggiunti, e le allungò il vassoio sorridendole. Lei lo prese con entrambe le mani, che sfiorarono inavvertitamente quelle di lui. Si guardarono e una corrente elettrica le si propagò in tutto il corpo, facendola rabbrividire. Sentiva addosso gli occhi dei suoi amici, ma non le importava. 

«Stai bene?» le chiese quindi.

Annuì. «Sono stata meglio, ma sono in piedi.»

«Ora non posso fermarmi, o la Pince mi Crucia, ma vediamoci in biblioteca in pausa pranzo, d’accordo? Porto io qualcosa da mangiare.» Lui la guardò aprendo per bene gli occhi, ed Emma capì che voleva parlare della loro indagine, ma che non poteva dirlo davanti ad Archie e Tyler. 

«Okay, ci vediamo lì», replicò solo lei. Potter le lanciò un ultimo sorriso e poi si allontanò. 

Emma cominciò a versarsi il caffè nella tazza, come se niente fosse successo. Sapeva che Archie moriva dalla voglia di chiederle spiegazioni, infatti bastò attendere solo qualche secondo. 

«Da quando in qua vi date appuntamenti, voi due?»

 

[NON È UN APPUNTAMENTO]

 

Emma lo guardò. «Non è un appuntamento.»

«A me sembra un appuntamento. Un classico appuntamento-alla-Heydon-Hall, dove non c’è un tubo da fare per chilometri e chilometri e allora l’unica occasione di pomiciare è rintanarsi in biblioteca e nascondersi dietro qualche scaffale impolverato, Emma, la mia furbetta.»

Emma quasi scoppiò a ridere. «Pomiciare? Noi non pomiciamo.»

«Oh, sì, a parte che ci credo poco, gli hai lanciato un’occhiata della serie “prendimi, sono tua”, ma, anche se ci credessi, secondo me è solo questione di tempo prima che vi infrattiate dietro qualche cespuglio o in qualche stanza vuota. Anzi, non capisco perché non sia ancora successo, sinceramente. Tyler, per favore, dille qualcosa.»

«Qualcosa?» replicò l’altro scrollando le spalle. Lui ed Emma si guardarono e lei soffocò una risata dietro una forchettata di uova strapazzate, mentre lui scuoteva la testa e Archie lo subissava di insulti.

«Non posso mai contare su nessuno, a parte me stesso, qui.»

«Cosa mi volevi dire, a proposito?» cambiò discorso Emma. «Prima, quando hai detto che non mi sarebbe piaciuto.»

«Ah, sì», rispose Archie mettendosi meglio a sedere. «Non lo hai sentito, il brusio, quando sei entrata?»

«Brusio? Quale brusio?»

Archie alzò gli occhi al cielo. «Girano delle voci, Emma. Voci su ciò che è successo a Charles venerdì notte…»

 

[GIRANO DELLE VOCI]

 

«Be’, succede. I presenti tendono sempre a ingigantire un incidente quando lo raccontano a chi non c’era, è normale. E quel racconto cambia, passando di bocca in bocca. Cos’è venuto fuori?, che Lamb ha tentato di strangolare Baker?»

Archie e Tyler rimasero in silenzio, guardandola preoccupati. Emma continuò a mangiare le sue uova, ma lanciò qualche occhiata intorno a sé, osservando il refettorio affollato. Prima non ci aveva fatto caso, forse perché era immersa nei suoi pensieri, ma effettivamente un sacco di gente era girata a guardarla, e nel mentre sussurrava cose, e qualcuno addirittura faceva l’imitazione di un fantasma, guardandola, e ridendo con i propri vicini. I suoi occhi si posarono sul tavolo di Flitt: erano tutti presenti, ovviamente tutti tranne Charles; Dotty era appollaiata sul braccio di Drake, mentre Sophia era chinata verso Jo e le parlava nell’orecchio, e quest’ultima (che aveva occupato il posto di Charles) osservava Emma come si guarda uno spettacolo grottesco e spaventoso ma che non possiamo fare a meno di fissare (Emma ripensò a loro tre, sedute sul suo letto a raccontarsi delle rispettive punizioni, e pensò a quanto le persone potessero essere false e infide). Gli altri scagnozzi di Flitt mangiavano in silenzio e Isabelle sedeva all’altro lato di Dotty, ma guardava Emma dritta in faccia, con un ghigno molto poco amichevole, le braccia conserte poggiate sul tavolo, mentre uno dei tirapiedi di Drake (che Emma riconobbe come quello che, alla festa, aveva cercato di insinuarsi sotto il vestito di Izzy) si sporse a versarle il tè. 

«Sarebbe la prima volta nella storia», iniziò la bionda ad alta voce, in modo che la sentissero tutti, «che uno studente di Heydon Hall viene espulso dopo neanche un mese di scuola, vero Dotty?»

Quest’ultima rise, con quella sua risata alta e sguaiata. Emma strinse i pugni sotto il tavolo. 

«Oh, penso proprio di sì», confermò quindi la rossa. 

«Be’, io sarò in prima fila quando Emma Nott verrà scortata fuori di qui come una criminale», asserì Isabelle continuando a guardarla. Emma sentì Tyler trattenerla per un braccio, sussurrandole che non ne valeva la pena; Archie aggiunse che voleva solo provocarla e farle rischiare un’altra punizione, o peggio. Isabelle distolse quindi lo sguardo da Emma solo per ringraziare il suo nuovo ragazzo con un bacio approfondito ed Emma distolse lo sguardo a sua volta, schifata, tornando a guardare i suoi amici. 

«Gira voce che tu riesca a controllare il fantasma di Heydon Hall», spiegò infine Archie a bassa voce, «e che tu gli abbia ordinato di fare del male a Charles.»

Emma sbarrò gli occhi, incredula. Non riusciva a credere che la gente potesse pensare tutto questo, che addirittura fosse arrivata a ipotizzare una tale follia, e tutto perché si era messa a gridare, e il suo grido aveva fermato il fantasma. 

«Il fatto che Charles levitasse a mezzo metro da terra e che mani invisibili stessero cercando di strozzarlo ha portato tutti a pensare al fantasma», continuò Archie. «Ma non era mai successo che il fantasma se la prendesse con noi studenti, almeno non in questo modo, così rabbioso, e deliberatamente violento…»

 

[IL COMPORTAMENTO DEL FANTASMA]

 

«Cosa intendi dire, Archie?» abbaiò Emma stringendo la sua forchetta così forte che immaginò di ridurla in tanti coriandoli di metallo. 

«Io non intendo niente, Emma, cosa vai a pensare?» si difese l’altro strabuzzando gli occhi e prendendole una mano. «Ti sto solo raccontando come stanno le cose, perché penso che sia meglio per te sapere tutto. E saperlo da noi.»

«Che il fantasma non sia mai stato violento con noi è un dato di fatto», intervenne Tyler, come sempre posato e misurato. «In tanti anni non si era mai sentito di aggressioni di questa portata agli studenti, ma solo di porte sbattute, vetri rotti, qualche bagno allagato e cose così, ma ora gli incidenti sono diventati due e la gente cerca spiegazioni dove non ce ne sono e, ovviamente, un capro espiatorio da incolpare.»

«Voi sapete che io non c’entro niente», disse Emma. «Per quanto ritenga Charles un pallone gonfiato, non gli farei mai del male.»

«Emma, con noi non devi giustificarti, né devi darci spiegazioni», continuò Tyler. «Sappiamo com’è andata, ce l’hai raccontato, e ci fidiamo di te.»

Quando domenica Archie era venuto in biblioteca a portarle il pranzo, Emma gli aveva raccontato per bene ciò che era successo la notte di venerdì, visto che il giorno prima non avevano avuto modo di parlarne, nel caos del refettorio. Aveva evitato di dirgli che aveva visto il fantasma di Heydon Hall cercare di strangolare Charles, sia perché non voleva ammettere di averlo visto, e quindi di crederci, ma anche perché questo dettaglio la metteva in una posizione scomoda e strana, in tutta quell’assurda situazione. Men che meno gli aveva detto che le sue parole erano riuscite a salvare Baker. 

«Tutti dicono che ti sei messa a gridare e che il fantasma ti ha ascoltato e si è fermato», aggiunse Archie stringendosi nelle spalle. «Io sinceramente trovo assurda tutta questa storia. Ammettendo anche che il fantasma potrebbe effettivamente c’entrare qualcosa, non vedo come mai dovrebbe dare ascolto proprio a te, senza offesa, ovviamente.»

«Nessuna offesa», replicò Emma. «Comunque non ho gridato di lasciarlo andare, è stato più un grido di orrore, insomma, Charles levitava e aveva tutta la faccia viola, ed eravamo tutti scioccati e sorpresi e inorriditi, in quel momento. E poi scusate, sono tutti così sicuri che c’entri il fantasma? Lo hanno visto? Anzi, qualcuno lo ha mai visto, in tutti questi anni?»

Quell’interrogativo le ronzava in testa da un po’: lei e James potevano vedere lo spirito che aleggiava nei corridoi di Heydon Hall, e ormai si erano messi l’anima in pace, a tal proposito, nonostante lo scetticismo iniziale, ma perché solo loro?, qualcun altro, in passato, lo aveva visto? 

«Che io sappia no, nessuno lo ha visto, né quella sera né mai», spiegò Archie. «Semplicemente ci crediamo, e basta.»

«Parleranno di questa cosa ancora per qualche giorno, finché non arriverà un argomento più ghiotto, sta’ tranquilla», intervenne Tyler cambiando argomento e finendo il suo tè. 

Emma lanciò un’altra occhiata alla sala, e individuò altre paia di occhi che, curiosi, la osservavano quasi come se stesse per scoppiare da un momento all’altro, riversando su tutti i presenti la sua ira. 

«Sei quella nuova, è normale che ti abbiano eletta come nuovo obiettivo», disse Archie. «Ogni anno succede. Ricordati che sei la figlia di Theodore, sei intelligente e una figa pazzesca, e in più sei amica di Potter. Ecco fatto.»

 

[HOGWARTS E HEYDON HALL]

 

Emma gli sorrise, rigirando il cucchiaio nella sua tazza. Non gliene importava niente che parlassero (o sparlassero) di lei, ad Hogwarts era abituata ad essere argomento di disquisizione per tutto ciò che combinava, ma in quel caso era tutto vero: quando tutti si giravano a guardarla entrare in Sala Grande era perché aveva davvero allagato il corridoio del terzo piano; quando l’additavano a lezione era perché aveva appena fatto qualche dispetto al professor Paciock, e i presenti attendevano che si scatenasse il putiferio; quando provocava sussurri nei corridoi era perché qualche Caposcuola o insegnante la stava scortando dalla McGranitt dopo l’ennesimo atto di vero vandalismo. Questa volta era diverso, questa volta la ritenevano responsabile di un tentato omicidio, o di una deliberata aggressione, e non le stava bene, proprio per niente. Sapeva però che le voci di corridoio restano solo voci, in mancanza di prove concrete, e sapeva anche che si sarebbero placate, non appena fosse successo qualcosa di nuovo e interessante. 

Cercò James con gli occhi e lui la stava già guardando. 

 

🥀

 

[IL PRANZO DI JAMES ED EMMA]

 

Emma lo raggiunse intorno alle dodici e trenta. Mise la testa all’interno, guardandosi intorno, come per accertarsi che non ci fosse nessuno, ma ormai James aveva capito che la biblioteca era forse la zona meno frequentata dagli studenti di Heydon Hall, ed era proprio per questo che le aveva dato appuntamento lì - anche se definirlo “appuntamento” lo faceva sentire un cretino, ché non era un appuntamento, o per lo meno non nel senso più comune del termine; era solo un’occasione per fare il punto su tutta quell’astrusa faccenda. Se solo un mese prima gli avessero detto a cosa sarebbe andato incontro nel buco-di-culo del Norfolk, non ci avrebbe creduto. Dopo tutto ciò che era successo nel corso di quell’anno, un altro guaio era proprio l’ultima cosa di cui aveva bisogno, considerato anche il fatto che, da quando era a Heydon Hall, aveva già infranto non sapeva quante regole, che apparentemente non sembravano riguardarlo, in quanto membro del personale dell’istituto, ma che sapeva lo facevano indirettamente, visto che era lì per “scontare una pena” e non per fare villeggiatura. E tanto meno per andare a caccia di misteri con Emma Nott, la cui presenza aveva cambiato tutte le carte in tavola, facendogli gettare alle ortiche ogni cautela e ogni freno. Era come se lei desse fuoco alla sua miccia, a quell’animo Grifondoro che, mai come in quei giorni, tendeva a prevaricare, e a tirare fuori il combina-guai che era in lui, quella parte scanzonata e quasi bambinesca che nel corso degli ultimi mesi aveva in parte soffocato, e sepolto sotto strati e strati di rigore e ammenda. Si sentiva di nuovo il James Sirius Potter che conosceva - si sentiva di nuovo se stesso.

Fece segno ad Emma e lei entrò, richiudendosi la porta alle spalle. Lo raggiunse e lui, senza dire niente, le fece strada fino al tavolo più lontano, al fondo dell’ampia sala, che era molto più grande (e polverosa) di quanto si fosse aspettato in un primo momento. 

«Wow, hai svaligiato la dispensa della pipistrella, Potter?» esclamò Emma sorpresa, sfilandosi il blazer e poggiandolo allo schienale di una sedia, osservando allo stesso tempo il piano del tavolo, dove James aveva riversato il contenuto delle sue ruberie: sandwich ripieni con arrosto, maionese e insalata; succo di zucca; due porzioni del pasticcio di carne che la Pince aveva preparato per pranzo e che gli sembrava promettere bene; alcune fette di torta alla carota che Pansy aveva sfornato solo per loro, e che James aveva sgraffignato con la scusa di «mangiarle più tardi». 

Lui si passò una mano dietro la nuca. «Nah, ho solo preso qualcosina qua e là… Spero che il pasticcio sia buono, sembrava invitante…»

Emma si girò e gli rivolse un sorriso talmente grande e bello che lui dimenticò improvvisamente ciò che stava per dire solo per fermarsi e guardarla. Gli venne una voglia repentina di baciarla, ma si trattenne, come succedeva da tanti giorni a quella parte. Doveva rimanere concentrato sul motivo per cui entrambi si trovavano lì. 

Dapprima mangiarono in silenzio. Emma sembrava affamata. «Da quanti giorni non mangi?»

«Il cibo che ci portate a tavola non è mai così buono», spiegò lei allontanando la ciotola che conteneva il pasticcio, che aveva svuotato in silenzio, quasi senza alzare gli occhi. «Quindi ho una fame arretrata di giorni.»

James si lasciò scappare un sorriso e addentò il suo sandwich. «Quando senti i morsi della fame non hai che da bussare alla mia porta, ci metto un attimo a sgusciare in cucina a prenderti qualcosa di buono.»

«Mi sembra solo una scusa per attirarmi in camera tua, questa, Potter.»

James tossì, quasi strozzandosi con un pezzo di arrosto di tacchino che gli era rimasto in gola. Emma intanto lo guardava divertita da sotto le ciglia, mentre beveva dal suo bicchiere.

«Be’, anche se fosse?» rispose quindi riprendendosi.

Vide Emma assottigliare lo sguardo e si guardarono per un momento, prima che la ragazza scuotesse la testa, ridacchiando. «Con quella faccina e quegli occhiali storti sei poco credibile a fare il misterioso, sai?»

Come un riflesso incondizionato, James si sistemò gli occhiali sul naso, ed Emma rise più forte. «Sei uno spasso.»

«Sono contento di farti ridere, allora.»

Lei gli sorrise e poi finirono di mangiare in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri. Finite anche le ultime briciole di torta, e sgombrato il tavolo, Emma si chinò per frugare nella sua borsa poggiata a terra. James cercò di non fissarle le gambe e così spostò lo sguardo fuori dalla finestra: quel giorno era scesa una nebbiolina che sapeva di profondo autunno e una brina leggera aveva ricoperto l’erba dei prati nelle prime ore del giorno. Lì nel Norfolk sembrava già di trovarsi alle porte dell’inverno. 

Emma poggiò sul tavolo il plico delle lettere trovate nella specchiera, nell’ala proibita, e sfilò la prima, aprendola con cautela, vista la delicatezza della pergamena, e girandola infine verso di lui. «Leggi questa.»

 

[ANALIZZANO LE LETTERE]

 

James, incuriosito, fece come gli era stato detto. Al termine della lettura si sfilò gli occhiali per un momento e si stropicciò gli occhi. Sperava che quei due nomi scomparissero, ma quando riappoggiò lo sguardo sulla lettera, erano ancora lì, a risvegliare vecchi fantasmi e dolori. 

«Le lettere che coprono gli anni dal 1969 al 1973 sono tutte lettere d’amore», cominciò Emma incrociando le braccia sul tavolo in mogano. «Quindi ti risparmierò la fatica di leggerle, l’ho già fatto io e mi è bastato.»

«Sei allergica alle dichiarazioni d’amore, Nott?» la prese in giro lui.

La vide alzare gli occhi al cielo. «Secondo te? Comunque», aggiunse, cambiando in fretta argomento, «in questa compaiono finalmente due nomi, dopo tutto il mistero che la nostra E. e il suo innamorato si sono trascinati dietro. Due nomi che mi dicono qualcosa, ma che non sono riuscita a contestualizzare. So che li conosco, o almeno dovrei conoscerli, ma niente da fare.»

James la guardò per un momento in silenzio, indeciso. Forse Emma notò il suo tentennamento, perché alzò un sopracciglio. «Cosa non mi vuoi dire?»

James sospirò. «Rodolphus e Rabastan, Emma. I fratelli Lestrange.» Vide un guizzo di comprensione nel suo sguardo. «Erano due Mangiamorte.»

 

[I MANGIAMORTE]

 

Calò il silenzio, mentre uno stormo di uccelli si alzava in volo dal prato là fuori, salendo sempre più in alto e perdendosi nel cielo grigio. 

«Come ho fatto a non arrivarci, eh?» commentò Emma distogliendo lo sguardo da lui e giocherellando con l’angolo già leggermente spiegazzato della lettera. 

«Be’, nessuno va in giro a parlare dei Mangiamorte, non più. Ci sono parole che sono state sepolte, chiuse in un cassetto, e che difficilmente vengono ritirate fuori, o almeno non nella vita di tutti i giorni.» A James vennero in mente i racconti di suo padre, che quando aveva compiuto undici anni, l’estate prima di iniziare il suo percorso a Hogwarts, gli aveva raccontato tutto ciò che era successo durante le due Guerre Magiche, non gli aveva risparmiato niente, nessun dettaglio e nessuna morte, ché pensava che fosse giusto, per lui, sapere, e conoscere gli eventi e comprendere i sacrifici di chi, prima che lui nascesse, aveva contribuito a salvare il mondo magico dalla spaventosa minaccia di Voldemort. Lo aveva reputato abbastanza maturo e si era assicurato che iniziasse Hogwarts ben conscio di chi era, e da dove proveniva. Aveva fatto lo stesso con Albus e Lily e tutti loro non lo avrebbero mai ringraziato abbastanza per quella prova di cieca fiducia in tre undicenni sprovveduti e con la testa sulle nuvole, cresciuti in tempo di pace, e che mai avrebbero conosciuto gli orrori di una guerra - o almeno così speravano tutti. 

«I miei genitori hanno taciuto parecchie cose», disse Emma aggiustandosi le pieghe della camicia, quasi come se gli avesse letto nel pensiero e avesse visto il suo ricordo di Harry, seduto sul suo letto, mentre sua madre Ginny era rimasta in cucina e si sentivano i rumori delle pentole mentre preparava la cena. «Ovviamente sappiamo tutto delle Guerre, i miei fratelli e io», specificò. «Ma è come se la mamma non avesse voluto scendere nei dettagli, non so se mi spiego… Quasi come se ci avesse raccontato una versione edulcorata di ciò che è successo in quegli anni, forse dovuta al fatto che lei non era nemmeno in Inghilterra. È cresciuta in America, è arrivata a Londra solo dopo la guerra», spiegò di fronte allo sguardo incuriosito di James. «E papà è sempre stato vago, troppo vago… Ma lo capisco, insomma, l’eredità che si trascina dietro non è qualcosa che sbandieri ai quattro venti, il tuo lignaggio ti perseguita come una maledizione e tutto ciò che vuoi è solo lasciartelo alle spalle, fare tabula rasa e ricominciare, crearti una tua identità - un’identità che ti rappresenti.»

James credeva di capire la posizione di Theodore Nott. Nonostante non fosse mai stato un Mangiamorte, Theodore era figlio di Mangiamorte, di quel Frederick Nott1 che era stato tra gli accoliti più vicini a Voldemort, e tra i più fedeli, e aveva sempre portato quel macigno sulle spalle, strenuamente, e finalmente era come se si fosse in parte alleggerito di qualche fardello, ora che aveva una famiglia tutta sua, e sentiva quindi di poter drizzare nuovamente la testa e vivere la sua vita. Suo padre gli aveva sempre parlato di Theodore Nott in termini amichevoli, reduce di anni di rinnovata collaborazione - e quasi amicizia - con il MagiAvvocato che, molto spesso, incontrava tra i corridoi del Ministero o nelle aule del Wizengamot. Forse non sarebbe mai stato amico di Theodore quanto lo era di zio Ron, ma c’era rispetto, un sentimento parimenti importante. 

«Siamo cresciuti dietro due diverse barricate», replicò James, «e con due modi diversi di guardare al passato, ma è proprio quel passato che in qualche modo sta convergendo qui, ora, in queste lettere.»

Emma annuì, tornando a guardarlo, finalmente. «Pensi che il misterioso innamorato di E. fosse anche lui un Mangiamorte, vero?»

James si grattò il naso. «I nomi dei Lestrange ci conducono lì, Emma. Chi se non un altro Mangiamorte partirebbe in missione con due Mangiamorte? Nel 1973 era già iniziata la Prima Guerra Magica, Voldemort spandeva già terrore ovunque, molto probabilmente i fratelli Lestrange e quest’uomo misterioso erano in procinto di partire per una missione assegnata loro proprio da Voldemort stesso.»

 

[E.]

 

«Per adesso non abbiamo altre piste, però, mi pare», convenne Emma ripiegando la lettera. «Invece, riguardo la nostra misteriosa E., possiamo solo pensare che sia morta qui, a Heydon Hall, nonostante prima abitasse in questo Rosham Village, da dove sono partite tutte le lettere, finora, a parte quelle che i due si scambiavano a Hogwarts, presumibilmente durante l’anno scolastico.»

«Pensi che sia morta qui perché il suo fantasma non se n’è andato?»

Emma scrollò le spalle. «Presumo di sì. Solitamente i fantasmi non rimangono ancorati al luogo nel quale sono morti?»

«Non necessariamente», dissentì James. «A volte ritornano laddove hanno lasciato qualcosa in sospeso, oppure al luogo dove sono stati più felici, o in quello dove hanno vissuto un grande dolore. Però che E. sia morta qui trovo sia una teoria più che plausibile, ora come ora.»

«E dev’essere morta nel dolore», rifletté Emma torcendosi un capello, pensierosa. «Altrimenti non si spiegherebbe la sua rabbia. Stamattina ho fatto qualche domanda ad Archie senza dare nell’occhio e sia lui sia Tyler mi hanno detto che non ha mai fatto del male agli studenti, prima, e sembra addirittura che nessuno l’abbia mai vista, qui a Heydon Hall.»

«Nessuno l’ha vista ma tutti ci credono?»

«È quello che gli ho detto anche io. Tutti sono portati a credere alla sua esistenza senza nessuna riserva, ma nessuno ha mai trovate prove della suddetta esistenza. È bizzarro.»

«Be’, che questo posto fosse bizzarro direi che era assodato. Ben più che bizzarro, aggiungerei», replicò James ridendo. 

 

[TENSIONE]

 

«E chi doveva capitare in questa gabbia di matti se non noi due?» esclamò Emma alzando gli occhi al cielo. «Giuro che di solito i guai li combino, è difficile che mi vengano a cercare.»

«È colpa mia, quindi», disse James arricciando le labbra. «Attiro guai come una calamita.»

«Ecco perché mi attiri, allora.»

Tra loro calò il silenzio, ma un silenzio carico di elettricità statica. James sbarrò gli occhi e sentì gli occhiali scivolargli un po’ sul naso, mentre Emma distolse lo sguardo, fissando un punto imprecisato dello scaffale di fianco a loro, tutto pur di non guardarlo in faccia. 

«Okay», prese la parola, ché ormai non sopportava più quel silenzio, e voleva placarlo - e placarsi - tornando a parlare del loro “fantasmagorico problema” e concentrandosi nuovamente su quella questione, ignorando quindi i sussulti del suo stomaco e quelle voci nella sua mente che gli sussurravano di alzarsi e baciarla. Non aveva mai visto Emma così imbarazzata, lei che di solito aveva sempre la risposta pronta e non mancava mai di usare quella sua lingua tagliente per dare risposte altrettanto taglienti. «Stai suggerendo che il nostro arrivo a Heydon Hall c’entri qualcosa con il risveglio, se così vogliamo definirlo, del fantasma?»

 

[ALTRE TEORIE]

 

Emma gli sembrò infinitamente grata per essere tornato sull’argomento principale della loro strana riunione. «In parte… Ho riflettuto un po’ su ciò che è successo dal primo settembre a questa parte, ed effettivamente dei collegamenti ci sono, e non si possono ignorare. Tyler mi ha detto che il fantasma si è sempre e solo manifestato con i soliti, vecchi trucchi: lo sbattere di una porta e i vetri rotti di una finestra, cose così, ma niente di più sostanzioso. Quest’anno, invece, aggredisce ben due studenti, e in più si mostra ad altri due, che saremmo noi. Non lo trovi… come dire… un caso un po’ troppo casuale? Puzza di schema.»

James annuì, questa volta grattandosi il mento. «Ieri abbiamo parlato di Izzy e delle parole che continuava a ripetere la sera dell’incidente… A questo punto, l’idea che il fantasma ne sia responsabile è indubbia. Potrebbe addirittura averlo visto, non credi? Continuava a parlare di una “donna”, in fondo.»

«Sì, penso che l’abbia visto. Chissà se anche Charles…»

«Mi sono dimenticato di dirti che sono riuscito a fare qualche domanda alla Guaritrice», esclamò James, «la stessa che è venuta per aiutare Isabelle, e mi ha detto che Charles non ha proferito parola, che la mattina dopo gli ha chiesto se ricordava cos’era successo, gli ha parlato anche il preside Corner e poi i suoi genitori, ma lui non ha parlato con nessuno di loro. Sembrava quasi in uno stato di shock talmente profondo da aver perso qualsiasi facoltà, persino la parola. È per questo che lo hanno trasferito al San Mungo.»

Emma annuì, mordendosi un labbro. «Potrebbe averlo visto, allora. Potrebbe aver visto il fantasma tentare di strangolarlo. È per questo che era in shock, o per lo meno, più di quanto fosse fisiologico esserlo dopo aver rischiato di morire, voglio dire.»

«Quindi le due aggressioni sono collegate», ribadì James. 

«E sono collegate a me», aggiunse Emma, seria. Sospirò.

«Collegate a te?»

«Sì», confermò lei. «Insomma, Isabelle era mia amica, no? O almeno lo è stata in un primo momento, prima che tutta la situazione degenerasse e non cominciasse a gridarmi addosso e a darmi della pazza furiosa…» James avrebbe voluto chiederle ulteriori spiegazioni, ma preferì lasciarla proseguire. «E Charles… be’, ci ha provato con me, quella sera, non una ma due volte», fece una smorfia. «Mi viene da pensare di c’entrare qualcosa, capito? E non dimentichiamoci che ho fermato il fantasma, gli ho impedito di uccidere Charles…»

«Okay, okay, frena un attimo», esclamò James. «Partiamo dal presupposto che okay, va bene, Isabelle e Charles avevano avuto dei contatti con te, ma in fondo anche con altri. Sappiamo che, quella prima sera, Izzy era seduta non solo con te, ma anche con Archie e Tyler, dico bene?»

Emma annui lentamente. «Come fai a saperlo? Ci osservavi?»

«Io osservo tutto, Emma Nott, dovresti averlo capito», rispose lui sbrigativo, ché non voleva darle l’impressione che il suo sguardo fosse stato catturato da lei sin da quella seconda sera a Heydon Hall. «Tornando a Izzy, come dicevo, anche Archie e Tyler potrebbero essere collegati. In fondo, sappiamo che tra Archie e Charles, e in generale il gruppo di Flitt, non scorre buon sangue. Niente ci vieta di pensare che Archie possa c’entrare qualcosa.»

Emma scosse la testa, decisa. «Izzy aveva paura di me, non di Archie. Poi la cosa sembra esserle passata, quando ha scelto la via dell’aggressività, ma comunque questo non cambia le cose. Non cambia il fatto che aveva paura di me, e non me lo spiego, ancora adesso, alla luce di ciò che sappiamo. E aggiungici che sono stata io a fermare il fantasma, James. Ho detto ad Archie che non era vero, che era stato un caso, ma noi sappiamo com’è andata.»

James non replicò, si limitò a guardarla, ché non sapeva esattamente cosa dire, per contraddirla. Effettivamente, le sue asserzioni avevano un senso. Non c’era molto altro da dire contro di esse. 

«Mettiamo che sia così, per un momento», disse quindi poggiando i palmi delle mani sul tavolo, come a volersi aggrappare con tutte le sue forze a quel legno caldo, giusto per non affondare. «Mettiamo che tu sia in qualche modo collegata al fantasma. Perché? Perché lo saresti? Ci hai pensato?»

La ragazza seduta di fronte a lui osservò per un attimo il parco fuori dalla finestra, e la sua immota calma - e James osservò lei, il suo profilo armonioso, la curva della mascella e delle labbra piene, i capelli castani raccolti sulla nuca con una piuma, la clavicola che sporgeva dal colletto della camicia aperto, la cravatta allentata sul collo. Si aggrappò ancora più strettamente al tavolo, ma stava quasi per scivolare, sentiva la pelle dei palmi sudata e tutto il corpo pizzicare. 

«Penso che dovremmo scoprirlo, no?» disse infine lei guardandolo. «Penso che, in qualche modo, sia tutto collegato, e che se scopriremo l’identità di E., allora capiremo anche il perché del nostro collegamento. Possiamo solo sperare che non accada altro, nel frattempo, visto che già tutti pensano che io ne sia responsabile.»

 

[EMMA RIFERISCE LE VOCI A JAMES]

 

James aggrottò le sopracciglia. «Cosa vuol dire?»

Emma allora gli raccontò la “storia fantastica” che circolava a scuola, che lei in qualche modo controllasse il fantasma di Heydon Hall e che lo avesse aizzato prima contro Isabelle e poi contro Charles, e aggiunse anche le reazioni del tavolo di Flitt, quella mattina, in particolare di quelle di Izzy, e finì per raccontargli anche del loro litigio, alla festa di venerdì sera. 

«Pazzesco! Come fanno a pensare una cosa del genere? Lo sanno che evocare e controllare un fantasma sono tipi di magia che rientrano nelle Arti Oscure, sì?»

«Forse lo sanno, ma poi si ricordano del mio cognome, e la razionalità va’ a farsi benedire», spiegò lei rassegnata scrollando le spalle. Sembrava delusa e amareggiata e James avrebbe voluto poter fare di più per aiutarla e consolarla, per ribadire che il cognome che portava non la definiva, così come il passato maledetto dei suoi avi. 

«Spero solo che queste voci non giungano alle orecchie dei signori Baker», aggiunse lei. «Archie mi ha detto che il padre è un pezzo grosso, e fa generose donazioni alla scuola, e spero che Heydon Hall non debba rimetterci perché loro mi ritengono responsabile.»

«Come potrebbero?» rispose James. «Non hanno nessuna prova, a parte qualche pettegolezzo di un gruppo di diciassettenni stronzi.» La vide sorridergli, e riacquistare un po’ più di fiducia. «E poi scusa, chi se ne frega di Heydon Hall. Ci siamo procurati già fin troppi guai, in questo posto, che vada pure a fuoco.»

 

[L’IRA DI HEYDON HALL]

 

In quel momento, il vetro della finestra accanto a loro esplose. La violenza dell’urto li investì in pieno, mentre entrambi si accucciavano sul tavolo, le teste nascoste sotto le braccia. Quando osarono sollevare il capo, una corrente d’aria autunnale, frizzante e fredda, aveva invaso il loro rifugio tra gli scaffali, portando con sé l’inquietudine di un’intera stagione e il sentore dell’inverno che impregnava il cielo. James si accorse che Emma gli aveva afferrato una mano, stringendogliela spasmodicamente in quell’attimo di paura che aveva assalito entrambi. Si separarono, ora, senza una parola, solo con un fuggire di sguardi, e si alzarono. Fissarono i pezzi di vetro sul pavimento antico, e poi si lanciarono un’occhiata.

«Mi viene da chiedermi», cominciò quindi James, «se scoprire la verità, tutta la verità, su Heydon Hall, ci servirà. Che cosa faremo, una volta che ne verremo a capo? Sempre se ne verremo a capo. Come potremo convincerla a fermarsi?»

Emma si limitò a restituirgli lo sguardo, silenziosa. 

 

🥀

 

Piena di tutte le riflessioni fatte insieme a James, e ancora scossa per via dell’incidente della finestra (Potter aveva riparato tutto con un colpo di bacchetta, come se non fosse mai successo), Emma tornò di corsa in dormitorio prima della lezione di Pozioni, visto che si era accorta di aver dimenticato il libro nel baule. Aveva scoperto che gli studenti più grandi avevano più libertà di movimento all’interno della scuola rispetto a quelli più piccoli, ed era per questo motivo che era riuscita dapprima a raggiungere James in biblioteca senza problemi, e poi a dirigersi in dormitorio per cercare il libro. Molto spesso Pansy, che accompagnava le ragazze qua e là, accordava alle più grandi il permesso di raggiungere le classi senza di lei, vuoi un po’ per negligenza, vuoi perché aveva imparato a fidarsi. Insomma, Emma riuscì a raggiungere il dormitorio senza intoppi, e quello che trovò una volta entrata le mozzò il fiato in gola. 

 

[SCRITTA COL SANGUE]

 

Il letto di Isabelle era interamente ricoperto di una sostanza rossa che sembrava senza ombra di dubbio sangue, spesso e corposo. Emma si accostò al letto, dove tra l’altro il cuscino era stato stracciato e ora piume galleggiavano in alcune pozze di sangue che si era raccolto qua e là, mentre altre si erano semplicemente attaccate alla sostanza, a creare uno spettacolo che definirlo macabro suonava riduttivo. Emma si portò una mano alla bocca, e solo dopo qualche istante si rese conto che il sangue era stato usato per formare una scritta, che ricopriva tutto quanto il letto: “LASCIALA IN PACE O TE NE PENTIRAI”. 

Fece qualche passo indietro, andando quasi a finire lunga distesa sul suo stesso letto. Lasciala in pace o te ne pentirai: chi diavolo era stato?, chi avrebbe mai potuto compiere un’azione così grottesca, e infima, e terribile come quella? Un pensiero rapido l’assalì: la signora di Heydon Hall. E se fosse stata lei? E se, per via di quello strano legame viscerale che sembrava unirla ad Emma, avesse voluto mettere in guardia Izzy e intimarle quindi di lasciarla in pace? Era fin troppo visionario, doveva ammetterlo, ma lì per lì non si sentì di escluderlo. In fondo, lei e James avevano appurato che un legame c’era, era inutile negarlo, e Isabelle, in quanto vittima del primo incidente, era ormai entrata nel mirino del fantasma, e i rapporti non propriamente distesi con Emma non la mettevano in una luce favorevole. Improvvisamente si rese conto di essere sola e che la sua presenza lì avrebbe potuto comprometterla, farla sembrare colpevole, cosa che non era. 

 

[NUOVI GUAI]

 

Come se quel pensiero le avesse attirate lì, Shay2 (la sua vicina di letto) e un’altra ragazza del settimo di nome Joanna2 (la stessa che l’aveva affiancata durante l’incidente di Izzy e che aveva provato a forzare la porta), entrarono in quel momento nella stanza. Emma sentì il rumore dei passi e, anche se avesse voluto nascondersi sotto un letto o in bagno, non ci sarebbe riuscita. Dapprima le due ragazze non si resero conto del disastro, si limitarono a salutarla e a chiederle cosa ci facesse lì. Emma non rispose, non ci riuscì. Si sentiva girare la testa e avrebbe dato tutto quanto in suo possesso per rendersi invisibile e scomparire. La guardarono stranite, e infine si resero conto di tutto quanto. 

«Per Merlino!» esclamò Shay portandosi una mano alla bocca. Joanna fece un passo avanti, come a volersi assicurare che ciò che stava vedendo fosse effettivamente reale, e poi spostò subito lo sguardo su Emma, guardandola come si guarda qualcosa di ostile e pericoloso, proprio come l’avevano guardata tutti quanti in refettorio quella mattina, come se fosse un fenomeno da baraccone. 

«Sei stata tu», sussurrò spostando nuovamente lo sguardo sul letto. «È il letto di Isabelle, quello…»

«Sì, è stata lei!» quasi gridò Shay. «Leggi la scritta, —anna.»

«Non sono stata io, idiote», esclamò Emma. Okay, quell’idiote le scappò, non avrebbe dovuto dirlo, anche perché le procurò solo altri sguardi irosi e inorriditi e ostili, però insomma, lo erano davvero, idiote, quelle due, per pensare che lei sarebbe stata in grado di squartare, cosa?, un maiale, a giudicare da quanto sangue c’era, per scrivere velate minacce sul letto di una sua compagna di scuola. 

«Vado a chiamare Pansy», disse quindi Joanna. 

«Non lasciarmi qui da sola con lei», quasi piagnucolò Shay. 

«Cosa pensi che ti succeda, eh?» disse quindi Emma. «Non sono stata io, vi dico!»

«Cosa succede qui?» esclamò quindi Pansy entrando nella stanza, il cipiglio severo. «Perché non siete tutte in classe?» 

Ottimo, pensò Emma. Di male in peggio.

«Venga a vedere cos’ha combinato la Nott», disse Joanna.

Pansy si avvicinò con le sopracciglia aggrottate, incuriosita, e si piazzò davanti al letto di Izzy, proprio accanto alla stessa Emma. La donna non batté ciglio, si limitò ad osservare, pensierosa. Si avvicinò ancora un po’ per leggere bene, e poi rivolse ad Emma un lungo sguardo. 

«Sento puzza di guai», disse solo. 

«Non sono stata io», si difese ancora Emma.

«Sì che è stata lei, l’abbiamo vista», snocciolò Shay tutto d’un fiato. Tutti si girarono a guardarla.  «L’abbiamo vista. Non è vero, Joanna?» aggiunse voltandosi verso l’amica. Le due si guardarono per un attimo, e poi Joanna annuì con convinzione. «L’abbiamo colta in fallo, signora Parkinson», confermò.

Emma non poteva credere alle sue orecchie. «State scherzando, spero? Stanno scherzando», aggiunse rivolgendosi a Pansy. «Non sono stata io, e loro sono arrivate qui solo qualche minuto dopo di me, stavo cercando il libro di Pozioni… Il letto era già così…»

Pansy la guardava, le mani appuntate sui fianchi. «Penso sia arrivato il momento di convocare suo padre, signorina Nott.»

 

🥀

 

James aveva appena salutato Emma fuori dalla biblioteca. La ragazza era già quasi in ritardo per la lezione di Pozioni, e doveva ancora correre in dormitorio per recuperare il suo libro, quindi si erano ripromessi di aggiornarsi nel caso fosse successo qualcosa d’altro, qualsiasi cosa, anche un dettaglio. Ciò che era appena successo gli dava da pensare: era come se la casa riflettesse le intemperanze della sua vecchia occupante, di colei che non aveva mai abbandonato quei corridoi, e quelle stanze, e il vetro fosse scoppiato quindi come conseguenza della sua velata minaccia - anche se ovviamente molto astratta, ché non aveva nessuna intenzione di “bruciare Heydon Hall”. Lo aveva riparato senza problemi, ma quel pensiero lo martellò durante tutto il percorso che lo separava dalla sua stanza. Aveva un’oretta libera e ne voleva approfittare per farsi una dormita, visto che ormai la notte rimaneva sveglio ore e ore, un po’ a pensare al fantasma, e più di un po’ a pensare a Emma. Si diede del cretino, ché avrebbe dovuto fare qualcosa quando lei gli aveva fatto la battuta sul sentirsi attirato da lui, e si punì mentalmente per essere così poco propositivo, aveva preso fin troppo da suo padre e molto poco da sua madre - quest’ultima una sera aveva raccontato ai figli quanto avesse penato dietro a “quell’occhialuto di Potter” e alla sua indecisione. 

 

[SCRITTA COL SANGUE — DI NUOVO]

 

Quando entrò nella sua stanza, qualsiasi altro pensiero lo abbandonò improvvisamente. Sulla parete sopra il suo letto campeggiava una scritta, rossa e spessa. Per un momento pensò che fosse sangue, poi ricacciò via quell’insensatezza, per infine riabbracciarla quando l’ebbe guardata più da vicino. Sbarrò gli occhi. 

“STALLE VICINO. STAI VICINO AD EMMA. HA SOLO TE E IO NON POSSO RAGGIUNGERLA”, questo c’era scritto. In alcuni punti il sangue - ché ormai c’erano pochi dubbi, in merito - era colato sul muro, a creare un insieme grottesco degno di uno scenario dell’orrore. 

Stai vicino ad EmmaIo non posso raggiungerla… 

Qualcosa gli scattò nella testa, rapido come un fulmine che illumina il cielo nero della notte: la signora di Heydon Hall. Non poteva essere stata che lei. 

 

[IL FANTASMA TORNA A TROVARLO]

 

Come in risposta ai suoi dubbi, il suo volto gli apparve riflesso nello specchio appeso accanto al letto, i capelli scuri lisci sul volto, un mezzo sorriso a incurvarle le labbra sottili. Era molto diversa da quella sera in cui aveva tentato di strangolare Charles. James sobbalzò, ma rimase a guardarla, finché quella non svanì, parte integrante della parete alle sue spalle - parte integrante di Heydon Hall.


 


 

Note.

 

1. Frederick Nott: nome da me inventato per Nott, uno dei primi e più fedeli Mangiamorte 
2. Shay e Joanna: Shay Michaels e Joanna Ridgeport, personaggi di mia invenzione

 

Bentornati con questo capitolo post-natalizio ♥︎ spero che abbiate passato bene questi giorni! In questo capitolo il mistero che aleggia intorno al fantasma di Heydon Hall trova nuovi sbocchi e imbocca nuove piste, e sono curiosissima di sapere cosa ne pensate, a proposito della comparsa di due importanti (ma scomodi) nomi come quelli dei fratelli Lestrange 🔮 le vostre teorie sono sempre state più che interessanti e non vedo l’ora di scoprire cosa questa nuova rivelazione vi aggiungerà. Emma e James continuano a “provocarsi” e vi anticipo che nel prossimo capitolo la tensione raggiungerà il culmine ed esploderà, ma ovviamente, le cose non andranno esattamente “bene”, e sul resto taccio 🤐  Il capitolo si chiude con un’altra macabra manifestazione, e un’apparizione finale per il nostro Jamie: cosa provocherà questo nuovo guaio ad Emma?, quali saranno i risvolti?, e Theodore arriverà davvero a HH? Vi lascio come sempre con questi, e numerosi altri, interrogativi belli aperti, e mi godo le vostre bellissime teorie 👀

 

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Ci risentiamo lunedì prossimo, il giorno del mio compleanno, tra l’altro, e saremo già nel 2021, quindi colgo l’occasione per augurarvi un buon anno nuovo, e che sia meglio di quello appena trascorso ♥︎ e grazie per il vostro continuo appoggio alla storia e ai suoi protagonisti! 

 

A presto, Marti 🐍

   
 
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