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Autore: _Malila_Pevensie    30/12/2020    0 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 20
-SEPARAZIONE -



Da quel momento in poi la vita a Errania assunse un ritmo regolare.
Con enorme sollievo di Aran, finalmente Freya sembrava essersi alleggerita del peso che l'aveva oppressa nelle ultime settimane e aveva ritrovato serenità. Il giovane era consapevole che non sarebbe bastato così poco per farle lasciar andare il suo senso di colpa, ma per lo meno stava iniziando ad accettare la presenza del loro comune potere. Parlarne non le era più tanto penoso e, lentamente, la paura stava lasciando il posto alla curiosità che Freya aveva sempre avuto per l'ignoto.
Aran era felice. Per tutta la vita la curiosità era sempre stata la sua forza motrice e ora poteva condividerla con qualcuno che capiva quanto fosse bello scoprire sempre cose nuove. Lui era stato così fin da piccolo: tutti i suoi guai erano giunti dalla sua smania di sapere tutto. Ricordava le espressioni dei servitori che avevano dovuto sopportare le sue tante domande; ricordava sua madre che si occupava degli affari del regno mentre rispondeva a lui. Rammentava molto bene anche Darragh, il quale s'innervosiva sempre quando lui prolungava la lezione più del dovuto per approfondire un  argomento; tutto ciò che il fratello voleva fare era correre a prendere la spada in mano.
C'era solo una cosa su cui la sua curiosità era sempre stata frenata: la sua vita prima di essere accolto al palazzo. Aveva saputo di essere stato adottato fin da quando era bambino; sua madre aveva voluto essere sincera con lui e crescendo Aran l'aveva molto apprezzato. Significava che lo considerava capace di relazionarsi con la realtà. Poi, però, aveva sempre messo a tacere determinate sue domande: sapeva chi erano i suoi genitori? E perché avevano deciso di abbandonarlo in quel modo?
Il giovane aveva sempre intuito che Mirea sapesse qualcosa. Lei era molto controllata, quando doveva parlare con loro, ma in quei momenti lui sentiva che la Regina nascondeva una verità. Alla fine, la sola risposta che aveva ricevuto era stata: “Devo proteggerti da questa terribile vicenda, Aran. Ci sono cose che ora non posso dirti.”
La parola ora, inizialmente, gli aveva fatto sperare che un giorno la madre avrebbe parlato. Poi, erano arrivati gli incubi. Era incominciata proprio con il solo che lui e Freya non avevano in comune: la casa in fiamme e le urla della donna. Aran si era reso conto che era una scena che aveva già visto sporadicamente in sogno, quando era molto più piccolo; ma una volta diventato grande era stato diverso. Non solo non l'aveva più abbandonato: era diventata il terrore di molte sue notti. Non capiva come ora che era cresciuto potesse fargli più effetto di quando era un infante, eppure era così. Era come se prima non potesse capire quelle tremende immagini; come se all'improvviso avessero acquisito un senso. E quando era comparso anche l'incubo del pilastro, aveva infine potuto fare una netta distinzione: il pilastro era qualcosa che conosceva, ma era certo di non aver mai visto, anche se non sapeva come; la casa in fiamme, invece, era molto più personale. Lui doveva averla vista. Da lì, aveva iniziato a sospettare che si trattasse di un ricordo, molto lontano ma abbastanza traumatico da segnare un bimbo di appena due anni.
Tutta la voglia di scoprire le sue origini era lentamente sfumata nel fuoco che gli compariva dietro le palpebre quando si addormentava. Per un po' aveva tentato di tener vivo il proprio coraggio, dicendosi che nel momento in cui fosse stato abbastanza grande avrebbe posto di nuovo la domanda. Man mano che l'incubo lo tormentava, però, la paura era divenuta sempre più forte e l'aveva soffocato. Un giorno si era detto che se la madre non gli voleva dire nulla era perché si trattava di una vicenda ben più tragica di quanto avesse sospettato e aveva messo da parte ogni quesito.
La presenza di Freya era riuscita a placare un poco il terrore. Lei non aveva mai sognato la casa e gli aveva confermato che poteva essere un ricordo; ma nonostante non conoscesse l'incubo, era la sola con cui ne avesse parlato. Ogni volta che lo riviveva, sapeva che lei l'avrebbe ascoltato in silenzio e gli avrebbe posato una mano sulla spalla. Oramai riusciva persino a notare da sola   quando l'incubo tranciava il suo sonno; le bastava guardarlo in faccia la mattina, mentre facevano colazione. Aran aveva pensato che avrebbe tentato di incoraggiarlo a fare qualcosa riguardo il proprio passato, ma la ragazza non aveva mai detto nulla. Come sempre, rispettava le sue tempistiche in tutto e per tutto.
Il pilastro, comunque, restava sempre il cruccio di entrambi. Lo vedevano oramai tutte le notti e la stanchezza era diventata loro inseparabile compagna. Ne parlavano ancora, soprattutto nei momenti di pausa, ma non c'era molto da dire: avevano capito solamente che, man mano che il tempo avanzava, gli elementi della visione si facevano sempre più nitidi. Le loro sensazioni e la visione in generale, però, restavano sempre le stesse. E fino a che qualcosa di nuovo non si fosse rivelato, sarebbero rimasti sospesi nell'incertezza.
Nonostante tutto questo, nessuno dei due aveva rinunciato a cercare qualche indizio, sia sul pilastro che sui loro poteri. Fin da subito la Biblioteca non era sembrato il posto giusto per trovare simili informazioni: per quella ragione, dopo molto tempo, si erano recati nuovamente alla Sala degli Incantatori. Una mattina si erano alzati quando la luce del sole a mala pena s'intravedeva in cielo e vi si erano intrufolati. Era bastato un pizzico d'attenzione: a quell'ora solo cuochi e fornai erano all'opera, nelle cucine del castello, e la sentinella passava di lì solo una volta ogni ora. Era facile scorgere la luce della lanterna di quest'ultima filtrare da sotto i battenti della porta, perciò era facile anche sapere quando non uscire. Inoltre, a quell'ora la guardia era oramai più concentrata sul cambio che avrebbe avuto di lì a poco.
Trovata la giusta tempistica, avevano iniziato a ritrovarsi alla sala almeno tre volte la settimana, incuranti delle possibili ripercussioni. Vi trascorrevano un'ora o poco più alla volta, per avere ulteriore sicurezza di non essere scoperti, e in quel breve tempo leggevano avidamente tutto ciò che trovavano. Aran non aveva la ben che minima nozione di magia e Freya aveva fin da subito messo in chiaro il poco che sapeva: gli Incantatori evocavano i loro poteri tramite simboli, i Runíar, che venivano combinati fra loro. Alla luce di questo avevano una sola certezza: loro due erano qualcosa di diverso rispetto ai tradizionali detentori della magia; e il solo luogo in cui avrebbero potuto trovare qualcosa sulla natura delle loro capacità era quella Sala. Inoltre, se il pilastro era un manufatto magico conosciuto poteva essere descritto in uno dei libri lì custoditi.
Nel castello non c'era più nessun altro posto in cui si trovasse traccia della magia; l'ennesima ricerca doveva concentrarsi per forza lì: era ciò che si ripetevano alba dopo alba, quando tornavano alle loro stanze a mani vuote e con gli occhi che bruciavano. I formulari raccolti nella Sala degli Incantatori erano certamente affascinanti, nonostante con le loro competenze risultassero ben poco comprensibili. In essi, però, non v'era alcuna traccia della storia o delle possibili forme di potere. Li scorrevano uno per uno con perizia, sperando prima o poi di imbattersi in un volume di diversa natura, ma per il momento non avevano trovato nulla. Quando si stancavano dell'argomento, cambiavano obiettivo e passavano al pilastro, ma anche con quest'ultimo non avevano ancora avuto fortuna.
Seppur con un certo senso di colpa, Aran doveva ammettere che non sempre la sua attenzione era rivolta pienamente agli antichi tomi. Di tanto in tanto, in quelle ore in bilico fra notte e giorno, il giovane si ritrovava a osservare Freya, seduta spesso di fronte a lui. Guardava il suo capo chino sulle pagine in carta pergamena, la sua espressione assorta, i capelli lunghissimi che le cingevano le spalle e ricadevano fin quasi a toccare il pavimento. Senza poterne fare a meno rievocava quei momenti in cui i loro volti erano stati vicinissimi e in cui lui era stato fin troppo consapevole del fatto che sarebbe bastato pochissimo. Un solo, infinitesimo movimento e avrebbe posato le labbra sulle sue.
Per un istante aveva pensato che l'avrebbe fatto davvero, poco prima che il tuono rimbombasse in quella stradina di Errania; e l'aveva creduto anche nella radura, prima di ritornare coi piedi per terra e realizzare che non sarebbe stato il momento opportuno. Avrebbe avuto disprezzo di se stesso se avesse compiuto un gesto del genere mentre Freya si trovava in un tale momento di debolezza. Entrambe le volte, in qualche modo, era riuscito a controllarsi e lui stesso si era sorpreso della propria forza di volontà. Mai in vita sua aveva provato un desiderio tanto intenso di fare qualcosa.
Certo, non era mai stato indifferente al fascino femminile. Fino a quel momento, però, era stato assorbito dagli studi e dagli allenamenti, sempre più intensi man mano che cresceva; non aveva avuto poi molto tempo per pensare alle possibili relazioni con il sesso opposto. Inoltre, nessuna prima di allora aveva destato in lui un interesse tale da fargli pensare di farsi avanti in qualche modo.
Freya, come sempre, era qualcosa di diverso. Non aveva mai incontrato qualcuno capace di farlo uscire tanto da quello che era il suo ordinario, in qualunque ambito della sua esistenza. Con lei rifletteva su cose a cui non aveva mai pensato prima; scopriva di potersi sentire a proprio agio in luoghi in cui non era mai stato; e soprattutto, provava sensazioni che non l'avevano mai sfiorato. Era tutto una scoperta, da quando c'era lei. Ogni cosa era sconvolgente e bella al tempo stesso. Era la prima volta che gli accadeva e Aran avrebbe voluto sentirsi così per tutta la vita.
Cosa ci sarebbe stato di male?, si chiedeva. Freya era diventata talmente importante per lui in quegli ultimi mesi… Cosa ci sarebbe stato di strano nel volerla per sempre nei propri giorni? Non avrebbe potuto parlare per lei, ma in qualche modo aveva la percezione che la ragazza sentisse lo stesso. Cosa sarebbe potuto accadere se davvero qualcosa fosse mutato per entrambi? Quell'ipotesi faceva capolino nella sua mente, di tanto in tanto, portandosi via tutta la sua attenzione.
Poi, ricordava la conversazione avuta dopo il ballo. Per quanto potesse interessarle scoprire realtà diverse, la giovane avrebbe sempre scelto la libertà. Vi aveva rinunciato per scoprire la sua storia e, ora che finalmente l'aveva fra le mani, presto o tardi avrebbe sentito nuovamente il richiamo dei luoghi che aveva sempre chiamato casa. E per quanto ammetterlo gli facesse un effetto piuttosto strano, non credeva che il suo cuore avrebbe retto se si fosse legato ancor più profondamente a lei per poi vederla andar via.
Sarebbe stato già difficile a sufficienza, anche se quel nuovo sentimento fosse rimasto incompiuto.

«Trovato nulla di nuovo?»
Il silenzio dell'ennesima alba insonne venne interrotto da queste parole, così come il corso dei suoi oramai abituali pensieri. Aran alzò il capo e per un istante la vista gli si annebbiò; poi, un odioso mal di testa gli strinse le tempie; infine, riuscì a mettere a fuoco il volto di Freya. Come sempre accadeva in quelle ultime settimane, ritrovarsi a guardarla dopo essere riemerso dai meandri della propria mente gli causò un tuffo al cuore. Se davvero aveva deciso di desistere per quale ragione continuava a rimuginarci?, si rimproverò. Doveva semplicemente attenersi alla propria stessa logica, alla realtà, esattamente come aveva sempre fatto. Altrimenti non solo avrebbe sofferto in futuro, avrebbe anche pregiudicato ciò che doveva fare nel presente. Non poteva e non voleva permetterselo.
Freya, nel frattempo, lo guardava dritto negli occhi, in attesa di una sua risposta. Temendo che se avesse indugiato oltre la ragazza sarebbe riuscita a carpire qualcosa, Aran s'impose di darsi un contegno.
«No, nulla» rispose. «Anche qui solo tante formule incomprensibili e una lunga spiegazione di come si è arrivato a ottenerle.»
Quanto sarebbe stato più appassionante se qualcuno li avesse istruiti nella magia? Avrebbero letto i Runíar con l'occhio di chi ne conosce lo scopo; avrebbero potuto dare un'identità ai nomi di Incantatori che scorrevano tra le pagine; e, soprattutto, forse avrebbero faticato meno a comprendere che cosa fossero loro due. Ne avevano parlato a lungo: ora che iniziavano a porsi le giuste domande ma non riuscivano a raggiungere nessuna risposta era come se il loro intero essere venisse messo in discussione. Stavano imparando entrambi come non saper spiegare una parte tanto ingombrante di sé desse la sensazione di non potersi conoscere mai davvero, ancor più di chiunque altro.
Come se avesse riflettuto sulla stessa cosa nello stesso identico momento, Freya cacciò un lungo, pesante sospiro. Nell'osservare le occhiaie viola che sottostavano i suoi occhi, Aran si chiese quale forza li spingesse ad andare avanti. Forse, al loro posto, qualcun altro si sarebbe semplicemente arreso; avrebbe preso atto che la fonte di quei poteri sarebbe rimasta un mistero e si sarebbe adoperato per imparare a usarli, in qualunque modo. A loro due, però, restare nell'ignoranza pareva inconcepibile. Era un bisogno, quello che li muoveva, tale che probabilmente si sarebbero presentati a quella porta nei giorni prestabiliti in qualunque circostanza. Lasciar perdere non era nelle loro corde.
Una soluzione forse ci sarebbe stata: rompere il silenzio con la Regina Mirea. Nonostante non affrontasse mai l'argomento, Aran sapeva perfettamente che la madre conosceva profondamente la magia. Eppure, quel pensiero ancora lo metteva a disagio; c'era qualcosa che lo frenava, come un presentimento che gli suggeriva che non fosse mai il momento giusto. O almeno, così aveva preferito interpretarlo lui. Nemmeno Freya, d'altro canto, l'aveva mai suggerita come possibile opzione. Il ragazzo l'avrebbe sottovalutata credendo che non ci avesse mai pensato, perciò anche lei doveva trovare ancora difficile condividere la cosa con qualcun altro.
«È l'alba» mormorò Freya in quell'istante, il viso rivolto alla grande finestra che illuminava la sala. Aveva ragione: gli esili raggi del sole autunnale, seppur a fatica, iniziavano a raggiungere la terra attraverso le nuvole sparse. C'era qualcosa di particolare, nel freddo di quei giorni, come se da un momento all'altro potesse nevicare. Era ancora presto, a dirla tutta, ma quell'odore di ghiaccio nell'aria era inconfondibile. Comunque, sembrava che per quella mattina il tempo avrebbe retto.
In silenzio i due ragazzi si alzarono, rimisero i due tomi che avevano scelto al loro posto e lasciarono la sala esattamente come l'avevano trovata. Si mossero negli ambienti del castello con cautela, ma nessuna sentinella ostacolò il loro cammino. Quando giunsero al punto in cui si dovevano separare indugiarono giusto il tempo di capire quale fosse lo stato d'animo dell'altro. Lo facevano ogni volta e, come sempre, infine sorrisero. Non importava cosa facessero, in realtà: il tempo trascorso insieme era sempre prezioso.
Senza probabilmente nemmeno pensarci, Freya prese Aran per l'avambraccio. Con l'usuale chiarezza, senza battere ciglio mentre lo fissava nelle iridi, disse: «Arriveremo da qualche parte, prima o poi. Non so come, ma ne ho la certezza.»
Prima di potersi contenere, Aran trattenne la sua mano fra le proprie. La ragazza non fece nulla, tranne lasciar scivolare il proprio palmo contro il suo. «Ne avremo il tempo?» domandò infine lui.
Freya sembrò non esitare nemmeno per un istante. Rinnovò il proprio sorriso e, continuando a guardarlo, annuì e rispose: «Non importa dove sarai tu o dove sarò io. Ricordi?»
Aran ricordava perfettamente. Bastarono quelle semplici parole a cancellare quel breve pensiero che gli aveva attraversato la mente: si erano fatti una promessa e non c'era dubbio che l'avrebbero mantenuta. Se qualcosa lo turbava, erano le proprie emozioni confuse. Quella era solo l'ennesima dimostrazione che doveva fare qualcosa per tornare ad avere il controllo.
Fu con quella consapevolezza che il giovane si congedò da lei. Camminò fino alle proprie stanze e lì si ritirò. Aveva ancora a mala pena un'ora, prima di doversi recare alla lezione del mattino. Continuava ad avere la sensazione che prima o poi Athal si sarebbe accorto di quello che stavano facendo. Scosse il capo, tentando di scacciare il sonno che tornava a raggiungerlo; aveva bisogno di un attimo per rinfrescarsi e schiarirsi la mente. Con calma, raggiunse la stanza da bagno; versò l'acqua necessaria nel catino e, con immenso sollievo, vi immerse le mani; infine, si sciacquò il volto. L'acqua gelida assolse immediatamente il proprio compito e non appena la sua mente uscì dall'ottenebramento, Aran prese un respiro profondo. Ora poteva anche pensare di iniziare la giornata.
Attese che il tempo passasse seduto alla propria poltrona, osservando il cielo farsi sempre più chiaro. Quando arrivò il momento si alzò e andò alla porta, più perso nei propri pensieri che ancorato alla realtà. I loro poteri, tutte quelle ricerche, Freya... Restava tutto saldamente aggrappato ai margini della sua mente senza uscirne, anche se lui era fermamente deciso a non ritornarci sopra. Aveva sempre dei doveri a cui attendere, che il suo cervello si ricordasse che oramai era un adulto o meno.
La mattinata, come prevedibile, si protrasse con esasperante lentezza. La lezione di Athal, solitamente capace di accentrare tutta la sua attenzione e tutte le sue capacità, non ebbe il potere di farsi largo nella sua testa sovraffollata. Il giovane Principe scriveva automaticamente sulla pergamena che aveva davanti, senza però capire veramente cosa stesse mettendo giù. Quando arrivò l'ora di andare a mangiare, in ogni caso, aveva una sfilza di appunti che ricopriva tutta la pagina. Avrebbe dovuto confrontarli con quelli di Freya, ma almeno qualcosa c'era. Doveva considerarlo un altro potere magico?, si chiese sarcastico.
Una volta riposto tutto con cura, i due ragazzi s'incamminarono. Stavano attraversando la porta quando Freya lo fermò. Aveva capito che stava macchinando qualcosa, comprese Aran non appena la guardò in volto. Per sapere cosa avesse intuito doveva solo aspettare che parlasse.
«Forse dovremmo fermarci» disse infine la giovane.
Era tutto tranne quello che il Principe si sarebbe aspettato. Doveva riferirsi alle ossessive ricerche che stavano conducendo, ma non aveva mai creduto che le avrebbe sentito dire una cosa simile. Poi, comprese: lo stava facendo per lui. L'aveva visto rinchiudersi sempre più spesso nei suoi pensieri, in quei giorni, e iniziava a preoccuparsi per la sua salute. Non c'era altra ragione per cui lei potesse rinunciare: era troppo testarda.
Immediatamente, sorrise. In quei momenti era ancora più difficile non lasciar trapelare gli strani sentimenti che provava per lei. «Se lo stai dicendo per me, non ti devi preoccupare. Sto bene, Freya» rispose. « E poi, non possiamo arrenderci senza avere nemmeno un piccolo indizio. Non riuscirei a mollare proprio ora.»
Freya corrugò le sopracciglia. «E se tu stai dicendo questo per puro orgoglio, allora dovresti pensare seriamente alla possibilità di rallentare un po'. Vedo quanto sei stanco.»
«Anche tu lo sei. Ma credi davvero che lasciando perdere staremmo meglio? Se smettessimo, cesseremmo anche di rimuginare su tutto questo?»
La risposta era no e la ragazza non dovette nemmeno esprimerla per farglielo capire. Sospirò, proprio come aveva fatto quella mattina; sapeva che non l'avrebbe smosso. Poi riprese il cammino verso le cucine.
Aran la seguì. Cosa avrebbe pensato Freya se avesse saputo che molte delle sue riflessioni ruotavano attorno a lei? Cercò di immaginarsi la sua espressione se mai avesse dovuto rivelarglielo, ma non ci riuscì. Forse si sarebbe addirittura spaventata, chi poteva saperlo.
Continuarono il percorso in silenzio, almeno fino a che lei non parlò nuovamente. «Non si stratta solo della stanchezza, vero?»
Il ragazzo fece di tutto per nascondere la sorpresa. Per un istante credette che avrebbe detto tutto: della frustrazione che provava nel non capire nulla di quello che leggevano nella Sala; del timore  per il modo in cui i sentimenti che provava per lei sarebbero potuti evolversi. Ma alla fine disse: «È... Soltanto che ho sempre la sensazione che quello che già so non basti mai.»
Freya lo guardò, continuando intanto a procedere. «So bene di cosa parli.»
Lui proseguì, desideroso di allontanarsi dalla piega pericolosa che avrebbe potuto assumere la conversazione. «Quando mi ritrovo in mano quei libri, nella Sala degli Incantatori, l'idea di non poter interpretare al meglio i loro contenuti mi fa rabbia. Vorrei saperne di più sulla magia, sul pilastro, sui popoli che mi ha sempre nominato Athal... Vorrei saperne di più su tutto.» Non si trattava di una bugia, in fondo.
«Credevo che il maestro ti avesse parlato più approfonditamente dei popoli» mormorò Freya. Sembrava assorta, tutto a un tratto.
«In realtà, sono sempre stati solo accenni. Mia madre ha sempre approvato personalmente i nostri programmi di studio e sai come la pensa: bisogna concentrarsi sulle cose concrete, non su quelle che potrebbero anche non esistere più» ribatté lui. «Per me è stata una sorpresa quando, con il tuo arrivo, il maestro ha iniziato a parlarne più spesso. Ma scommetto che ci sono tantissime altre cose da scoprire.»
A dire il vero, tutta la discussione sulle profezie era stato il culmine: Aran non pensava che avrebbe mai potuto discorrere di un simile argomento.
Freya parve esitare per un momento. Poi, contro ogni previsione, sorrise. «In questo potrei aiutarti, se vuoi.»
Il ragazzo avrebbe voluto chiederle come, ma oramai erano arrivati alle cucine.

Finalmente, la sua giornata era stata attraversata da una scarica di adrenalina.
Subito dopo il pranzo dovettero recarsi all'addestramento, come al solito. Aran fece tutto quello che faceva abitualmente, con la stessa concentrazione che ci metteva ogni giorno; ma intanto ripensava alle parole di Freya.
Lei, dal canto suo, sembrava molto divertita dal suo entusiasmo. Nelle pause fra una sessione e l'altra di allenamento, mentre se ne stavano seduti sul pavimento della sala, provò a chiederle cosa intendesse. La giovane, per tutta risposta, ribatté che doveva avere pazienza e aspettare. Normalmente, Aran non avrebbe avuto problemi a contenersi; ma in quell'occasione si sentiva esattamente come la prima volta che era stato portato a Errania: un bambino che sta a un passo da qualcosa che ha sempre voluto. Era da una vita che non provava una cosa simile e rimase stupito di sé stesso.
Fu alla fine dell'addestramento che Freya si decise a non tenerlo più sulle spine. Gli propose di fare una pausa, ma lui oramai era troppo curioso di sapere cosa avesse da rivelargli. Posticipando le ore in Biblioteca, presero i corridoi che portavano alle stanze di Freya.
Una volta giunti lì, la ragazza lo fece accomodare al divanetto posto di fronte al focolare. Mentre attendeva, Aran osservò distrattamente i ciocchi di legna già ben disposti nel camino: Malia doveva aver preparato tutto. Si chiese se sarebbe stata l'ancella ad accendere il fuoco prima che Freya tornasse, o se l'avrebbe fatto quest'ultima; conoscendola, il fatto che Malia facesse le cose per lei la metteva ancora a disagio.
Venne distratto da un rumore: Freya era china di fronte al letto e stava estraendo qualcosa proprio da lì sotto. Quando si rialzò e lo raggiunse portava con se un libro piuttosto voluminoso e, a un primo sguardo, antico. Si sedette al suo fianco, tenendo il libro posato sulle gambe, e diede ad Aran il tempo di osservarne la copertina. Un scritta consunta recitava: Le saghe di Finian.
In effetti, tutto il libro sembrava essere vissuto, come se fosse passato di mano in mano nel corso di innumerevoli anni. Nonostante questo, era ben tenuto e si capiva che era prezioso: l'elaborata chiusura che ne proteggeva il contenuto ne era la prova più lampante. Il giovane fu scosso da un brivido: le due creature che la componevano gli erano estranee a livello conscio, ma stranamente familiari in un modo che non capiva.
Tornò a guardare Freya. Solo quando lo fece lei procedette: estrasse una catenina dallo scollo dell'abito e aprì la minuscola serratura. Poi, inaspettatamente, passò il volume a lui. Sulle labbra le aleggiava un sorriso malinconico.
Aran fece appena in tempo ad avvertire la consistenza del cuoio sotto le dita e il peso del tomo, poi aprì sulla prima pagina. Senza alcuna introduzione o indizio sulla sua identità, l'autore iniziava sin da subito a trattare l'argomento del libro. Il primo titolo che s'incontrava diceva: Il Regno di Adamas e gli adamantini. Come in un lampo, un ricordo attraversò la mente del ragazzo: un pomeriggio, aveva discusso con il maestro Athal di quanto sarebbe stato comodo avere acqua corrente negli edifici abitati; e l'uomo gli aveva nominato un popolo, gli adamantini, che in qualche modo ci era riuscito. Ora quel nome era lì, davanti ai suoi occhi, e preso dall'emozione continuò a sfogliare: c'erano pagine e pagine che parlavano di loro, ma non solo. Andando avanti ne incontrò molti altri  che aveva già udito dal precettore: centauri, eteree, elfi. C'erano anche gli esseri umani. Infine,  gli ultimi due: draghi e grifoni. Prima di rivolgersi a Freya osservò attentamente le illustrazioni manuali che inframezzavano i vari paragrafi: ecco le creature su cui era stato modellato il piccolo chiavistello che fermava la copertina.
Quando il suo sguardo si posò su di lei, vide che stava ancora sorridendo. «È... Meraviglioso!» esclamò, tornando subito ad accarezzare con lo sguardo l'immagine del grifone che aveva davanti.
La sensazione di familiarità provata poco prima ritornò, ancora più prepotente. Non aveva alcun senso, perché la sola cosa che Athal gli aveva detto di loro era che si trattava di creature straordinarie. Non ne aveva mai avuta nemmeno una descrizione, figurarsi vederne un'illustrazione. Eppure, era come se già conoscesse quell'essere maestoso e piumato.
«Lo è, vero? Ho imparato a leggere, su questo libro» disse Freya, parlando piano come se temesse di spezzare l'incantesimo sprigionato da quelle pagine.
Doveva tenerci molto, pensò Aran, per aver deciso di portarlo con sé. Continuò a sfogliarlo con delicatezza, ritornando a ritroso fino all'inizio. Cercò di studiare la calligrafia, come per avere qualche indizio sullo scrittore del volume; l'intero testo, però, era vergato in un carattere ordinato ed elegante, privo di vezzi personali. Gli ricordò quello dei mastri copiatori che fornivano i libri alla Biblioteca del castello.
Freya restò silente, lasciandogli tutto il tempo necessario. Parlò nuovamente solo dopo che lui ebbe scorso tutto il libro una seconda volta. «Ti chiedo scusa se non te l'ho mostrato prima. Non ci ho proprio pensato e... non l'avevo mai condiviso con nessuno che non fosse mia madre.»
Aran la guardò. Sapeva quanto gelosamente lei serbasse anche i più piccoli ricordi di sua madre e non voleva che si sentisse in colpa per averlo fatto. «Non c'è nulla di cui scusarsi» disse. «Era una cosa fra te e lei. So quanto tutto ciò che la riguarda sia estremamente personale, per te.» Le rivolse un sorriso rassicurante. «E poi ti avevo detto solo che Athal mi aveva parlato dei popoli, non quanto. Probabilmente ho dato l'impressione di essere molto più informato di quanto non fossi.»
La giovane abbassò un istante lo sguardo, poi lo posò sul volume. Sembrava che fosse sul punto di aggiungere qualcosa, ma Aran non sapeva se riguardasse il contenuto del libro o altro. Quando si concentrò di nuovo su di lui tentennò ancora, ma alla fine parlò: «Siamo così tanto presi da tutto quello che ci sta capitando che oramai non sappiamo più vedere altro. Vogliamo scoprire di più, imparare di più e non c'è nulla di strano in questo; ma ogni tanto fa bene fermarsi e guardarsi intorno, altrimenti si rischia di perdersi.» Fece una breve pausa. «Non riuscirò mai a rinunciare e non è quello che intendo fare. Dico solo che dovremmo trovare un ritmo che ci permetta di goderci più spesso le cose che già abbiamo.»
Il Principe rammentò i pensieri di quella mattina; ricordò di aver osservato le profonde occhiaie di Freya ed essersi chiesto cosa li spingesse ad andare avanti. Ora, al contrario, doveva domandarsi cosa potesse farli fermare: ripensò ai primi tempi in cui Freya era stata lì; alle camminate in giro per il castello solo per il gusto di passeggiare. Pensò che ultimamente non l'avevano fatto spesso. Perfino nel corso della loro gita a Errania, che doveva essere una distrazione, avevano parlato di materie di studio. Sì, lei aveva ragione: non potevano arrendersi, ma nemmeno consumarsi come i ferri di un cavallo che ha percorso troppe miglia.
Riflettuto abbastanza, annuì. «E quello che già abbiamo non è poco, no?»
Freya si rasserenò e sorrise ancora, annuendo a propria volta.
Aran si disse che in fondo la curiosità si poteva applicare anche a tante altre cose meno logoranti delle loro ricerche; doveva solo guardarsi un po' più attorno, come aveva detto lei. Forse avrebbe finalmente avuto il tempo di capire meglio anche altro, fra cui la paura di affrontare il tempo lontano di cui gli parlava l'incubo.
Restarono lì ancora per un po'. Freya gli raccontò di quale insegnate paziente fosse stata Eleana e di come avesse iniziato a istruirla molto presto. Se non avesse ricevuto in eredità una passione tanto grande per la cultura, gli disse, sapeva che avrebbe affrontato in maniera molto diversa la solitudine della foresta.
«Aver lasciato lì tutti quei libri è un grande rimpianto» disse Freya verso la fine della conversazione. «Sono chiusi in bauli di ottima fattura che li proteggono, ma mi piange il cuore a saperli lì a prendere polvere.»
«Nessuno ci vieta di andarli a recuperare, un giorno» ribatté Aran, quasi senza riflettere.
Lei lo guardò in silenzio, con lo stesso sguardo penetrante che tanto lo aveva colpito fin dal primo giorno che l'aveva conosciuta. Fu difficile reggere il peso di quegli occhi, ma lo fece e rimasero così fino a quando non sorrisero entrambi.
«Comunque, potrai leggerlo tutte le volte che vorrai» asserì la giovane, indicando il tomo che ancora stava sulle gambe di Aran. Aveva uno strano tono, come se trepidasse all'idea di alcune sue reazioni al contenuto de Le Saghe di Finian.
Lui si alzò e le porse il libro, scacciando quella sensazione. «Ti ringrazio per averlo condiviso con me.»
Lasciarono la stanza. Mentre camminavano in direzione della Biblioteca concordarono che quel giorno ci sarebbero andati piano e si sarebbero presi qualche pausa in più. Dal giorno dopo, invece, si sarebbero concessi qualche giornata libera da quel tipo di occupazione; sarebbe stato anche il caso, almeno per quella settimana, di sospendere le loro incursioni mattutine alla Sala degli Incantatori. Provare a dormire un po' di più tra una visione e l'altra avrebbe permesso loro di riprendere più riposati di prima.
Avevano appena varcato la grossa porta della Biblioteca quando Gorman si materializzò improvvisamente davanti a loro. Come sempre interruppe la loro conversazione senza alcun problema. Aran fece un'enorme sforzo per non mostrare quanto lo irritasse il modo in cui l'uomo compariva sempre mentre parlavano.
«Principe Aran, Lady Freya» li apostrofò, sforzando perfino una lieve riverenza col capo.
«Primo Consigliere» risposero uno dopo l'altra i due ragazzi.
«Sono spiacente di rovinare i vostri progetti per il pomeriggio, ma la Regina richiede che suo figlio conferisca con lei» annunciò. «Ha qualcosa d'importante da comunicare a voi e vostro fratello prima di cena.»
Aran fu colto alla sprovvista; li aveva convocati poco tempo prima per parlare dei loro progressi negli studi e non si aspettava che li mandasse a chiamare di nuovo tanto presto. In ogni caso, annuì alla richiesta di Gorman e si voltò a guardare Freya, per capire se le sarebbe dispiaciuto che la lasciasse così di punto in bianco
«In questo caso, ci vedremo domani, Aran» disse lei, rispondendo con uno dei suoi sorrisi più tranquilli. «Ci ritroviamo qui.»
Lui annuì. «A domani» ribatté, salutandola con un cenno del capo.
Poi, seguì Gorman lungo il corridoio.

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Aran la guardò per l'ennesima volta con quell'espressione scontenta. Freya avrebbe voluto dimostrargli un po' di solidarietà, ma tutto quello che riuscì a fare fu scoppiare nell'ennesima risata. Il ragazzo tentò di fingersi offeso da quella sua ilarità, eppure una scintilla divertita nel suo sguardo lo smentì. Strinse l'ultima cinghia del sottopancia di Nieva e iniziò ad assicurare le bisacce alla sella.
Le stalle erano tranquille in quella fredda mattinata autunnale attraversata di nuvole. Altri uomini si muovevano tra un vano e l'altro sistemando le loro cavalcature e riuscivano a farlo in maniera sorprendentemente silenziosa.
«Non rideresti se fossi al mio posto» commentò Aran, tornando a rivolgersi a lei dopo aver terminato di caricare le proprie cose sul dorso della giumenta.
«Io non ci vedo nulla di tragico, togliendo il fatto che caccerete per divertimento e non per una reale necessità» rispose Freya, con quel cipiglio serio che le spuntava in volto quando affermava uno dei suoi principi irrinunciabili.
Di quello in particolare avevano discusso a lungo, negli ultimi due giorni, fin dal momento in cui Aran aveva ricevuto la notizia: la tenuta di caccia della famiglia reale, situata a mezza giornata da Errania, avrebbe presto ospitato una battuta. Vi avrebbero preso parte tutti gli esponenti più in vista della corte e la Regina Mirea aveva espressamente richiesto che fossero i suoi figli a far procedere tutto nel migliore dei modi. Era qualcosa di singolarmente importante: in quei giorni, i due Principi avrebbero avuto modo di confrontarsi con i nobili di Riagàn e dimostrar loro che sarebbero stati i degni eredi di Mirea. Aran e Darragh, dunque, avrebbero dovuto collaborare.
L'invito, naturalmente, era stato esteso anche a Freya, ma la giovane si era immediatamente rifiutata. Si era spiegata in poche e chiare parole: l'unico motivo per togliere la vita a un animale era la sopravvivenza. E quando Aran aveva saputo che cosa avrebbe risposto, aveva tentato di defilarsi alla stessa maniera. L'idea di trascorrere tre giorni con Darragh senza Freya a moderare la sua rabbia gli era parsa una follia.
La ragazza, però, l'aveva messo di fronte a un'altra possibilità: quella di andare e cercare di riparare allo strappo che si era creato fra lui e il fratello. Aveva il fondato sospetto che quello fosse il secondo fine di Mirea e sapeva bene che, se ci fosse stata anche lei, Darragh non avrebbe mai fatto nessun passo in avanti. Aran aveva comunque tentato di convincerla a cambiare idea, dicendo che non sarebbe andato senza di lei, ma Freya era stata irremovibile; quando poi la Regina aveva sentenziato che non avrebbe accettato un rifiuto da parte dei figli solo perché non erano in grado di affrontare le loro incomprensioni, non aveva avuto altra scelta.
La convinzione che sarebbero finti con l'arrivare alle mani era quella prevalente, in Aran, e fu quello che ripeté ancora a Freya prima di partire. «Darragh non sa ascoltare altro che non siano le sue idee. Non riusciremo mai a risolvere le nostre divergenze a parole» affermò, sicuro.
«Credo che tu vi stia sottovalutando. Siete entrambi abbastanza intelligenti da riuscire ad avere un confronto civile» ribatté lei.
Ammettere l'intelligenza di Darragh le costò un grande sforzo e Aran, essendone consapevole, non poté fare a meno di sorridere.
Freya sorrise a propria volta e, mentre lui montava in sella, aggiunse: «E nel caso dovesse andare a finire male, mira alle gambe. L'equilibrio è ancora il suo punto debole.»
Il giovane Principe scoppiò in una breve risata, poi si fece nuovamente serio e senza pensarci afferrò la mano di lei, posata sul collo di Nieva. Freya assunse la sua stessa espressione, guardandolo con gli occhi chiari spalancati. Il cuore le era balzato fino alla gola, togliendole il fiato.
«Non credo tu sappia quanto mi aiuti averti accanto» disse Aran, stringendo forte le sue dita fra le proprie.
Riprendendosi alla svelta, Freya ricambiò la stretta. «Sistemare le cose con Darragh è qualcosa che puoi fare solamente tu e ne sei perfettamente capace» rispose.
Rimasero a guardarsi ancora qualche istante, poi il generale Nolan, il quale avrebbe partecipato alla battuta, richiamò l'attenzione di Aran. Commentò con un sorrisetto ironico lo scambio fra i due ragazzi ma questo non servì a destabilizzare Freya; dopo aver salutato definitivamente Aran, la giovane si allontanò omaggiando il generale di un perfetto inchino e di un sorriso altrettanto tagliente.
Arrivata all'entrata del castello si voltò per guardare la compagnia che usciva dal cancello, ordinatamente allineata. Non appena la schiena di Aran fu scomparsa uno strano senso di inquietudine le trafisse lo stomaco.
Quello oramai era il posto che avrebbe dovuto chiamare casa, ma in quel preciso, inaspettato istante Freya ebbe il bruttissimo presentimento di star sbagliando qualcosa.


Breve annuncio:

Al momento, la pubblicazione de "Le Saghe di Finian: La Profezia dei draghi" è stata sospesa.
Ho deciso di prendermi una pausa, principalmente per due ragioni. In primo luogo, per concentrarmi maggiormente sulla progettazione del mondo di Finian, in cui i miei personaggi si muovono. Ne ho già fatta, ma ci sono alcune idee che voglio ancora raccogliere e approfondire.
La seconda motivazione è un blocco dello scrittore che mi impedise di andare avanti nella stesura dei capitoli. Si tratta di un periodo in cui non riesco a concentrarmi come vorrei sulla trama e questo mi impedisce di aggiornare regolarmente, cosa di cui mi dispiace davvero molto.
Per queste ragioni, dopo aver riflettuto a lungo, ho deciso che fermarmi fosse la cosa migliore da fare. Non so quanto questo periodo potrà durare, ma ho tutte le intenzioni di continuare questa storia.
Non appena avrò ritrovato la giusta rotta, riprenderò a scrivere e pubblicare.

_Malila_Pevensie
   
 
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