Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: katyjolinar    02/01/2021    3 recensioni
La storia parte dalla battaglia di Liberio, dopo il time gap, ma la stessa battaglia ha svolgimento e esito differenti rispetto al manga.
Il gruppo di Paradis torna a casa, ma qualcosa di strano è successo durante il viaggio di ritorno. ATTENZIONE: POSSIBILI SPOILER PER CHI SEGUE SOLO L'ANIME
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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La luce del mattino filtrava dalle tende della finestra, lasciata aperta per rinfrescare la stanza dal calore estivo.
Reiner aprì gli occhi, svegliato dal leggero russare del compagno, ancora addormentato. Con delicatezza lo fece girare su un fianco e gli passò un braccio attorno al petto, perché potesse respirare meglio e svegliarsi con calma.
La mano gli sfiorò i pettorali, scolpiti dal duro lavoro a cui era sottoposto quotidianamente in caserma; sorrise, pensando a quando, durante i tre anni di addestramento, si era trovato circondato da ragazzine affascinate dai suoi muscoli, e al racconto dell'episodio lo stesso Jean lo aveva invidiato.
Certo, ora poteva capire quelle ragazzine: non c'era cosa più eccitante, per lui, che toccare ogni centimetro di quei muscoli marmorei, nell'intimità, e sentire le mani del compagno esplorare i suoi.
Jean disse qualche parola biascicata, sistemandosi meglio e continuando a dormire, e Reiner sorrise, baciandolo delicatamente e tirandosi su per vestirsi e scendere per dare un'occhiata ai figli.
Scese le scale, fermandosi davanti alla porta della stanza dell'apprendista, dove erano stati sistemati anche Ymir, Faye e Grisha; senza fare rumore si affacciò, notando la madre di Jean, intenta a cambiare Grisha, canticchiando una canzoncina.
Si schiarì la voce, la donna alzò lo sguardo e gli sorrise, finendo di cambiare il neonato e mettendoglielo in braccio, per prendere la sorellina.
"Potevi stare a dormire ancora un po'." disse "Gli ho appena finito di dare da mangiare e li ho cambiati, voi avete bisogno di riposare..."
"Oramai è la forza dell'abitudine." ammise il biondo, prendendo meglio il figlio "Stavamo già prendendo un certo ritmo da quando è arrivata Ymir... i gemelli hanno solo cementato certe abitudini..."
L'altra annuì, guardando la culla dove dormiva la principessina, stesa su un fianco e con la manina chiusa a pugno sulla boccuccia.
"Guardala." disse la donna, sorridendo "È un amore... e più il tempo passa, più somiglia a Jean."
"Ha ragione, signora." ammise il marleyano, ridendo "Jean dorme nella stessa identica posizione. Solo che lo devo sempre fare spostare perché dopo un po' inizia a russare."
Manco a farlo apposta, il diretto interessato fece il suo ingresso nella stanza, con i capelli spettinati e l'aria ancora addormentata. Si avvicinò, sbadigliando e passandosi le mani sulla chioma scompigliata.
Contemporaneamente la piccola Ymir aprì gli occhietti, si mise seduta e fissò i tre adulti con lo stesso sguardo assonnato del padre che filtrava attraverso le ciocche scomposte di capelli biondi che le ricadevano sul viso.
Il ragazzo la prese in braccio e la cullò dolcemente, lanciando occhiatacce agli altri due che ridevano sotto i baffi, notando le somiglianze tra padre e figlia. Reiner gli tirò indietro i capelli ancora scompigliati e gli diede un bacio a stampo, che ebbe l'effetto di svegliarlo un po' di più.
"Che avete da ridere tanto, voi due?" si lamentò.
"Nulla, tesoro." lo rassicurò la madre, carezzandogli dolcemente la guancia "È che siete così simili..." fece una carezza anche alla bambina e consegnò anche Faye a Reiner, quindi andò verso la porta "Comunque ragazzi, andate a sistemarvi, oggi vengono le mie amiche a prendere un tè e fare due chiacchiere."
"Che?! Mamma non avrai detto in giro che Ymir..." esclamò il giovane, ormai sveglio del tutto.
"Ho detto la verità: mio figlio e il suo compagno sono le guardie del corpo personali di Sua Altezza Reale la Principessa Ymir." rispose lei,  ferma sullo stipite, facendo un sorriso e un occhiolino complice.
"Ah meno male..." si tranquillizzò Jean, aiutando la figlia a cambiarsi e po tornando in camera sua per finire di sistemare per la giornata.
A metà mattinata, mentre i due giovani stavano spostando dei sacchi di farina da usare nel forno, un vociare di donne arrivò dal negozio antistante; la padrona di casa, quindi, andò ad accogliere le quattro donne, seguita dai due biondi soldati con in braccio i tre bambini.
Si trattava di quattro donne all'incirca della stessa età della signora, che lei salutò calorosamente, conducendole nel salotto sul retro del locale.
Quando furono sistemate, finalmente notarono i due ragazzi con i tre bambini, fermi sullo stipite della porta.
"Ragazze, vi ricordate di mio figlio, Jean?" li presentò la fornaia "E lui è Reiner, sono insieme nell'Armata Ricognitiva. E poi c'è Sua Altezza Reale la Principessa Ymir e i miei due adorabili nipotini, Grisha e Faye."
"Oh, vedo che l'aria del Corpo di Ricerca fa molto bene!" commentò una delle nuove arrivate, dopo aver poggiato un grosso pacco sul tavolo, avvicinandosi ai due ragazzi per stropicciare le loro guance e dare a entrambi una sonora pacca sui glutei.
"E non hai idea di quanto è bello il nuovo comandante!" esclamò la seconda, aggiustandosi gli stretti occhiali sul naso "L'ho intervistato qualche giorno fa per La Gazzetta delle Mura e vi assicuro che è proprio un bel ragazzo!"
"Ragazzi, vi presento le mie amiche." Le presentò la padrona di casa "Julie, dello spaccio di Trost, Emma, la sarta del distretto, Olga, l'ostetrica, e Christine, giornalista della Gazzetta delle Mura, che credo abbiate già conosciuto quando è venuta a intervistare il vostro capo."
"Oh, Jane, è cresciuto così bene tuo figlio!" esclamò Olga, ammirando il ragazzo "Me lo ricordo appena nato, così minuscolo... Chissà quante ragazze avrà appresso... oh, se avessi ancora vent'anni..."
"Lascia perdere, Olga." la scoraggiò Jane, sistemando i bambini al tavolo "Jean non ti filerebbe, credimi. Ma posso affermare che ha ottimi gusti."
"Ma mamma!!" si lamentò il giovane, completamente rosso in viso.
"Sto dicendo la verità... O stai insinuando che Reiner sia brutto?" gli mise l'involto tra le mani, dandogli una pacca sulla spalla "Ora provati questo. È un abito in stile continentale che ho fatto fare da Emma per te, visto che il tuo lavoro ti porta ad andare spesso all'estero..."
Il giovane fece per replicare, ma la donna lo mandò a cambiarsi, e dieci minuti dopo ritornò, con addosso un paio di pantaloni neri su misura, una camicia e un gilet dello stesso colore, e in mano la giacca del completo e una cravatta in seta.
"Ehm... Okay, il vestito è a posto." commentò, aggiustandosi i polsini della camicia "Ma dovevi anche includere nel completo questo dannato cappio? Non so neanche come si annoda! L'unica volta che l'ho usato mi sono fatto aiutare per indossarlo!"
Reiner sospirò e si avvicinò, prendendo la cravatta e sistemandogliela, per poi fare il nodo.
"Faccio io." si offrì "La cravatta fa parte dell'uniforme militare d'ufficio di Marley, quindi è indispensabile saperla annodare."
Con calma sistemò tutto, e, mentre lui era concentrato sull'indumento, Jean lo osservò, finché non sentì qualcosa svegliarsi in modo imbarazzante a causa della vicinanza.
"Reiner..." sussurrò "Forse è meglio se... insomma, sei troppo vicino... mi fai un certo effetto..."
"Anche tu fai lo stesso effetto a me, credimi." gli confessò l'altro, abbottonandogli il gilet e aiutandolo a infilarsi la giacca.
"Beh, se non ci fossero certe reazioni di certo sarebbe un problema, ragazzi." intervenne Julie, osservandoli come a volerli spogliare con gli occhi, cosa che fece arrossire entrambi i giovani.
"Jan bejo." si intromise la piccola Ymir, con la sua vocina timida, osservando il padre segreto con aria sognante.
"Ecco, la principessa ha parlato! E ha ragione: stai davvero d'incanto." ammise Jane "Ora posso chiederti il favore di andare a prendere Marco a scuola? L'altra settimana ogni tanto tornava con qualche livido, ma non ha voluto parlarne, magari con te si apre. Tanto qui a fare la guardia alla principessa rimane il tuo ragazzo."
"Va bene, mamma. Mi cambio e vado."
"Ma no, vai pure vestito così!" suggerì Olga "Tanto con tutti i migranti del continente che ci sono in giro passeresti inosservato."
"Ehm... preferisco i miei soliti vestiti, grazie comunque." ammise il ragazzo, salutando e salendo in camera a cambiarsi, per poi uscire e andare a prendere il giovane apprendista della bottega alla scuola del distretto, al stessa che aveva frequentato anche lui prima di entrare in Accademia Militare.
Non era lontana dal forno, in un quarto d'ora di camminata già sentiva il vociare dei bambini e dei ragazzi all'ora di uscita, e appena svoltò l'ultimo angolo vide i cancelli dell'edificio; uno dei maestri era fermo davanti alla porta, osservando gli studenti, che uscivano ordinati per poi sparpagliarsi nella piazza antistante.
Ma una scena attirò la sua attenzione: tre ragazzini dell'ultimo anno avevano messo al muro un quarto, che se ne stava seduto, riparandosi la testa con le braccia, tremante come una foglia; lanciò un rapido sguardo al maestro, che aveva notato la scena, ma non si muoveva dalla sua postazione, e sembrava sorridere sotto i baffi.
Un flash della sua infanzia gli balenò in mente. Un bambino grassottello sempre messo da parte, sgambetti, spinte, fino ad arrivare a pestaggi e veri e propri atti di bullismo, tutto sotto gli occhi del maestro, che mai interveniva, anzi a volte pareva ridere della sorte del malcapitato; e sua madre che si preoccupava, ma non poteva fare molto. Al tempo ce l'aveva con lei, perché era molto attaccata a lui, il suo unico figlio, ed era per questo che aveva deciso di andarsene, di intraprendere la carriera militare, pur essendo ben consapevole dei suoi limiti. Allora non immaginava che sarebbe diventato un eroe nazionale, uno degli alti ufficiali di una sezione dell'esercito una volta tanto odiata.
Osservò di nuovo il gruppetto, riconoscendo il ragazzino bullizzato. Sua madre aveva ragione: Marco aveva dei problemi a scuola; senza pensarci due volte, attraversò la piazza, fermandosi alle spalle del più grosso dei bulletti, afferrandogli il braccio, teso, pronto per tirare un pugno.
"Ma che cazzo!" esclamò il ragazzino, girandosi e pronto a dirne quattro, ma le parole gli morirono in gola quando vide la medaglia dell'alta onoreficenza che aveva al collo "Cos... Un... Un eroe di Shigashina?"
"Già, proprio così." ammise Jean, con voce ferma e sguardo severo "Sparite, e guai se scopro che fate di nuovo una cosa del genere! Marco, ce la fai ad alzarti?"
I tre corsero via e il bambino si alzò in piedi, restando a testa bassa; il giovane prese il fazzoletto e gli pulì la terra dalla faccia, quindi gli posò una mano sulla spalla e si avvicinò con lui al maestro, ancora fermo davanti alla porta.
"Vedo che certe cose non sono affatto cambiate da quando venivo io qui." commentò, guardando l'uomo "Come sempre lei lascia che i bambini apparentemente più deboli ne subiscano di tutti i colori senza intervenire."
L'uomo lo squadrò dal basso verso l'alto, prima di rispondere.
"Ma guarda! Jean Kirschtein! Quasi non ti riconoscevo! Sei proprio cresciuto!"
"E sono anche cambiato, ma non di certo grazie a lei." rispose "Diceva che non sarei sopravvissuto all'Accademia, ma sa una cosa? L'istruttore sarà stato severo ma almeno evitava la maggior parte delle risse e tutti gli atti di bullismo che potevano avvenire nel collegio." fece una pausa e si rivolse nuovamente al ragazzino "Andiamo, Marco. Mamma ci sta aspettando."
Marco annuì e si allontanarono insieme, camminando in silenzio per tutto il tragitto verso casa.
Poco prima di svoltare l'ultimo angolo, il ragazzino si bloccò, annusando l'aria.
"Ehi! Tutto bene?" chiese il giovane ufficiale "Perché ti sei fermato?"
"Questo profumo... Non lo senti?"
Jean annusò l'aria a sua volta, e un odore famigliare gli riempì le narici. Sorride, ricordando i vecchi tempi.
"La frittata di mamma... Non dirmi che non te l'ha mai cucinata!" esclamò. Marco scosse la testa e lui gli scompigliò i capelli "Beh, c'è una prima volta per tutto, sono certo che ti piacerà."
Ciò detto, fece l'ultimo tratto di strada e entrò in casa, fermandosi sullo stipite per osservare la scena. Ciò che vide lo intenerì: Jane stava armeggiando tra pentole e padelle, sotto l'occhio attento e ammirato di Ymir, mentre Reiner finiva di preparare gli ingredienti, il tutto sotto gli occhi vigili dei gemellini, che non si perdevano un movimento del padre o della nonna.
"Bentornati! Le ragazze sono andate via poco fa e noi stiamo preparando il pranzo. Venite a darci una mano?"
Marco non se lo fece ripetere due volte e seguì subito le istruzioni della donna, mentre Jean si avvicinò alla madre e le diede un bacio sulla guancia.
"La tua frittata... Sai che mi ha fatto vincere una gara di cucina quando ero in Accademia?" le disse.
"Me la ricordo quella volta." confermò Reiner "Io ero in squadra con Sasha e tu eri con Annie e Armin. Ci avete stracciato senza fare neanche troppa fatica."
Il ragazzo sorrise e tornò a rivolgersi a Jane.
"Mamma, credo sia il caso che Marco cambi scuola." suggerì, serio.
"Ma non ci sono altre scuole qui a Trost." obiettò la donna.
"A Trost no, ma a Shigashina sì." fece un respiro profondo e continuò "La cugina di Reiner e un suo amico hanno l'età di Marco, vanno alla scuola affiliata alla caserma. È un'ottima scuola e gli atti di bullismo vengono scoraggiati e puniti."
"Ma è a Shigashina... E poi quella scuola è riservata a chi ha parenti militari..."
Il giovane fece una pausa, pensieroso.
"Adottalo." disse "E poi... Stiamo cercando un forno che ci fornisca panificati freschi. In questo modo avrebbe diritto a frequentare quella scuola, in quanto fratello di un ufficiale della Ricognitiva e figlio di un fornitore. E poi... se ti trasferisci a Shigashina avresti più occasioni per vedere i tuoi nipoti."
La donna esitò, spostando lo sguardo su tutti i presenti, ma alla fine cedette e annuì.
Jean sorrise e le baciò la fronte, affettuoso. Erano ormai passati i tempi del rancore adolescenziale, ora voleva solo che la madre si godesse i nipoti senza altre preoccupazioni, e avrebbe fatto tutto perché fosse così.

   
 
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